Se mi chiedete come si fa un Big

Se mi chiedete come si fa un Big o un Tasty o un Piccolo Piacere o che differenza c’è tra la coca cola Zero e la Light (no, questa non chiedetemela che è una storia lunga che tra l’altro ho già ben descritto in un post che ritrovarlo è chiedermi troppo) vi rispondo, perché sono preparatissimo. Quando poi il discorso slitta su derivate e integrali, un’improvvisa vampata di calore m’investe e mi prendono i brividi bollenti e svengo ogni 15 secondi risvegliandomi giusto in tempo per non cadere. Sono svenimenti in piedi di cui nessuno si accorge perché mi si chiudono gli occhi per pochi istanti e ai passanti la cosa appare alquanto normale perché tutti chiudiamo di tanto in tanto gli occhi, ma, mentre gli altri chiudono gli occhi e li riaprono, io chiudo gli occhi, svengo, e li riapro; vi è chiara la non tanto sottile differenza?
Stamattina mi son messo lì col mio bel foglio delle regole di integrazione stampato a cercar di capire come ciufolo si faccia l’integrale di una funzione che poi mi son ricordato, perché l’ho letto, che fare l’integrale di una funzione vuol dire calcolare l’area della funzione da un certo punto a un altro. E visto che la funzione non è praticamente mai un triangolo, né un quadrato e quindi, ahimé, non si può fare base per altezza fratto 2 né lato per lato, c’è bisogno di questa cosa che è tipo una esse allungata (che non è il supermercato dove faceva la cassiera Giusy Ferreri) e che segue una valanga di regole strane. Sarebbe tutto più semplice se ogni oggetto appartenente al reale avesse inizio e fine e trama a sé, come un racconto. E invece no. Gli integrali, come un po’ tutta la matematica in generale, sono come Beautiful che se non hai seguito gli ultimi 5 milioni di puntate non sperar proprio di comprendere alcunché. Ecco come si risolvono gli integrali, con le primitive che non sono le donne del Paleolitico, ma oggetti matematici che equivalgono alla funzione che derivata ridà la funzione iniziale, se ho capito bene, ma è molto probabile che così non sia. A questo punto sorge la domanda: Che vuol dire derivata? Vallo a sapere! Neanche il generoso uomo di università che ha pubblicato on line un manuale di matematica per deficienti con problemi ha saputo essermi d’aiuto. Non si chiama così il manuale, ma la profondità e il linguaggio che utilizza per illustrare regole, funzioni e retroscena (sembra il trailer di un film e invece sto parlando di numeri e numeri e simboli e numeri, che poi sono i simboli il problema) lascia chiaramente intendere che il pubblico a cui ha pensato quando l’ha partorito è quello, i deficienti con problemi appunto. Ma io, visto il grado d’apprendimento,  devo appartenere addirittura a una branchia sottosviluppata dei deficienti con problemi. Il fatto è che devo violentarmi, non con un oggetto oblungo che di certo preferirei, ma con pagine e pagine di una roba che mi fa svenire, oltre che vomitare e cacare e non fatemi dire cos’altro, ma immaginate manifestazioni corporee e verbali non di quelle dolci e carine, insomma. Devo, perché ieri è tornato il dead-moment con tutti i soliti discorsi delle cose che non cambiano e anche se oggi va meglio quello è stronzo, si sa, e sta sempre là, pronto a zomparti addosso e buttarti giù di brutto. Intanto aspetto che mia sorella richiami. Ha chiamato un’oretta e mezza fa implorandomi di andarla a prendere. Io prima le ho risposto di no. Poi le ho detto di arrivare all’ospedale col bus, così faccio meno strada, e di richiamarmi quando è scesa, così aspetta lei e non aspetto io. Lei mi ha detto che non ha i soldi al cellulare e che richiamerà da una cabina. Io ho sbuffato e ho riagganciato. Poi mi son girato verso la finestra e ho notato che fuori piove e nevica, un po’ e un po’. Ho provato a richiamarla, ma non risponde. Ho ri-riprovato dopo un quarto d’ora e ha pigiato il pulsante rosso del rifiuto perché ho sentito quel tu-tu-tu triplo, che lo sai che ti hanno rifiutato. Chissà dove sarà! Questo per dirvi che io son proprio cattivo.

Quando una (uno è più difficile) rimane incinta

Quando una (uno è più difficile) rimane incinta è un po’ un problema. Lo sa bene il conte Wronski che, qualche ora prima di partecipare a una gara a cavallo decide di fare una sorpresa all’amata Anna (Karénina, 1038 pagine scritte fitte e siamo più o meno alla 260), sfruttando la momentanea lontananza del marito e del figlio Seriogia. La sorpresa gliela fa lei confessandogli di essere incinta. S’era capito che questi 2 ci stavano dando sotto come ricci ingrifati, però chi se l’aspettava? Io, dal profondo del mio letto infagottato dentro lenzuola e coperte e pure copertoni delle gomme antineve, per sicurezza, e illuminato dall’accecante neon, comprato a Emmezeta non certo meno di 3 anni fa e pagato 5 euro cash, alle 2 e mezza della notte ho esclamato: “Oh mamma saura!”. Wronski sembra felice e desideroso di fuggire con lei, lei non sa come abbandonare la sua famiglia e si stupisce del suo essere così titubante quando di stronze che lo fanno è pieno il mondo. A proposito di bimbi, dopo 9 mesi meno un quarto d’ora esatti, è finalmente nato Leonardo, il nipotino di McWendy. Dalle prime indiscrezioni pare abbia il nasone, e non soltanto quello di lungo. Se il buongiorno si vede dal mattino McWendy può essere orgogliosa di lui e può iniziare fin da subito a tramandargli i trucchi del mestiere perché, raggiunta la maggiore età, possa distinguersi come trombador d’eccezione.
Ieri sera al Mc secondo round di Al mio segnale scatenate l’inferno. Dovrebbero aprire una casa d’accoglienza per quanti una casa non ce l’hanno e vengono tutti i giorni a fare la fila per un panino riscaldato da Mc Donald’s, perché è una grossa fetta della società di cui nessuno si cura. Quando verso le 22.00 la situazione si era stabilizzata ed ero ormai fuori pericolo, infilo in bocca una crocchetta parmigiano e spinaci e, proprio in quell’istante, arriva di gran carriera il manager in cucina. Naturalmente è vietato fare piccoli spuntini durante l’orario di lavoro, ma tutti se ne fregano e farlo diventa una sfida con la morte. Io, più che una sfida, avevo bisogno di ingerire qualcosa se no svenivo e morivo, visto che non avevo neanche cenato. Riesco a masticare lentamente la pallina fritta dal contenuto incandescente che mi sale fino al cervello e inizia a bruciare i pochi neuroni rimasti attivi. Gli occhi prendono a sudare salsa barbecue. Mentre penso: Evviva, non mi ha scoperto, sento: “Matteo che cosa stai mangiando?” “Niente!” rispondo, mentre con la lingua mi lavo visibilmente i denti. “No, stai mangiando!” “Non è vero!” L’accusa, dopo un lungo Sì stai mangiando – No, non è vero ha dovuto cedere e sono stato prosciolto per mancanza di prove e testimoni.
Stanotte ho sognato che stavo costruendo una sorta di fortino per rifugiarmi non so da cosa, il bello è che mi affannavo a rivestirlo di scotch marrone per i pacchi, che mi faceva sentire al sicuro. Saranno stati gli spinaci e il parmigiano incandescenti a provocarmelo. Sono stato svegliato da mio padre che alle 6 e mezza ha scambiato la porta della mia stanza per il sacco della palestra e si è messo ad assestare cazzotti per farsi dare le chiavi per spostare la macchina, che le sue ce l’ha il carrozziere, così ha detto. Che poi mica l’ho capita questa cosa. La macchina sta in garage e le chiavi dal carrozziere? Vorrei infine comunicare al signore grasso che alle ore 19 e 15 ha pensato bene, alla guida di un camion dalle dimensioni non proprio di una micromachine, di entrare in corsia drive, incollarsi il tettuccio rosso e fuggire, che qualcuno, armato di tovagliolino di carta e penna, ha preso la targa quindi, visto che chi rompe paga, lui, a meno che non fugga stanotte stessa in esilio in qualche paradiso tropicale sconosciuto, sarà costretto a comprare un tettuccio nuovo, che sia rosso.

Quella ridicola donna ultracentenaria

Quella ridicola donna ultracentenaria che attende come un incubo la notte del 5 gennaio quando, a cavallo della sua scopa volante (non ho capito perché ancora non l’ha brevettata così si fa i soldi e si vive gli scarsi 3mila anni che le restano nell’ozio perenne, perché le freddure diventano pericolose a una certa età e quella mantella bucherellata non credo le sia molto d’aiuto), dovrà farsi il giro del mondo in 7 ore e riempire calze vecchie appese ai camini di dolciumi vecchi di un anno, ha ben pensato di liquidarmi con un leggerissimo foglietto anche colorato che io pensavo fosse, che so, un biglietto aereo per i Caraibi o il biglietto vincente della Lotteria Italia che pescano stasera e che io non ho comprato, ma spero di vincere lo stesso perché la speranza è sempre l’ultima a morire, e invece era il tagliando dell’assicurazione della mia Matiz scaduta il 31 dicembre, che ammonta a 450 euro. Cancella il mio indirizzo dalla lista delle tue visite e di’ a Babbo di fare lo stesso!
“Mamma, volevo parlarti di una faccenda.” “Sì?” “È arrivata una rata unica dell’assicurazione, quando io l’avevo divisa in 2 rate da 225 euro; ne sai qualcosa?” “Perché, dopo che tu l’hai divisa in 2 rate, io le ho fatte accorpare in una rata unica a dicembre, almeno ci leviamo il dente e stiamo a posto tutto l’anno.” “E perché non me l’hai detto?” “Ti devo comunicare tutte le migliorie che faccio?” “Non è una miglioria questa.” “Se ti piace stare sempre a pagare non lo è, a me no e quindi ho deciso così.” “Sì, ma perché parli di te riferendoti all’assicurazione della mia macchina che dovrò pagare io nella sua interezza?” “Perché è una questione anche psicologica, vedersi arrivare tutte queste cose da pagare, è una cosa in meno, no?” “Ho capito, ma per me è una cifra un po’ proibitiva tutta in una volta.” “Sì, ma te l’ha ordinato il medico di comprarti una macchina?”
Quando mi raggiunge la consapevolezza che potrei continuare a discutere con lei per ore tanto sarebbe sempre capace di sviare il discorso, emetto un paio di sospiri e annuendo procedo alla ricerca di una distanza di sicurezza. Sospiri particolari, tipo quelli che riecheggiavano nella minuscola stanzetta da notte della casetta di capodanno e che nessuno è riuscito a provare scientificamente appartenessero a me, come sostenevano i miei numerosi coinquilini di letto che detto così sembra un’orgia, che poi l’ho sentiti pure io i sospiri (e chiamali sospiri, sembrava la bora triestina) e dubito avessi subìto una sorta di sdoppiamento o viaggio extracorporeo nella notte, quindi escludo possa esserne stato io l’artefice. Ieri al Mc Donald’s sembrava l’inferno della storica scena del Gladiatore, nell’attimo immediatamente successivo al suo segnale. Non ho mai visto tanta gente disposta a farsi code interminabili, a consumare il pasto appoggiandosi l’uno all’altro, in piedi come statuine col vassoietto in mano, sparsi per tutta la sala, perché di tavolini liberi neanche l’ombra. A un certo punto mi è venuto anche da ridere perché non riuscivo a star dietro alle cotture delle cotolette chicken. Ne mettevo a cuocere 12, cioè la portata massima del cestello, e nei 4 minuti necessari alla cottura ne ordinavano 14, 15. Ho provato una pena immensa per quelle persone che dopo aver trascorso l’intera giornata in giro per le bancarelle della fiera, accalcati, a spintonarsi per accaparrarsi un paio di stivali, o un portafogli, o il grattino per le carote a poco prezzo, pensano bene di prolungare la loro agonia per un panino.   
Visto che l’Epifania tutte le feste porta via e visto che a me le poesie non piacciono, perché nella maggior parte dei casi, diciamo quasi totalità, non si tratta di poesie ma di versi incolonnati che, se mi ci metto, in una giornata ne produco anche 500, ma le filastrocche quelle le adoro, e visto che la storia della Befana che vien di notte con le calze tutte rotte ha un po’ rotto, come le calze, ho deciso di salutarvi con una, un po’ bruttina, di Rodari Gianni che si accontenta di poco, devo dire, ma mi piaceva per augurarvi definitivamente un buon anno, perché da domani si ricomincia sul serio.


Fammi gli auguri per tutto l’anno:
voglio un gennaio col sole d’aprile,
un luglio fresco, un marzo gentile;
voglio un giorno senza sera,
voglio un mare senza bufera;
voglio un pane sempre fresco,
sul cipresso il fiore del pesco;
che siano amici il gatto e il cane,
che diano latte le fontane.
Se voglio troppo, non darmi niente,
dammi una faccia allegra solamente.

L’avevo detto che era bruttina, eh.

In questi giorni sulla home page di Splinder

In questi giorni sulla home page di Splinder troneggiano ben 2 banner pubblicitari, uno più grande, ma dal medesimo contenuto che recita così: vinci una macchina fotogarphica Sony e un viaggio per due presone a Parigi. Chi l’ha ideato e trascritto il testo, un teppistello di Io speriamo che me la cavo? Che poi neanche a dire: sa, è un romanzo di 1038 pagine scritte fitte (Anna Karénina e il conte Vronski si stanno dando alla pazza gioia mentre Kitty sta morendo di dolore per il rifiuto del conte, e l’alto funzionario zarista, marito della Karénina, indossa con eleganza 2 corna ramificate. Il bello è che lo sa, ma per ora tende a far finta di niente per salvare la faccia. Stefano, fratello di Anna e marito di Dolly (sorella di Kitty) ha appena beccato una sòla pazzesca vendendo un grosso appezzamento di terreno a molto meno di quanto realmente valesse. Levin, innamorato perso di Ktty e amico di Stefano glielo fa notare ma a lui poco frega, l’importante è che ci fa 4 soldi, sporchi maledetti e subito) e allora qualche errore ci può scappare, ma sono 2 righe, cosa ci voleva a rileggerlo prima di pubblicarlo? Comunque io non lo clicco perché, considerata la professionalità che trasuda da ogni pixel, come minimo m’acchiappo un virus al solo sfioramento di mouse e, se poi vinco il viaggio a Parigi (che tanto ci vado lo stesso), sicuro il loro aereo precipita con me a bordo e a quel punto di una macchina fotogarphica non saprei che farmene.
Ieri sera ho mangiato il primo kebab (e non certo l’ultimo) della mia vita. Una delizia. “Che ci mettiamo?” “Eh, non lo so. Mettiamoci quello che va in un kebab, no?” “Quello che vuoi!” Davanti a me ci sono 4 vasche. In una riconosco l’insalata, in un’altra i pomodori, in un’altra forse so cosa c’è, se è cipolla quella massa di schegge umide incollate in matrimonio. Il contenuto dell’ultima mi è ignoto; non mi viene in mente nulla di fisicamente affine a quella roba bianchina che dà sul verde. “Insalata, pomodori, poi cipolla?” chiedo dubbioso. “Sì, la vuoi?” “No, per carità!” “La verza la vuoi?” “Oddio è verza quella?” “Sì!” “No, mi fa schifo, scusa” e poi aggiungo: “Questa che salsa è?” “Piccante” “Ok, un po’ di quella e a posto così” “Che altro ci vuoi?” Ho detto a posto così, e poi sono finite le opzioni, mi pare, a meno che non sia concesso ficcarci un supplì o uno di quei dolcetti collosi che non mi ricordo mai come si chiamano; perché mi chiedi che altro ci voglio? “Va bene così grazie.” Avrei potuto gustare, pagare e andare via, il fatto è che io sono curioso e pochi spruzzi di quella salsa avevano trasformato il mio kebab in un vulcano e a me il piccante fa impazzire, lo metto dappertutto pure sui tortellini con la panna (nel latte no, ma la cioccolata al peperoncino è fantastica). E allora ho sentito un bisogno fisico di approfondire l’argomento. “Come la fate questa salsa?” “Con questo” e mi mette sotto il naso un barattolo che sembra di pomodoro e invece è un composto rosso piccantissimo. “Lo voglio, dove si compra?” “Io lo prendo a Roma” “E io lo posso prendere da te?” Rimane in silenzio in bilico. “Dai, solo un barattolo!” e faccio gli occhioni del gatto con gli stivali. Ancora in silenzio finché: “Sì, anche se io non lo vendo di solito eh!” Me l’ha fatto pagare 5 euro; secondo me ho fatto un affare peggio di Stefano coi suoi terreni, se consideriamo il viaggio L’Aquila-Roma già sono 20 euro di autobus andata e ritorno. Non vi pare? Evviva domani un paio di cucchiaini di Sauce Piquante de Tunisie nel sugo e passa la paura; spero di non mettermi a eruttare lava. Se non dovessi riuscire a consumarla entro il 26 ottobre 2010 che scade, invito la vicina di casa a pranzo, quella che prende a calci il suo cane per intenderci, e l’avveleno.
Ieri sera mi arriva questo PVT: Ciao, scusa l’intrusione ma questo vuole essere il mio ultimo tentativo per tornare a vivere. Ti prego, passa nel mio blog, prova anche tu ad aiutarci. Se puoi e non hai pregiudizi, spargi la voce della mia esistenza. Spero qualcuno possa realmente tirarmi fuori da questo incubo. Sono andato a dare un’occhiata e ho deciso di assecondare nel mio piccolo la richiesta disperata di questa famiglia provando a diffondere la storia di Nicholas, bambino bellissimo sottratto ai genitori da un sistema sociale che forse pensa così di fare il suo bene. Il blog è Aiutiamo Nicholas. Aiutarlo a tornare a casa si può, intanto parlandone.

La notizia della morte di Valentina Giovagnini

La notizia della morte di Valentina Giovagnini mi ha scioccato. Ricordo quel Sanremo giovani e ricordo benissimo quando al momento in cui fu decretata vincitrice Anna Tatangelo pensai: “Non è possibile!” perché era così evidente che in mezzo a tanto orrore (Tatangelo inclusa) Il passo silenzioso della neve illuminava e stravolgeva l’aria soporifera dell’Ariston. Claudio Cecchetto disse: "Non ho parole ma un voto: 10". Victoria Cabello: "9". Daniele Bossari: "Pelle d’oca: 10". Chiara Tortorella: "La rivedrò sicuramente… 9". Enrico Vanzina: "Quella signorina è un’artista: 10". I giornali ebbero parole entusiasmanti nei suoi confronti. Il Corriere della Sera: "Valentina è la novità… ha stregato perfino un opinionista velenoso come Giampiero Mughini con un brano in equilibrio tra melodia e sperimentazione e con una presenza scenica alquanto intrigante…". La Repubblica: "A portare un soffio di speranza c’è Valentina Giovagnini". Il sito del Festival: "Abbiamo trovato qualcosa che vale la pena di seguire nel grigiore generale".
La imparai a memoria a forza di ascoltarla. Valentina è stata molto sfortunata, prima nella musica, perché se avesse vinto intanto avrebbe fatto un altro Sanremo e forse sarebbe stato tutto diverso, e poi nella vita che le ha abbinato un destino orribile facendola uscire di strada a una curva in un pomeriggio di merda. Cose così mi fanno tremare di paura e allora, codardo, riprendo a pregare per le mie piccole gioie. Voglio lasciarvi col video del Passo silenzioso della neve che, alla luce di quello che è successo, acquista tutto un altro significato.


Ascoltate anche Senza origine live al Festivalbar e l’ultimo singolo Non piango più.

Roberto Valdata era un finanziere di 27 anni

Roberto Valdata era un finanziere di 27 anni. È stato ritrovato morto martedì mattina per assideramento dopo essere caduto in un canale parzialmente ghiacciato nell’oasi naturalistica di Crava-Morozzo (Cuneo). Il corpo era vicino a una diga e alla carcassa di un capriolo, una circostanza che fa supporre che Valdata avesse cercato di soccorrere l’animale bloccato. Nonostante fosse fuori servizio, quella mattina si è recato ugualmente in caserma a prendere Upi, un cane lupo di circa un anno di cui era l’addestratore. Partiti nella tarda mattinata, i due si sono diretti all’oasi. Parcheggiata l’auto, l’appuntato ha raggiunto con Upi il fiume Pesio che attraversa l’area protetta. Da qui in poi non è chiaro cosa sia successo. Il fatto che il corpo di Valdata sia stato trovato vicino al capriolo morto lascia aperta la possibilità che l’uomo possa essere caduto nel tentativo di salvarlo; sicuramente è andata così.
È stato necessario l’abbassamento dell’acqua nel letto del canale per individuare il cadavere. È probabile che il cane abbia assistito all’episodio. È tornato alla vettura dov’è stato notato da una donna di passaggio che, vedendolo nella stessa posizione dapprima alle 3 del pomeriggio e poi alle 23, ha dato l’allarme ai carabinieri.
Così recita il
regio decreto n° 1423 del 4 novembre 1932 (nuove disposizioni per la concessione delle medaglie e della croce di guerra al valor militare).
“Le decorazioni al valor militare sono concesse a coloro i quali, per compiere un atto di ardimento che avrebbe potuto omettersi senza mancare al dovere ed all’onore, abbiano affrontato scientemente, con insigne coraggio e con felice iniziativa, un grave e manifesto rischio personale in imprese belliche. La concessione di dette decorazioni può aver luogo tuttavia solo quando l’atto compiuto sia tale che possa costituire, sotto ogni aspetto, un esempio degno di essere imitato.”
Allora, visto che la proposta alla commissione deve farla il Ministro della Difesa, chiedo a La Russa di valutare la possibilità di far avere ai genitori di questo ragazzo una medaglia al valore, perché il loro figlio è un eroe ed è degno di pubblico onore.

Questo incredibile capodanno mi ha presentato

Questo incredibile capodanno mi ha presentato la Morte, a cui evidentemente sto antipatico, ben in 2 occasioni. Mi sembra un ottimo traguardo non essere stato decapitato dal sedile della seggiovia a 4 posti che arrivava dietro di me. Ieri, l’ultimo giorno alla casetta, abbiamo deciso di svegliarci alle 7.20 per concludere il capodanno sulle piste da sci di Prati di Tivo. Se non fosse stato per Luca che, appena suonata la sveglia, si è preparato in un lampo per costringerci con le sue torture ad alzarci, facendo abbondante uso di mezzi poco ortodossi: urla nelle orecchie, pentole e coperchi sbattuti nell’aria, la luce accesa mentre gridava: “Buongiorno!” e ci privava delle coperte e non è proprio l’ideale a 1600 metri e a -10 gradi fuori, nessuno si sarebbe mai svegliato (e nessuno lo avrebbe tanto odiato come ieri mattina) e mai saremmo andati a sciare, e non ci saremmo così divertiti. Certo, io non avrei rischiato la vita, comunque, visto che non sono morto né ho riportato lesioni permanenti, lo ringrazio. Skipass + sci + racchette + scarponi coi pollicioni a fine giornata sull’orlo della cancrena = 37 euro, e ora il debito con Luca è salito a 150 euro (pare voglia pure gli interessi). Mi sa che devo cominciare a cercare un triplo lavoro, oppure uno solo che mi faccia guadagnare il triplo del mio onorevole e profumato part-time da Mc Donald’s. If anyone has something for me, thanks! Saliamo amichevolmente in 4, dondolando con le gambine sul vuoto come allegri fanciulli decenni e, nell’attesa di raggiungere l’inizio della pista, raccontavo di quando l’ultima volta che ero salito su un paio di sci, saran stati 8 anni fa, avevo concluso la mia folgorante carriera da autodidatta impedito incastrandomi con la punta dello sci nella grata di scolo dell’acqua, che stava proprio nel punto esatto in cui la seggiovia riprende il suo viaggio a ritroso, e che avevan dovuto fermare gli impianti e pure azionato la sirena; tutto questo per me, che onore! Ieri ricordavo la scena con malinconica dolcezza. Erano altri tempi, son cambiate tante cose, sono cresciuto, maturato, vuoi che lo spettacolo si ripetesse a così tanto tempo e km e seggiovie di distanza? Ebbene, a grande richiesta ho replicato, però stavolta avevo un non so che di scaltra eleganza in virtù della innegabile raffinatezza nei movimenti che il tempo mi ha donato. Mi spingo per scendere, evviva non cado. Tutti si spostano a inizio pista io mi sistemo un attimo i jeans perché la tuta non ce l’ho e la giacca s’era appallottolata e pure la fascia, che l’orecchio destro tra un po’ si sgancia e lo ripongo in tasca. Loro si sbracciano per avvertirmi del pericolo, io penso che vogliono mettermi fretta e dico: “Ho fatto, eccomi che arrivo!” Alla o di arrivo mi arriva una botta atroce tra schiena e culo. Capisco immediatamente cosa sta accadendo e penso che l’unico modo per non morire è riaccomodarmi sulla seggiola e tornare giù. Scelgo di fare la più smodata figura di merda della storia e salvarmi la pelle, ma non ci riesco perché la punta dello sci s’incastra nel tombino, che ovviamente era posizionato a meraviglia perché il bis fosse perfetto. Io cado mentre la seggiola avanza e, visto che nessuno si accorge di me, arriva pure quella dietro che mi decapiterà, lo so. È là che scatta la forza della disperazione, quella energia inspiegabile che ti fa tirar fuori anche quello che non hai perché, se non lo fai, muori. Mi sono accucciato sulla neve pregando che ci fosse abbastanza spazio perché la seggiola passasse sulla mia testa senza spaccarmi il cranio come un martello farebbe con un salvadanaio a forma di porco carico di monetine, come quando passi su un riccio con la macchina e lui non si fa niente perché capita al centro, e così è stato. L’omino finalmente ferma gli impianti e, se qualcuno non si era accorto del mio show, ci pensa la sirena ad avvisarlo. Accorrete numerosi! Io rialzo la testa sollevato e il rinculo della seggiola fa sì che mi arrivi una tranvata in fronte memorabile. “Devi stare più attento e toglierti subito da qua, la prossima volta!” (Grazie di esistere!) “Poteva fermarla un po’ prima visto che mi stava per decapitare.” “Io che ne so che uno fa una cosa del genere!” Mi riprendo e raggiungo i miei amici, poi mi giro e grido: “Comunque non ci sarà una prossima volta!”
A fatica raggiungo il fondo pista sotto choc, mentre Luca ride. Giunti giù ci guardiamo e diciamo che non ci va più, ma mai più nella vita proprio, aggiungo io, e allora andiamo a prendere una cioccolata con panna al bar. La panna era quella spray del supermercato che era pure finita e allora la signora l’ha scrollata nelle tazze e il risultato è stato che, tempo di trovare un mezzo tavolino libero, e la panna aveva perso la sua tridimensionalità precaria trasformando la cioccolata calda in un’apparente tazza di latte dalla candida superficie.
La vita l’ho rischiata pure al ritorno che ero stanco e ho sbagliato strada. Una a caso delle molteplici volte in cui il sonno mi ha vinto alla guida, mi sono risvegliato a gran velocità e a 20 cm da una colonna che prima mi sono chiesto se ero finito in un buco spaziotemporale ritrovandomi nella Grecia dorica e poi mi son posto il problema di evitarla, ma come sta accadendo spesso negli ultimi tempi, c’ha pensato la colonna, che gentilmente s’è scansata. Oggi dura giornata di lavoro e, anche se ho alle spalle troppo poche ore di sonno, è l’umore che sta meglio e che vuole riempire quella bellissima valigia il prima possibile.