Sabato sono stato alla presentazione del libro ‘Le favole non dette’ di Vladimir Luxuria, edizioni Bompiani.
Ho passato tre quarti del tempo a chiedermi se non avessi sbagliato indirizzo. Eccezion fatta per la rassicurante presenza di Vladi, tutto m’è parso tranne che la presentazione di un libro di favole transgender. E questo non è detto che sia un male. Il senso di straniamento ha avuto inizio quando, nell’attesa dell’autrice, un ragazzo dagli invidiabili capelli dorati che gli scendevano sugli occhi, permettendogli di scansarli con scenografico gesto del capo all’indietro da diva anni ’80 (se lo rivedo gli chiedo il numero del suo parrucchiere. Prima mi faccio il trapianto e poi prendo un appuntamento per farmeli acconciare così) si avvicina a un signore incravattato e comincia a raccontargli di quanto è bravo lui che fa i quadri con le tempere e li espone in tutto il mondo. Gli mette in mano un catalogo col suo nome in copertina e gli illustra il leitmotiv delle sue opere. Ho pravato la tentazione di alzarmi per soccorrere il gentiluomo che continuava a subirsi quel bombardamento con una gentile pacatezza. Capisco che vuoi farti notare da uno che si muove nel giro degli acquerelli – non so chi fosse quel signore – e a me poco importerebbe starti a criticare se questa scena non fosse avvenuta a trenta centimetri dal mio padiglione auricolare. Con tutto il rispetto, nutrivo un totale disinteresse che si trasformava in conati di vomito con il susseguirsi della leccata che a un certo punto è diventata un’orgia. A convincere quell’uomo della bravura del giovine ci si sono messe pure la zia e la madre in un duplice attacco devastante che l’ha stremato costringendolo a farsi autografare i cataloghi del loro protetto. Sarà perché mia madre e mio padre hanno sempre ricoperto con me il ruolo inverso, quello di riportarmi alla dura realtà abbattendo le mie false o vere illusioni.
Entrano Vladimir e Paola Concia, deputata del Partito Democratico, eletta alla Camera nel 2008 e Avezzanese – per chi non lo sa è provincia aquilana, zona della Marsica. Da qui il nobile coro: Chi non salta marsicano è! La cosa curiosa è che lei non sapeva di doverle fare da moderatrice. Si sono accomodate al tavolino con due bottigliette d’acqua, lasciate lì certamente da prima che noi ci sedessimo, cioè almeno un’ora, ma secondo me pure due, a scaldarsi ben benino (io sul tavolo c’avrei messo pure qualche copia del libro, ma cosa volete che ne capisca). Paola Concia ha detto: “Mi pare che non c’è nessuno che presenta stasera” guardandosi intorno terrorizzata, come se all’improvviso potesse spuntare fra la folla il salvatore. Naturalmente Salvatore era in vacanza. Il libraio no, ma pure lui ha ignorato il disperato appello della Concia che si è fatta forza ed è partita, non nel senso che se n’è andata a cercare Salvatore per il mondo.
La presentazione è stata interessante, peccato che del libro se ne sia parlato poco e niente al di là di qualche accenno alla loro favola preferita fra le sei che si chiama ‘Iddu’ (che sta per ‘quello’) dalla quale Vladi ha estratto due passi che ha letto destando i miei peletti dal torpore di una discussione sentita e risentita riguardante, indovinate un po’? Il terremoto. Io non è che del terremoto non ne voglia parlare. Anzi. Non sono certamente uno di quelli che tenta di gettare cenere sul fuoco. Anzi. Io a L’Aquila ci vivo e c’ho vissuto. Io lo so, c’ero, ho sentito, ho subìto e sto costringendomi a reagire. Sono un aquilano, però che c’entra il terremoto con un libro di favole transgender?
Pur di farcelo entrare alla fine la parte dei diversi rifiutati dal mondo ce la siamo dovuta accollare noi aquilani. Per la deviazione subita dalla presentazione del libro verso quella che potrebbe essere riassunta come una convention sulla compassione dal titolo: Vi prego, quando andate in TV, parlate di noi! Pure trenta secondi perché siamo disperati e non sappiamo più che fare, dobbiamo ringraziare la nostra ex presidente della provincia, la piccola (un metro esatto) signora Stefania Pezzopane, che all’inizio dell’anno era in testa fra le preferenze degli italiani nella classifica del Sole 24 Ore dei presidenti di provincia più amati, così amata e tanto amata che alle ultime elezioni di marzo è arrivato Del Corvo che col 54 per cento delle preferenze si è insediato al suo posto. E questo non è detto che sia un bene. Comunque. Ognuno ha una propria specialità, la sua è quella dell’onnipresenza mirata. Lei è ovunque, ma non ovunque ovunque, per esempio all’inaugurazione del fornaio Pizzaefichi non ci va. Ovunque il suo fiuto le faccia pensare che spostare l’attenzione degli astanti su di lei possa portarle benefici concreti. In un’occasione più ghiotta non poteva sperare e così eccola avanzare e poi fermarsi non troppo vicino per evitare che la gente pensi che si stia imponendo, e non troppo lontano se no avrebbe rischiato di non essere vista da Vladi e dalla sua amica Paola. Si accascia come una barbona su un tavolaccio di libri esposti, bene in vista alle due che, impietosite dalla visione di lei a cui non tocca nemmeno una sediolina di plastica, poverina, le offrono uno dei due posti al loro fianco, presumibilmente pensati per Salvatore e l’amico forse trans con cui è andato in vacanza ammollando la sòla a Vladi. Lei rifiuta dicendo che sta bene lì, però non rifiuta quando Paola Concia la invita a dire qualcosa al microfono. Concia con la quale racconta di aver vissuto tanti anni, sogni, speranze di ragazze… ma chissenefrega! Se avessi voluto sapere delle “leggendarie nottate” Pezzopane/Concia mi sarei recato a una delle quarantamilaseicentosei presentazioni del libro della Pezzopane, oppure l’avrei chiamata a casa. Se non ci sono andato sarà mica perché a me della vita privata e politica della Pezzopane frega un cazzo?
Lunghi minuti di uno strazio dalla tale potenza da costringermi ad abbandonare il capo sulla spalla del mio vicino di sedia. La Concia per consolarla dall’indifferenza dei mass media alla situazione dell’Aquila le ha promesso che le metterà a disposizione un breve video girato dal sensibile nipote Matteo laureatosi alla celebre accademia mondiale di cinematografia Checazzomifrega di New York, poi lei ne faccia ciò che crede. Che immenso dono, originale soprattutto.
Arriva il momento delle domande e cosa gli chiedono le signore, le donne di montagna, ma pure giornalisti – questo mi stupisce! – i giornalisti chiedono a Vladimir Luxuria ancora e ancora pareri sul terremoto neanche seduta dietro al tavolino ci fosse la presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Io alzo la mano ed esordisco così: “Se mi permettete vorrei uscire dal tema terremoto” e sento una signora esclamare: “Oh, bravo!” dietro di me. “Vladimir, sei una donna di successo. Sei finita in Parlamento, hai vinto L’Isola dei Famosi, ora pure scrittrice. C’è qualcosa che ti manca?” Lei storce la bocca e risponde spiegandomi che il suo vero successo non è quello di essere finita in Parlamento, ma lo sarebbe stato qualora avesse visto approvare delle leggi giuste blabliblò tre civette sul comò. Poi, quando penso che non mi risponderà aggiunge. “Mi manca l’amore, una storia seria, ma sono convinta che presto coronerò anche questo sogno.” La Concia afferra il microfono guardandomi con due occhi furbetti perché sa quello che sta per dire: “Per caso ti stai candidando?”. Io per fugare ogni dubbio, dopo un risoluto No mi volto alla mia sinistra e do un bacio sulla guancia alla bella Francesca Papi che mi ha accompagnato alla presentazione al che Vladimir: “Non metterlo in imbarazzo che c’ha pure la fidanzata vicino”. Papi mi regala una copia del libro di Lux che ci facciamo autografare. Io la ringrazio e le dico che potremmo stabilire una forma di affidamento congiunto, lei risponde che posso tenerlo perché non gliene frega niente del libro, basta che chiedo a Vladimir se si fa una foto con lei. Appena riuscirò a recuperarla vi mostrerò il documento. La serata, per coerenza, l’abbiamo passata al Divina, un buco di locale del quale ignoravo l’esistenza – col senno di poi non credo di essermi perso nulla – in cui Vladimir Lux ha scelto di farsi un mezzo ballo per beneficenza. E chi compare a un certo punto? Ve lo dico nel prossimo post.
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Supermarket24 su Mondo Rosa Shokking
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Scrivi un commento →: Supermarket24 su Mondo Rosa ShokkingCarlotta Pistone recensisce Supermarket24 per il portale Mondo Rosa Shokking.
Un libro divertentissimo che rivela, attraverso lo sguardo attento e i pensieri pungenti del protagonista, il dietro e il davanti alle quinte di un supermercato cittadino
Luca Sognatore, personaggio nato dalla penna del giovane scrittore Matteo Grimaldi e protagonista del suo originale e divertentissimo romanzo Supermarket 24, raccoglie in sé un agglomerato esplosivo di caratteristiche tipiche della gioventù moderna.
All’interno di una dimensione che vacilla tra il reale e il tragicomico, Luca vive con una punta – nemmeno troppo velata – di cinismo le difficoltà, i dubbi, i drammi e i paradossi che riguardano il mondo del lavoro, ed in particolare le possibilità lavorative, spesso poco entusiasmanti, che vengono offerte oggi ai ventenni, soprattutto a quelli non troppo propensi a dedicarsi alla carriera universitaria.
Sostanzialmente il contenuto di Supermarket24 si può evincere fin dal titolo: si tratta infatti del racconto dettagliato delle 24 ore trascorse da Luca Sognatore nel variegato mondo del supermercato Spesa Più, il quale stufo di essere schiavizzato in una trattoria di quart’ordine, ha deciso di tentare una nuova strada indossando la veste di commesso in prova del reparto ortofrutticolo.
Una trama in apparenza poco interessante.. In apparenza. Perché bastano le prime pagine del romanzo per scoprire che si tratta di una lettura tutt’altro che banale, grazie al tono e allo stile narrativo scelto dall’autore che lascia al suo protagonista l’incarico di raccontare in prima persona l’insolita giornata passata in mezzo a frutta e verdura.
Attraverso lo sguardo di Luca e direttamente dalle sue parole, nonché dai suoi pensieri a dir poco impietosi e destinati a stroncare chiunque gli capiti sotto tiro, il lettore viene a conoscenza della quotidiana routine che anima il dietro alle quinte di qualunque supermercato, con tutta la troupe di dipendenti al completo, personaggi che lui descrive, analizza e puntualmente critica. Dalla bella Andrea, “la” sua responsabile mozzafiato ben disposta ai facili compromessi pur di tenersi stretto il lavoro. Alla bruttissima Sonia che trabocca di astio e gode delle sfortune altrui. Passando per Manola che tutti i giorni, cimentandosi in mosse da gatta in calore, cerca senza successo di attirare l’attenzione del Lurido, proprietario dal chiosco che li sfama nella pausa pranzo. Fino all’infelice Lory, una brava donna che potrebbe da un momento all’altro esercitare le sue doti di esperta macellaia a scapito del pessimo ex marito.
Insomma una carrellata di casi umani ulteriormente arricchita dall’entrata in scena dei clienti di Spesa Più, la creme della creme dei rompiscatole che ogni giorno, da che mondo è mondo, sembrano darsi appuntamento nei corridoi dei supermercati e mettersi d’accordo per tormentare con richieste assurde i già sufficientemente frustrati commessi.
Luca intanto osserva, ascolta e subisce praticamente in silenzio, mentre la sua vocina interna annienta senza pietà, sforna giudizi malevoli, ipotizza atroci atti vendicativi contro tutti coloro che si dimostrano insensibili, maleducati, superficiali o pazzi, ossia contro il novantanove percento delle persone con cui ha modo di entrare in contatto nel suo nuovo ambiente lavorativo.
Ed è proprio questa vocina tanto impertinente e velenosa, quanto fonte di verità innegabili, a rendere così comico, pungente e realistico il romanzo, perché fa davvero ridere e svela apertamente, senza troppi giri di parole, quello che in fondo ciascuno pensa degli altri, ma che nella maggior parte dei casi si ritiene opportuno non rivelare.
L’articolo originale lo trovate QUA. Sono molto grato a Carlotta.
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Pochi pensieri su Sarah Scazzi, senza parlarne troppo
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Scrivi un commento →: Pochi pensieri su Sarah Scazzi, senza parlarne troppoDella faccenda di Sarah Scazzi vorrei esprimere in parole solo due o tre miei pensieri (forse quattro).
Primo pensiero.
Lunedì scorso Federica Sciarelli ha stuprato una donna e l’Italia tutta in diretta, nella sua trasmissione di RAI3: Chi l’ha visto. (RAI!) E’ vero che la gente vuole sapere, si affeziona a un caso, si batte su internet attraverso forum, blog e Facebook per diffondere le foto della ragazza nel tentativo disperato di contribuire, però la gente non vuole vedere una madre paralizzata dallo strazio. Una maschera di cera mentre la giornalista (?) presentatrice o quello che è le urlava in faccia con la sua voce gracidante: “Signora, stanno cercando il corpo di sua figlia!”. Dico l’Italia tutta perché guardavo mia madre soffrire, davanti alla TV, di un dolore reale perché in quella madre rivedeva lei stessa.
Secondo pensiero.
In uno dei servizi che hanno mandato in onda prima che la faccenda si facesse chiara, venivano dipinti gli amici grandi di Sarah come delle cattive compagnie, ragazzi sulle cui macchine lei mai sarebbe salita, protagonisti forse della sua scomparsa. Io pregherei questi ragazzi di denunciare la trasmissione perché i giornalisti (?) o quello che sono, devono smetterla di cibarsi delle altrui disgrazie da loro stessi pompate o, in certi casi, inventate del tutto.
Terzo pensiero.
Sebbene il signor zio mi faccia vomitare non mi viene in mente pena migliore (o peggiore) che lasciarlo nelle mani dei detenuti, altro che proteggerlo e guardarlo a vista perché vuole suicidarsi. Che problema c’è se lo fa? Almeno l’avrà deciso lui e, francamente, (ecco in arrivo i sei secondi di cattiveria pura) non mi pare proprio una vita da tutelare la sua. Comunque i detenuti sapranno come farlo pentire.
Quarto e ultimo pensiero.
Ieri notte a Matrix si parlava di Sarah. Il discorso si sposta. Bisogna denunciare ogni molestia e allora la Palombelli nomina il Telefono Rosa. Vinci, il giornalista (?) presentatore o quello che è la invita a dare il numero, lei non lo sa a memoria e dà il sito. Vinci chiede alla regia di trovare il numero. Dopo qualche minuto arrivano dei cenni e Vinci (non volevo credere alle mie orecchie) se ne esce così: “Ebbene, mi dicono che il Telefono Rosa non ha un numero di telefono”. Devo dire che non è vero? C’è bisogno che qualcuno dica che il Telefono Rosa, in quanto telefono, anzi tanti telefoni, ai quali rispondono volontarie pronte a sostenere le ragazze e le donne abusate che hanno bisogno di un consiglio, ovviamente, naturalmente, ha un numero? Sono andato a dare un’occhiata sul sito internet del Telefono Rosa, si sa mai che i numeri siano scritti in piccolo in qualche sottopagina inaccessibile e invece – pensate un po’- c’è una sezione che si chiama Parla con noi nella quale sono indicati indirizzi e tre (non uno, tre!) numeri di telefono. E sono i seguenti: 06/37518261-2 e 06/37518282. Tre, capito Vinci?
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Scrivi un commento →: L’Italia intera è contro la Gelmini e il Tgcom parla del cane bionico
Io sono contento che adesso il cane Trixie stia bene, con la sua zampa di titanio impiantata in un rivoluzionario intervento che l’ha salvato da un devastante cancro osseo. Sono contento che Trixie, il primo cane bionico al mondo, sia tornato a camminare. E sono felice se alle contadine svizzere andava di fare un calendario sexy fra paesaggi bucolici e prati. Le sensuali protagoniste posano con malizia ed erotismo, nello svolgimento delle loro normali attività quotidiane in sexy lingerie, guepière e corsetto di pizzo, tra mucche e caprette, fiori e attrezzi da lavoro, animate dal nobilissimo intento di “mettere a nudo la modernità del mondo agreste”.
Però dico io.
Qualcuno si è accorto di ciò che sta accadendo in questi giorni in Italia? Mi riferisco alle folle che mai avevo visto tanto unite in un ideale come oggi contro la Mariastella (Gelmini). Ha messo d’accordo tutti, insomma. Maestri, professori, studenti, genitori che manifestano in novanta città italiane (90!) urlando il loro disappunto (furia) dietro il meraviglioso slogan Gelminator, ministro della distruzione.
Trentamila a Roma, ventimila a Milano, sessantamila a Torino, quindicimila a Bologna, ventimila a Firenze, cinquemila a Perugia. Mi pare tanta gente. Possibile che nessuno li abbia visti né sentiti?
Io non dico che la notizia di Trixie non avesse dignità di pubblicazione, e pure quella del calendario delle contadine svizzere, però, signori del Tgcom, quando vi ritrovate a fare il copia/incolla come dei piccoli robot telecomandati e programmati per tacere, privati di ogni libertà di stampa, parola, opinione, non vi fate un po’ pena? Solo un po’. La scuola esiste, la voce della gente va ascoltata non oscurata.
Una carezza a Trixie e ciao.
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In verità l’ho imparato da solo
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Scrivi un commento →: In verità l’ho imparato da soloSono stato entusiasta, commosso, felice. Mi sono tuffato da uno scoglio altissimo nonostante la paura di farmi male. L’acqua risplendeva nel primo sole dell’anno. Non avevo mai visto un’acqua così verde. Non credevo che esistesse in natura un mare così e invece all’improvviso qualcuno mi ci aveva portato, invitandomi a fare una nuotata.
“Immergiti, guarda che meraviglia. Guarda bene, ma non toccare e poi torna su! Presto sarà tuo, non ti preoccupare.”
Il mio unico errore è stato quello di abituarmi a quel mare. A un certo punto ho addirittura creduto di possedere una casa a ridosso della spiaggia. Chiudevo gli occhi e parlavo da solo. Rispondevo a personaggi immaginari che mi domandavano della mia felicità, e non mi rendevo nemmeno più conto che mi trovavo nella mia stanza, con indosso un paio di jeans squarciati alle ginocchia e una maglia di cotone col collo mangiucchiato dalla mia bocca nervosa, altro che mare di un verde come non mai.
Mi hanno insegnato a non illudere. Mi hanno insegnato a tenere per me le false promesse. Mi hanno insegnato a non illudere, illudere, illudere. Cazzo, ma perché dio mio. Mi hanno insegnato la generosità, senza ostentare possibilità che non potrò mantenere. Mi hanno insegnato ad avere rispetto per i sogni di chi un sogno ce l’ha e lo nutre e lo difende e lo coccola, lo consola e lo aiuta a rialzarsi ogni volta che cade. Realizzare il sogno di qualcuno è il più bel dono, quello che ti cambia la vita e la cambia a quel qualcun altro che riesce a dire solo grazie, ma perché promettere per non mantenere? Perché sorridere e poi calpestare? Restatevene a casa voi che vivete delle vostre grandi glorie, non cercatene ancora da chi sta tentando di capirci qualcosa in questa vita in totale squilibrio. Per favore.
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Supermarket24 su L’Opinionista
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Scrivi un commento →: Supermarket24 su L’OpinionistaQuesto è l’articolo che Annarita Ferri ha scritto su L’Opinionista.
L’AQUILA – Supermarket24 è il secondo romanzo di Matteo Grimaldi, uscito il 21 gennaio scorso e pubblicato dalla casa editrice Camelopardus di Sara Saorin.Dopo il primo romanzo Non farmi male per Kimerik, il giovane autore aquilano ci riprova con questa sua ultima opera ambientata nel reparto ortofrutta di un supermercato in cui Luca Sognatore,il protagonista,lavora come commesso.
In particolare viene narrata la vita di un semplice ragazzo nell’attesa che arrivi il primo giorno di lavoro in un qualsiasi supermercato aquilano tra realtà vere o immaginate di colleghi, clienti e superiori:vite scandite dunque dal passare di ore sempre uguali, costrette in una quotidianità meccanica e annichilente, di cui sembra accorgersi solo lo sguardo vivace e scanzonato del protagonista Luca.
Un romanzo che non parla volontariamente di terremoto, come ha precisato lo stesso Grimaldi:
Sono abbastanza stufo della strumentalizzazione che è stata fatta di una tale tragedia per scopi certamente nobili, ma non sempre. Il romanzo è stato pubblicato senza che io abbia dovuto pagare un centesimo né acquistare centinaia di copie. Sono costretto a precisare anche questo per colpa di una piccola editoria italiana fatta di vampiri. So che non sono né un autore noto né ho alle spalle un colosso editoriale, però credo che valga la pena, a volte provare a scavare e per me, la mia storia, non vale meno di molte altre di cui si parla ovunque
Grimaldi ha 29 anni e per vivere lavora al Mc Donald’s dell’Aquila; scrive per passione con toni ironici perché, se è vero che
una risata vi seppellirà, sarà anche vero che un sorriso potrà risollevarci dalle macerie che ci circondano
come afferma l’autore che non nasconde che è inevitabile cancellare il ricordo del sisma che ha devastato la città lo scorso aprile. Sono usciti molti racconti e resoconti drammatici di quei giorni terribili, cui Grimaldi spesso accenna nel suo blog www.matteogrimaldi.com, ma sempre con quel tono leggero, tanto la situazione è già pesante di per sé.
Cerchiamo di conoscere meglio questo artista aquilano attraverso delle semplici domande a cui ha gentilmente risposto:
Signor Grimaldi come nasce l’idea di raccontare l’umanità da un osservatorio particolare come quello del supermercato?
Nasce dall’esperienza personale. In un supermercato, e precisamente al reparto frutta, c’ho lavorato quasi un anno, molto più di Luca Sognatore che è il protagonista del libro. Non credevo che in un posto di lavoro così all’apparenza poco affascinante potessero celarsi dinamiche e possibilità di incontri entusiasmanti e in qualche caso terrificanti. Mi sono reso conto che il quotidiano fare la spesa si trasformava ogni volta in una carrellata di esistenze così particolari e problematiche, appartenenti a qualunque ceto sociale, dalle pretese fuori da ogni logica, che non ho potuto non scriverne. E poi i colleghi: una rappresentazione di personalità diverse, ma accomunate dalla voglia di esprimersi, sfogarsi, liberare il magone che dà loro l’essere prigionieri di vite non scelte da cui fuggono rifugiandosi – sembra un paradosso – nelle otto/dieci ore di lavoro. È una postazione privilegiata perché concede a Luca di avvicinarsi quanto vuole all’anima e alla storia del cliente. Senza destare sospetto costruisce le vite degli altri. Li compatisce, li giudica con una franchezza glaciale finché non scatta qualcosa che va oltre il suo cinismo, un fuoco che scioglie il ghiaccio.
Quali, tra i diversi personaggi di Supermarket 24, sono fondamentali nel suo racconto?e in cui ci si rivede?
I personaggi sono tutti fondamentali. Non ce n’è nessuno di cui il libro potrebbe fare a meno. Poi certo ci sono quelli che nascono e si esauriscono in un capitolo o due, alcune clienti per esempio che lasciano la scintilla di un incontro, e quelli che fanno compagnia a Luca per tutto il libro, come la meravigliosa Andrea o l’irritante provocatrice Sonia. E poi ci sono quelli che di tanto in tanto ritornano a rompere le uova nel paniere di Luca, come Il Roscio o Il Dottore. Sono tutti personaggi molto diversi da me che invidio in alcuni tratti e odio in altri. Ad esempio invidio la capacità di Luca di manifestare ogni volta quello che sente e pensa senza alcun freno, senza mettere paletti ai pensieri. Odio la madre del piccolo Mirko, un bambino autistico che va tutti i giorni a giocare con Andrea che gli fa trasportare cassette vuote da una parte all’altra del magazzino, che non può parlare con la voce, ma che con gli occhi grida. Sua madre non lo capisce, non sa apprezzare un gioiello tanto prezioso.
Signor Grimaldi ha fatto mille lavori per mantenersi: pensa che la realtà e le possibilità dei giovani d’oggi siano quelle di Luca oppure in lui hai descritto un caso limite?
Più che un caso limite direi che Luca Sognatore rappresenta un caso fortunato. Luca alla fine il lavoro l’ha trovato. Viviamo in un momento storico di cui tutti a parole sanno dire, ma solo chi si “sbatte” tutti i giorni alla ricerca di un lavoro e si vede continuamente negare un diritto, perché lavorare dev’essere un diritto non un privilegio per pochi, può capire cosa significa vivere nella precarietà, senza poter nemmeno programmare un futuro vicino. Senza sapere che piega prenderà la vita e mai trovare un punto d’approdo in cui star bene, sereni. Resto comunque dell’idea che i giovani d’oggi siano una meravigliosa risorsa su cui puntare. Che i loro sogni e la loro voglia di cambiare il mondo, che hanno tutto il diritto di provare a cambiare, visto che ci devono vivere, possano essere le armi giuste per ritrovare un po’ di certezze. Io invito sempre tutti, soprattutto i più giovani a credere in loro stessi e nelle loro potenzialità. Sarà difficile, ma se ci credi puoi arrivare lontano.
Sul retro della copertina del suo libro, i lettori troveranno diverse frasi a lei riferite di persone più o meno note del mondo dei libri,come mai questa scelta? E ha qualche aneddoto da raccontarci legati a ciò?
Quando si è trattato di scegliere che aspetto e struttura dare alla quarta di copertina ci son venute in mente le quarte dei grandi bestseller americani, quelle alla Stephen King con i commenti del New York Times o del Daily News o dell’Indipendent o di grandi nomi della letteratura internazionale. Così io e l’editrice visto il carattere ironico del libro e perché no, anche dell’autore, abbiamo deciso di scherzarci su rifacendo loro il verso. Com’è stato nel caso del paragone scherzoso che fa Rachele Landi, la curatrice del portale SoloLibri.net fra me, Moccia e Scamarcio. Oppure l’auspicio di Sara che si augura di liberarsi di me rifilandomi alla Bompiani, che (piccola chicca) ha acquistato i diritti per due pubblicazioni di Jardin, autore portato in Italia proprio da Sara e dalla Camelopardus. Nanni Riccobono è un’autorevolissima giornalista e scrittrice con cui ho avuto il piacere di scambiare opinioni su quello che stava accadendo a L’Aquila nel post sisma e che ha letto alcuni miei articoli. Francesco Gungui è un autore Mondadori che ha letto il libro molti mesi prima dell’uscita e mi ha dato consigli e pareri personali gratuiti che ho apprezzato moltissimo. E poi Paolo Di Paolo autore di libri meravigliosi come “Questa lontananza così vicina” edito da Perrone e “Ho sognato una stazione” scritto con Dacia Maraini e pubblicato da Laterza, a cui devo il grandissimo dono della prefazione che ha accettato di scrivere per il mio romanzo. Sono nomi che mi onorano.
Progetti futuri già ci sono in programma?
Sì, prima della fine dell’anno uscirà una nuova raccolta di racconti, una piccola perla per me, alla quale sono felicissimo di aver trovato una giusta collocazione. In questi mesi sto lavorando a un romanzo che ultimerò con la fine dell’estate. Un progetto molto importante che spero possa vedere la luce prestissimo.
QUA trovate l’articolo originale.
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Fuoco e fiamme per Supermarket24
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Scrivi un commento →: Fuoco e fiamme per Supermarket24Stefano Carnicelli recensisce così Supermarket24 e dal mio cuore un grazie immenso.
Ho letto veramente con piacere “Supermarket24”. E’ un romanzo scritto molto bene; è piacevole, intenso, ironico, vero, reale. L’ho letto tutto d’un fiato, senza sbavature né interruzioni. C’è il ritmo giusto che spinge il lettore a voltare pagina per scoprire, frase dopo frase, con crescente interesse, cosa accade, in un giorno qualsiasi, all’interno di un supermercato.
Non è casuale la scelta del nome del protagonista: Luca Sognatore. Direi una scelta perfetta che tutto contiene. Luca è un ragazzo moderno che vive una vita sospesa tra ironia, sogni e problemi quotidiani per non dire “moderni”. Ha un lavoro ma non è contento, ne cerca un altro ma ha paura. La prima parte del romanzo (Appena) si snoda proprio lungo questi percorsi, attraverso un linguaggio preciso e piacevole dove toni e spunti sarcastici arricchiscono sapientemente la lettura. Luca Sognatore abbandona il suo lavoro di cameriere per entrare in un supermercato. E’ “Dentro”, è stato assunto come se il sogno della sua vita fosse stato quello di vendere “sabbietta per far cagare il gatto tra nuove incredibili profumazioni o pannolini per incontinenti”. Arriva un nuovo mondo sconosciuto: il reparto frutta del Supermercato SpesaPiù di Piazza Dante. Si entra nella parte centrale del romanzo dove, nell’arco di una giornata lavorativa, si svolgono esistenze diverse che rappresentano un po’ la vita di tutti i giorni con tutte le sue miserie umane più o meno grandi. Sono diversi passaggi, a volte tristi, che palesano, sempre con fare ironico ma reale, esistenze che forse nemmeno i protagonisti avrebbero scelto. Sono esistenze abbandonate e fallimenti di vita che trovano, all’interno del supermercato, il palcoscenico da cui rappresentare la miseria umana che le contraddistinguono. Ma non c’è tristezza nella lettura del romanzo; con grande maestria ogni rappresentazione viene posta con il sorriso quasi a voler alleviare il grave peso di una misera vita. Luca trova Rosy e Rosa: perfetta e voluta riproduzione di una donna che clona, di fatto, se stessa. Incontra il Dottor Lorenzi, il famigerato e terribile padrone che tutto ordina e controlla. Emerge anche la solitudine di Birra alla ricerca di un rapporto e un dialogo impossibile; forse da ubriachi si può comprendere la vita… miseria dei nostri tempi. Luca incontra anche le esistenze dei suoi colleghi: le voglie di Manola indirizzate al Lurido, la tristezza di Lory che rischia di perdere l’affidamento del figlio dopo che il marito l’ha abbandonata, la bellezza di Andrea. E poi la triste storia di Alfredo, costretto a vivere con una madre completamente instabile dopo la morte del marito. Con vera abilità, non manca proprio nulla nella giornata di questo straordinario Supermarket. Arriva la cliente violenta pronta a punire un figlio vivace che gioca all’interno dei locali; “deve imparare come si vive al mondo”. Ci sono i bellissimi occhi di Mirko che piange e tira con le mani pur di restare nel Supermercato. Mirko non può parlare ma lo fa con gli occhi e le mani. La sua unica colpa: forse è venuto al mondo da una madre troppo avanti con gli anni.
Finalmente si chiude la campale giornata di lavoro. Scende il sipario sulle scene apparse qua e là, all’interno del supermercato. Ci si avvia verso un finale mozzafiato dove accade di tutto e di più. Fortunatamente il sogno fatto da Luca lo salva da ogni conseguenza. Come dire il sogno cura la realtà; si continua a dormire per sviare le tristezze della vita.Continuate a inviarmi i vostri pareri su Supermarket24 tramite e-mail, Facebook, piccione viaggiatore, messaggi di fumo (sì, da quando ho dato fuoco alla caffettiera so leggere pure quelli).
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Animaletti berlinesi
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Scrivi un commento →: Animaletti berlinesi(Giraffa tutta di mattoncini Lego)
Berlino è strana. Lo so che è un aggettivo quasi inutile, strano, perché sta bene a tutto se visto nell’ottica di chi non è così, come quel tutto, però quando vedi un grattacielo che affianca un casermone di mattoni che affianca una sinagoga che affianca cinque piani di centro sociale imbrattati di scritte, anzi no, resi artisticamente rilevanti dall’opera di mirabili rullatori di spinelli armati di bombolette spray colorate, non arriva un’altra parola a sostituire il silenzio dovuto al senso di smarrimento davanti a tale incoerenza visiva, voluta dall’uomo o decisa dalla Storia (come se la Storia la facesse qualcun altro diverso dagli uomini) che però sembra costruire un’armonia. Passi sotto la Porta di Brandeburgo e percorri tutta Unter den Linden che vuol dire Sotto i Tigli per via dei tigli che ha fatto piantare Federico Guglielmo I di Brandeburgo che amava cavalcare fino al parco di caccia del Tiergarten circondato da un appropriato splendore barocco. Ognuno ha le sue esigenze. Ti fai un giro per negozi vintage che fa tanto figo come parola, vintage dico (“Cavolo Jessie quanto sei vintage! … Oh, oggi mi sento un sacco vintage! … Voglio quella maglietta vintage…”) , che se parliamo come magnamo non è altro che roba vecchia, usata, puzzolente e magari ti becchi pure qualche malattia che resiste ai 90 gradi di lavatrice, obbligatori se vuoi indossare quegli stracci. Alloggiavamo in uno splendido albergo a 4 stelle posizionato al centro del Mitte che è il quartiere centrale di Berlino. Al centro del centro, in pratica. Abbiamo optato per la formula colazione esclusa; con gli stessi 16 euro potevamo ingozzarci di ciambelle colorate e caffè americano (una volta è per sempre. Ma che gusti hanno gli americani per adorare quegli schifosi e interminabili beveroni bollenti di acqua sporca e insapore?) in un Dunkin’ Dunuts qualunque o magari proprio in quello fuori allo Zoo (di Berlino) nel quale ho dimenticato lo zainetto in una delle molteplici circostanze in cui l’ho dimenticato appunto. Quando sono tornato a recuperarlo ho beccato la lavorante un po’ in là con l’età che frugava alla ricerca, voglio sperare, di un nominativo da contattare per restituirlo. Appena ha capito che ero io il padrone, ha cominciato a inveire qualcosa contro di me. Io ho detto: “Thank you!” (thank you dde che, poi?!) e sono tornato a fare la fila per lo Zoo. Non mi piace vedere gli animali ingabbiati (le mie tartarughe acquatiche non sono ingabbiate, ho deciso così), ma a tanta gente sì. Quelli che hanno passato Ferragosto a fare fotografie alle macerie aquilane secondo me adorano gli zoo, per dirvi. Anche se quelle non parevano gabbie, ma grandi pezzi dei loro habitat naturali, che poi 4 sassi, un laghetto e un tronco caduto ed ecco pronto uno stupefacente habitat perfetto per pinguini, orsi, tigri e pure per i canguri, mi hanno dato tutti l’idea di bestie non propriamente felici.
La gorilla più vecchia d’Europa poi, l’apoteosi della depressione, poveretta. Se ne stava seduta col faccione appiccicato al vetro a guardare la gente passare. Un tipo ci ha spiegato (in Inglese) che da quando è morto il suo compagno lei non è più la stessa. Si è lasciata andare a una tristezza inconsolabile e i membri della sua tribù non l’accettano più perché lei fa l’asociale. Mi ha fatto così tanta tenerezza (mi sono sentito simile a lei, soprattutto mentre si grattava il pancione e i piedoni) che c’è mancato poco che a consolarla ci andassi io. Il vanto di Berlino sono i musei, più di 170 che non abbiamo potuto visitare in 5 giorni (basta una divisione per rendersi conto) ma molti sì tipo il Pergamon all’isola dei musei. Madonna quanto erano alti i templi greci! No perché uno li vede sui libri e mica lo capisce. Medesima sensazione di Davide contro Golia di fronte allo scheletro del brachiosauro al Museo di Storia Naturale. Da fuori la stanza vedevo qualcuno gironzolare attorno a quelli che parevano dei pezzi di legno. Entro e alzo la testa al cielo. A 20 metri d’altezza incrocio con gli occhi quella del dinosauro e capisco che i pezzi di legno sono ossa e che un uomo è più piccolo del suo dito mignolo. Niccolò ha tentato di fotografarlo da ogni angolo per riprenderlo nella sua interezza e in una, che trovate poche righe più giù, c’è quasi riuscito. Volevamo visitare pure il museo egizio, ma “Per oggi è sold out” abbiamo capito noi della spiegazione (sempre in Inglese, ehm ehm) della ben vestita fanciulla dei biglietti. Abbiamo ripiegato sull’Alte Nationalgalerie dentro cui sta appeso un quadretto di Picasso piccolo, ma tanto carino che avrei volentieri portato via con me. C’è appesa anche altra roba, mica solo quello, però quello, sì proprio quello, era perfetto per arricchire (me e) la parete sopra al letto, affianco alla madonna di gesso coi rosari. Il Bauhaus-Archiv mi ha affascinato. Ho passato tutta la visita a chiedermi quale processo evolutivo abbia potuto portare i membri di questa prestigiosa scuola di arte, design e architettura dallo svolgere i compiti per casa colorando triangolini di carta e ricomponendoli a formare variopinti triangoli più grandi, al diventare Klee o Kandinsky, per dire. Inoltre, non fate come noi, non mancate di visitare il museo ebraico di Berlino e il Judisches a Kreuzberg. Quello che ho avvertito io sulla pelle da perfetto ignorante (in qualcosa la perfezione l’ho raggiunta) è la volontà di una città di riscattarsi dalla vergogna di quegli anni terribili che non possono essere dimenticati. E Berlino non vuole dimenticarli, anzi, vuole trovare il modo di farsi perdonare. Ovunque è profondamente ancorata la storia del popolo ebraico attraverso l’olocausto, la deportazione e l’esilio. In omaggio al popolo ebraico Berlino ricorda l’assurdità della guerra e i ruoli che hanno tenuto gli ebrei nella costruzione della grande nazione tedesca. I resti del Muro mi hanno scosso.
Avete presente quando avvertite quel brivido col fiato che manca alla vista di qualcosa di cui avete sempre sentito parlare, che studiandolo non vi faceva il minimo effetto e poi, là davanti, vi trovare a esclamare: Cazzo! Perché là hanno sparato a più di 200 persone che tentavano di passare da Berlino Est a Berlino Ovest ed è come se le vedessi. Noi a Kreuzberg ci siamo andati, ma non al museo, al ristorante messicano più buono del mondo che faceva, fra l’altro, dei cocktail da estasi. Mai bevuto un Long Island così, né un Mojito così e mai pagato un cocktail 4 euro. Cercatelo, andateci. Per non parlare di tutti quegli omini a cavallo di una specie di bicicletta gialla che ti vendono un panino con wurstel cotto al momento, ketchup e senape a un euro e 20. E le birre. Fantastiche: bianche, bionde, rosse, nere, verdi, milioni di gusti e qualità, tutte buonissime e tutte a 3 euro a pinta. A Nikolaiviertel ci dovete andare. È una zona del Mitte. Si trova nella zona più antica della città e si affaccia proprio sul fiume Sprea (se qualcuno ha fatto le elementari in Germania, mi dice come si pronuncia per piacere?). Sembra antico, ma non è. Cioè sì, è medievale, ma è stato quasi totalmente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e poi ricostruito attraverso edifici moderni a pannelli prefabbricati, che imitavano nelle forme e nelle dimensioni quelli antichi. Io farei una chiamatina a quei 4 ingegneri che si occuparono della ricostruzione della città e commissionerei loro la ricostruzione dell’Aquila, altro che Chiodi e Cialente.
Potrei raccontarvi un milione di aneddoti, tipo che al Pergamon mi hanno scambiato per un mendicante visto che andavo in giro a chiedere: “Do you have one euro?” col palmo della mano aperto con 2 monete da 50 centesimi e non capivo come mai nessuno volesse cambiarmele in un’unica moneta da 1 per poter infilare la mia roba nell’armadietto. Nei musei tedeschi funziona come il carrello del supermercato da noi. Oppure del ritorno, quando all’aeroporto, al gate, appena passata la guardia, questo brutto ceffo chiama il check-in per fare degli accertamenti sulla mia persona. Dev’essere rimasto impressionato dal mio taglio di capelli ribelle, tanto ribelli che alla fine se ne sono andati, e chi l’ha rivisti più?
Potrei, però vorrei almeno lasciarvi il tempo necessario alle poche urgenze fisiologiche, altrimenti questo post verrà fuori talmente lungo, ma talmente lungo che ve la farete addosso pur di non interrompere la lettura. Comunque grande vacanza, indispensabile per ricaricare le energie, pure quelle del cuore che i miei amici mi mancano sempre da morire, e ripartire fiduciosi. Io sono molto fiducioso in questo periodo e, pure se Berlino con questo non c’entra granché, voi andateci, perché si deve.
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I compiti per le vacanze
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Scrivi un commento →: I compiti per le vacanzeCi siamo. Domani mattina partenza all’alba (alle 8.00 per me è l’alba) per Firenze e il lunedì (voci di corridoio parlano di 5 del mattino) raggiungiamo Venezia da cui decollerà il Jumbo Jet per Berlino. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, cioè: niente. La valigia è rimandata a fra un po’, in compenso nel pomeriggio sono uscito in compagnia del mio fraterno e utilissimo amico Leoluca Bagarella che non ha dovuto insistere troppo per farsi saldare da una libreria le tante copie di Non farmi male vendute in questi mesi e che i signori avevano manifestato una certa ritrosia a pagarmi. Per quelle di Supermarket24 aspetto ancora un po’; non ho voluto dar loro il colpo di grazia, o di canna di rivoltella di Leoluca.
Prima di partire per un lungo viaggio, porta con te la voglia di non tornare più, diceva la Irene. Questo non sarà un lungo viaggio. L’aereo farà prestissimo (vero?!) e il 14 sarò di nuovo da queste parti entusiasta di festeggiare il Ferragosto a L’Aquila, mia meravigliosa città che hanno ricostruito per intero coi soldi dei vostri sms e dei concerti della Pausini e pure quelli di Silvionostro (che sei nei cieli) che canta discretamente. Lo sapevate che adesso è più bella di prima? (Prendete per oro colato tutto quello che i TG vi raccontano, mi raccomando.)
Sono andato in cartoleria e ho acquistato una marea di inutilità da portare a Berlino, riscoprendo la mia indole preadolescenziale del vedo e lo compro perché mo’ l’ho visto e quindi lo voglio, tipo la NON [AGENDA] della Fila (è scritto proprio così, con le parentesi quadre e in maiuscolo, che io per praticità mi limiterò a chiamare non agenda) con due penne incorporate a inchiostro liquido fluorescente giallo e verde prato che si chiamano cyberpen, a 6 euro e 90 che non userò mai (la non agenda e le penne) mosso dalla spinta propulsiva a sfruttare i momenti morti (tipo le notti, per esempio) per far quadrare il finale del romanzo che sto scrivendo. Dentro c’è la nuovissima avventura a fumetti di Cyber, un ragazzo dall’intelligenza spiccata e cibernetica, Lysa e Max, due fratelli amici di Cyber, figli di diplomatici che lavorano all’ambasciata di Tokio, e la Dottoressa, donna misteriosa e intrigante, esperta di virus informatici che potrebbe essere la degna compagna del mio Dottore di Supermarket24. E pensare che gli avevo chiesto un quaderno per prendere appunti e mi sono ritrovato l’agenda col piano di una guerra ad armi chimiche contro Tokio su cui dovrò scrivere, scrivere e scrivere. Di notte le emozioni sembrano più dense, dice l’amico di Maria. Si spera, visto che la notte sarà l’unico segmento di tempo libero. Mi sento uno scolaretto il giorno prima del suo primo giorno di scuola. Animato da buoni propositi si fa comprare quadernini, astuccio, penne di tutti i colori, ricopre i libri per benino con la carta protettiva trasparente, scrive i compiti sul diario e alla fine dell’anno si fa bocciare.
A proposito di compiti, vi lascio quelli per le vacanze che vi aiuteranno a sopperire al devastante silenzio che la mia assenza lascerà nei vostri cuori per questi 6 lunghissimi giorni.
Un profondo respiro e cominciamo.
Leggete per bene l’intervista che Roberta Leomporra mi ha fatto per Italia Magazine ché quando torno vi interrogo. E poi quella che ho fatto io a Mauro Marcialis, in libreria in questi giorni col suo ultimo appassionante Spartaco, il gladiatore (Mondadori), nella rubrichetta che tutto il mondo ci invidia: 4 chiacchiere (contate) con… sempre e solo su SoloLibri.net. Per Solo Libri ho scritto pure un articolo che affronta la crisi dell’editoria vista dagli occhi dei piccoli editori indipendenti, che risegnalo semmai qualcuno avesse fatto finta di non vederlo.
Continuate a leggere Supermarket24, a consigliarlo (a quanto pare capita pure questo). Portatelo con voi al mare a fare i bagni di sole (non troppo però, ché prende fuoco, ha una pelle delicata) e impeditegli di giocare ai tuffi ché, se no, mi si scioglie in acqua come un’aspirinetta. Scrivete una recensione, pure dieci righe purché sia la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità sulle sensazioni che vi ha dato leggerlo e inviatemela a matteo1077@gmail.com.
Fate come Roberto, insomma, che ringrazio tanto:Stoccolma, 4 agosto 2010
In un mare editoriale in calma piatta, dominato da autori ispirati da facile buonismo e finti sentimenti, Supermarket24 agita le acque.
Il protagonista del romanzo, Luca Sognatore, trova lavoro in un supermercato qualunque di una città di provincia qualunque, e Matteo Grimaldi lo segue nella sua prima giornata di lavoro. In quelle ore Luca avrebbe potuto incontrare l’amore e nuovi amici con cui condividere sogni e aspirazioni, ma Grimaldi non cade in trame facili e già scritte, disegnando un personaggio credibile e intelligente. L’autore scava nei pensieri di Luca, e trova giudizi netti e definitivi su colleghi e clienti, frustrazioni e sarcasmo di chi ha già capito ed accettato di essere un uomo qualunque.
Ciò che rende questo romanzo originale ed interessante, è che di colpo il supermercato diventa l’ufficio del lettore, il bar che frequenta ogni sera, la sua cerchia di amici, o magari la sua stessa famiglia. E così chi legge, a tratti, si immedesima in Luca, gli dà ragione e annuisce, anche se in parte vorrebbe prenderne le distanze. E la vita di Luca, così lontana dalla generazione di chi vive tre metri sopra il cielo, assomiglia un po’ più alla nostra.
Roberto Di Giulio
Basta così, per ora. Mi pare pure troppo per 6 giorni che non ci sentiamo. Già, perché il PC lo lascio a casa. Mi porto la non agenda per riscoprire il gusto antico di scrivere pagine e pagine con la penna (non quella fluorescente in allegato). Noi ci risentiamo per Ferragosto con la pancia satura di agnello alla brace riscaldato al forno, dal sapore un po’ gommoso, familiare. Non vedo l’ora, proprio.
Porta con te la voglia di non tornare più. Appunto.
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Scrivi un commento →: Case Editrici: c’è chi molla e chi affronta la crisi “InVersi”
Ho scritto questo articolo per SoloLibri.net dopo aver letto dell’imminente chiusura di Zandegù, un editore che ha provato a far sempre una letteratura intelligente, e della scelta di Edizioni della Sera di puntare sulla poesia giovane e sconosciuta con la nuova colla “InVersi”. Due strade lontanissime che fanno parte dello stesso intricato mondo delle case editrici indipendenti di qualità.
Viviamo un momento storico, speriamo bene duri appena un momento, in cui la lettura sembra esser divenuta sinonimo di perdita di tempo, riservata a chi ha tanto tempo (poca gente) e soldi (ancora meno), visto il prezzo di certe prime edizioni che sfiorano i trenta euro. Le vendite dei libri continuano a calare, mentre crescono in modo esponenziale gli aspiranti scrittori che tartassano gli editori con manoscritti che, eccezion fatta per qualche rara perla, verrebbero scartati pure dagli autori di Beautiful.
Le major dell’editoria sono sempre più restie a produrre giovani o vecchie voci sconosciute, perché è un azzardo che in tempo di crisi non ha alcun senso vivere. Dopotutto ci sono i soliti nomi che funzionano e garantiscono moneta sonante, perché rischiare?
I piccoli e medi editori indipendenti continuano a provarci. Si appassionano a storie nuove e le producono, lavorando con sacrificio ad ogni libro e alla promozione, mettendoci anima, corpo e soldi perché tutto sia perfetto, perché il libro funzioni, perché sempre più persone ne vengano a conoscenza. Quello che ricevono in cambio è la porta sbattuta in faccia dalle librerie alle loro pubblicazioni, la disattenzione dei media e un mondo di difficoltà. Si “sbattono” da una fiera all’altra per piazzare poche copie e non ripagarsi neanche la metà delle spese, nel disperato tentativo di rendersi competitivi con una concorrenza impossibile. A un certo punto capita che il gioco non valga più la candela, non che prima la valesse, ma subentra una stanchezza di anni di illusioni mai ripagate e molti validissimi editori decidono di chiudere i battenti. È il caso della Zandegù che per voce della sua giovanissima direttrice editoriale Marianna Martino annuncia la chiusura (forse provvisoria, si vedrà a settembre). Auguro loro di trovare la voglia e la forza di insistere. Erano vicini di stand della mia casa editrice, la Camelopardus, alla fiera del libro di Finale Ligure e in quell’occasione ho acquistato “Maliverno” di Fabio Lubrano, che consiglio a tutti.
In questo panorama preoccupante emerge dal buio la luce di una piccola casa editrice romana, Edizioni della Sera (guidata dal giornalista e scrittore Stefano Giovinazzo) che continua a puntare su un’ammirevole politica di scouting nella narrativa, a cominciare dalla pubblicazione di “Boing Generation” del giovane Luca Sacchieri. Non solo: ha deciso di osare con una collana di poesia senza contributo. A settembre, infatti, vedrà la luce “Una terra che nessuno ha mai detto”, la prima creatura della nuova collana di poesia “InVersi”, curata dalla scrittrice e giornalista Monica Maggi. L’autrice del libro è Irene Ester Leo, classe 1980, che ha alle spalle numerose pubblicazioni per LietoColle e importanti riconoscimenti poetici. A Edizioni della Sera va il mio più grande in bocca al lupo per questa collana poetica che probabilmente indurrà molti a storcere il naso al grido di: “La poesia non si vende!” per aver scelto di percorrere una strada che non tiene conto delle politiche del marketing, ma che procede verso il talento, la qualità, la passione e il desiderio di offrire a chi se la merita una possibilità per emergere.
L’articolo lo trovate anche qua.
Prima di acquistare un libro che vi intriga, a meno che non sia delle solite Monda e Feltri e Bomp e Riz, informatevi sull’editore, scoprite se è uno di quelli che vivono di passione e investono sugli autori, oppure se seduto al tavolino del dir. c’è un vampiro che succhia il sangue dei sogni degli aspiranti autori che a lui si rivolgono. Quelli non muoiono mai, purtroppo. Neanche coi paletti di frassino.