Oggi mi sento fiducioso, pieno di belle speranze

Oggi mi sento, fiducioso, pieno di belle speranze e saltellante perché il mio futuro sarà roseo come una rosa e giallo come il giallo (il pastello o il pennarello, pure la tempera, se preferite) e azzurro come le piastrelle del mio cesso che hanno pure dei decori più chiari e la plafoniera in coordinato, acquistata nello stesso negozio dove mio padre ha preso quella verde per la mia camera a seguito disastrosa esplosione dei faretti, ecco perché io dico che è da cesso e non da camera. Evviva il buonumore, e allora fatemelo scrivere prima che venga spazzato via dal fiume d’acqua che attraversa L’Aquila (se a qualcuno avanza un’Arca (di Noè, che le imitazioni non mi piacciono, poi vengon fuori le falle e affondo, e allora meglio pagare di più che morire affogato) può farmela recapitare nella Stanza smontata e inscatolata, corredata da libretto delle istruzioni che preveda l’Italiano tra le lingue, che ci penso io a rimontarla o al massimo ingaggio il commesso di Brico che, per una ciotola di sbobba gusto pollo, ti rasa pure l’erba del giardino e ti stura il pozzetto degli scarichi lenti). Il perché di tanta positività mica lo so. Forse è solo la speranza prima di un viaggio. O il raggiungimento del livello massimo di spappolamento di maroni da pesudodepressione e sensazioni affini e allora TAC, sono felice, di che? Sarà una reazione fine a se stessa, sarà per via di qualche pasticca che ho assunto (non pensate a male, erano solo smarties rubate) o perché s’è sgonfiato il dito medio dopo aver costretto il pus a uscire (su un Big, tra l’altro) che poi ho servito appetitosissimo. Sarà che quest’anno sta finendo e che non è stato proprio memorabile, anzi. E quindi evviva evviva. Certo è che con l’inizio dell’anno nuovo non è che cambierà chissà che, almeno nell’immediato, a parte l’aria. È l’aria che muove le azioni e gli stati d’animo e accende la volontà e fa raggiungere i traguardi. Sembra strano che l’aria da sola possa fare tutto questo, ma è così, come una miccia che qualcuno innesca e che in assenza di fuoco e ossigeno mai potrebbe far esplodere la bomba, pure se quell’esplosione è quanto più inseguiamo e pure se la bomba è pronta da mesi. Questo sistematico cambiare è solo benvoluto. Continue scosse di terremoto e continue eruzioni vulcaniche e maremoti a spegnere la lava e grandinate che mi feriscono come pietre che volano in faccia per effetto di un elicottero che decolla e crea vento con le pale. Io, meravigliato guardo l’elicottero e le pale, e le pietre non le sento perché voglio vederlo volare. Non è quasi mai un gran periodo il Natale e dicembre più in generale. Quest’anno proprio non m’interessa di bambini che nascono nelle grotte, né di doni, né di stelle comete e speranze e animo buono. Trovo carine tutte quelle luci per strada, anche utili. Ci si vede meglio e alla fin fine, se ci pensate, le paghiamo noi senza averle espressamente richieste. Penso a me, il Re degli egoisti. Penso che stasera prenderò la macchina e aprirò i finestrini e farò entrare l’aria gelida finché, intorpidito dal freddo, non riuscirò più a girare il volante e il piede resterà sull’acceleratore pressato da un blocco di ghiaccio e sorriderò come Jack (oh, Jack!) con la brina sulle labbra e sui capelli e il blu sotto agli occhi prima di lasciare la presa della tavola dove Rose staziona leggiadra (durante le riprese di Titanic, Kate Winslet ha toccato i 103 quintali) e affondare; e andrò a sbattere contro un abete. Detto così sembra brutto, ma vi giuro che sono positivo come un protone. Che sia un buon anno per tutti, pure se ancora non viene Natale. Se non ne parlerò più, che questi valgano da auguri.
(Parlerò d’altro, non è che non parlerò proprio più.)

Intanto vorrei ringraziare la Panda nuova bordeaux

Intanto vorrei ringraziare la Panda nuova bordeaux che ieri sera, in pieno diluvio universale, mi è quasi venuta addosso privando il mio debole cuore di almeno 8 anni di vita, soltanto perché ero come al solito in ritardo, coi vetri appannati e stavo superando a destra, pratica per me ormai usuale su quella strada perché evito così una quarantina di automobili dormienti, che poi uno dice: se sono tutte incolonnate e la corsia di destra è liberissima, pare sputare sulla buona sorte non utilizzarla, seppur vietata. Insomma, questa Panda rossa ha avuto la mia stessa idea proprio nell’istante in cui le stavo passando accanto. Sono svenuto sul clacson che ha destato la signora dal torpore secolare di cui la demenza l’ha dotata fin dalla nascita. Ha cominciato a imprecare e ha aperto il finestrino. Quando si sentono ispirati aprono il finestrino e generano momenti di dialoghi che rimangono storici, come le scene di un film da Oscar.
“Ma dove cazzo vai?” dice lei. “Ma dove va lei!” dico io (omettendo la parolina con le 2 zeta). “Io ho messo la freccia” dice lei. Come se la freccia fosse una sorta di raggio immobilizzatutto che la faccia padrona della strada, e gli altri si sveglieranno e riprenderanno a muoversi solo quando lei avrà parcheggiato in garage. “Cosa c’entra? Io ero già su questa carreggiata che stavo superando tutti, quindi lei, prima di buttarmisi addosso, avrebbe dovuto guardare se la strada era libera” dico io. Un’automobile da dietro suona. “Complimenti per la guida! Lo sa che quello che stava facendo è vietato e, se le fossi venuta a sbattere, mi ripagava per nuova?” dice lei (un po’ idiota, penso io. E poi la consecutio temporum un attimo da rivedere). “Non credo, visto che è anche quello che stava tentando di fare anche lei” dico io. L’automobile risuona. “Ma che cazzo vuole questo” dice lei. “Va be’, signora, ci vediamo” dico io, che sono sempre più in ritardo. “Sì, ci vediamo a fanculo” dice lei (ma dove ha vissuto costei fino ad oggi, nelle fogne metropolitane insieme a quei grossi topi con la coda lunga e dura, e neri e cattivi che come si chiamano lo sanno tutti, penso io). “No, grazie signora. Non ci tengo a vedere casa sua” dico io e me ne vado.
A proposito di quei topi, l’altra sera Iker finto Labrador mi osservava con occhi sospetti mentre rientravo con la macchina nel piazzale e, stranamente, si teneva a una certa distanza da me, al buio. Quando ho ultimato le pratiche: controllare che il cancello elettrico si fosse chiuso perché un paio di volte è rimasto aperto e Iker è uscito e poi non è riuscito a rientrare ed è rimasto tutta la notte fuori. Mettere il telo sulla macchina per non farla gelare, o quel che resta del telo visto che finto Labrador ogni notte ne strappa un pezzo e adesso sembra il vestito di quelle donne fantasma che appaiono luminescenti nell’oscurità e ondeggiano fissandoti con gli occhi da ebete. Controllare che anche il garage fosse chiuso perché una mattina, dentro, ho ritrovato una volpe furiosa per essere rimasta intrappolata e non è stato un incontro simpatico. Mi avvicino a Iker per dargli una carezza, ma lui si sposta evitandomi e gira la testa. “Iker, cos’hai in bocca?” Sarà sicuramente l’osso, penso anche se lui non scappa come quando vuole giocare e farsi rincorrere. Lo acchiappo. “Fammi vedere che hai in bocca!” E come al solito gli apro la bocca con le mani e vedo spuntare una coda lunga penzoloni. Allontano di getto le mani in un istante di paralisi totale, mentre lui continua a fissarmi con gli occhi di quando pensa di aver fatto qualcosa che non doveva fare, tipo quando acchiappa i fazzoletti di carta per strada, mentre lo porto a spasso, al solo scopo di fare un dispetto. Io gli sorrido con una goccina di sudore che scende dalla fronte e comincio a retrocedere come un gambero verso il cancelletto. “Buonanotte Iker!”
Che ve lo dico a fare che la mattina dopo ho ritrovato la migliore amica della signora con la Panda bordeaux, stesa davanti al garage senza vita. Sì, quella con la coda lunga e il nome che inizia per zoc.