4 chiacchiere (contate) con… [o]

Rullino tutte trombe, squillino i tamburi perché ci siamo. Signore e signori ecco a voi la puntata numero 0 della mia primissima rubrica ufficiale 4 chiacchiere (contate) con… (è un gran giorno questo).
Ve l’ho detto, cominciamo col botto. Il protagonista è uno dei massimi esponenti della letteratura italiana, forse il più grande di sempre, e mai più ne verrà fuori uno dal così indiscutibile, sopraffino, elegante talento. Scopritelo voi di chi stiamo parlando. Poi si sa che de gustibus…

4 chiacchiere (contate) con… [0]

Non prendete impegni per i prossimi sabato perché questo sarà l’appuntamento fisso del week end da qui a non si sa quando, ma molto lontano. E leggetela con attenzione che ci son grandi anticipazioni che spero vi piaceranno.

4 chiacchiere (contate) con…

Ieri ho provato ripetutamente ad accendere il PC puntando sul monitor il telecomando della TV, questo giusto per farvi render conto di quanto stia fulminato ultimamente. Sempre ieri, nella fatidica doccia, mi son messo a pensare, perché io nella doccia non canto – preferisco evitare che il barattolo di shampoo rosa, che sembra la melma psicomagneterica che intasava le fogne nel celebre Ghostbuster 2, decida di piombarmi sull’alluce per farmi smettere – però penso, spesso anche ad alta voce. Riflettevo su quante cose stia facendo in questo periodo. Ho stilato un elenco e son rimasto sconvolto. Questo mi ha portato a chiedere, con lettera scritta e sottoscritta a Benedetto XVI, di ufficializzare la prima santità di persona viva e, all’evidenza di tutti, dotata di ubiquità: io.
Accade che mi salti in testa l’idea di una rubrica; mica sotto la doccia, qualche mese fa. I lettori della Stanza sanno bene che io ogni tanto ne lancio una, ma questa non era destinata a restare nella Stanza del Matto e allora l’ho tenuta per me, sperando un giorno di trovare la sua giusta collocazione. Ed ecco la supernovità di cui vi parlavo. Da domani sul sito Sololibri.net parte 4 chiacchiere (contate) con… la mia rubrica di interviste agli scrittori. Ogni sabato intervisterò uno scrittore, che sia emergente, emerso o affondato non importa; l’importante è che stimoli la mia curiosità. Eviterò le solite pappardelle chilometriche fatte di domande scontate di chi, di quell’autore e del libro che ha scritto, in realtà, se ne frega. Le mie saranno come 4 chiacchiere davanti a un Mojito in un bar non troppo affollato. Di più non posso dirvi, ma vi assicuro che sarà una gran figata. Alla vigilia di quest’avventura voglio ringraziare tutto lo staff di Sololibri.net che, intanto, mi permette da tempo di pubblicare recensioni per il loro portale, e in particolare Rachele Landi, che ha creduto nella mia idea buttata lì un giorno per caso, e ha cooperato intelligentemente con me perché tutto fosse giusto. C’è molto lavoro dietro quella che appare una cosa lampo, lavoro che non si vede come non si vedono spesso coloro che ne sono gli artefici. Quindi grazie per quello che hai fatto, grazie per l’opportunità immensa che hai voluto darmi, e grazie per quello che farai. Poi vorrei ringraziare gli scrittori che, entusiasti, mi han detto di sì, e tutti quelli che si lasceranno torturare dalle mie non troppo innocue 4 chiacchiere. Invito chi volesse partecipare a scrivermi a: matteo1077@gmail.com, ma ormai la mia e-mail la conoscete.
Detto questo, domani si parte, e cominciamo col botto perché il primo è, a mio avviso, il più grande autore di narrativa vivente che, fra le altre cose, ci darà delle anticipazioni sulla sua prossima uscita ormai imminente. Uno scoop, insomma. Fortuna che lo conosco come le mie tasche, quindi non è stato complicato convincerlo a lasciarsi intervistare. Se c’è un autore che conoscete di persona o per i suoi scritti, o che non conoscete, ma vi pacerebbe vederlo nella rubrica, non esitate a segnalarmelo e a segnalare a lui l’iniziativa. I vostri consigli sono oro.

Ieri non ho avuto neanche il tempo di farmi il bidet

Ieri non ho avuto neanche il tempo di farmi il bidet, mannaggia. Ho studiato come uno studentello sfigatello secchioncello tutto il giorno. E, quando dico tutto, vuol dire dalle 10 di mattina alle 5 di sera: l’ora X del ricevimento del prof. Ho fatto anche carbonizzare la minestra di farro acquatica. Dopo un tot di tempo, l’acqua, per quanto potesse essere abbondante – ci potevi gettar dentro un pesce rosso, avrebbe respirato senza problemi – s’è prevedibilmente ritirata, e poi il farro e le patate e i fagioli e quei filamenti arancioni che mi parevan tanto i tentacoli di una medusa, fino a formare un tutt’uno col fondo della pentola (non è evaporata pure quella soltanto perché è Mondial Casa), e quando te n’accorgi è sempre troppo tardi. Fortuna che c’erano gli straccetti in padella al pomodoro, se no mi toccava ripranzare con una tazza di latte con dentro 5 cucchiai di cacao amaro che non si mischia e mezza busta di biscotti alle uvette dell’antica pasticceria nonsoché, duri che l’altra sera c’ho piantato un chiodo sulla parete sopra al letto, per mettere un quadretto che già m’ha stufato, solo che ormai ho bucato. Mi son legato alla scrivania con una corda d’acciaio e ho impostato la modalità: sedia dura, perché su quella girevole imbottita che ho davanti al PC poi mi metto a molleggiare e a girare e mi lancio con le rotelle, e vengo risucchiato nel mare denso dei blog e delle e-mail e dei file Word e dei romanzi; e al prof poi che gli racconto, i blog e i file Word e il mare denso come la minestra prima di tramutarsi in silicone sigillante? Alle 17.25 ero fuori dal suo studio. Stavolta i 5 minuti che avevo calcolato perché non mi ricordo mai che piano è, non son serviti; l’ho beccato al primo tentativo, lo studio. Busso, provo ad aprire. La porta è chiusa a chiave, lui non c’è, arretro, mi accomodo sul termosifone a 2 tubi, e attendo. Passano 5 minuti. Passano 10 minuti. La Invy esce dal suo ufficio con l’osso troglodita tra i ricci sfibrati e va via prenotando le pizze al telefono. Non ha molto tempo per sistemarsi l’acconciatura, né per cucinare, lei che è fra i primi 10 scienziati riconosciuti al mondo nell’ingegneria informatica. Quell’altro marpione di Corty la segue e, fingendo l’incontro casuale, prova a domandarle qualcosa su nuovi corsi da tenere e borse di studio da far prendere a qualcuno. Birba non si vede e sono ormai le 17 e 50. Chiamo Niccolò. “Vedi se ha messo un avviso sul suo sito, tipo che oggi sta a New York e che quindi il ricevimento non si fa?” “Sul sito dice che l’orario di ricevimento è dalle 11.00 alle 12.30.” “What’s?” “Sì sì, dice così.” “E perché sul sito di informatica dice che è alle 17 e 30?”
Per un attimo penso che posso ancora farcela. Se solo dietro quel bitubo tiepido su cui sono abbandonato si celasse una seppur primordiale macchina del tempo, mi basterebbe impostare il timer a poche ora fa. Giro la manopola di plastica per provare, e il termosifone comincia a sputarmi addosso acqua bollente che puzza pure. Torno a casa col fegato ormai ridotto alle dimensioni di una Zigulì. Che poi ho scoperto che quello delle 11 è il ricevimento a Ingegneria, perché lui insegna anche là. Così alle 2 e mezza di notte mi son ricordato di scrivergli per segnalargli l’accaduto. Ho come la sensazione che non sarà una risposta dolcificata (come dice Garrison) la sua.
Ieri mi son visto Amici. Qualche lampo: Alessandra Amoroso, se non la producono, non capiscono una ceppa, e questo è più che probabile. Intanto quella ragazza, col suo inedito Immobile è prima nei download. La De Filippi portava un vestito che sembrava le fosse esplosa una bomba fra le cosce, o che dovesse decollare da un momento all’altro e fare il giro del mondo lanciando volantini di Scialla dall’alto dei cieli. A proposito, Bonolis, che a un certo punto è comparso a fare promozione per Sanremo, ha detto che il disco di Amici ha venduto 120mila copie in una settimana. Che sarà primo posso anche crederci, ma 120mila copie in Italia non le vende in una settimana neanche Madonna. Ma perché uno deve prendere per dementi i telespettatori? Platinette, con Bonolis davanti, aveva la possibilità di fare un intervento sensato e chiedergli ad esempio perché nel 2009 debba essere concesso a qualcuno di cantare una roba che s’intitola Luca era gay. Non diciamo che bisognerà ascoltarla, leggere il testo, e cagate simili. Il titolo è di per sé offensivo all’idea di civiltà. Comunque Povia non è la brava persona che pareva quando con quel visino angelico cantava di bambini che fanno oh. L’ex manager ha dichiarato che tutti i proventi dei Bambini fanno quel verso là, sono andati in beneficenza sì, ma in becchine per piccioni di città. Infatti pare che Povia se li sia intascati tutti quanti ahum ahum e, considerato che è stato in classifica più di un anno, non son proprio 4 monete di cioccolata. E invece Platinette gli chiede perché ha scelto Maria come compagna d’eccezione per l’ultima serata, che è un po’ affine al perché ha voluto che partecipasse Marco Carta. Perché Sanremo, da quest’anno, non è più Sanremo, ma, come dice Platy, una sorta di Amici versione old. Ce lo vedo Albano che litiga con Jurman perché non ha estensione, interpretativamente parlando (l’accostamento di parole più pronunciato della serata e più orribile che abbia mai sentito). Domani vi spiego la super novità, ora vado a farmi la doccia.

Il tempo, inteso come inesistente elemento

Il tempo, inteso come inesistente elemento che l’uomo ha teorizzato per regolarsi, dovrebbe mantenere costante la sua velocità di crociera, se non erro. (Io a scuola non ho mai aperto un libro al di là della copertina, avete presente la prima pagina bianca dove si provano le penne? Quindi fate conto che tutto quello che dico è frutto di mie intuizioni alla vista di fenomeni naturali. Capite ora perché sono un genio?) Il tempo procede senza metter fretta a nessuno e senza neanche impantanare nessuno e, fondamentale, senza sbalzi di velocità. Mi vien difficile pensare che il tempo abbia fretta o che sia stanco e decida di rallentare. Non come il Titanic che, per fare lo sparone e arrivar prima, perché era la nave più imponente che fosse mai stata costruita e – sia ben chiaro – inaffondabile, è capitato nella notte ad attraversar una zona vagamente pericolosa e, va bene che l’omino, che ha il compito di urlare alla visione del pericolo, stava facendo uno dei sogni più erotici di sempre: trombare la poppa di un’orca assassina in poppa, però andar più piano e affrontare la distesa di iceberg di giorno, pareva brutto? Che poi, secondo me, in quell’occasione, se la son tirata da soli. Io non ricordo, Titanic escluso, sia mai stato detto di una nave che era inaffondabile, invece quelli continuavano a ripeterlo ai pranzi in prima classe e ai concertini, e mentre Jack e Rose si alitavano in faccia nella carrozza appannata, e alla fine è affondato. Per la serie: Così impari, gne gne gne gneggne!
Comunque pure se un secondo è un secondo e un’ora è sempre un’ora, ci sono istanti e istanti, e minuti e minuti. Ricordo la prima volta che dovevano bucherellarmi il braccio per guardare nel mio sangue. Seduto su una sedia di plastica bianca accanto a una signora con le vene gonfie, che aveva il numeretto successivo al mio e borbottava che doveva andare a fare la spesa. L’ho fatta passare avanti non certo perché preoccupato del suo sostentamento – la mia vita sarebbe comunque andata avanti serenamente pure se fosse morta di fame, la vecchia – ma per dilatare al massimo quell’attesa, per vedere quell’ago il più tardi possibile. Poi ci son mesi che volano e non riesco proprio a stargli dietro. E giorni che s’incollano sulla palle insieme alle lancette dell’orologio che ticchettano, ma non si spostano. Non è vero che il tempo è sempre uguale, penso mentre svuoto un barattolo di Nutella mezza congelata a colpi di forchetta. Pensate alle 8 ore della notte per esempio (beato chi le dorme). Quelle son troppo veloci per essere 8 come le ore al lavoro, che sembra che alla fine debbano darti una specie di premio alla resistenza, neanche avessi superato il training per L’isola dei famosi, o fossi riuscito ad ascoltare l’intero CD di Tony Dallara senza vomitare rane scoppiate.
A proposito di vomitare, vorrei invitare Wendy ad andarci piano coi rum e pera perché io, la prossima volta, dentro casa sua alle 4 di mattina, che siam dovuti entrare dal garage che la porta non si apriva perché i suoi avevano giustamente messo la chiave dietro, non ce la riporto. Che mi son anche dovuto sentir un uomo sospetto quando – tu guarda la sorte! – il cognato è rientrato mentre io uscivo dal garage. Tra l’altro io mica lo sapevo che era il cognato quello, e mi son messo anche una cerca paura vedendo uno sconosciuto che s’infilava in casa sua di notte con lei in quelle condizioni sul divanetto della taverna, e non ho neanche dormito all’eventualità che quell’uomo potesse abusar di lei. O che, conoscendola, lei potesse abusar di lui, ecco.

Milk

Volete sapere perché Gomorra è stato escluso dagli Oscar? Perché per sfortuna dell’Italia, di Saviano, di Garrone, ma mi vien da ringraziare Dio per il mondo intero, invece, esistono film come Milk. Sono andato a vederlo ieri sera. Lo davano al Massimo, il cinema che da un po’ di anni a questa parte sembra voler fare soltanto scelte di qualità, quei film la cui risonanza appare minore a dispetto di una loro consistenza fortissima, spesso incompresa ai molti. In sala eravamo 6, mentre Italians al Movieplex faceva il tutto esaurito. Non che a me Verdone non piaccia, anzi, ma avevo voglia di farmi trasportare dal racconto di un’esistenza capace di evocarmi riflessioni forti. È la storia di Harvey Milk e del suo coraggio. Come molte altre persone omosessuali dei primi anni 70, Milk si trasferì a San Francisco, dove si stabilì con il suo compagno Scott Smith e aprì un negozio di fotografia nel quartiere gay di Castro. Emerse ben presto come un leader della comunità gay fungendo da rappresentante per gli interessi del quartiere nelle relazioni con il governo cittadino. A dispetto di un clima ostile a livello nazionale agli omosessuali, si candidò 3 volte (senza successo) a cariche elettive. Emerse così come portavoce della vasta comunità gay di San Francisco finché, nel 1977, venne finalmente eletto consigliere comunale, risultando così il primo rappresentante eletto di una delle maggiori città degli Stati Uniti ad essere apertamente gay. Si batté in difesa di una legge per i diritti dei gay. Fu decisivo nel rigetto della Proposition 6, supportata dal senatore dello stato Briggs, che avrebbe permesso il licenziamento degli insegnanti dichiaratamente gay in base alla loro identità sessuale. Harvey Milk venne assassinato il 27 novembre 1978 all’interno del Municipio, dall’ex consigliere comunale Dan White. White aveva rassegnato le dimissioni pochi giorni prima, a seguito dell’entrata in vigore di una proposta di legge sui diritti dei gay a cui si era opposto. Entrò in municipio attraverso una finestra aperta del seminterrato, per evitare che venisse scoperto con la pistola e con i 10 caricatori che aveva in tasca. Dopo essersi fatto strada fino all’ufficio del Sindaco, incontrò Moscone e cercò di convincerlo a riconfermarlo. Non riuscendoci gli sparò ripetutamente. White ricaricò l’arma e si aprì la strada fino alla parte opposta dell’edificio, dove incontrò Milk e gli sparò al petto. Milk collassò a terra privo di sensi. White continuò a sparargli un altro intero caricatore a bruciapelo sulla testa. Milk, consapevole del rischio che correva, aveva registrato numerose audiocassette da ascoltare qualora fosse stato assassinato. In una di queste registrazioni sono immortalate le sue parole ormai celebri: Se una pallottola dovesse entrarmi nel cervello, possa questa infrangere le porte di repressione dietro le quali si nascondono i gay nel Paese”.
Non si intraprendono battaglie contro concetti calcificati in milioni di teste, senza essere un po’ folli. Un uomo immensamente coraggioso a capo di un movimento che chiedeva soltanto il diritto di un’esistenza giusta, quella che dovrebbe garantire ogni luogo civile. Ha convinto un intero Paese a dare ascolto alle parole di una minoranza considerata ancora il frutto di una qualche strana modificazione genetica o addirittura del Male come antagonista di Dio. Un film che consiglio senza alcun dubbio, e mi auguro che le 8 statuette dorate degli Oscar se le porti a casa tutte.

Hai disturbi omosessuali da un po’?

Hai disturbi omosessuali da un po’? Provi vergogna a chiedere un medicinale efficace al tuo medico di famiglia perché senti dire da tutti che non è una malattia quella? Non ascoltarli, perché guarire si può. Povia consiglia: ETEROgermina. Ripopola la giusta flora ormonale restituendoti la tua sessuale normalità. Fidati del piccione!

Mi vengono così, come le scoregge. Un po’ come sarà venuta la canzone a Povia, insomma.

Non sono mai stato bravo con gli abbinamenti

Non sono mai stato bravo con gli abbinamenti cromatici. Quando si tratta del vestire poi, chiedere un consiglio a me è peggio che chiederlo a un cinese nato cieco. Il cinese per me è rappresentativo di ogni tipo di incapacità, non perché i cinesi non siano un popolo sveglio, furbo, abile, anzi, ma perché mi son antipatici a pelle, a prescindere dalla singola persona che comunque non saprei riconoscere (chiamasi razzismo). Come può essermi simpatico un popolo di elementi tutti uguali, più simile a un agglomerato di insetti laboriosi, un formicaio o un alveare, che a una società umana? Magari loro di mode e colori son anche esperti – da come vanno in giro, che sembrano degli involtini primavera intrappolati in una tovaglia natalizia, nutro i miei giustificabili dubbi – e quindi cade la mia osservazione, che non vuol essere scientifica, ma solo uno sfogo personale perché io dei cinesi, da quando sotto i portici di San Bernardino ci sono più negozi di inutili chincaglierie orientali, che emettono suoni insopportabili, che colonne, ne ho le palle piene. Potrei rivedere la mia idea soltanto in funzione della loro pelle che, all’asilo, ti fanno colorare con lo stesso pastello che prima avevi usato per il sole, ma anche questo discorso cade perché i cinesi non hanno la pelle gialla, ma di un colore che lo ricorda vagamente che, abbinato al concetto di pelle, non è più così gradevole e va ad avvalorare il mio distacco.
La mia incapacità di scegliere una giusta camicia per quel giusto pantalone che stia bene con le scarpe e poi con la giacca e che non stoni con la sciarpa è dovuta essenzialmente a un motivo: nell’armadio ci saranno 3 camicie, 3 maglie, 4 pantaloni, un giubbotto invernale, una giacca di jeans autunnalprimaverile (in estate la giacca non la uso) fine. Fate conto che alcuni 3 e 4 sono piuttosto ottimistici. Le opzioni possibili son molto ridotte, come sono ridotte le possibilità che esista un abbinamento fra tutti che sia quantomeno dignitoso. Qua scatta il sottomotivo, perché potrei anche andar in giro a fare shopping e rinnovare drasticamente il mio guardaroba, ma non lo faccio perché fare shopping mi stressa come nulla al mondo, fosse per me non entrerei in un negozio di vestiti mai nella vita, e poi perché io al vestire ci tengo come potrei tenere al mio giardino, che mio padre è imbufalito perché ogni volta che devo uscire calpesto l’erba ignorando l’esistenza di una stradina in pietra che giunge al cancelletto. È solo che io son sempre in ritardo e facendo la stradina allungo di almeno 7 o 8 secondi, per non dire 10 e allora opto per la scorciatoia, e l’erba calpestata sta diventando tutta giallina. Io l’ho sempre detto che questo giardino farà una brutta fine perché, finché ci son loro che se ne occupano sarà sempre rigoglioso e motivo di vanto nelle solite cene da calendario, ma quando il rincoglionimento avrà fatto dei miei, 2 rimbambiti alla riscossa (e poco ci manca) il giardino si evolverà in giungla e prolifereranno specie animali e vegetali di ere passate, pericolose e non troppo amanti della compagnia, perché io non l’ho mai voluto e poi il pollice verde non ce l’ho.
Tutto questo per dirvi che ieri, mentre mi cambiavo davanti allo specchio dello spogliatoio del Mc Donald’s, ho scoperto di avere gli slip bianchi con la t-shirt nera, destando, forse a ragione, l’orrore del collega che si cambiava con me. Ma non andava lo spezzato quest’anno?

Ai saldi ho preso 2 paia di scarpe

Ai saldi ho preso 2 paia di scarpe. Visto che faccio lo scrittore e ho venduto pure tanti milioni di copie (dico tanti per non umiliare con dati precisi gente come Giordano, Saviano, J.K. Rowling che al paragone si sentirebbero così piccoli da rischiar di piombare in una depressione logorante. Io nel fondo di qualche antro dimenticato del mio indecifrabile animo non son malvagio, quindi non mi va che qualcuno cada in depressione per colpa mia, perché son cose brutte queste) dispongo di cifre che superano di gran lunga (almeno il doppio) il budget medio del campione di persone selezionato per l’indagine su quanto sia il budget medio (appunto) nel terzo della Terra in cui c’è ancora acqua, pane, cioccolata e di fame non muore quasi nessuno perché se ti accucci fuori un ristorante qualche avanzo a fine serata te lo gettano pure (indagine che mi son appena inventato, ma che qualcuno avrà certamente fatto visto che tanto originale non mi pare). Il terzo del mondo (da non confondersi col terzo mondo) col cuore nobile, insomma. E allora, fatte le dovute proporzioni, se l’individuo medio, diciamo pure mediamente benestante e anche mediamente intelligente, va e acquista un paio di scarpe, io che sono doppiamente ricco e doppiamente intelligente ne prendo 2.
“Avete i numeri grossi delle scarpe in saldo?” “Sì, certo signore!” Signorino, prego. Torna con 6 scatole e apre la prima. “Queste le piacciono?” “Sì, molto. Quanto vengono?” “165 in saldo. Costavano 320, pensi!” Quando uno esclama: “Pensa!” non è che poi tu pensi veramente, e invece io, in quella circostanza, ho pensato che se le poteva sinceramente tenere così ho detto: “Vediamo anche le altre” e lui ha aperto la seconda scatola. “Queste sono in pelle, costavano 290 ora stanno a 145.” “Guarda, amicotermine dalla stessa valenza che ha il concetto di amicizia su myspace o su facebook. Messenger è un po’ diverso perché lì ci son gli amici che poi vedi anche in giro, pure su facebook, certo, ma non è che uno vada a prendersi un aperitivo con 37mila amici che son quelli di Carmen Consoli, per dire. “Mi sa che non ci siam ben capiti e quindi mi spiego meglio. Quando dico in saldo, intendo quelle dignitosissime scarpe che costavano 60 e ora stanno a 30, e pure un po’ di più.” “Ah, ho capito” dice accennando uno sbuffamento lieve, ma non abbastanza perché io non lo colga e spostando lo sguardo lateralmente come quando pensi le offese e non le proferisci. Porta via i suoi gioiellini e torna con altre 2 scatole un po’ scolorite. Apre la prima: “Queste costano 19 euro e 90, quanto costavano non lo so, le vuoi?” Prima mi dava del lei e anche del signore, ora mi tratta come un accattone. “Uh, che belle!” Sì, perché costano 20 euro, sembrano dire i suoi occhi. “Queste altre sempre 20 euro.” Un paio Lacoste e un paio Adidas. Sono indeciso finché il mio istinto predatorio non mi suggerisce di prenderle entrambe. “Là ci sono le magliette a 5 euro!” Ma tu guarda questo, ma per chi m’ha preso. “Le vuoi le suole anatomiche in gomma flessibile e antiscivolo?” Veramente no, però, visto che se ti dico che non mi servono, che poi è la verità, si cementifica in te l’idea del cliente accattone di cui non vedi l’ora di liberarti dico: “Sì, va bene e… e…” devo trovare un’altra cosa da comprare così ti convincerai pienamente che sono soltanto uno che sa fare buoni acquisti. “Anche questa busta di calzini!” Mi guarda stupito e mi sorride. Certo sarebbe stato tutto diverso se avessi comprato le sue stramaledette scarpe da 300 euro in saldo, ma a me di quel che pensa quello là, che poi se spende tutto il suo stipendio per un paio di scarpe mi fa anche un po’ pena, non è che freghi tanto. È che i calzini mi servivano – se avesse venduto anche le mutande in busta avrei preso pure quelle – e queste suole sono meravigliose. Ieri le ho provate con le scarpe provoca-infortuni di cui ci hanno dotato al lavoro ed era come passeggiar sul marzapane.

Per dovere di cronaca vi dico che

Per dovere di cronaca vi dico che, se non avessi modificato il template e se avessi avuto un paio di giorni in più di pazienza a questo punto, e cioè oggi, avreste davanti la cara immagine precedente, il caro banner e la cara scritta di fondo perché la signorina, a quanto pare, ha sistemato tutto quello che aveva scombussolato. E posso anche dirvi che se mio nonno avesse avuto le rotelle sarebbe stato una carrozzina e forse avrebbe avuto meno problemi in vita. Con i se e con i ma… Diciamo che quell’esplosione è stata il pretesto per rinnovare, e il rinnovamento è migliorativo per cui, ovviamente, La stanza del Matto resta così. C’è di positivo che ora anche il myspace ha ritrovato gli antichi fasti e quindi siam tornati operativi al 100 per 100. Per festeggiare ho scritto una recensione cosicché voi possiate ben scegliere le vostre letture evitando robaccia o libruncoli presi a caso o presi dalla classifica, o presi a caso dalla classifica e, se ancora non l’avete fatto, buttarvi a capofitto nel Gioco dell’angelo di Zafon (che è quinto in classifica, ma è l’eccezione che conferma con i se e con i ma, che in fondo è una regola pur’essa). Ho acquistato Il gioco dell’angelo l’ultima volta che son stato a Firenze, che corrispondeva poi al giorno della sua uscita in Italia, e l’ho preso durante il tour per le librerie che Luca e Niccolò, pur di malavoglia – a loro i libri non è che piacciano poi tanto – mi han concesso. Ed era pure il giorno del colloquio di Luca, quello che gli ha portato fortuna perché quello stesso giorno è stato assunto. L’ho preso in una libreria che non era Feltrinelli né Melbook, ma un paio di stanzette che insieme non facevano il mio salotto, e io non è che viva proprio alla Casa Bianca. La vecchia padrona, quando le chiesi se avevano bisogno di personale, mi rispose con un sorriso dal retrogusto aspro, che eran tempi duri e doveva scontare i libri, perché alle grandi catene non si sopravvive facilmente in un momento in cui in Italia i libri son meno importanti di un gioco alla playstation, figurarsi se poteva assumere qualcuno. Così l’ho preso da lei, che costava anche un po’ meno.
La recensione, naturalmente per Solo Libri, la trovate qua e, insieme a tutte le altre, nella sezione C’avrei pure un’opinione su dei libri. Buona lettura!

E anche questa l’abbiam vinta noi della Stanza

E anche questa l’abbian vinta noi della Stanza. Sono stati giorni di quelli che il cuore piange lacrime di sangue a vedere il blog ridotto al più triste dei luoghi innominati. Giorni in cui ho provato invidia verso tutti coloro che, col loro insulso template base, conservavano comunque un’identità che d’improvviso qualcuno mi aveva succhiato via. Questo qualcuno è colei che ha realizzato il template della Stanza che a quanto pare (è una supposizione molto attendibile) non ha rinnovato il dominio dove conservava salvate tutte le immagini dei blog e dei myspace da lei creati, comprese le mie. Quindi da un momento all’altro e puffete paffete! tutto sparito. Quando ho compreso fino in fondo che con l’aldilà non si comunica e che le mie e-mail non avrebbero ricevuto risposta, mi son rivolto all’unico che poteva salvarmi, il mio grafico di fiducia, colui che ha realizzato la copertina del mio primo libro. Signore e signori, facciamo entrare Pino! Quanto devo ringraziarlo l’ho scritto nella sezione Devo ringraziare, dove ci sono anche tutti i suoi link e ora La stanza del Matto mi piace tanto, ma tanto di più. Sarà che la luna mi assomiglia, oltre ad essere l’elemento cosmico del mio segno zodiacale, e mi rivedo in quella sua espressione di pacioccosa soddisfazione che spesso si manifesta sul mio volto. Mi rendo conto che non sarà facile abituarsi. Insomma son passato dal sole alla luna, però ce la farete, ne son certo. L’avete mai vista la luna di giorno?
C’è un’altra novità che qualcuno ha notato e cioè che mi sono iscritto a Facebook. Giuro non l’ho fatto apposta e secondo me non è neanche tanto colpa mia quanto di Pino che ha dedicato la mezz’ora post brindisi alla nuova grafica, a scrivermi su MSN: “Iscriviti a Facebook, dai che è bello. Guarda che ti fai pubblicità. E poi ritrovi tanta gente. E non è vero che tutti possono leggere tutto, ma solo i tuoi amici. È sfizioso. Dai iscriviti. Dai dai dai …” io provavo a dire che no, non mi piaceva, che non era  adatto a me, che io avevo faticato considerevolmente per sparire dalla circolazione e levarmi dai coglioni tanta di quella gente che mi ci mancava solo una macchina infernale capace di riportarli tutti a me con una banalissima ricerca nome + cognome, ma lui insisteva e alla fine mi son iscritto. Da quel momento è cambiata la mia vita. Lo dicono tutti che è una droga e io lo confermo. Ma una droga di quelle toste. A parte che mi son ritrovato 40 e passa richieste d’amicizia senza muovere un dito. Tanta gente la conoscevo, tanta altra no, qualcuno dal blog e via discorrendo. Poi mi son messo a cercare personaggi del mio passato, ma non ho ritrovato nessuno perché appena mi compariva la schermata con 100 profili omonimi sinceramente mi si azzerava la voglia, come nel pieno di una crisi da ansia da prestazione negli istanti precedenti a una trombata con un transatlantico con le tette. Per farvi capire il livello di dipendenza, stamattina mi hanno dovuto trascinare nella doccia in 15 perché non riuscivo a staccarmi dal PC. Mi son lavato in fretta e furia, la barba che se me l’avesse fatta Freddy Krueger avrei perso meno sangue e poi una drammatica corsa in ciabatte e accappatoio per veder se mi era giunta una notifica o un messaggino e son caduto in camera, a faccia sul finto cotto chiaro, perché le mie ciabatte non sono tanto anatomiche, di legno come le doghe della Eminflex, e mi son spezzato l’unghia dell’anulare del piede destro. Comunque, senza ben comprendere il motivo di tutto ciò, ora ci sono anch’io e trovate il collegamento al mio profilo, nella sezione Chi è il Matto. Aggiungetemi in massa che io devo scrivere, taggare, aggiungere, cercare, chattare, linkare, condividere video e foto…
Oddio, liberatemi!!!