Interrogato, il morto non rispose

Interrogato, il morto non rispose. Non vorrei che gli spiriti degli Antichi siano stati un po’ troppo tempestivi nell’agire. Il lato positivo della bomba che ha colpito La stanza del Matto sta intanto nella dichiarazione di Luca: “Dai, che t’importa. Tanto lo sanno tutti come si chiama il tuo blog” e poi in quella di Mafalduzza che dice che a lei il titolo si vede, e questo mi fa pensare che i miracoli esistono, perché il titolo, come il banner e come anche la scritta a fondo pagina, che era poi il sottotitolo ingigantito, non si possono vedere e questo è scientificamente provato, ma il miracolo è tale proprio perché va oltre ogni umana comprensione. Ieri son stato tutto il giorno in giro. Al lavoro fino alle 17.30, poi il tè da un amico influenzato, poi torno a casa che è ormai ora di cena e ovviamente avevano già finito perché non sanno mai se e quando torno, e allora loro, per sicurezza, mangiano senza di me, con tutte le briciole della focaccia ai funghi sul tavolo. Si chiacchiera un po’ su Chi l’ha visto che c’era la storia di un grosso imprenditore che è sparito col figlio Stefano lasciando l’altro figlio e la moglie a casa senza notizie. ‘Sto ragazzo, qualche settimana dopo, s’è buttato dal terzo piano ed è morto, mentre quei 2 l’hanno visti recentemente alle Hawaii; a quanto pare non se la passano malissimo. Giusto il tempo di dire: “Che stronzo quello. Se proprio doveva sparire dalla circolazione, poteva portarsi dietro anche l’altro figlio” e sentire la risposta di mia madre: “Certo, le mogli sono comunque destinate a prenderlo nel culo” che son dovuto riuscire immediatamente per raggiungere Franchino al Mc Donald’s e andarci a prendere una crepe al gelato + nutela al Florida, che fa abbastanza schifo come bar, ma le crepe son gustose e costano 3 euro.
Ieri notte le strade aquilane ricordavano il set di un film di Dario Argento. C’erano quelle cupe atmosfere con l’aria umida e l’oscurità appannata dalla nebbiolina mischiata a qualche fumo di comignolo e la totale assenza di esseri umani in giro, che all’improvviso ti aspetti una figura decisa che procede verso di te e fa rumore col tacco delle scarpe eleganti e in mano ha un coltello, e poi son cazzi. Le gambe mi facevano male, il turno pomeridiano ti sfascia e allora abbian passato il tempo ad aspettare che arrivasse la mezzanotte che chiude il Mc, per riportare un paio di crepe ai colleghi che facevano chiusura, che ieri erano quelli simpatici e allora ci faceva piacere fargli compagnia. Tra gli altri c’era Marzia che qualche giorno fa mi ha fatto sobbalzare con questa dichiarazione: “Appena stacchiamo ti faccio vedere la mia pisella rasata, ricordamelo!” che mi s’è fermato il cuore, e poi invece voleva mostrarmi qualche fotina della sua figlioletta bellissima col caschetto nuovo. Io penso che i bambini bisogna farli da giovani. Hai un entusiasmo giocoso dentro che gli arriva e li fa un po’ più felici, secondo me. Perché quando vien fuori che sei incinta e poi nasce il bimbo, l’emozione che provi tenendolo in braccio e crescendo quella creatura giorno dopo giorno è condizionata dalla capacità che hai di provare emozioni, che tra i 20 e i 30 è al culmine. Quando arrivi che sei maturo come una pera marroncina, che sembra quasi che se non fai un figlio entro un anno hai fallito tutto, allora il figlio acquista il sapore del conseguimento degli obiettivi, come se dipendesse dalla sua venuta il senso da dare alla tua vita. Con tutto l’amore del mondo, che non son qui a giudicare, mi vien da pensare al retrogusto egoistico e mi piace meno.

Non è decisamente un buon momento per il blog

Non è decisamente un buon momento per il blog. Direi che qualcuno ce l’ha con me e me la sta tirando, e se scopro chi è, giuro che troverò il coraggio di contattare proprio lei e chiederle di scatenargli contro tutti gli spiriti degli antichi Re, del bene e del male, che lei – si sa – domina, e vediamo se questo qualcuno la smette (visione del video linkato assolutamente vietata ai minori di 39 anni). Dopo il virus Trevisan che, come ricorderete, mi aveva devastato tutta la parte inferiore del template, che è successo mo’? È successo che il logo della Stanza del Matto, in testa alla pagina, non si vede più, poi non parliamo del myspace che è ridotto peggio di un impraticabile campo di battaglia. Una vera tracccedia. Come al solito, calma e sangue freddo alla mano, ho scritto alla ragazza che ha realizzato blog e myspace. Grazie alle mie pur esigue conoscenze dell’informatica e della grafica e dell’informatica grafica e pure della grafica informatica, ho intuito che il problema sta nel fatto che il template, quando prova a caricare l’immagine dell’header, evidentemente non la trova più; idem per tutte quelle del myspace, e visto che erano parcheggiate nel suo dominio, ora aspettiamo con serenità che la soluzione piombi dal cielo. Voi provate a fare uno sforzo immaginifico e costruite con la fantasia la scritta de La stanza del Matto tutta colorata e col sole giallo al posto della o. Io intanto penso che si avvicina prepotente il momento di trasferire tutto su un dominio mio e lasciar perdere Splinder che lo so che stavolta c’entra poco, perché ‘ste cose indipendenti dalla mia incapacità, mi fan davvero rabbia. Nel frattempo non so che dirvi; vi racconto il colmo per uno stronzo, o una storia qualunque per tentar di distrarvi dall’orrenda visione del blog innominato.
Vi aggiorno sugli sviluppi di Anna Karénina va. Siamo a pagina 360 e Levin, dopo esser stato rifiutato da Kitty, che vi ricordo a sua volta esser stata rifiutata dal conte Vronski, decide di ritirarsi nei suoi possedimenti in campagna per dedicarsi solo al lavoro, che tanto lo appassiona e lo stanca, allontanando i cattivi pensieri. Una notte, proprio quando pare esser riuscito a dimenticare la graziosa principessina russa, ecco che, mentre passeggia riflettendo sul senso della sua vita che non riesce a vedere, ma vede la luna e le stelle, s’imbatte in una carrozza che attraversa il paese a gran velocità. Al suo interno riconosce il pallido volto di Kitty pensosa, e in quel meraviglioso istante capisce che è lei il suo senso. Alessio, il marito dichiaratamente cornuto di Anna Karénina, medita su quale sia la soluzione migliore per rimediare all’offesa inflittagli dalla moglie, che ha ammesso di essersi dilettata col conte Vronski, che è sempre quello che ha rifiutato Kitty per lei. Ha confessato al marito Alessio di amarlo e lui non l’ha presa proprio benissimo e tra le varie opzioni possibili, come il divorzio o la separazione, sceglie di tenerla in casa e rovinarle la vita, sorte molto vicina a quella che riserverò io a chi sta gettando sfiga a palate nella mia Stanza. A questo punto ho chiuso il libro, non prima di voltare un paio di pagine, e ho notato una lettera di Anna; che sia fuggita? Si vedrà, come si vedrà che ne sarà della Stanza. Io alle 5 parto e chiudo e non ne voglio sapere più niente. Se ne riparla domani sera quando torno dal lavoro. Domani al Mc Donald’s ci sarà la supervisora scassacazzi che cronometra il tempo che impieghiamo per fare i panini, e staranno tutti con l’ansia a dar ordini e io vaporizzerò camomilla Filtrofiore con lo spruzzino del tossico degreaser nel cielo della cucina, così da donare a tutti una dolce morte.
Intanto buona domenica e statevi accorti ché ci son delle novità di cui vi parlerò presto; stavolta cose belle che son certo vi piaceranno.

Nerozza è fuggita

Nerozza è fuggita. La dinamica dell’evasione non è ancora chiara. Pare abbia fatto leva sul carapace della sua compagna Italia – sì stanno insieme, sono 2 tartarughe lesbiche – e sia piombata sul pavimento del salotto. L’ultima testimonianza è la mia che, meno di un quarto d’ora prima del fattaccio, ricordo di aver visto Italia sull’isolotto di pietre e sughero, assorbire immobile la luce, che lei suppone provenga dal sole di qualche paradiso tropicale e invece è solo una lampada UVA-UVB (Vivin C) presa al negozio L’acquario, quello vicino alla pizzeria Il pozzo, che è tanto carino e ha dei pesci coloratissimi, per carità, ma, per farmela arrivare, mi ha fatto allungare un collo peggio di una giraffa, neanche avessi ordinato un forno a microonde che, oltre a scaldare, teletrasporta i cibi. Nerozza era lì che goffamente tentava di raggiungerla perché non riesce a stare lontana dalla sua amata. Io son tornato in camera non prima di essermi bevuto tre bicchieri di latte e cacao amaro che non si mischia. Quando dopo un po’ mi avvicino alla vasca per controllare quelle 2 tartarugone di 30 mesi, mi sembra tutto a posto tranne che per un dettaglio che in un primo istante non mi è chiaro fuorché il suo puro esistere. Come quando, prima di partire per un lungo viaggio, controlli che, oltre alla voglia di non tornare più, tu abbia portato con te abbastanza mutande e calzini e il dentifricio e lo spazzolino e le ciabatte per la doccia e il pigiama e l’ombrello, e che abbia chiuso il gas. Ti par di aver preso tutto, eppure senti che qualcosa non va. Chiudi la porta dietro di te e quando sei lì per lasciare la tua vecchia vita per la nuova, ti accorgi che hai lasciato pure le chiavi di casa e della macchina sul tavolo della cucina e che, non solo non potrai partire, ma neanche rientrare visto che prima di uscire avevi fatto attenzione a chiudere tutte le finestre. E infatti qualcosa che non andava c’era, ne mancava una, la più goffa: Nerozza. Fino a poco fa era lì, non è entrato né uscito nessuno, dev’essere per forza nel salotto, ho pensato. Mi son messo a cercarla e a chiamarla: “Nerozzaaa? Nerozza, dove sei? Dai vieni fuori!” ma lei non rispondeva. Ora che ci penso non è mai stata molto loquace come tartaruga. D’un tratto la vedo davanti alla porta blindata – che stesse cercando di evadere persino da casa mia? – tutta rintanata nel suo guscio, terrorizzata dall’essersi improvvisamente ritrovata in un ambiente a lei ignoto, che sembrava una pietra scura. L’ho schiaffeggiata con violenza sulla testolina gridandole: “Non si fa, non si fa. Hai capito? Non si fa e basta!” e l’ho rimessa nella vasca. Italia, che pareva sollevata dall’essersi finalmente liberata di lei, ha sbuffato prima di rituffarsi e tornare a scavare nelle pietruzze colorate sottacqua.
Tutto è bene quel che finisce bene. Certo è che la vasca gliel’ho cambiata neanche 6 mesi fa e comincio a preoccuparmi perché, se devo rivivere quell’incubo in giro per negozi, e se uno stipendio non basta, e se il brodo di tartaruga è davvero così prelibato come dicono…

Se avete intenzione di metter su un orticello

Se avete intenzione di metter su un orticello variegato nel circondario di casa vostra, da oggi prendete pure in considerazione la marijuana tra le possibili piantine decorative, ma mi raccomando, non utili. Non sono diventato pazzo, forse la Cassazione sì, che ha prosciolto un omino contadino, condannato dalla Corte d’Appello di Ancona a 1 anno e 4 mesi di reclusione più 7 milioni di vecchie lire di multa per aver coltivato piantine di cannabis in un terreno adiacente alla sua abitazione. Contro tale verdetto, l’imputato aveva presentato ricorso lamentando carenza di motivazione poiché: “Per giungere a maturazione e a produrre sostanza drogante, sono necessari altri fattori favorevoli (terreno, clima, etc.) la cui esistenza non e’ stata accertata”. La Suprema Corte ha accolto il ricorso: “Non è rilevabile l’effetto stupefacente in una pianta il cui ciclo non si è completato e che, quindi, non ha prodotto sostanza idonea a costituire oggetto del concreto accertamento della presenza dei principi attivi”. Ci stanno dicendo che quell’uomo è innocente perché quella, finché non matura, è una pianta come un’altra. Quindi, queste persone che l’hanno assolto, hanno valutato che l’omino non aveva affatto intenzione di vendere il frutto delle sue coltivazioni, né farle arrivare a fruttare; che al momento topico le avrebbe recise, come faceva Mortisia con le sue rose, e buttate via. Un bel passatempo coltivare marijuana per poi gettarla nei rifiuti organici prima della maturazione. Chissà perché io non ci credo per niente.
Io dico che la marijuana non dovrebbe poter essere coltivata né fumata, come non dovrebbero esser vendute le sigarette, che non fanno meno male, anzi, come non dovrebbero esser venduti i proiettili o le pistole o i mitra o i fucili. Qual è l’utilità? Non siam uomini che per vivere devono andare a caccia a sparare ai cinghiali selvatici, o sì? Noi i cinghiali li alleviamo mi pare, come i maiali, i capponi, i vitelli, i conigli e compagnia bella, e allora a che servono i fucili, se non a sparare agli uccellini come passatempo? E poi perché agli uccellini sì e alla vicina che prende a calci il cane, o a, che so, Raffaele Sollecito, non si può sparare?
Quando l’uomo capirà l’effettivo vantaggio economico che ne deriverebbe dal vendere le canne – che avrà del vantaggio l’ha capito, ma secondo me non ha ancora ben chiaro quanto, che è tanto, ma tanto di brutto – deciderà che la canna non fa più male, e le disporrà in pacchetti colorati sul ripiano delle tabaccherie. E a Matrix Mentana dirà che è stata una scoperta eccezionale fatta dai nostri bravissimi ricercatori italiani, e inviterà pure Sgarbi secondo me, nella puntata scoop, e Vladimir Luxuria, che mai come adesso è stata così donna, quindi fatemela chiamare Vladimira, per piacere, e Mara Maionchi e pure Morgan che a 4 minuti dall’inizio della diretta della prima puntata di X Factor si sarà fumato un palo della luce del Tevere con tutti i lucchetti dell’amore di Moccia inclusi, se no non si spiega. Ma lui e la Ventura sono abituè di sostanze stupefacenti; guardate il celebre no cioè, sì, ma boh dell’anno scorso. Per la serie: quando non ti viene l’ultima parola.

La mia casa editrice

La mia casa editrice, che è sempre molto carina con me, ha deciso di dedicare l’ultima newsletter a Non farmi male. Ve la segnalo per un motivo essenzialmente: perché all’interno c’è un’anteprima di Cemento, il primo racconto del libro, ed è un bel pezzone che poi prosegue in un allegato pdf, gratis per tutti. Quindi, chi vuol farsi un’idea di come scrivo, chi è curioso di sapere di che parla il libro, chi non ha nulla da fare e ha bisogno di qualche pagina per ammazzare la noia, clicchi qua.
Ah, siamo alla terza edizione e, se la seconda non me l’aspettavo, la terza mi sa di miracolo. Quindi grazie a tutti, eh!

Ieri mi han detto che sono un sofista

Ieri mi han detto che sono un sofista e il tono era più o meno lo stesso di quando mi dicono: “Sei uno stronzo!” così pensavo che sofista fosse uguale a stronzo, seppur udendo riecheggiar il suono di questa parola nell’antichità, quella antica antica, prima che nascesse quel capellone del Cristo, per intenderci. E allora mi son messo a chiamare il telefono Google-amico e a chiacchierare coi gentili operatori volontari ed è venuto fuori che sofista no che non è un’offesa, ma una grandioso complimento per me. I sofisti, che non vi sto a dire che erano esponenti di una corrente filosofica nata nel IV secolo a.C. e palle così considerato che questa non è la terza ora di filosofia di un boccheggiante sabato mattina di quarto liceo, negavano la possibilità di raggiungere una verità definitiva, per cui tutto poteva essere messo in discussione, tutto era relativo, e quindi confutarlo diventava una sfida da vincere attraverso una raffinata tecnica verbale. Per farvi meglio comprendere ecco un aneddoto. Si narra che Aristippo, che non era il nonno di Heidi, ma un sofista (ma va!) al padre di un suo allievo che contestava il prezzo troppo alto della retta annuale: “500 dracme? Ma io con 500 dracme ci compro uno schiavo!” rispose: “E tu compralo, questo schiavo. Così ne avrai 2 in casa, questo e tuo figlio”. Erano sostanzialmente dei gran rigiratori di frittate. Così sarei io: uno capace di aver sempre ragione perché dotato di una proprietà di linguaggio e astuzia tale per cui alla fine l’interlocutore deve piegarsi e ammettere, con irrefrenabili movimenti sì e sì e sì del capo, che la sua versione era tutta sbagliata e la mia tutta giusta. Un fondo di verità c’è. Io sono sostenitore della teoria, che non è una teoria, ma un mio pensiero, quindi una mia teoria, se vogliamo, che non è vero che la ragione è dei fessi, ma la ragione è di chi ce l’ha o di chi se la inventa (potrei far stampare anche miliardi di bandierine da sandwich così da divulgare alle masse il suddetto messaggio). Io spesso ce l’ho, il restante delle occasioni, che è quantitativamente parlando equivalente, occasione più, occasione meno, me la invento, la ragione, di conseguenza me la merito senza dovermi sentir dare del fesso.
Ieri notte a chiusura un mio collega, che avrà sui 19 anni, era in ansia per un sms che doveva inviargli una ragazza. Lo aspettava come segno di conferma di lei che gli ha preso il cuore e: “se non arriva vuol dire che non mi pensa tanto. Perché uno, quando esce dal lavoro, spera di ritrovare il pensiero di lei che ti chiede com’è andata. Sarebbe l’ennesimo spillo nel cuore”. Mi ha fatto molta tenerezza perché mi son rivisto quando tanto tempo fa facevo tutto col cellulare in mano sperando squillasse, pure l’Albero di Natale. Mi ricordo che fu bruttissimo perché io provavo a non pensarci concentrando l’attenzione sulle fantasie cromatiche delle palle o dei fili o cercando di risolvere il problema che ogni anno si ripresenta di ficcare 5 luci nelle 5 punte della stella, però quel telefono non suonava mai e io ci stavo male. Di tempo ne è passato e la prova l’ho avuta anche ieri dal fatto che si è staccato il poster di Carmen Consoli che sta dietro la porta della mia stanza e che di anni ne ha almeno 10. Poi il messaggio c’era e lui è tornato zampettante e con un sorrisone al lavoro e ha fatto sorridere anche me, che ho ancor più riso quando ho letto che Gomorra, dopo la stangata ai Golden Globe, dove non ha beccato neanche un mappamondo di plastica, non è rientrato tra i 9 semifinalisti degli Oscar. E scusate se son contento, perché ce la crediamo troppo signori miei, è questa la verità.

Qualcuno si sarà accorto che La stanza del Matto

Qualcuno si sarà accorto che La stanza del Matto, aperta con quella e azzurra assassina di Explorer, negli ultimi 3 giorni appariva come un luogo desolato tutto cielo, un solo post neanche commentabile, e la colonna di destra inglobata dal nulla. Quel qualcuno non sono io, che uso Mozilla che non ha mai avuto problemi e quindi, quando tutto a un tratto son cominciati a piovere PVT allarmati dai cornicioni come roba verdina dal didietro dei piccioni, mi son messo lì a far le prove ed effettivamente Explorer non caricava il blog. Visto che la metà + 1 del popolo universale naviga nell’impervio oceano del WWW ancora a bordo di quella zattera di pali fradici d’acqua che è IE, un po’ m’è dispiaciuto, ma giuro che ‘sti 2 giorni son stato maluccio con la testa e il raffreddore e gli occhi che lacrimano e gli starnuti multipli sui Big Tasty e allora, di tentar di risolvere il problema, neanche a parlarne. Non che ora stia meglio, però ieri, mentre sulla tazza del cesso facevo un po’ quello che fanno i piccioni di cui sopra, mi son chiesto: Ma non è che è per colpa di Miriana Trevisan gravida di Pago, protagonista dell’ultimo post (unico momento della sua vita in cui sia stata protagonista, mi vien da dire), che ora non si vede più la Stanza? Lo so che sembra abbastanza folle, perché in fondo quelle sono soltanto parole come le altre, caratteri e link come in millemila post passati, ma in questo caso il discorso è diverso. Si sta parlando di Miriana Trevisan e della sua riconosciuta pericolosità; con lei bisogna andarci piano e forse io ho un po’ esagerato. Così ho deciso di comportarmi da persona saggia e, prima di distruggere il template a forza di modifiche disperate del codice che poi perdo il controllo e addio Stanza è stato bello, ma non tornerai più quella di prima perché io mi son perso per strada 14 tag e non è che quelli tornino a casa da soli, ho deciso di eliminare l’ultimo post, e distruggere la Trevisan all’improvviso e senza mezze misure. Tolto il post è tornato tutto come prima e allora mi dispiace per i commenti che avevate lasciato, ma non ho potuto fare altrimenti e son certo che capirete che con Miriana Trevisan non si scherza. Io comunque il post indemoniato l’ho conservato, ma col cavolo che lo ripubblico. Son però disposto a venderlo al migliore offerente. Avete un blog che invidiate, odiate, schifate, che vi è antipatico perché vi ruba i lettori o perché è scritto meglio del vostro, o peggio e ha più successo, insomma che volete eliminare senza che nessuno possa risalire a voi? Vi basterà acquistare il post di Miriana Trevisan senza intermediari direttamente da me, a un prezzo di fabbrica, e incollarlo in un commento al blog preda della vostra vendetta e il gioco è fatto; di quel blog non ne sentirete più parlare. Pensateci che ‘sti giorni ci son anche i saldi e quindi vi faccio un buon prezzo, uno di quelli che finiscono per 99 centesimi, per intenderci.  

Che uno resti a guardare un’immaginetta di 3 cm

Che uno resti a guardare un’immaginetta di 3 cm per 3, tipo fototessera, per 2 ore e mezza spezzate solo dalla pausa pranzo, ci starebbe pure, se solo il soggetto della foto fosse quantomeno conosciuto, legato a costui da una qualche forma di affetto non importa se ricambiato; sarebbe grave, ma almeno giustificabile. Invece no. Quindi mi dico che non è un periodo di piena sanità mentale, visto che mi son ritrovato rapito da una contemplazione anche un po’ ridicola per la mia pur sempre giovane età. Sabato sono andato a vedere Sette anime che non c’entra niente con la contemplazione di cui sopra. Ero convinto che la fortunata accoppiata Muccino – Smith non potesse essere in grado di bissare il capolavoro che è stato La ricerca della felicità dell’anno scorso, che io ho rivisto 3 volte pagando per 3 volte il biglietto e sappiate che ho bisogno di rivederlo al più presto. Se qualcuno dispone di una copia originale o tarocca del film ha la possibilità di dimostrare una generosità grandiosa invitandomi a guardarlo insieme che magari ci si conosce e ci si ama, oppure masterizzandolo e inviandomelo a Casa Matto, che la mia connessione non riesce a scaricare neanche un aforisma di 2 righe scritte grandi. Ho varcato la porta scorrevole con fare supponente, col sigaro in bocca e lo sguardo schifato verso tutti, pure verso il tronchetto della felicità all’ingresso, perché sapevo a priori ed ero pronto a criticare velenosamente, non per scarsa fiducia negli attori o nel regista, ma perché, non deludere dopo La ricerca della felicità, era parecchio complicato; i paragoni sono facile arma sulla bocca di tutti. Ebbene, mi sbagliavo, perché Sette anime è un gran bel film, e lo speravo. Una storia commovente e straziante che non voglio rivelare nei dettagli come faccio di solito, perché mi piacerebbe che stavolta andaste al cinema a vederlo tutti senza ritrovarmi messaggi minatori scritti coi pezzi di giornale o cuori di cerbiatti pulsanti nella posta, che lasciano intendere che ai lettori della Stanza non è tanto piaciuta la mia iniziativa rivelatrice. Muccino ha saputo tirar fuori il Will Smith attore che le americanate che lo avevano visto protagonista insieme agli alieni e alle catastrofi planetarie e alle esplosioni dei mondi non avevano evidenziato, tanto che consideravo Smith un attore mediocre prima de La ricerca della felicità. La regia di Muccino è riconoscibile e un vanto per l’Italia. Will Smith è incredibilmente intenso in tutto il talento che ha, perché ne ha e neanche poco, in espressioni toccanti, silenzi prolungati e più espressivi di inseguimenti e urla. Per questo dico che il Gabriele nostro che ora tante richieste ha dall’America, è riuscito a far emergere lo Smith attore. Intanto in America pare stia battendo tutte le previsioni superando gli 80 milioni di dollari d’incasso. Non fa molto testo, ma ieri la sala 1 del cinema Movieplex a L’Aquila era piena zeppa tanto che c’hanno sbaraccato all’angolino della fila 5 col telone del megaschermo a 10 cm dalla faccia. Il finale mi ha sorpreso. Mi è piaciuto perché in grazia di Dio ha una sua conclusione vera, definita e punto. Non come va di moda ultimamente che all’improvviso puff, schermata nera e titoli di coda accompagnati da una musica di violini che ti vien voglia di sparare una bestemmia, secondo la logica che la vita non finisce e può succedere di tutto e allora non finisce neanche il film. I 7 euro del biglietto, quelli so’ finiti però, e tu rimani deluso come quando compri 6 cartelle a tombola spendendo 12 euro e non becchi neanche un ambo da 35 centesimi. Invece Sette anime riempie e commuove. Una scena in particolare che ha fatto piangere miliardi… no, milioni… no, centinaia di migliaia… no, centinaia e basta di… no, decine… no. 1 spettatore: Franchino che, quando Will ha portato in braccio la vecchia paralitica maltrattata e torturata, al bagno, ordinando al padrone dell’ospizio di farla immediatamente lavare, è scoppiato in un pianto disperato e convulso scatenando anche il fastidio degli spettatori paganti, che non riuscivano più ad ascoltare le parole del film tanto erano acuti i singulti impasticciati di lacrime di Franchino, che, sotto mio consiglio è stato immediatamente accompagnato fuori dalla sala 1 e dal cinema e gettato ai margini del viottolo sopra un sacco di spazzatura semiaperto da un cane, che rovistava e gl’ha fatto pure la pipì sulle scarpe nuove comprate il giorno stesso ai saldi per 24 euro e 90.

“Gianni, sei di uno squallore guarda…”

“Gianni, sei di uno squallore guarda…” “Se c’è una persona squallida qua dentro sei tu, cara Erminia, che offendi senza avere arte né parte” “Gianni, perché tu che lavoro fai, eh? Il ballerino? Suvvia, non farmi ridere!”
La Stanza del Matto ha sempre difeso quel grande artista del piccolo schermo che è Gianni Sperti e non può starsene in silenzio mentre la Mortisia analfabeta e pure cornuta di Uomini e Donne, che fa tanto quella raffinata, quella dotta, quella che sa articolare un pensiero e invece non conosce un congiuntivo, infanga il nome del ballerino più bravo del mondo. E allora, son qui chiamato a render giustizia a un uomo che ha fatto la storia della danza, e che ora sia prigioniero di una poltrona bianca a sparare minchiate dentro quel gallinaio prepomeridiano è un altro discorso. Maria lo tiene in pugno come un burattino, e per risvegliarlo dalla sua condizione soporifera, causata dal raggiungimento della consapevolezza che ormai i vecchi fasti son andati alle ortiche e quella panzetta che ha nutrito a suon di pop corn e panini con la mortadella davanti alla tv, a fissare con occhi malinconici i finti capelli platinati della sua Paola divorata dalle tarantole, certo non l’aiuta, gl’ha scatenato contro quella vipera velenosa e ignorante e pure altre cose, tipo che io certe volte mi stupisco di come spari affermazioni che non c’entrano niente con quello di cui si parla, quindi penso pure un po’ stupida, ma Gianni non sembra reagire granché. Perché Gianni è un artista vero e continuerà a ballare finché Maria santissima glielo concederà. Va bene? È inutile che ridete. Che Gianni Sperti sia il ballerino più bravo del mondo è risaputo e ve lo posso provare riproponendovi il momento topico della sua carriera.

Guardate che evoluzione, e… che botta! Mentre Maura Paparo ride sotto i baffi, che secondo me è stata punta da una vipera della specie delle Erminiose, perché fino all’anno scorso era buona come una fatina e adesso calpesterebbe il corpo dei suoi studenti peggiori con le sue Nike rosa e dorate, e accoltellerebbe la Celentano alla tetta sinistra, se solo le fosse concesso.
Se ne facciano una ragione coloro i quali pensavano di essersi liberati di Gianni, sostenendo che la sua carriera fosse al capolinea, non è così. Gianni si è rimesso in sesto ed è pronto per affrontare nuove straordinarie e pericolosissime coreografie di Gay-rrison e Steve Lascia-telo sta, no? Ma che v’ha fatto ‘sto poveruomo che c’ha pure un’età? Noi comunque siam qui che lo aspettiamo e se lui vuole sono anche pronto a televotarlo perché Maria lo liberi da quella sedia; e preghiamo Diopadre che non ammazzi nessuno con una presa fallita.
Stasera vado al cinema a vedere Sette anime. Se qualcuno l’ha visto non mi anticipi nulla, domani vi dico, ma tanto sicuro mi piace, che a me i film del Muccino Gabriele (il fratello bravo, non l’altro che sembra che quando recita sta masticando una polpetta) aggradano parecchio e fan sempre scendere qualche lacrimuccia.

Che qualcuno aiuti mia madre

Che qualcuno aiuti mia madre che sta sprofondando risucchiata dall’oscurità delle sue psicosi, e mi sento un po’ in colpa. Ieri è tornata e un demone l’ha posseduta soltanto perché avevo inavvertitamente aperto la segretissima busta targata Telecom, contenente il codice autobloccante per le chiamate interurbane e verso i cellulari. C’è da dire che le ultime 2 bollette son state più salate degli spaghetti che ha preparato la settimana scorsa la sorella della fioraia di fiducia della vicina di casa (in realtà non è lei la persona, ma visto che la salatrice in questione legge e, se non legge lei, legge qualcun altro che poi riferisce (in questo mondo di spie!), e non è bello, ripiego sulla sorella della fioraia di fiducia della vicina di casa come termine di paragone, che non so se ha una fioraia di fiducia e se quella ha a sua volta una sorella). Così, dopo innumerevoli interrogatori ai quali io e mia sorella ci siamo sottoposti negando entrambi, senza mai tradirci, di essere gli artefici delle oltre 70 chiamate ai cellulari a bimestre, accusandoci a vicenda e (grande idea) accusando anche gli inquisitori che a loro volta hanno preso ad accusarsi, ed è uscita pure la storia di un’amante, Mother and Father hanno deciso di bloccarle definitivamente con un codice. Solo che i furboni della Telecom il codice l’hanno inviato a casa. Io ho aperto la busta, ho capito di che si trattava e, nella mia più profonda onestà ho richiuso la busta (dopo aver imparato il codice a memoria). Mia madre ha chiamato la Telecom dipingendo i suoi figli come dei furfanti senza cuore, e ora dice di aver risolto. Tutto questo per nulla perché le chiamate ai cellulari erano legate a una situazione che ora non esiste più, ne consegue che non esisteranno più neanche le chiamate, ma esisteranno i 13 euro che mia madre ha sborsato per pagare il servizio.
Poi ha cominciato con la storia dei termosifoni. Io sono l’unico in questa casa che in 5 anni che viviamo qua ha capito come funzionano i termostati, che poi non è che ci voglia la laurea, la dimostrazione son io che però un giorno l’avrò. Esiste un libricino d’istruzioni in italiano e pure piccolo che spiega passo passo come scegliere e impostare i programmi di riscaldamento. C’è quello per gli inverni rigidi, quello per gli inverni freddissimi, quello per gli inverni freddini e via dicendo per tutte le stagioni, e c’è quello manuale. Maledetto a me e maledetto il giorno che gliel’ho fatto presente, che lei poteva scegliersi le ore e le temperature di tutti i giorni della settimana. Da quell’istante, mia madre ha ritrovato, nell’impostare i termosifoni, quello spirito creativo che credeva di aver perso nell’età post-adolescenziale. Ed ecco che ogni 4 giorni cambia idea e ordina al sottoscritto, come un perentorio direttore d’orchestra farebbe col suo più scarso suonatore di triangolo, che i termosifoni partano alle 6 e 45 piuttosto che alle 7 o che si spengano prima il pomeriggio, che lei accende la stufa a pellet che s’è comprata per risparmiare mezz’ora al giorno di elettricità (consumando una busta di pellet, che non è proprio gratis). Ieri, nel pieno di una crisi isterica dalla quale mi son protetto negandole l’accesso nella mia stanza, mi accusava da fuori la porta di volerla far impazzire modificando a sua insaputa le temperature del termoregolatore del piano di sopra dove, tra le altre, c’è la sua stanza. Io stavolta sono davvero innocente, quindi 2 son le cose: o non sono più l’unico a saper affrontare quell’oggettino pieno di pulsanti e numerini (che è anche probabile visto che alla fin fine i pulsanti saranno una decina scarsa e i numerini sono quelli dell’orologio e dei gradi) oppure mia madre sta impazzendo davvero, che è probabile almeno quanto la prima ipotesi considerato anche il messaggio minatorio che ho ritrovato stamane accanto alla tazza per la colazione. “Sono uscita con la tua automobile e l’assicurazione scaduta così, quando mi faranno la multa, pagherai anche quella!” Ieri notte ho prelevato e quindi, appena tornerà, avrà i suoi maledetti soldi, comunque non sta bene.