Violetta l’addetta e Mario, uomo pragmatico

Continua la saga Interinal Agency – alla ricerca del lavoro perduto, col ricordo di Mario.
Aspettavo il mio turno per un colloquio quando questo signore barbuto irrompe nell’agenzia, fa finta di non vedere le 78 persone in fila, aspetta che la disoccupata di turno termini di implorare Violetta l’addetta di Ali. (Fa ridere Violetta l’addetta, ma si chiamava davvero così.)
– Devo firmare un contratto! – esclama accomodandosi davanti a lei.
Violetta sgrana gli occhi azzurri e accelera il battito di ciglia con l’estèscion.
– Che contratto? Chi è lei, mi scusi?
– Mario, Mario mannaggia… (parte accidentalmente una bestemmia).
– Bene Mario, ora con calma mi dica che contratto deve firmare.
– Quello che sta attaccato alla porta. Là l’ho letto! Cazzo!
– Cosa ha letto, l’annuncio?
– Eh, e mi interessa. Quando se comincia?
– Ma… dovrebbe sostenere un colloquio prima. L’ha chiamata qualcuno?
– No, so venuto da solo.
– Qui non funziona che uno legge l’annuncio sulla porta e automaticamente viene assunto.
– Minghia quanto siete contorte voi femmine!

Fine di una grande storia d’amore fra lo scrittore Matteo Grimaldi e diverse donne di una nota agenzia interinale

Ok, da due mesi ho trovato lavoro. E sono felice. Ma prima di mesi ne sono passati cinque e mezzo in cui cercare lavoro era diventato il mio lavoro. Un lavoro fatto di buchi nell’acqua.
Quelle di una nota agenzia interinale insistevano per farmi lavorare come vice responsabile in un altrettanto noto ristorante di catena del quale non faccio il nome, ma tanto sono i soliti. Il turno era spezzato pranzo/cena, in un centro commerciale che dista quaranta minuti di treno da Firenze. In pratica, sarei rimasto ostaggio per l’intera giornata all’interno del centro commerciale – mica potevo tornare a casa – , o in qualche parchetto nella ridente località toscana, dove avrei dovuto trascorrere le ore fra un turno e l’altro osservando i movimenti delle nubi, o contando i solchi sul legno di una panchina.
Ho fatto il primo colloquio non so nemmeno io perché. Forse soltanto per lo stipendio, che in effetti non era male. La donna dell’agenzia interinale mi ha richiamato due giorni dopo. Avevo colpito nel segno – cinque anni da McDonald’s fanno sempre la loro figurona in certe realtà indernescional – quelli volevano mettermi subito in prova. Ho detto di no e le ho spiegato perché. Lei mi ha risposto che tutti vorrebbero fare altri lavori nella vita, ma coi tempi che corrono bisogna accontentarsi di quello che c’è. Ho pensato a Madre che al telefono mi aveva detto: – E che fine gli fai fare alla laurea?
Allora ho detto ancora una volta no, con tono perentorio.
– Ma perché, signor Grimaldi? In fondo non sta lavorando!
Allora sono partito col mio super pippone.
– Nella vita non ho mai avuto problemi a fare qualunque tipo di lavoro. Pizzerie, pub, supermercati. Sono stato al McDonald’s per cinque anni. Ho pubblicato tre libri. Ho fatto una fatica boia per laurearmi in Informatica. Ho lasciato il lavoro. Mi sono trasferito a Firenze per cercarne uno più adatto a me, alle mie inclinazioni, agli sforzi che ho fatto per acquisire competenze nuove. E adesso dovrei non vivere più per portare piatti di carne fumante alla gente che passeggia nel centro commerciale? No, signora.
Perché questo è quello che fa il viceresponsabile. E’ come quando quelli dell’Esselunga pubblicano gli annunci con su scritto: Ricerchiamo candidati da avviare alla carriera direttiva.
Sì, quelli che mettono a posto la roba sugli scaffali. Con tutto il rispetto eh! L’ho fatto anch’io in un supermercato, ma mai mi sarei sognato di definirmi uno avviato alla carriera direttiva.
Perciò ancora una volta no. Semmai mi rimetto a studiare, ho pensato. Ma non mi accontento. Accontentarsi significa mollare. E chi molla ha perso.
– Ok, allora ci risentiremo se usciranno posizioni diverse, ma… mi sa di no – ha detto l’interinale.
– E chissenefrega – le ho risposto.
Credetemi, non era per sminuire o disprezzare il lavoro, ma per non sminuire o disprezzare me stesso.