[Il potere della mente]

In libreria.
Si avvicina con passo felpato, ma si avverte chiaramente.
Mi ricorda la scena di Jurassic Park. Quando il ragazzo sta nell’automobile col bicchiere d’acqua in mano, e a un certo punto l’acqua inizia a tremare in modo ritmato. E’ il ritmo dei passi. I passi del Tyrannosaurus Rex.
Un donnone immenso ricoperto da un tendaggio scuro mi sorride davanti la cassa. Durante questo suo gesto carinissimo tutti i suoi menti si mettono a ballare una rock dance acrobatica.
– Questo – dice porgendomi un libro.
Pensa magro, la nuova attesissima opera di Raffaele Morelli.

Cose mie che vanno a finire negli ebook

Succede che leggi una tua cosa nel corso di un reading, alle due di notte ubriaco e gonfio di birra, e questa cosa va a finire in un ebook.
Il reading era Torino Una Sega, a Firenze, un evento che se sapevo che ci sarebbe stata tutta quella gente mi sarei chiuso in casa dalla paura.
L’ebook raccoglie tutte le letture, ed è codesto (come si dovrebbe dire in tutta Italia e invece si dice solo da queste parti).
Il mio pezzo, grazie a Scrittori Precari che l’ha pubblicato separatamente, sta anche qua (per chi non volesse perdere tempo a scaricare, spulciare).
Evviva.

Io ci ho provato a instaurare un dialogo con l’agente

Avete una vaga idea di cosa può voler dire vivere a Firenze, in una stradina alberata fra lo stadio Artemio Franchi e il Mandela Forum?
Avete una vaga idea di cosa può voler dire un sabato sera prigioniero in una stanzina al pian terreno, mentre da destra arrivano i boati dei tifosi della Fiorentina, che accompagnano con una ola fotonica i nomi dei giocatori in modalità stereo, e da sinistra i melodiosi acuti di Alessandra Amoroso in concerto?
No. Con tutto il rispetto non potete immaginare com’è convivere con la paura che un hooligan di cattivo umore per la sconfitta della propria squadra del cuore ti entri dalla finestra e se la prenda con te.
Sabato si giocava Fiorentina-Roma. Una partita molto delicata per la qualificazione in Champion’s League. (Tanto mi interessa la questione che ho dovuto fare una ricerca mirata su Google per capire se e quanto fosse delicata la partita, e come si scrive Champion’s League). Così, penso bene di trascorrere la mia vigilia pasquale il più lontano possibile dal luogo prescelto per l’apocalisse (casa mia). Mi fermo da Niccolò a mangiare una pizza fatta in casa… croccantissima.
A mezzanotte inoltrata agg’ decis’ e turnà (espressione interamente ripresa da un sito internet culturale napoletano, pure l’accento e gli apostrofi). Pensavo che a due ore dalla fine della partita fosse tornato tutto regolare e invece. Povero illuso.
Già da Viale dei Mille si vedono i lampeggianti blu rischiarare il cielo. Sono tantissimi, sembra una base aerospaziale da cui sta per partire il lancio del secolo. Vado avanti, fiducioso che in quelle poche centinaia di metri che mancano succederà qualcosa che mi permetterà di raggiungere la mia stradina alberata. Arrivo al blocco. Cinque uomini armati mi scrutano nell’anima, come se nascondessi trenta chili di eroina nel bagagliaio. Alzo il finestrino. Dovrei proseguire dritto, ma farò il giro prima che mi sparino, penso. Povero illuso 2 – il ritorno.
All’imbocco della mia strada, la strada di casa mia intendo, quella alberata, un nuovo posto di blocco. Meno presidiato. Un solo poliziotto sta davanti alle transenne. Sembra annoiato e stanco. Una forza dell’ordine senza forze.
Prima di sfondare la barricata tento un dialogo.
– Salve signor… buonasera – dico. Mi veniva da dire signorsì.
– Ma no-o vedi l’elicottero? – dice lui accennando col capo al cielo dove svolazza un elicottero, appunto.
– Sì, lo vedo.
– Eh, che te fa pensa’ ‘sta cosa?
– Che mi fa pensare?
– Eh, che te fa pensa’? Di’, su!
– Non lo so! Veramente! – dico la parola veramente col tono di La prego non mi spari.
– Che te ne devi annà da qua! – esclama lui accompagnando il concetto con eloquente movimento palmo-mano-sinistra/fianco-mano-destra.
– Vorrei, ma non posso!
– E perché, sentiamo!
Incrocia le braccia e mi guarda con la stessa espressione del tenente di Squadra di Polizia che deride il ciccione.
– Perché io abito là, proprio dietro di lei!
E indico il portoncino di casa mia, nell’ombra immobile e silenziosa del vialetto.
– Se solo lei potesse scansare questa transenna… – aggiungo. – E permettermi di entrare…
Sta riflettendo. Nutro delle speranze che si infrangono in un: – No, fra un’oretta liberiamo tutto e rientri.
Ma dove vado io un’ora? Poi guardo l’orologio e mi viene una straordinaria idea: la compassione.
– Ma è Pasqua, agente!
Qualcosa di divino gli attraversa lo sguardo arcigno.
– Va bene, sposti la transenna e passi! Poi la rimetta dov’è, però.
Scendo dalla macchina, sposto la transenna. Mamma mia quanto pesa, penso. La transenna mi sfugge di mano. Cade a terra provocando un frastuono micidiale. Dietro di me suonano dei clacson. L’agente si allarma e afferra la ricetrasmittente. Io non ci capisco più niente. Salto in macchina e quasi lo investo. Dallo specchietto retrovisore lo vedo che tenta di fermare una coda di automobili che gli sfrecciano a pochi centimetri da lui, fregandosene del posto di blocco che ormai è saltato. L’ho fatto saltare io! Fischia col fischietto. Agita la ricetrasmittente. Nessuno rispetta la sua autorità.
– Grazie di cuore – gli dico da lontano mentre apro il portoncino. – E buona Pasqua eh!

[Madre Calendar]

Parte la suoneria di Profondo Rosso, quella abbinata al numero di Madre.
– Pronto?!
– Matteo… sei tu?
– Madre, ma non mi riconosci?
– Scusa, è che sei lontano da così tanto tempo che è normale che abbia qualche dubbio.
-…
– Sai, qui si sente molto la tua mancanza.
Sento una lacrimuccia nascere e crescere. Allora rido con fragore per nascondere questo imprevedibile accenno di commozione.
– Dai che è arrivata l’estate ormai. Fra poco torno!
– Ma che è arrivata che stiamo a marzo!
– Ma quale marzo che stiamo a maggio! – ribatto nel tentativo di farle sembrare di meno il tempo che manca.
– Ma quale maggio che domani è Pasqua! – esclama lei. – Vedi di riprenderti. Mi sa che lavorare in mezzo ai pupazzi ti ha mezzo scemito.
– (In mezzo ai pupazzi) …

Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta

Ma muoiono davvero quelli come Gabriel Garcia Marquez? (Come se ce ne fossero tanti, poi.)
No, mai.
Perché lasciano un bagaglio di energia vitale incredibile, che si rinnoverà per sempre.
Le parole diventano, fra le sue mani che digitano, venti impetuosi, tempeste di calore, nottate magiche in luoghi straordinari, amori impossibili ed eterni, come tutti gli amori impossibili.
Ecco, se non è vita questa, non so cos’altro possa essere chiamato così. E allora, chi lascia agli altri la vita, chi è capace di questo dono, non muore mai davvero.

Porto queste sue parole tratte da L’amore ai tempi del colera incollate all’anima. Perché io sono uno che ride spesso, piange spesso, ama raramente e non smette di farlo facilmente, qualche volta perdo fiducia in me stesso. Insomma, sono uno come un altro con la paura di non essere all’altezza. Allora rileggo i 13 spunti di Marquez e mi ricordo quanto valgo.

  1. Ti amo non per chi sei ma per chi sono io quando sono con te.
  2. Nessuna persona merita le tue lacrime, e chi le merita sicuramente non ti farà piangere.
  3. Il fatto che una persona non ti ami come tu vorresti non vuol dire che non ti ami con tutta se stessa.
  4. Un vero amico è chi ti prende per la mano e ti tocca il cuore.
  5. Il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è esserci seduto accanto e sapere che non l’avrai mai.
  6. Non smettere mai di sorridere, nemmeno quando sei triste, perché non sai chi potrebbe innamorarsi del tuo sorriso.
  7. Forse per il mondo sei solo una persona, ma per qualche persona sei tutto il mondo.
  8. Non passare il tempo con qualcuno che non sia disposto a passarlo con te.
  9. Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia essere grato.
  10. Non piangere perché qualcosa finisce, sorridi perché è accaduta.
  11. Ci sarà sempre chi ti critica, l’unica cosa da fare è continuare ad avere fiducia, stando attento a chi darai fiducia due volte.
  12. Cambia in una persona migliore e assicurati di sapere bene chi sei prima di conoscere qualcun altro e aspettarti che questa persona sappia chi sei.
  13. Non sforzarti tanto, le cose migliori accadono quando meno te le aspetti.

E quanto vale (non valeva, vale!) Gabriel Garcia Marquez.

Violetta l’addetta e Mario, uomo pragmatico

Continua la saga Interinal Agency – alla ricerca del lavoro perduto, col ricordo di Mario.
Aspettavo il mio turno per un colloquio quando questo signore barbuto irrompe nell’agenzia, fa finta di non vedere le 78 persone in fila, aspetta che la disoccupata di turno termini di implorare Violetta l’addetta di Ali. (Fa ridere Violetta l’addetta, ma si chiamava davvero così.)
– Devo firmare un contratto! – esclama accomodandosi davanti a lei.
Violetta sgrana gli occhi azzurri e accelera il battito di ciglia con l’estèscion.
– Che contratto? Chi è lei, mi scusi?
– Mario, Mario mannaggia… (parte accidentalmente una bestemmia).
– Bene Mario, ora con calma mi dica che contratto deve firmare.
– Quello che sta attaccato alla porta. Là l’ho letto! Cazzo!
– Cosa ha letto, l’annuncio?
– Eh, e mi interessa. Quando se comincia?
– Ma… dovrebbe sostenere un colloquio prima. L’ha chiamata qualcuno?
– No, so venuto da solo.
– Qui non funziona che uno legge l’annuncio sulla porta e automaticamente viene assunto.
– Minghia quanto siete contorte voi femmine!

Fine di una grande storia d’amore fra lo scrittore Matteo Grimaldi e diverse donne di una nota agenzia interinale

Ok, da due mesi ho trovato lavoro. E sono felice. Ma prima di mesi ne sono passati cinque e mezzo in cui cercare lavoro era diventato il mio lavoro. Un lavoro fatto di buchi nell’acqua.
Quelle di una nota agenzia interinale insistevano per farmi lavorare come vice responsabile in un altrettanto noto ristorante di catena del quale non faccio il nome, ma tanto sono i soliti. Il turno era spezzato pranzo/cena, in un centro commerciale che dista quaranta minuti di treno da Firenze. In pratica, sarei rimasto ostaggio per l’intera giornata all’interno del centro commerciale – mica potevo tornare a casa – , o in qualche parchetto nella ridente località toscana, dove avrei dovuto trascorrere le ore fra un turno e l’altro osservando i movimenti delle nubi, o contando i solchi sul legno di una panchina.
Ho fatto il primo colloquio non so nemmeno io perché. Forse soltanto per lo stipendio, che in effetti non era male. La donna dell’agenzia interinale mi ha richiamato due giorni dopo. Avevo colpito nel segno – cinque anni da McDonald’s fanno sempre la loro figurona in certe realtà indernescional – quelli volevano mettermi subito in prova. Ho detto di no e le ho spiegato perché. Lei mi ha risposto che tutti vorrebbero fare altri lavori nella vita, ma coi tempi che corrono bisogna accontentarsi di quello che c’è. Ho pensato a Madre che al telefono mi aveva detto: – E che fine gli fai fare alla laurea?
Allora ho detto ancora una volta no, con tono perentorio.
– Ma perché, signor Grimaldi? In fondo non sta lavorando!
Allora sono partito col mio super pippone.
– Nella vita non ho mai avuto problemi a fare qualunque tipo di lavoro. Pizzerie, pub, supermercati. Sono stato al McDonald’s per cinque anni. Ho pubblicato tre libri. Ho fatto una fatica boia per laurearmi in Informatica. Ho lasciato il lavoro. Mi sono trasferito a Firenze per cercarne uno più adatto a me, alle mie inclinazioni, agli sforzi che ho fatto per acquisire competenze nuove. E adesso dovrei non vivere più per portare piatti di carne fumante alla gente che passeggia nel centro commerciale? No, signora.
Perché questo è quello che fa il viceresponsabile. E’ come quando quelli dell’Esselunga pubblicano gli annunci con su scritto: Ricerchiamo candidati da avviare alla carriera direttiva.
Sì, quelli che mettono a posto la roba sugli scaffali. Con tutto il rispetto eh! L’ho fatto anch’io in un supermercato, ma mai mi sarei sognato di definirmi uno avviato alla carriera direttiva.
Perciò ancora una volta no. Semmai mi rimetto a studiare, ho pensato. Ma non mi accontento. Accontentarsi significa mollare. E chi molla ha perso.
– Ok, allora ci risentiremo se usciranno posizioni diverse, ma… mi sa di no – ha detto l’interinale.
– E chissenefrega – le ho risposto.
Credetemi, non era per sminuire o disprezzare il lavoro, ma per non sminuire o disprezzare me stesso.

Per poco non divento milionario

Sono arrivato alla fermata con abbondante anticipo. Allora mi prendo un caffè, penso. Alla cassa mi cade l’occhio sui gratta e vinci.
– Un turista per sempre! – esclamo.
Mi siedo al tavolino. Gratto con una moneta da 2 euro. Grande moneta = grande vincita. Vinco 5 euro col simbolo dell’ombrellone. Sento il potere del destino. Torno in cassa.
– Un altro Turista! E pescalo in mezzo!
L’uomo rimane con la mano bloccata qualche istante dalla mia intimidazione. Torno al tavolino col nuovo Turista. Gratto i numeri vincenti, poi gratto i miei. 35… ce l’ho!
– Ho vinto! – esclamo.
Grat grat… 45! Ce l’ho! È incredibile! È il mio destino karmico.
– Ho stravinto!!!
Non sono più nella pelle. L’uomo ai caffè guarda verso di me. La signora in fila si volta. Godo. Quante volte mi sono trovato dall’altra parte. E ora tocca a voi rosicare.
Gratto le cifre vinte sotto ai numeri.
– Ah! – dico, un pochino deluso, a dir la verità. Mi stanno aspettando al varco. Anzi, alla cassa. Fremono. Il loro bar entrerà nella storia. Ne parleranno su Rai2 con l’inviata riccia della Vita in Diretta.
– Dieci euro – dico. – Me li prendo!
A quel punto succede. Una specie di fruscio, ma in coro, intonato da tutti i presenti. Come un’esplosione sorda.
– Mavafangul!!!
-…

Amigo

Mi si avvicina un extracomunitario col pancione, ma non aspetta un bambino.
– Amigo ciao! Ti prego, aiuto, dammi qualche soldino, monete, carta, fai tu!
Tiro fuori il portafogli, lo apro. Mi perdo nel vuoto incolmabile dello spazio delle banconote.
Nada, il deserto dei Tartari, tabula rasa, terra di Siena bruciata, anzi no, carbonizzata, un pozzo senza fondo, un orizzonte sconfinato: due scontrini di cui uno con una gomma avvoltolata, e un gettone dell’autolavaggio lì dove dovrebbero stare le monete, se ce le avessi.
– Mi dispiace, ma oggi non ho dietro nemmeno un centesimo.
Amigo, presa visione della situazione, compone uno sguardo commiserevole, tira in spalla il borsone coi pacchi di calzettoni di spugna.
– Amigo, tu stai messo peggio di me! Solo un poco meglio vestito. Buona fortuna! Ciao bello!
– …
Amigo c’ha proprio ragione. Tempi durissimi questi.