Intanto fatemi dire che – non so fino a quando –

Intanto fatemi dire che – non so fino a quando – il mio editore ha deciso di ridurre le spese di spedizione a un euro, anche per il contrassegno. Mi sembra un buon motivo questo per chi, titubante, non ha ancora letto Non farmi male, di accaparrarselo. Ma ci pensate? Con solo un euro in più sul prezzo di copertina arriva un omino che vi suona alla porta e ve lo consegna. Ah, se potessi averne uno che va a lavorare per me, per solo un euro. Basta cliccare sull’immagine di copertina che vedete nel blog e ordinarlo in poche facili mosse e in pochi facili (?) giorni, diciamo 4 lavorativi, vi arriva a casa. Esiste pure una pagina su aNobii che riguarda il mio libro ed è qua. Ho visto che qualche caritatevole lettore mi ha aggiunto alla sua libreria virtuale e lo ringrazio. Voi che l’avete letto o che vi proponete di leggerlo o di tirarlo contro il vostro peggior nemico, aggiungetelo alle vostre. (E ditelo pure alla vicina di casa che c’è questo giovane e talentuoso scrittore emergente che non puoi non leggere (o tirare contro ecc.) No senti, davvero, non puoi non!) È il famoso, magico passaparola che non costa nulla. Invece eccome se costano i latrocini che la Wind perpetra ai miei danni nelle ore più insospettabili della notte. Primo sms ore 23.45: Le abbiamo scalato 5 euro dal suo credito per il rinnovo del Noi Wind. Ho il Noi Wind, ‘sto periodo non lo sto usando tanto, comunque lo tengo, mi conviene, ne sono consapevole, sospiro e richiudo lo sportellino. Secondo sms ore 01.33: La informiamo che abbiamo scalato dal suo credito 4 euro per la proroga di ulteriori 6 mesi dell’opzione Pieno Wind. Quindi ora sto a posto per altri 6 mesi che quando mi chiamano mi ricaricano, e pure questa mi conviene perché sono maestro nel trattenere la gente al cellulare che non sa che ogni minuto sono 5 centesimi che finiscono nelle mie tasche, anzi nella mia sim che non è nella mia tasca, ma cementificata nel telefono, che se la stacco muore. Terzo sms, ore 02.48: Il 22 dicembre sarà addebitato il costo semestrale di 4 euro per fruire di Pieno Wind e del bonus accumulato. Scusate, non sono quelli che mi avete appena scalato, comunicandomelo nell’ultimo sms? Insomma senza colpo ferire sono passato da 25 euro a 14 euro che a quanto pare diventeranno presto 10, visto che il 22 è domani, e non so neanch’io perché. Mentre vi date da fare per benino col vostro passaparola io a Passaparola oggi ci vado a pranzo. Tornano Luca e Niccolò da Firenze e fanno sosta a L’Aquila. Pranziamo insieme e torniamo, dopo così tanti mesi, nella nostra pizzeria madre, che ci aprirà il cuore in un abbraccio commosso nel rivederci. Il pesce pulitore prenderà a sbaciucchiare il vetro dell’acquario in piena crisi isterica per la felicità e la cameriera che si lamenta e piange perché quando la incrociamo in centro facciamo fnta di non conoscerla, esploderà in una valanga di saluti spasmodici e sorrisi epilettici.
Vi abbraccio e vi bacio (delicatamente) augurandovi buona domenica e mi raccomando: ullallà ullallà ullalla-llà passaparola, io sono qua!
Aggiornamento lampo: Passaparola era chiuso ed è stato un immenso dolore scoprirlo, allora abbiamo ripiegato sul menù pizza di Leclerc (con tanto di 11 salse tra maionese e ketchup per le patatine) + caffè macchiato + crostatina al cioccolato (io). Come al solito il tempo è stato troppo poco, ma ci vediamo presto. 

Chi dice che non si può prevedere il futuro

Chi dice che non si può prevedere il futuro dice menzogne (menzognero!), o non si guarda abbastanza allo specchio. Certo che si può prevedere, almeno qualche volta, soprattutto se riguarda aspetti che conosci a memoria perché è con quelli addosso che sei nato, come la sfiga e la buona sorte. Uno lo sa se è sfigato o fortunato. Io al gioco (e non solo) sono sfigato e lo so che lo dicono tutti: “Io non ho mai vinto niente!” e invece qualche volta hanno vinto. Nel mio caso è davvero così, ma non è che la cosa mi preoccupi, è solo una constatazione. Poi, se si parla della tombola, vade retro bestialità inscatolata e sacchetto di numeri malefici! Quando qualcuno pronuncia entusiasta la parola tombola, si accende un incontrollabile meccanismo che mi parte dal fegato (da dentro l’organo proprio, come una fitta di dolore o una cisti infetta) e mi costringe ad alzarmi di scatto dalla sedia e gridare al cielo: “No, vi prego, la tombola no!”
Ieri sera, alla grandiosa tombolata natalizia coi colleghi del Mc Donald’s, la piccola Wendy (citazione di una canzone che in un passato che preferiamo dimenticare, una certa persona le scrisse per dimostrarle i propri sentimenti, cospargendo il testo di errori da secondo quadrimentre della prima elementare) mi ha aiutato a evitare lo show, tenendomi ancorato alla sedia a suon di costolette d’agnello ipnotiche e salsicce riscaldate. Erano 3 tombole. La prima coi giocattoli, giusto per riscaldare l’ambiente, e la ragazza seduta accanto a me ha vinto 2 walkie talkie rosa di una bambola che sembrava Barbie, ma non era. La seconda con tante buone schifezze natalizie impacchettate in cesti trasparenti coi nastrini, e la ragazza seduta accanto a me ha vinto un cesto di vini. La terza era la vera tombola, quella ricca, quella che solo il nostro amato (?) direttore poteva pensare per noi e Wendy con fare indifferente, colta l’aria fortunosa che aleggiava su quel posto a sedere, ha distratto la ragazza che sedeva accanto a me, che non era poi più seduta accanto a me e, in verità, non so che fine le abbia fatto fare, ma non ha vinto più niente, e neanche Wendy. Comunque vi elenco i premi. Ambo: un iPod Apple da 8 giga che ha vinto la ormai nella Stanza celebre Anita che stupita ha detto: “Ambo, oddio. Aiuto. Ma può essere?” Terno: una macchinetta digitale di un certo livello che non ho vinto io. Quaterna: un lettore dvd, impianto home theatre che, a dire della vicedirettrice, farebbe pure il caffè (e sicuramente sarà meglio di quello del Mc che un mio amico ha definito: idraulico liquido gusto cemento) che non ho vinto io. Cinquina: una lampada che non ho capito che poteri ha. Se l’avessi vinta l’avrei istallata nell’acquario, e avrei trasformato Italia e Nerozza nelle nuove Tartarughe Ninja del 200(quasi)9. Ma, come avrete capito dalla proposizione ipotetica passata che, in quanto al passato appunto, è morta là, non sono stato io ad aver fatto cinquina. Attenzione amici perché è arrivato il momento clou. Un silenzio che Saviano potrebbe scriverci il seguito di Gomorra, interrotto solo dai numeri che si susseguivano alternati ai mannaggialamiseria! che non era proprio quella la parola, però ci siamo capiti. La super tombola era un televisore grandioso, con lo schermo ultrapiatto, nero lucido che avrebbe donato alla mia stanza (quella dove dormo, non questa) un non so che di Richard Gere e Julia Roberts e pure di Milanello e riserva estiva e invernale. Tutte sensazioni che la mia camera ha dovuto abbandonare quando la Cicchy ha gridato: “Tombola!” sotto gli sguardi lanciafiamme di 60 persone scontente e con la mia cartella in stato di coma irreversibile accertato. Tanto che a un certo punto ho controllato che i miei numeri mancanti non partissero dal 91 o che non fossero negativi, non si sa mai. Ma andatevi a rileggere cos’ho scritto al 18esimo rigo del precedente post. E così è stato. Ho fatto tombola dopo la tombola e cioè tombolino. Ho vinto una cena per 2 nel ristorante che ci stava maledicendo da un’ora e mezza perché erano le 2 passate e doveva chiudere e noi continuavamo ubriachi a chiedere vino. Ho vinto insieme a un altro ragazzo. Ci siamo guardati, e io per sicurezza ho agguantato il coltello. “Non penserai mica di fregarmi il buono!” Lui ha preso il vassoio unto d’olio che aveva davanti. “Se non me lo lasci, quel bel maglioncino verde che indossi (con una certa grazia che mi contraddistingue) lo trasformo in una palude unta di lardo di vitello liquefatto!” Al sentire cotali amichevoli esternazioni tra noi, il direttore, visto che sembrava sconveniente costringerci a dividere questa cena e a consumarla insieme, ha optato per farci dare un buono a testa. Evviva. Chi viene a cena con me? (Io già lo so, perché posso prevedere certi futuri, accadimenti, appunto. E ne sono felice.)

Quel maledetto abete s’è spostato

Quel maledetto abete s’è spostato. Dico quello contro cui dovevo abbattermi con la macchina a velocità sostenuta coi polaretti attaccati ai capelli e le occhiaie blu e il piede intrappolato nel ghiaccio. Tu dimmi se uno parte sparato con la macchina contro un abete e l’abete all’ultimo istante ZAC – passettino a destra (o a sinistra se no Veltroni ricomincia a parlare di insostenibile tendenza dei media verso l’indice berlusconiano) – e io (perché si sta parlando di me non di uno a caso. Me, me e solo me) vado a finire dentro la stalla del bue e dell’asinello e pure dei maiali cacatori, che non sono stati molto felici della mia inaspettata visita, dimostrando il fastidio che provavano attraverso un movimento frenetico di rotazione della loro codina bitorzoluta come un trottolino amoroso dudù-dadadà e azionandosi nella loro miglior peculiarità: l’arte del cacare sincronizzato. Stasera ci sarà la cena di natale coi colleghi con annessa tombolata, e se i premi sono quelli dell’anno scorso (macchinette digitali, televisori, lettori dvd…) una piccola illusione nella buona sorte ce l’ho, nonostante in 27 (ebbene sì) anni di buone speranze solo una volta, che non so ben ricollocare nel mare magnum degli stracci dei natali passati, mi è stato concesso un ambo da 200 lire, mi pare. In compenso faccio sempre tombola col numero successivo a quello che fa fare la tombola vera, e non so quanto questo possa essere consolante. La prima parte della cena, che poi è quella dove si mangia, mi tocca saltarla perché il Mc Donald’s non chiude mai e io lavoro fino alle 23 e 30. Spero che la mia fidata Wendy mi metta da parte qualcosina perché arriverò là con una fame immonda e, se non saranno vivande, saranno persone a nutrirmi, sappiatelo. Per pranzo ho ingollato una pentola di liquame con dei pezzi sul marroncino galleggianti e pure vivi, visto che mi è parso scorgerli agitarsi sul gas, preparata amorevolmente dalle manine di fata di mia madre, con la compagnia di Uomini e Donne. Io mi chiedo soltanto una cosa: ma Gianni Spertica, nonché il più grande ballerino del mondo, chi lo veste? Oggi portava un maglioncino viola sopra la camicetta bianca che poi ha copiato a Maria che sembrava dovesse affrontare la traversata delle Ande piuttosto che registrare la consueta oretta di gallinaio prepomeridiano. Addirittura la tuta di pile (pronuncia: pail) dello stesso viola di Gianni e i moon boot da neve sempre viola. Io le mode non le seguo; per caso va il viola? Il livello di sopportazione ha raggiunto il culmine quando hanno ricominciato a parlare di troni, imperi, Re, tronisti, corteggiatori, regni e, visto che io sono per la democrazia popolare, ho portato di soppiatto una crostatina al cioccolato che sembra del Mulino Bianco, ma non è (serve a darmi l’allegria), in camera. Se mia madre scoprisse che sbriciolo in una stanza diversa dall’unica adibita, e cioè la piccola cucina gialla, per penitenza mi obbligherebbe a saltare dal terzo piano su un tappeto di ricci di mare. Ma io lo sgradito gusto in bocca di quella che lei chiama minestra lo devo pur cancellare in qualche modo. Ne sono cadute talmente tante, di briciole, che temo che qualunque mossa per nascondere l’ardito gesto sarà vana cosa. Mia sorella, quando qualcuno facente parte di questa famiglia (persone che vivono sotto lo stesso tetto nel disperato tentativo di non incontrarsi mai), le chiede quando farà il presepe, perché l’8 dicembre ha detto che lo farà lei prima o poi, risponde sempre: “Domani”. Fino a ieri sera alle 19.00, quando l’ho accompagnata alla fermata del bus, sapevo stesse andando in centro. Sì, al centro di Avezzano, mi ha detto la donna delle pulizie Flo. Ma perché io devo essere sempre l’ultimo a sapere le cose. Non dico il primo, ma almeno prima della donna delle pulizie, acciderbominchia! Non è neanche tornata a dormire e, se non fosse una pratica abituale da parte sua, mi preoccuperei anche. Chiudo con la solita essenziale parentesi (quadra) metereologica non richiesta e naturalmente estemporanea.
[Il cielo oggi è di un colore strano: azzurro]
Comunque dobbiamo aver fatto qualcosa di veramente grave per esserci meritati tutta l’acqua che è scesa fino a oggi, e ho come la sensazione che non sia finita qui. Chi è lo stronzo con cui posso prendermela? Abbia le palle di confessare, forza!

Oggi mi sento fiducioso, pieno di belle speranze

Oggi mi sento, fiducioso, pieno di belle speranze e saltellante perché il mio futuro sarà roseo come una rosa e giallo come il giallo (il pastello o il pennarello, pure la tempera, se preferite) e azzurro come le piastrelle del mio cesso che hanno pure dei decori più chiari e la plafoniera in coordinato, acquistata nello stesso negozio dove mio padre ha preso quella verde per la mia camera a seguito disastrosa esplosione dei faretti, ecco perché io dico che è da cesso e non da camera. Evviva il buonumore, e allora fatemelo scrivere prima che venga spazzato via dal fiume d’acqua che attraversa L’Aquila (se a qualcuno avanza un’Arca (di Noè, che le imitazioni non mi piacciono, poi vengon fuori le falle e affondo, e allora meglio pagare di più che morire affogato) può farmela recapitare nella Stanza smontata e inscatolata, corredata da libretto delle istruzioni che preveda l’Italiano tra le lingue, che ci penso io a rimontarla o al massimo ingaggio il commesso di Brico che, per una ciotola di sbobba gusto pollo, ti rasa pure l’erba del giardino e ti stura il pozzetto degli scarichi lenti). Il perché di tanta positività mica lo so. Forse è solo la speranza prima di un viaggio. O il raggiungimento del livello massimo di spappolamento di maroni da pesudodepressione e sensazioni affini e allora TAC, sono felice, di che? Sarà una reazione fine a se stessa, sarà per via di qualche pasticca che ho assunto (non pensate a male, erano solo smarties rubate) o perché s’è sgonfiato il dito medio dopo aver costretto il pus a uscire (su un Big, tra l’altro) che poi ho servito appetitosissimo. Sarà che quest’anno sta finendo e che non è stato proprio memorabile, anzi. E quindi evviva evviva. Certo è che con l’inizio dell’anno nuovo non è che cambierà chissà che, almeno nell’immediato, a parte l’aria. È l’aria che muove le azioni e gli stati d’animo e accende la volontà e fa raggiungere i traguardi. Sembra strano che l’aria da sola possa fare tutto questo, ma è così, come una miccia che qualcuno innesca e che in assenza di fuoco e ossigeno mai potrebbe far esplodere la bomba, pure se quell’esplosione è quanto più inseguiamo e pure se la bomba è pronta da mesi. Questo sistematico cambiare è solo benvoluto. Continue scosse di terremoto e continue eruzioni vulcaniche e maremoti a spegnere la lava e grandinate che mi feriscono come pietre che volano in faccia per effetto di un elicottero che decolla e crea vento con le pale. Io, meravigliato guardo l’elicottero e le pale, e le pietre non le sento perché voglio vederlo volare. Non è quasi mai un gran periodo il Natale e dicembre più in generale. Quest’anno proprio non m’interessa di bambini che nascono nelle grotte, né di doni, né di stelle comete e speranze e animo buono. Trovo carine tutte quelle luci per strada, anche utili. Ci si vede meglio e alla fin fine, se ci pensate, le paghiamo noi senza averle espressamente richieste. Penso a me, il Re degli egoisti. Penso che stasera prenderò la macchina e aprirò i finestrini e farò entrare l’aria gelida finché, intorpidito dal freddo, non riuscirò più a girare il volante e il piede resterà sull’acceleratore pressato da un blocco di ghiaccio e sorriderò come Jack (oh, Jack!) con la brina sulle labbra e sui capelli e il blu sotto agli occhi prima di lasciare la presa della tavola dove Rose staziona leggiadra (durante le riprese di Titanic, Kate Winslet ha toccato i 103 quintali) e affondare; e andrò a sbattere contro un abete. Detto così sembra brutto, ma vi giuro che sono positivo come un protone. Che sia un buon anno per tutti, pure se ancora non viene Natale. Se non ne parlerò più, che questi valgano da auguri.
(Parlerò d’altro, non è che non parlerò proprio più.)

Intanto vorrei ringraziare la Panda nuova bordeaux

Intanto vorrei ringraziare la Panda nuova bordeaux che ieri sera, in pieno diluvio universale, mi è quasi venuta addosso privando il mio debole cuore di almeno 8 anni di vita, soltanto perché ero come al solito in ritardo, coi vetri appannati e stavo superando a destra, pratica per me ormai usuale su quella strada perché evito così una quarantina di automobili dormienti, che poi uno dice: se sono tutte incolonnate e la corsia di destra è liberissima, pare sputare sulla buona sorte non utilizzarla, seppur vietata. Insomma, questa Panda rossa ha avuto la mia stessa idea proprio nell’istante in cui le stavo passando accanto. Sono svenuto sul clacson che ha destato la signora dal torpore secolare di cui la demenza l’ha dotata fin dalla nascita. Ha cominciato a imprecare e ha aperto il finestrino. Quando si sentono ispirati aprono il finestrino e generano momenti di dialoghi che rimangono storici, come le scene di un film da Oscar.
“Ma dove cazzo vai?” dice lei. “Ma dove va lei!” dico io (omettendo la parolina con le 2 zeta). “Io ho messo la freccia” dice lei. Come se la freccia fosse una sorta di raggio immobilizzatutto che la faccia padrona della strada, e gli altri si sveglieranno e riprenderanno a muoversi solo quando lei avrà parcheggiato in garage. “Cosa c’entra? Io ero già su questa carreggiata che stavo superando tutti, quindi lei, prima di buttarmisi addosso, avrebbe dovuto guardare se la strada era libera” dico io. Un’automobile da dietro suona. “Complimenti per la guida! Lo sa che quello che stava facendo è vietato e, se le fossi venuta a sbattere, mi ripagava per nuova?” dice lei (un po’ idiota, penso io. E poi la consecutio temporum un attimo da rivedere). “Non credo, visto che è anche quello che stava tentando di fare anche lei” dico io. L’automobile risuona. “Ma che cazzo vuole questo” dice lei. “Va be’, signora, ci vediamo” dico io, che sono sempre più in ritardo. “Sì, ci vediamo a fanculo” dice lei (ma dove ha vissuto costei fino ad oggi, nelle fogne metropolitane insieme a quei grossi topi con la coda lunga e dura, e neri e cattivi che come si chiamano lo sanno tutti, penso io). “No, grazie signora. Non ci tengo a vedere casa sua” dico io e me ne vado.
A proposito di quei topi, l’altra sera Iker finto Labrador mi osservava con occhi sospetti mentre rientravo con la macchina nel piazzale e, stranamente, si teneva a una certa distanza da me, al buio. Quando ho ultimato le pratiche: controllare che il cancello elettrico si fosse chiuso perché un paio di volte è rimasto aperto e Iker è uscito e poi non è riuscito a rientrare ed è rimasto tutta la notte fuori. Mettere il telo sulla macchina per non farla gelare, o quel che resta del telo visto che finto Labrador ogni notte ne strappa un pezzo e adesso sembra il vestito di quelle donne fantasma che appaiono luminescenti nell’oscurità e ondeggiano fissandoti con gli occhi da ebete. Controllare che anche il garage fosse chiuso perché una mattina, dentro, ho ritrovato una volpe furiosa per essere rimasta intrappolata e non è stato un incontro simpatico. Mi avvicino a Iker per dargli una carezza, ma lui si sposta evitandomi e gira la testa. “Iker, cos’hai in bocca?” Sarà sicuramente l’osso, penso anche se lui non scappa come quando vuole giocare e farsi rincorrere. Lo acchiappo. “Fammi vedere che hai in bocca!” E come al solito gli apro la bocca con le mani e vedo spuntare una coda lunga penzoloni. Allontano di getto le mani in un istante di paralisi totale, mentre lui continua a fissarmi con gli occhi di quando pensa di aver fatto qualcosa che non doveva fare, tipo quando acchiappa i fazzoletti di carta per strada, mentre lo porto a spasso, al solo scopo di fare un dispetto. Io gli sorrido con una goccina di sudore che scende dalla fronte e comincio a retrocedere come un gambero verso il cancelletto. “Buonanotte Iker!”
Che ve lo dico a fare che la mattina dopo ho ritrovato la migliore amica della signora con la Panda bordeaux, stesa davanti al garage senza vita. Sì, quella con la coda lunga e il nome che inizia per zoc.

Stop al televoto! (Il Grande Rene alla riscossa)

Ne avevo di cose da dire su quello che sta accadendo nella classifica dei CD, ma sono riuscito a trattenermi fino a oggi che è uscita pure quella dei libri e allora via a una nuovissima puntata di Stop al televoto!
Spariamoci un po’ di libri (spariamoci proprio, che è meglio). Sorvoliamo sulle prime 3 posizioni occupate dalla ormai arcinota sag(r)a di Twilight (quella erre tra parentesi è di Erotte) e procediamo noncuranti. Al quarto posto c’è Il gioco dell’angelo di Zafòn che se lo vedi pensi che sarebbe ideale per costruirci le fondamenta di una villetta in campagna, assieme ad altri 150 libri di quella mole tipo Anna Karénina, che mi è stato regalato dal ragazzo proprietario della libreria in occasione della mia prima presentazione e che, non si sa perché, sarà per la mia condizione psicofisica instabile, in questi giorni ho trovato il coraggio di affrontare. Appena l’avrò finito (poco meno di 2 anni, suppongo) vi dico qualcosa. Il gioco dell’angelo ve lo consiglio, anche se in quel caso, vista l’impaginazione e la dimensione del font, le 600 e passa pagine sono più volute che reali, se no come facevano a farlo pagare 22 euro? Al sesto posto è tornata la Rowling con la sua nuova creazione che non si chiama Harry Potter e quando finisce ‘st’agonia (col doppio apostrofo)? ma Le fiabe di Beda il Bardo, una raccolta di storie scritte per giovani maghi e streghe. Il libro non so com’è perché di costei non ho mai letto una parola, ma sempre costei se ne fregherà altamente visto che ha venduto più di 400 milioni di copie ed è entrata nel Guinnes dei primati come fenomeno editoriale di tutti i tempi. Sono tornate anche la Littizzetto alla posizione 18 con La Jolanda furiosa e Licia Troisi con Il destino di Adhara al 22esimo posto e in entrambi i casi niente da dire per mia manifesta estraneità. Un grande applauso a Bruno Vespa che dopo una pubblicità martellante che veramente non se ne può più, ci manca soltanto che il suo romanzo mi tamponi per strada e mi chieda pure i danni, è riuscito a entrare in classifica al 25esimo posto con Viaggio in un’Italia diversa. Facciamo un salto nella narrativa italiana e ancora primo da immemore tempo è La solitudine dei numeri primi e Paolo Giordano saluta e bacia tutti da un arcipelago lontano e incontaminato coi pesci pagliaccio e le stelle marine sorridenti perché, grazie a Mondadori che gliel’ha scritto, ora può vivere di rendita fino alla morte. Secondo, Venuto al mondo della Mazza(ntini), no perché se no qualcuno poteva pensare che Valeria Mazza s’era messa a scrivere libri e, considerando la classifica, glielo consiglierei caldamente. Al 10mo posto Un cappello pieno di ciliege (senza i, mi raccomando, perché la Oriana pure dall’Aldilà può permettersi di reinventare le regole della grammatica italiana). Soltanto 23esimo Enrico Brizzi che ci riprova ancora una volta, ma niente da fare. Il successo di Jack Frusciante è uscito dal gruppo non torna, ma lui di libri ne scrive tanti ed è questo che conta. Chiuderei con una constatazione idilliaca. La celebre agenda Moleskine 2009, dati alla mano, sta vendendo più del nuovo libro di Federico Moccia e tutto questo è meraviglioso. Passiamo ai CD. Anche qua c’è una coppia di testa che pare imbattibile, Laurozza Pavesini e Giuseppa Gaetana Ferraglia. Io ho scaricato entrambe e queste sono le mie sensazioni. L’ascolto di Primavera in anticipo mi ha fatto lo stesso effetto di un virus e così ho fatto quello che Avast mi consiglia sempre e cioè rimuovere il file, visto che neanche la quarantena lo voleva. Gaetana non è male e oltre a Novembre che la caattà sa spansa an an astanta (perché lei conosce solo le a) contiene altri 3 o 4 buoni singoli, quindi non ci libereremo della Ferreri per i prossimi lunghi mesi, poi, se va a Sanremo come si dice in giro, allora siamo a posto. Se solo imparasse a rispondere alle domande, l’arte della favella insomma, mannaggia. Attenzione che al terzo posto arriva di gran carriera il Grande Rene con le sue canzoncine natalizie che sale di 7 posizioni superando Tiziano Ferro che rimane quarto perché i Guns nel frattempo precipitano un attimo alla 9. Non ho scaricato l’album di Irene perché io quelle canzoni le conosco da quando alle suore ci obbligavano a cantarle tutte nel corso della infinita notte della Novena, attesa con ansia e panico da tutti i genitori dei bimbi atterriti alla sola idea, perché sai quando entri nella sala della conferenze e non sai se e quando esci. Ricordo che alcuni si portavano la colazione per il giorno dopo, in sacchetti cuki gelo salvagusto. Sono veramente contento per il successo di Anna Tatangelo che dopo la defaillance del debutto del suo nuovo album Nel mondo delle donne in 22esima posizione, questa settimana riesce a recuperare raggiungendo ben il 23esimo posto. Toccata e fuga nei download perché c’è uno che ha superato Novembre conquistandosi la prima posizione che si chiama Luca Butera e la canzone è Wow! che sarà la prima parola uscitagli di bocca dopo aver controllato le classifiche. E sempre per la serie: ma chi è? alla posizione numero 3 troviamo Chiaraluna con la canzone Nel mio paese, che a quanto pare non ha neanche un’etichetta discografica visto che a quella voce corrisponde un vuoto. Chiudo rispondendo a Wendy e a chi come lei mi bombarda di e-mail attanagliato dalla domanda: Gigggi neanche 3 settimane fa era primo, e mo’ addò sta? Ve lo dico io addò sta. Lui che ama la sua Anna non riesce a separarsi da lei neanche un istante e così ha deciso di scendere negli abissi a farle compagnia al 28esimo posto.
Mi sono dilungato pure troppo allora faccio economia nei saluti. Stop al televoto! finisce qua, quindi ciao.

Le tartarughe d’acqua hanno ripreso a mangiare

Le tartarughe d’acqua hanno ripreso a mangiare. Da qualche giorno si lasciavano andare ad espressioni di ribrezzo (e non gli riesce difficile considerata già la predisposizione tendente allo schifato che caratterizza i loro occhi piccoli e la bocca all’ingiù) alla vista dei soliti gamberetti sulla superficie dell’acqua da cui subito si preoccupavano di stabilire una distanza di sicurezza. Poi, che Derrick è schiattato ve l’ho detto ieri e a momenti non lo seguiva pure mia madre che alla notizia divulgata col mio arcinoto tatto: “Ma’ è crepato Derrick!” è svenuta sulla poltrona. L’ho capito che era svenuta perché non russava. E poi non è che possa considerare l’eventualità che una persona mentre parli con lei d’improvviso si addormenti e cada sulla poltrona che per caso stazionava sotto il suo culo. Quindi era svenimento quello. Ringrazio Dio, in un periodo in cui va di moda maledirlo e accusarlo di tutte le proprie sventure (pure i politici lo fanno (maledirlo, dico) e le veline e Mara Venier per la storia della pubblicità occulta. Cioè, lei non può indossare i gioielli che lei stessa ha disegnato? (Sulle dubbie qualità artistiche della Venier potremmo aprire un blog a parte, ma questo è un altro punto.) È come se io non potessi leggere il mio libro, oppure come se Britney Spears al suo concerto non potesse cantare le sue canzoni. Non l’ho tanto capita questa regola). Comunque io Dio lo ringrazio per 3 motivi: primo perché tra un po’ ci pagheranno per mettere la benzina. Quando oggi ho visto che la verde costava un euro e 5 centesimi al litro ho avuto un accenno di erezione e ho scacciato il non troppo lontano ricordo di quando il petrolio costava 150 dollari al barile, e la radiosveglia su impostazione casuale mi svegliava sempre con questa notizia, e io lasciavo la macchina vicino al luogo dove dovevo arrivare e il resto lo facevo a piedi, e m’infuriavo quando mio padre la cacciava e rimetteva nel piazzale oltre il cancello perché così sprecava solo benzina. C’è un vecchio rachitico e curvo che avanza verso la cassa. Lo riconosco. È il mio ex prof di Analisi1 e il fatto che ancora non abbia un suo giaciglio eterno al cimitero mi consola e mi illude che in fondo non sono passati così tanti anni. C’è mancato poco che gli puntassi addosso la pistola della pompa e gli sparassi 4 o 5 litri di carburante sulla sua faccia di merda, che è sempre la stessa di quando a lezione gli suonava il cellulare e lui già completamente rimbambito si metteva il microfono all’orecchio (il gelato, come direbbe Maria De Philips) e diceva: “Pronto”. Avrei concluso lo scherzetto favorendo l’avvicinarsi minaccioso dell’accendisigari luminescente della macchina, così da ammirare stupito e affascinato (col solito accenno d’erezione) lo stuzzicadenti curvo ardere urlante tra le fiamme di uno spettacolare falò umano. Solo che poi ho ritenuto di non sparare sulla Croce Rossa di una vita finita e ringrazio Dio per avermelo fatto ritenere. Ma lo ringrazio pure per un’altra cosa (erano 3, ve l’avevo detto). Per avermi fatto spettatore di una delle scene più divertenti di sempre: un tamponamento nella corsia drive del Mc Donald’s. Apro la finestrella e saluto più cordialmente del solito, perché in questi giorni dovrebbe passare Mistery Shopper. La signora si ferma e mentre chiede delucidazioni sulle confezioni dei polletti arriva uno da dietro di gran carriera e BUUUM! Riesco a trattenere con grandissima difficoltà il riso in gola mentre la guardo e lei mi guarda e io non so che dirle e nemmeno lei. E allora, come se niente fosse accaduto: “Mettici pure una confezione di nuggets da 6 pezzi” poi riflette e aggiunge: “Anzi facciamo 9, che 3 li tiro dietro a ‘sto stronzo che m’è venuto addosso”.
(“Ani’ sai cos’è Twilight?” “Certo che lo so cos’è Twilight!” “E che cos’è?” “Eh, che sarà, una specie di connessione senza fili, no?” Anita, grazie di esistere!)

La moltiplicazione dei pani e dei pesci e dei Take That

Non mi sono suicidato e non ho intenzione di farlo, almeno non prima di aver portato a termine quei 2 o 3 progettini ai quali sto dedicando la mia esistenza. Uno è diventare milionario senza vincere Chi vuol esser milionario che io in persona uscirei alla terza domanda quando mi chiedono che mare bagna la Liguria o quanti anni aveva Gesù Cristo quando è schiattato o chi si trombava Cleopatra prima che l’aspide la crepasse, e anche fosse, poi i soldi te li danno in gettoni d’oro 2 anni dopo e io li voglio subito, in contanti, e ne voglio di più (con un milione che ci faccio?). Gli altri progetti (sempre se escludiamo la conquista delle Americhe) ancora non li so. Lancio un messaggio a chi dopo gli ultimi post s’è lasciato prendere dall’ansia della mia possibile dipartita. Sono vivo e sono ancora io che scrivo. Pensate che l’avida produzione che sta dietro La stanza del Matto mi avrebbe sostituito con uno squilibrato depresso visionario che, da quello che scrive, sembra passare le giornate sull’orlo di un crepaccio ciondolando continuamente tra i 2 estremi di un enigmatico: mi butto o non mi butto? e intanto conta le onde e i pesci saltellanti per passare il tempo? Ma no! Avrebbe senz’altro scelto una penna frizzante e divertente per ben emulare l’allegria che siete abituati a respirare nella Stanza grazie a moi (pronuncia: muà). Sono ancora io e sto bene. Comunque chiariamo una cosa. La stanza del Matto non è mai stato un blog a tema, né un blog che avesse una sorta di politica editoriale diversa dal: è il mio, ci scrivo quello che mi pare, se non vi piace di blog è (fin troppo) pieno il www, quindi libertà a tutti, siempre. Né il blog di un personaggio da mantenere sempre e comunque (e l’espressione sempre e comunque non mi garba) o cose così. Poi, che mi diverta a scrivere boiate e a sparlare del mondo (e di Anna Tatangelo) è risaputo. L’ironia mi piace e mi mette di buonumore, ma questo non vuol dire che un giorno il buonumore possa non interessarmi e che anche il giorno dopo sia così e che per i 3 mesi successivi pure. Quindi niente panico per un po’ di saggia e riflessiva depressione da fine anno e altre cose tutte insieme. Per il resto, il mio dito medio si è infiammato attorno all’unghia perché pare che abbia un po’ esagerato con la mia irrefrenabile smania di mordicchiare e staccare pellicine, e s’è trasformato in una piccola sacca gonfia di spu (l’ho anagrammato per chi inorridisce alla parola pus). Una m’ha detto che risolvo in un attimo cospargendolo di grasso di maiale, risorsa di cui al momento non dispongo e che sinceramente non ho la più pallida idea di come reperire. Un altro, di inzupparlo in acqua e sale, e questo mi sembra più semplice. Intanto drizzo orgoglioso la mia sacca in faccia a chiunque mi stia sul cazzo senza più preoccuparmi del gesto dagli intrinsechi retro-significati, che però il mio sorrisetto palesa, e che non sono altro che un cordiale invito a trasferirsi in paesi più in linea con la cerebro-demenza manifesta della persona a cui lo mostro.
Ah, ma quanti sono i Take That? Io mi ricordavo che erano 4 visto che Robbie Williams ha detto ciao ciao, e invece pare che siano 8. No perché ieri la De Filippi: “C’è Gary, c’è Barlow, c’è Mark, c’è Owen, c’è Howard, c’è Donald, c’è Jason e c’è Orange”. L’avrà moltiplicati, come i pani e i pesci. Io l’ho sempre detto che Maria De Filippi è la Madonna incarnata (il nome che porta e gli ascolti che fa sono elementi che dovevano indurre molti almeno a sospettarlo). Chissà che avrà pensato quando, dopo averne annunciati 8, ne ha visti entrare 4.
Aggiornamento lampissimo: ho appena letto che è morto l’ispettore Derrick. Oddio, e ora chi glielo dice a mia madre?

Rimarrò sempre me

Dover giustificare ogni passo, spostamento, rapporto, telefonta, non telefonata, risata, silenzio, non risposta, i pensieri no, nessuno può vederli e nessuno può inventarli e raccontarli. Non sarebbe credibile e meno male, altrimenti son certo che sarebbero capaci di storpiare pure quelli. Non è che non voglia raccontare di me, di tutte le persone che ho conosciuto e che per me hanno o no rappresentato qualcosa, e cosa. Lo faccio, ho un passato come tutti. Ma l’interrogatorio continuo è sfiancante, la luce della lampada puntata in faccia non solo acceca, ma scoccia pure, perché io di te ho sempre detto il meglio, ho sempre raccontato la felicità dell’aver incrociato per caso la tua strada, e la felicità che tu abbia voluto fare delle nostre 2 strade una comune, da camminare insieme. Come è possibile che proprio io e proprio ora, che la mia vita è affiancabile per somiglianza a quella di un bullone, che non fa altro che essere svitato e avvitato, tutti i giorni. Mi accusi, coi toni, i modi di fare che provocano e che io faccio finta di non sentire. Mi chiami col nome di chi ti ha rovinato la vita e non fai che ripetermi che sono uguale. Non rispondo, ma mi disturba, pure se non lo dico, perché mai come ora è ridicolo pensar male di me. Ho così tanti voli nella testa che non riesco a trovare le energie per controbattere, per infuriarmi perché non riesci a dire semplicemente: mi fido di te. Io mi fido e tu non ti fideresti neanche se fosse Dio a dirtelo che stavolta è diverso.
Non posso chiedere a un foglio di carta di resistere a 4 mani che tirano da una parte e altre 4 dall’altra. Non si può semplicemente continuare a colorare quel foglio così intenso senza ogni volta doverne testare la resistenza? Vivere il momento e prendersi tutto quello che viene, senza dover analizzare ogni particella di presente e ricollegarla a significati inventati, perché lo so io com’è la mia vita, e come sono le persone di cui mi circondo, e chi sono. E se dopo che ho parlato e spiegato arrivano nuove insinuazioni allora smetto di parlare. È questione di credere o no a me. Punto.

Tutto il bene che l’anima stanca ha sprecato

Quando il colore dell’aria e della voce e delle parole si sposta sul quel bianco grigio che nulla ferisce, la testa decide di seguirlo staccandosi dal centro dell’argomento e dai suoni della stanza e dei circuiti, e comincia a viaggiare. E vede tutt’altro che le costruzioni che il mondo fabbrica passaggio dopo passaggio. Vede verde ovunque. Vede la fine delle fatiche anche se non ha ancora messo le mani nella terra fangosa del principio. Vede al di là della fioca luce della foschia, quella sorda sostanza che attutisce le sensazioni. La testa va al di là. Perché è l’aria di vita a non smettere di stuzzicarla, perché le vuole bene. Non credo che un’anima stanca disdegnerebbe un morbido letto. Un’anima stanca e fortunata possiede scintille che la feriscono continuamente. Fortunata, ho detto. Che la fanno scattare e svegliare. Apre gli occhi. Perché è fortunata appunto, non per meriti suoi, ma di chi ha deciso di incendiarla. Sfiora la piccola ustione che brucia e ricorda che deve fare cose, deve uscire, mangiare, perché si era dimenticata di mangiare quella sera, per dirne una. Di riposare non è mai stanca, l’anima. Le bruciature sono continue ed è vero che lasciano i segni, ma quale meravigliosa esperienza non lascia il segno? Il passato non è modificabile, né cancellabile, né si può operare qualcosa che assomigli a una scelta sul già vissuto per dedicare stavolta mezz’ora in più a chi, o 4 mesi in meno a chi altro ormai neanche più perde il tempo di un saluto, la riconoscenza di un saluto, per tutto il bene sprecato. Le capita di riflettere sul proprio passato; pensa che abbia avuto un cattivo passato, che negli anni e in quel tempo, col senno di poi, ci sia molto di inutile. Grovigli di rapporti con etichette splendenti costate oro e diamanti e anche un po’ di dignità. Alla lunga, ma neanche tanto (i tempi della vita sono altri), ciò che resta è qualche pezzetto di quelle etichette disfatte dalla pioggia, che non splendono più anzi, fanno rabbia, come fa rabbia il più grave fallimento. Investire e credere nei frutti. Spendere tempo ed energie perché sia sempre tutto a disposizione, e la riconoscenza è il silenzio. E il confronto è la cattiveria. Il confronto è addossare colpe, additare, accusare e poi dire che è stata uguale fatica, uguale dispendio di intenti, uguale desiderio di conservare, uguale impegno nel condividere, creare, impedire al filo di spezzarsi. Uguale in Matematica e in Italiano ha un solo significato (raro caso in cui due pianeti estremi si salutano da non troppo lontano). Ma uguale cosa?
L’anima stanca, però sorride. Mi fa pena quel sorriso, invece lei ride veramente, ha trovato anche stavolta il lato positivo delle cose. È vero che ha perso tante voci, ma quanto ha guadagnato semplicemente continuando a rimanere fedele a se stessa, nessuno lo sa. Fortuna che il rosso e il nero non l’hanno delusa mai. Fortuna. E tra un po’ riscuoterà perché il rosso e il nero continueranno a uscire per sempre senza tradire le sue giocate. Il rosso e il nero l’arricchiranno, finché non le verrà da vomitare per quanto denaro avrà accumulato in pratiche fiches colorate translucide, da spendere nel peggior modo possibile. L’importante è che gli altri lo vedano, lo sentano e lo contino con gli occhi, tutto.