Fine di una grande storia d’amore fra lo scrittore Matteo Grimaldi e diverse donne di una nota agenzia interinale

Ok, da due mesi ho trovato lavoro. E sono felice. Ma prima di mesi ne sono passati cinque e mezzo in cui cercare lavoro era diventato il mio lavoro. Un lavoro fatto di buchi nell’acqua.
Quelle di una nota agenzia interinale insistevano per farmi lavorare come vice responsabile in un altrettanto noto ristorante di catena del quale non faccio il nome, ma tanto sono i soliti. Il turno era spezzato pranzo/cena, in un centro commerciale che dista quaranta minuti di treno da Firenze. In pratica, sarei rimasto ostaggio per l’intera giornata all’interno del centro commerciale – mica potevo tornare a casa – , o in qualche parchetto nella ridente località toscana, dove avrei dovuto trascorrere le ore fra un turno e l’altro osservando i movimenti delle nubi, o contando i solchi sul legno di una panchina.
Ho fatto il primo colloquio non so nemmeno io perché. Forse soltanto per lo stipendio, che in effetti non era male. La donna dell’agenzia interinale mi ha richiamato due giorni dopo. Avevo colpito nel segno – cinque anni da McDonald’s fanno sempre la loro figurona in certe realtà indernescional – quelli volevano mettermi subito in prova. Ho detto di no e le ho spiegato perché. Lei mi ha risposto che tutti vorrebbero fare altri lavori nella vita, ma coi tempi che corrono bisogna accontentarsi di quello che c’è. Ho pensato a Madre che al telefono mi aveva detto: – E che fine gli fai fare alla laurea?
Allora ho detto ancora una volta no, con tono perentorio.
– Ma perché, signor Grimaldi? In fondo non sta lavorando!
Allora sono partito col mio super pippone.
– Nella vita non ho mai avuto problemi a fare qualunque tipo di lavoro. Pizzerie, pub, supermercati. Sono stato al McDonald’s per cinque anni. Ho pubblicato tre libri. Ho fatto una fatica boia per laurearmi in Informatica. Ho lasciato il lavoro. Mi sono trasferito a Firenze per cercarne uno più adatto a me, alle mie inclinazioni, agli sforzi che ho fatto per acquisire competenze nuove. E adesso dovrei non vivere più per portare piatti di carne fumante alla gente che passeggia nel centro commerciale? No, signora.
Perché questo è quello che fa il viceresponsabile. E’ come quando quelli dell’Esselunga pubblicano gli annunci con su scritto: Ricerchiamo candidati da avviare alla carriera direttiva.
Sì, quelli che mettono a posto la roba sugli scaffali. Con tutto il rispetto eh! L’ho fatto anch’io in un supermercato, ma mai mi sarei sognato di definirmi uno avviato alla carriera direttiva.
Perciò ancora una volta no. Semmai mi rimetto a studiare, ho pensato. Ma non mi accontento. Accontentarsi significa mollare. E chi molla ha perso.
– Ok, allora ci risentiremo se usciranno posizioni diverse, ma… mi sa di no – ha detto l’interinale.
– E chissenefrega – le ho risposto.
Credetemi, non era per sminuire o disprezzare il lavoro, ma per non sminuire o disprezzare me stesso.

Per poco non divento milionario

Sono arrivato alla fermata con abbondante anticipo. Allora mi prendo un caffè, penso. Alla cassa mi cade l’occhio sui gratta e vinci.
– Un turista per sempre! – esclamo.
Mi siedo al tavolino. Gratto con una moneta da 2 euro. Grande moneta = grande vincita. Vinco 5 euro col simbolo dell’ombrellone. Sento il potere del destino. Torno in cassa.
– Un altro Turista! E pescalo in mezzo!
L’uomo rimane con la mano bloccata qualche istante dalla mia intimidazione. Torno al tavolino col nuovo Turista. Gratto i numeri vincenti, poi gratto i miei. 35… ce l’ho!
– Ho vinto! – esclamo.
Grat grat… 45! Ce l’ho! È incredibile! È il mio destino karmico.
– Ho stravinto!!!
Non sono più nella pelle. L’uomo ai caffè guarda verso di me. La signora in fila si volta. Godo. Quante volte mi sono trovato dall’altra parte. E ora tocca a voi rosicare.
Gratto le cifre vinte sotto ai numeri.
– Ah! – dico, un pochino deluso, a dir la verità. Mi stanno aspettando al varco. Anzi, alla cassa. Fremono. Il loro bar entrerà nella storia. Ne parleranno su Rai2 con l’inviata riccia della Vita in Diretta.
– Dieci euro – dico. – Me li prendo!
A quel punto succede. Una specie di fruscio, ma in coro, intonato da tutti i presenti. Come un’esplosione sorda.
– Mavafangul!!!
-…

Amigo

Mi si avvicina un extracomunitario col pancione, ma non aspetta un bambino.
– Amigo ciao! Ti prego, aiuto, dammi qualche soldino, monete, carta, fai tu!
Tiro fuori il portafogli, lo apro. Mi perdo nel vuoto incolmabile dello spazio delle banconote.
Nada, il deserto dei Tartari, tabula rasa, terra di Siena bruciata, anzi no, carbonizzata, un pozzo senza fondo, un orizzonte sconfinato: due scontrini di cui uno con una gomma avvoltolata, e un gettone dell’autolavaggio lì dove dovrebbero stare le monete, se ce le avessi.
– Mi dispiace, ma oggi non ho dietro nemmeno un centesimo.
Amigo, presa visione della situazione, compone uno sguardo commiserevole, tira in spalla il borsone coi pacchi di calzettoni di spugna.
– Amigo, tu stai messo peggio di me! Solo un poco meglio vestito. Buona fortuna! Ciao bello!
– …
Amigo c’ha proprio ragione. Tempi durissimi questi.

Cassiera nuova, nemica nuova

Lidl. Decido di entrare. Voglio risparmiare sulla spesa senza rinunciare alla qualità.
Il carrello non mi serve, tanto prendo solo due cose, mi dico.
– Uh, le gallette di riso più economiche del mondo! – esclamo da solo prendendone due pacchi.
– Uh, il misto di arrosto suino in una super offerta pasquale!
Prendo la confezione e già mi accorgo che forse avevo dato alla capienza delle mie grandi mani più fiducia di quanta ne meritassero. Vado comunque avanti.
– Ah, l’insalata che non scade mai! Questa la voglio. E pure la mortadellina piccola e il prosciutto crudo in un’altra clamorosa offerta pasquale!
Sono un corpo brioso ed eccitato che vaga fra le corsie di moto casuale uniformemente accelerato. Al reparto dei formaggi, quando cerco di prelevare due mozzarelline sgocciolanti, capisco che non ce la posso fare. Così decido di attirare l’attenzione di un commesso.
– Mi scusi! – dico da dietro la mia montagna di primizie.
Lui, a 9 centimetri da me, non si gira neanche. Continua ad ammassare con estremo entusiasmo blocchi di formaggi vari ed eventuali sottovuoto.
– Mi scusi ragazzo! – dico proprio così: ragazzo. – Vorrei chiederle un grande favore. Avrei adocchiato un cartone vuoto abbandonato in un angolo. Non è che potrei utilizzarlo per… fare la spesa? Tipo un carrello… sospeso. Come dire?!
Non lo so come dire, comunque non così come ho fatto io, evidentemente.
– Prego! – dice lui, e torna ai suoi formaggi.
Arrivo in cassa e ribalto la spesa sul rullo in un unico gesto. E’ quasi il mio turno e io non so che fare, né che dire con questo cartone in mano di cui mi sono appropriato, che reca sul lato lungo la scritta “Un mondo di cioccolato”. Lo lascio cadere a terra con indifferenza? No, andrò fino in fondo.
La cassiera passa la mia spesa. Io sollevo il cartone e sorrido. Lei mi guarda e non ricambia la mia giovialità. Sospende il passaggio dei prodotti. Rimane con la mortadellina rimbalzante in mano.
– Vuole delle buste?
– Mah, guardi, ho… trovato questo cartone e ho pensato di fare cosa utile… per me. Ma anche per voi! Così l’ho raccolto e… potrei utilizzarlo per portare la spesa a casa.
– Se vuole le buste gliele do. Noi non le facciamo pagare come quelli dell’Esselunga!
– …
Cioè, questa gioia di vivere fatta persona sta insinuando che ho raccattato un cartone per non pagare le buste?
– No grazie, non è per quello. E’ che io ho l’hobby dei cartoni.
Ora è scioccata. In effetti non credo di essermi espresso benissimo.
– Sì, li trasformo in… piccoli mobiletti. Mensoline, comodini… Ha presente Paint your life?!
– Beato te che c’hai tutto ‘sto tempo da perde.
-…

Ambientazioni… fuori Italia

In libreria. Sorridente. Occhialetto rosso. Sui 50. Donna.
– Vorrei un libro.
– Sì, è nel posto giusto, carissima signora! (-.-“)
– Ecco, per fortuna! – esclama come se si sentisse davvero fortunata. Di lì a qualche istante avrei capito che di fortuna ce ne sarebbero volute tonnellate. – Rizzoli!
– Sì… (Non le è stata insegnata la formulazione della frase classica: soggetto, verbo ed eventualmente complemento?)
– Il libro di Rizzoli! Non mi chieda il titolo però che ho una memoria di ricotta.
– E si ricorda qualche altro indizio? Tipo l’autore…
– No no – dice attraversata da un brivido di ribrezzo. Come se gli autori le facessero schifo. Come persone.
– La trama magari, così provo a fare una ricerca incrociata…
– Sì! – chiude gli occhi. – Parla di una storia d’amore… d’altri tempi. Mi ricordo che è ambientato… ora non ricordo la città, ma era fuori Italia!
– Signora, per individuarlo è un po’ poco sapere che l’ha pubblicato Rizzoli… e basta.
– L’ha pubblicato?
– (…) Sì, l’ha pubblicato. O almeno è ciò che mi sta dicendo lei! Che é un romanzo Rizzoli!
– Ora mi sta facendo venire il dubbio. E se Rizzoli fosse l’autore? Può essere?
– (…)(….. ….. .. …..) (Io non ce la posso fare!)

Claudio Lippi (?)

Vedo Claudio Lippi davanti a una gelateria. Mi avvicino.
– Ciao Claudio! – esclamo.
Lui mi guarda. Nell’espressione ha un misto di gioia e stupore. Chiara sensazione di chi gode nell’essere riconosciuto.
– Come va Claudio… Lippi?!
Ok, lo so che non è, che ne so, Paolo Bonolis, ma solo Claudio Lippi. Però sono emozionato. È sempre Claudio Lippi, voglio dire.
Lui non mi saluta. Continua a guardarmi con quella sua espressione da pesce lesso che è un po’ la caratteristica di Claudio Lippi; siete d’accordo?
Poi all’improvviso parla. Quello che dice è, ma non sono sicuro:
– Augh fiterdaughen???!!
Ha cambiato espressione. Ora è arrabbiato e, evidentemente, non è Claudio Lippi.
Ehm.

Troppo potente!

In libreria. Ragazzino biondo, sugli otto anni, sguardo criminale.
– Ciao senti, ce l’hai qualcosa di chimico? Tipo per fare delle robe in laboratorio?
– Sì, c’è questo gioco che ti fa ricreare dei minerali attraverso la reazione chimica di alcune sostanze…
– No, mi serve qualcosa di più potente. Non come la bomba atomica però, che è troppo.
– E cosa ci devi fare?
Nei miei occhi è evidente una certa preoccupazione. Questo bamboccio mi fa paura.
– Ci devo far saltare in aria la maestra.
-…

Matteo e le sue due acerrime nemiche dell’Esselunga dietro l’angolo, sempre loro, sempre più acerrime

Il frigo è vuoto. Io ho fame. Ora che ho un lavoro posso finalmente fare la spesa. Arrivo in cassa con un carrello pieno. La cassiera bionda, che chiameremo Nemica n.1, mi guarda con l’aria indispettita di chi ritrova dopo tanto un ex vecchio amico, che non l’ha più salutata perché ha vinto al Superenalotto e ora fa parte di un altro ceto sociale.
– Pago tutto in contanti! – esclamo tirando fuori il mio portafogli di un certo marchio che non dirò per non influenzare il mercato italiano dei portafogli.
Lei annuisce.
– Vorrei anche fare la carta Fidaty – aggiungo animato da un entusiasmo nuovo. – Sa, ho visto che ci sono molti sconti riservati solo a…
– Sì certo, vada pure che gliela fanno.
– Ah grazie! Dove devo andare?
– Là! – esclama lei senza fare un solo cenno rappresentativo di una direzione.
Va be’. Vado al box informazioni e ci trovo Nemica n.2. Ho l’impressione che mi abbia riconosciuto.
– Salve, dovrei fare la Fidaty – dico appoggiando con una incauta naturalezza, lo ammetto, una delle buste sul bancone. Fuoriesce un pomodoro che rotola, sbatte sulla penna che le scappa di mano tracciando una riga blu su una specie di bolla che stava compilando. Sbuffa. Gli esce qualcosa dalle narici.
– Le parti gialle sono obbligatorie – dice senza staccare gli occhi dal suo compitino. Vedo un foglio decollare, alimentato dalla spinta propulsiva del suo lancio, e planare sotto ai carrelli. Mi accuccio e recupero il modulo della Fidaty. Lo compilo. Questo silenzio fra me e lei mi fa dispiacere. Voglio confortarla, starle accanto anche con le parole, esserle di compagnia.
– Sembra molto conveniente questa carta. È davvero un’ottima trovata – dico per attaccare bottone.
– La fanno tutti i supermercati, cambia solo il nome.
– Sì, e Fidaty è un nome splendido. Rende molto l’idea di…
– Ha fatto?
– Sì, mi scusi.
Le allungo il modulo.
– Bene… – e fa un ghigno. Dall’iride si irradia una strana luce inquietante. La vedo molto distintamente perché, per la prima volta, mi fissa. Poi mi dice: – Peccato, le ho finite. Torni domani.
Sai che ti dico, cara addetta alla compilazione delle bolle barra consegna carte Fidaty dell’Esselunga? Che sei cattiva. E il giorno in cui avrai bisogno di una straordinaria avventura di Peppa Pig, da me non l’avrai.

[Madre Black Banana]

Drin drin. Telefono.
– Matteo? Ma che ti è successo?!
– Niente. Che mi è successo!?
– Non ti è successo niente in questi giorni che non ci siamo sentiti?
– Ah, la tua era una domanda generale. Pensavo tu pensassi che mi fosse successo qualcosa.
– Smettila di parlare come se ti trovassi a Porta a Porta. Con tutti questi verbi. Senti. La stai mangiando la frutta?
– Sì, Madre – rispondo buttando un occhio alla banana nera che sta da settimane nella fruttiera.
Lei deve aver colto un tentennamento nella voce perché ripete la domanda con un tono inquisitorio e aggiunge: – Guarda Matteo che la frutta è importantissima!
– Lo so Madre. Te lo ricordi quanta frutta mangiavo a casa, no? Ecco, ne mangio molta anche qua – dico, con il grigio della banana che incombe sullo sfondo.
– Se va be’. Non mi freghi. Tanto lo so che c’avrai sì e no una banana… nera!
-…
Le madri, pure se non sanno tante cose di noi, ci conoscono meglio di chiunque altro.

Comprare un’altra mamma si può

In libreria. Do un’occhiata alle copertine dei quotidiani. Molte raccontano L’Aquila. Il 6 aprile ci vuole una risata, ma di quelle esplosive, penso. Ed è in quel momento, proprio in quello che entra il mio eroe settimanale. Il piccolo Antonio.
– Mamma, me o compi?
– No dai Antonio, ce l’hai già.
– E questo me o compi? – domanda stendendole il diario di Violetta.
– No Antonio, quello è per le bimbe. Le femmine!
– E questo me o compi?
Stavolta ci prova con la pallina antistress.
– Antonio, non sei tu che sei stressato. Ma io! Appresso a te! – esclama la mamma alzando il tono di voce.
– Dai Antonio, che ora andiamo al negozio di ieri e compriamo un’altra maglia colorata – interviene il padre.
Ed è là che il piccolo Antonio dà il meglio di sé e mi fa dimenticare per un attimo L’Aquila, il 6 aprile e il terremoto.
– Un’anta maglia?!? No papà compami un’anta mamma!!! Peffavore!!!