Scrittori irriconoscenti che sputano nel piatto dove mangiano – Alcide Pierantozzi

Non mi è piaciuta l’ultima di Alcide Pierantozzi. Ho nutrito l’ammirazione per lui fin dai suoi primi passi, perché è riuscito giovanissimo a imporsi al grande pubblico con Uno in diviso, uscito per Hacca Edizioni nel 2006 e ristampato quest’anno in una veste nuova che a me piace molto meno della precedente. Il libro vende benissimo per essere distribuito da una piccola realtà editoriale, e divide il pubblico. Pierantozzi viene osannato dalla critica e da certi rispettabili addetti ai lavori quali Fois e Genna. Rizzoli lo chiama anticipandogli 45mila euro per i successivi 2 libri. Leggete Vivere di libri, articolo comparso su D Repubblica nel quale Laura Piccinini mette a confronto gli anticipi superlusso che le major sborsano agli autori. Alla faccia di chi dice che di scrittura non si vive! L’uomo e il suo amore è il secondo, il primo pubblicato da Rizzoli, un’opera forse un po’ troppo ambiziosa vicina al saggio filosofico, che non porta ad Alcide e a Rizzoli i risultati sperati. Ivan il terribile, come lui stesso annuncia nell’articolo, ha tutte le caratteristiche per diventare un bestseller, ma, almeno per ora, così non è. Qualche giorno fa pubblica su Facebook la seguente nota.

Mi pare una contraddizione evidente quando dice che vuol stare lontano da editori, giornalisti, scrittori e quant’altro, e poi aggiunge che il suo lavoro è scrivere. Quello che fa della sua scrittura un mestiere è intanto il denaro che il suo editore gli versa, in termini dell’anticipo prima e dei diritti d’autore poi, altrimenti di lavoro dovrebbe cercarsene un altro meno piacevole, e ritagliarsi del tempo per scrivere con la testa e il corpo stanchi davvero, e la luce della luna fuori. Le recensioni che i giornalisti, altra categoria da cui vuol tenersi alla larga, stanno regalando alla sua opera. Le parole che gli scrittori, terza categoria che nomina infastidito, hanno acconsentito a spiattellare sulle quarte di copertina. Sulla copertina dell’ultimo si legge:

Un capolavoro sull’adolescenza. Tra le inquietudini di Dostoevskij e la magia di Stephen King. Giuseppe Genna

Ecco, appunto. Questi sono gli elementi che consentono ad Alcide Pierantozzi di poter definire la sua scrittura un lavoro, e che lui sembra all’improvviso detestare. Alcide si cala nella parte del divo silenzioso che avvampa del sacro fuoco della scrittura, e schifa coloro i quali stanno facendo la sua fortuna. E’ stanco di sbattersi in giro a fare serate, così annulla tutte le prossime presentazioni, senza tenere per nulla conto di chi per quelle serate ha lavorato in termini di tempo, pubblicità, organizzazione; e l’ha fatto non per soldi, ma per la passione che andrebbe rispettata. E io che ho sempre considerato gli incontri col pubblico un’incredibile possibilità di confronto e crescita personale, oltre che di arrivare al cuore delle persone, farsi conoscere attraverso i propri libri. Ma tu guarda un po’ questo!
Mi piace sempre meno Pierantozzi perché mi sento preso in giro. Questa dello scrittore puro e stanco dei riflettori, divo alla Isabella Santacroce, dalla quale sta attingendo le caratteristiche peggiori, non corrisponde alla sua reale natura. Ce lo vedete un Salgari, che ha vissuto la sua esistenza in isolamento totale a scrivere storie, a creare mondi, quello che Pierantozzi sente per lui stesso, che spende 7mila euro in pantaloni di Cavalli e giacche Armani (la fonte è sempre l’articolo sopra citato), e posa su Rolling Stone con Nina Zilli?
Alcide, torna in te!
Piccolo aggiornamento lampo: Ho avuto un breve confronto con l’autore che mi ha contattato su Facebook dispiaciuto “di questa improvvisa cattiveria”. E ha continuato: Non sai niente di me, della mia vita, di quelli che possono essere i miei problemi familiari in questo periodo e le ragioni per cui ho annullato le presentazioni. Giudicare così, dall’esterno, è molto ingiusto. Io ho risposto che la mia non era cattiveria, ma delusione e rabbia perché la felicità, la soddisfazione, la buona sorte non sono dovute nella vita: La condizione dello scrittore riconosciuto, quale sei tu, è rarissima da trovare per chi lo sogna, lo desidera, e anche per chi lo merita. Bisognerebbe sempre essere riconoscenti verso chi ci consente di vivere facendo quello che più desideriamo, senza doverci accontentare di un mestiere per tirare a campare. Tu ci sei riuscito, ma per come ti stai ponendo nei confronti dei tuoi lettori (mi ci metto pure io) sembri dimenticare quanto può essere sacrificata e sacrificante una vita. Te lo dice uno che alle 18 va a fare chiusura al Mc Donald’s dell’Aquila e torna a casa all’1 e mezza di notte che puzza di fritto e sudore. E, unto come una bruschetta, si mette a scrivere, pure se non c’è nessun signor Rizzoli disposto a pubblicarlo. Lui mi ha invitato a rileggere il titolo, troppo forte: Ecco, ti assicuro che non sono cose belle da leggere, svegliandosi la mattina. Anche perché uno scrittore non deve essere riconoscente a nessun editore, caso mai è il contrario. Ai lettori, sì. E io lo sono moltissimo (anche se certo non ho milioni di lettori). Non la penso così: Uno scrittore deve essere sì riconoscente al proprio editore. Altrimenti non potrebbe neanche definirsi tale. Allora lui ha tagliato corto: Va bene, chiudiamola qui. Se vuoi capire, capisci. Ciao. Quando ho provato a rispondergli, mi aveva già cancellato dalla lista degli amici.

Una decisione difficile

Intanto ben tornati! Per tutta la giornata di ieri il sito è caduto in catalessi, e beato lui! A chi tentava di accedervi diceva:

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Io mi sono fidato di quel try again later. Ogni tanto riprovavo dal cellulare nei luoghi più variegati, magari l’aria diversa poteva essergli d’aiuto: a Roma, nella sala d’aspetto di una clinica per animali; nella piazzola di un autogrill; nel bagno del Mc Donald’s, ma non cambiava niente. Ieri è stata una giornata fitta di pensieri, e il malfunzionamento del sito è andato a posizionarsi sul fondo. Mettiamoci pure che il sabato non è un giorno ideale per risolvere problemi. Comunque ora è tutto a posto. Il web-designer Divino Pino mi ha spiegato che il blackout è stato dovuto alla crescita di traffico che ha mandato fuori banda il server. Tutta colpa vostra. Quindi, insomma, molte grazie eh! Adesso che ci siamo attrezzati avete il mio permesso di scatenare l’inferno.
Come state passando questa domenica? Io sono stato da più parti rimproverato perché ho deciso di trascorrerla a riprendermi da ieri. In che modo? Non facendo nulla di diverso dallo scrivere e leggere (mi piacerebbe buttar giù le basi per un racconto che la mia testa elabora da qualche settimana), senza uscire di casa, né dalla mia stanza se non per cibarmi. Ieri ho accompagnato Madre, Secondogenita e Zion-cane a Roma, presso la clinica per animali dove un anno fa è stata operata all’anca destra per una grave forma di displasia, male comune nei molossoidi. Nell’immagine è piccolissima. Adesso è 100 volte più pesante e minacciosa. Se la fate arrabbiare vi stacca l’orecchio con un morso, e non sarebbe la prima volta. L’operazione consiste nel tagliare un osso, riposizionarlo e fissarlo con una piccola piastra di metallo. La faccia di Zion-cane strappava il cuore. Non poteva capire perché aveva dovuto subire tutto ciò, allora lo chiedeva a noi. Il post-operatorio è lungo, doloroso e delicato. Abbiamo riservato a Zion-cane una stanza di Villa Madre. Il pavimento di cotto liscio può essere molto pericoloso. Sarebbe bastata una scivolata per compromettere definitivamente il recupero della zampa, così l’abbiamo rivestito di tappeti e cuscinotti recuperati da Madre in antichi bauli custoditi nella stanza della regina. Abbiamo passato notti insonni ad accarezzarla. Secondogenita non la lasciava un attimo da sola. Ci alternavamo per farle fare brevissime passeggiate in giardino, col guinzaglio corto per sorreggerla a ogni cedimento. Siamo stati molto attenti a osservare il protocollo riabilitativo che ci ha consegnato il dottore che l’ha operata, eppure qualcosa non è andato come doveva. Zion-cane non appoggia la zampa come dovrebbe; spesso trascina i polpastrelli sull’asfalto che le sanguinano. Il dottore, 15 giorni dopo l’operazione, ha detto che stava procedendo tutto molto bene. Anzi, che Zion-cane dimostrava una ripresa più veloce del normale. Non era vero. L’hanno visitata diversi veterinari aquilani che hanno confermato che si è trattato di un’operazione peggiorativa. Certo, quelli sono comuni veterinari, lui è specializzato in ortopedia. Ieri il faccia a faccia col dottore: Guardate la lastra! Ha l’anca perfettamente in linea. Il problema di questo cane è il nervo. La zampa di Zion-cane non reagisce agli stimoli nel modo giusto. Gliel’ha piegata all’ingiù e lei non la riportava sul piano, coi cuscinetti sul pavimento, ma rimaneva coi polpastrelli rivolti verso il basso. Io, pur non avendo nessuna competenza, ho sempre sospettato che gli avessero toccato qualche nervo. Più che un problema motorio il suo, mi pareva di azione e reazione, mancanza di comunicazione fra le parti. Il dottore ha ammesso la possibilità che durante l’operazione qualcosa sia andato storto: C’è un nervo molto vicino che certamente non è stato tranciato, altrimenti non avrebbe proprio camminato più, ma se fosse stato anche solo sfiorato le conseguenze sarebbero state queste, o molto simili a queste. Il 6 giugno ha fissato un appuntamento con la neurologa per approfondire assieme a lei le cause, individuare il punto di lesione e i rimedi possibili. Tutti sanno che i nervi non si recuperano. Trattenevo con estrema difficoltà prima la mia rabbia, al sentire con quanta naturalezza illustrava i danni irreversibili da lui stesso causati a pagamento sul nostro cane, e poi quella di Madre e Secondogenita, incapaci di mascherare tutte quelle sensazioni esplosive messe assieme. Visto che Zion-cane dovrà subire un secondo intervento sull’altra zampa, e visto che il primo l’abbiamo pagato 1800 euro, fra operazione e visite di controllo, visto pure che il dottore in questione gode di ottima reputazione nazionale, e visto che è vero che abitiamo a Villa Madre, ma non possiamo certo permetterci di accendere il camino con le banconote da 500 euro, mentre il dottore si arrampicava in spiegazioni ricche di termini incomprensibili e graffi sullo specchio che a fatica risaliva, l’ho interrotto: Nel caso in cui dovesse venir fuori che, seppur involontariamente, durante l’operazione, ha lesionato lei il nervo di Zion, mi sento di chiederle se sarebbe disposto a operare l’altra zampa gratuitamente. Dopo qualche istante di silenzio di imbarazzo da parte mia, che ho fatto un’indicibile fatica, e di riflessione da parte sua, che evidentemente non si aspettava una simile richiesta, il dottore ha risposto: Io non voglio prendermi colpe che non ho, però, se ce le ho, me le prendo tutte. Allora, prima parliamo con la neurologa. Se lei confermerà l’ipotesi del danno causato da me, io non mi tirerò certo indietro. Quindi potrei operarla senza farvi pagare ulteriori spese.
Madre, durante il viaggio di ritorno, non faceva che elogiare il mio spirito d’iniziativa, capace di mettere il dottore in difficoltà e forse ottenere un minimo di risarcimento almeno morale, facendo comunque il bene di Zion-cane. Io continuavo a domandarmi se fosse opportuno mettere il proprio cane in mano alla persona che già una volta ha sbagliato, soltanto perché è molto accreditato e perché lo farà gratuitamente. L’errore umano ci sta, ma il perseverare in buona fede sarebbe davvero diabolico se la seconda operazione andasse come la prima, e non potrei perdonarmelo. Penso pure che Zion-cane va operata comunque, e chiunque lo farà potrebbe sbagliare.
Voi cosa fareste se Zion-cane fosse il vostro cane?

Vittorio Sgarbi e l’ennesima occasione mancata di stare zitto

L’Emilia reagirà al terremoto, non come l’Abruzzo che si piange addosso.

Tutti mi avete scritto che paragonare 2 fenomeni sismici così diversi è sinonimo di ignoranza e desiderio di far scalpore. Eccone subito una plateale dimostrazione. Avevo deciso di non commentare le parole del professor Vittorio Sgarbi, ritenendole capaci di commentarsi da sole. Il pensiero alle persone che sono morte, 309, e a tutte quelle che vivranno nel dolore per la loro mancanza, migliaia, mi impone il silenzio, e zittisce anche la rabbia di reazione. Perciò ho lasciato agli altri il piacere di scagliarsi contro. In molti, su blog e social network, hanno espresso il loro disprezzo verso un’esternazione che deborda ignoranza più di quanto faccia la Cascata del Toce con l’acqua. Vi ho ammirato, e di aggiungere altro disprezzo non mi sarebbe dispiaciuto, però mi sono trattenuto. Ho preferito assistere all’arrovellamento del mio fegato zitto zitto, piuttosto che lanciarmi in una lunga invettiva contro Vittorio Sgarbi, che comunque anche oggi non leggerete su questo blog, almeno sotto forma di parole. Passeggiando nella rete ho trovato l’immagine che vedete, realizzata dai soliti giovani geni che questo mondo virtuale per fortuna popolano. Mi ha divertito, e penso che renda giustizia intanto al mio senso di impotenza. Io un microfono nazionale per rispondere alle minchiate di qualcuno non ce l’ho, come non ce l’hanno gli aquilani, ma non solo. Tutti quelli che avrebbero cose intelligenti da dire, capaci di dare spunti, idee, di fare largo a riflessioni che nessuno ascolterà. Invece il microfono ce l’ha chi, come Sgarbi, si atteggia a gran conoscitore del mondo, giudicatore di vite di fronte alle quali pure Dio farebbe un passo indietro prima di sentenziare. E poi trovo che renda giustizia pure alle caprette, che sono creature infinitamente più simpatiche di Vittorio Sgarbi e, mi azzardo a dire, più utili. Producono un latte digeribilissimo; a Sgarbi basta aprire bocca per farti cadere il latte fino alle ginocchia. Mi sarei risparmiato volentieri questo articolo, se solo il professore avesse colto la sua seconda occasione di stare zitto. E invece no.

L’Aquila resta un teatro di fantasmi spopolato, e questo nessuno può negarlo.

Voglio credere che lui non abbia pensato alla ferita nei cuori di migliaia di aquilani, rinchiusi nella propria sofferenza silenziosa. Io sì, e trovo la parola fantasma indelicata, tracotante, vergognosa, cattiva. Mi sono ricordato di un fatto recente. Poco più di un mese fa c’è stata la settimana della cultura. Il 15 aprile, il Prof. Vittorio Sgarbi, alla presenza del Mons. Giuseppe Molinari, ha inaugurato proprio qui a L’Aquila una mostra dell’artista Giovanni Gasparro, rimasta aperta fino al 19 aprile. All’interno dell’evento è stato allestito uno stand dell’Editore Cantagalli dove i fantasmi aquilani hanno potuto acquistare l’ultimo libro di Vittorio Sgarbi. Questo per dire che lui, a vendere i libri nel teatro dei fantasmi ci viene, però. Allora, pur sapendo che non servirà a niente, gli auguro con tutta la sincerità e la franchezza di cui sono capace che a leggere i suoi libri possano per sempre essere solo e soltanto i fantasmi. Prima di parlare bisogna capire, e per capire è necessario vivere. Kytril

Il patto col Diavolo

Stamattina mi sono svegliato disposto a scendere a patti col Diavolo. Mi capita ciclicamente di pensare a cosa rinuncerei di ciò che posseggo adesso, in cambio di tutto quello che desidero da una vita e per la mia vita. Oggi poi questo cielo cupo aiuta pensieri simili. Come aiutano gli accadimenti dell’ultima settimana in particolare; direi più in generale l’aria che tira in Italia da qualche anno a questa parte. Non che prima proliferassero sensazioni di benessere e scintillanti prospettive per il futuro. I nostri ex governanti avevano dalla loro un’eccellente capacità di dissimulare la verità. Ci inducevano a credere che tutti i problemi erano risolvibili e riducibili alla dimensione di uno spillo, e che ci avrebbero pensato loro a farlo, attraverso l’operato politico. Il solo fatto che qualcuno ce lo dicesse, e che la nostra quotidianità procedesse senza il peso tangibile del cattivo momento, bastava a farci sentire quella speranza che oggi è disperazione. Fortunati quelli che non sanno cos’è la disperazione. Tirare un sospiro di sollievo per non essere ancora morti di fame evidentemente non basta. Bisognerà pur fermarsi un attimo di fronte all’ondata di suicidi per motivi economici degli ultimi mesi. Adesso pure la vendita di organi per saldare i debiti con l’agenzia di recupero crediti Equitalia. Bisognerà pur fermarsi un attimo di fronte al ritorno della devastazione che stavolta colpisce l’Emilia e alla tempestiva decisione del governo Monti di riformare la Protezione Civile col decreto legge 59, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale: da oggi in poi lo Stato non risarcirà più i cittadini per i danni da calamità naturali. Nel provvedimento si stabilisce – ancora solo in via transitoria e a fini sperimentali – la facoltà del privato di estendere ai rischi derivanti da calamità naturali le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di danno a fabbricati di proprietà dei privati. Qualche post fa, vi ho raccontato la chiamata della squinzia sciacalla telefonica che voleva propormi una copertura assicurativa contro le calamità naturali. Ricordate? Mi era parso così ridicolo, manifestazione e conseguenza dell’assurdo precipitare del buonsenso, che ci ho scritto un post su. Non avrei mai immaginato che quella sarebbe stata la strada intrapresa dal governo.
Ci sentiamo protagonisti di un mondo di cui, all’atto pratico, non possiamo disporre affatto. Ci avete mai pensato? Questo continuo parlare al plurale: Dobbiamo fare sacrifici perché ce lo chiede l’Europa, come se un luogo geografico avesse facoltà di porre delle domande. Dobbiamo fare un passo avanti verso la crescita. Dobbiamo uscire dalla crisi nella quale ci troviamo impantanati. Dobbiamo pagare la benzina 2 euro al litro per un tot tempo. Dobbiamo alzare l’iva al 21%, e se servirà al 23, così recupereremo fondi da destinare al meridione. Dobbiamo pagare la tassa sui cani e sui gatti; se servirà pure sui pesci rossi, sulle lumache che vengon fuori durante la stagione delle piogge, e sui lombrichi che i nostri ispettori troveranno appiccicati sulla parete di casa vostra al momento delle verifiche. A proposito di casa, dobbiamo pagare l’IMU che possiamo calcolare attraverso questo semplicissimo form a disposizione di tutti (non è fantastico tutto ciò?). Dobbiamo far abbassare lo spread sotto la soglia dei 300. Pure se per voi quello dello spread è un pensiero che viene dopo il lavoro che manca; il frigorifero che pare una bara illuminata a neon; i figli piccoli che vorrebbero, ma non possono; i figli grandi che provano a sentirsi forti, ma a un certo punto crollano, e lasciamoli anche un po’ in santa pace; le robe da pagare che si triplicano senza spiegazioni comprensibili. Noi ve lo spieghiamo perché sono aumentate, ma voi continuate a non capire. E voi continuate a mangiare e bere in abbondanza, a sprecare cibo e risorse, a far lavorare chi dite voi, a dare la colpa alle gestioni precedenti, pure se la gestione precedente eravate voi, a riempirvi la bocca di quel tutti noi insopportabile. Ditemi se a uno non gli deve venir voglia di fare un patto col Diavolo. Per capirci qualcosa di più su come contattare l’altissimo Re del male mi sono rivolto alla fonte informativa più attendibile della rete: Yahoo Answers. Un ragazzo, il cui nickname è Milledollarisulrosso, che la dice lunga, pone la domanda: Com’è redatto un patto col diavolo? Nemecsek gli risponde:

Hai presente il contratto con gli italiani che Berlusconi ha firmato da Vespa qualche anno fa? Ecco, è una cosa del genere.

Per dovere di cronaca devo precisare che quello ritratto nell’immagine, che ho prelevato dal blog Matite in libertà del disegnatore Federico Distefano, non è Silvio Berlusconi. O almeno, al momento non ci sono prove che dicano il contrario. Per la vicenda Mediatrade è stato prosciolto anche in Cassazione per non aver commesso il fatto. cvs Quibron-T

Informarsi prima di informare

Mi sono svegliato e ho sbattuto gli occhi contro le immagini del terremoto che stanotte ha colpito Modena e Ferrara in particolare. Il bilancio sembra contenuto: 6 morti e una cinquantina di feriti. Salva miracolosamente, invece, una bimba di 5 anni: sulla sua stanza è crollato il campanile di Finale Emilia, ma una trave l’ha protetta. Dopo due ore sotto le macerie, gli uomini della Protezione Civile l’hanno tratta in salvo. Scrivo questo articolo spinto dal dispiacere che la brutta notizia del giorno mi ha trasmesso, e dal dispiacere provocato da certe reazioni facili e veloci che ho letto, e che riassumo così:
– A L’Aquila è stato uguale, però ha raso al suolo una città.
– Per fortuna che qui non hanno costruito case di merda come a L’Aquila.
Provo a spiegare perché a L’Aquila non è stato uguale, senza entrare in inutili tecnicismi. L’intensità del sisma misurata il 6 aprile 2009 è stata di 6.3 scala Richter, con picchi di 7 per pochi istanti. Per comprendere la differenza di energia fra un 5.9 e un 6.3, valori che a occhio sembrano molto vicini, bisogna sapere che la Richter è una scala logaritmica in cui tra un grado e il successivo c’è una differenza di 10 volte dell’ampiezza del movimento del terreno, e di circa 30 volte dell’energia liberata. Quindi non è un saltino fra un punto e l’altro, ma un’immensità di potenza che separa il 5.9 dal 6.3. La durata della scossa principale di stanotte è stata di 20 secondi, a L’Aquila fu di 30. Anche qui si potrebbe dire: Cosa vuoi che siano 10 secondi in più? Sono un’enormità: a L’Aquila sarebbero bastati 4 o 5 secondi in più per vedere triplicarsi le vittime. Un’altra differenza sta nella profondità. Il sisma di stanotte è stato rilevato a una profondità superiore ai 10 km, a L’Aquila fu a 9 km. Solo un km, sì, che attenua esponenzialmente l’energia. Quello che sto dicendo non significa che gli edifici crollati a L’Aquila erano stati costruiti in modo impeccabile. Tutt’altro, viste le decine di processi in corso. Voglio solo dire che mettere a paragone le 2 realtà, soltanto per una vicinanza di cifre nel nostro comune intendere i numeri, non è corretto dal punto di vista del significato scientifico che i numeri hanno in questo caso. I paragoni sono sempre facili, però bisogna avere i giusti elementi per poterli fare in modo sensato, prima di riportare alla gente inesattezze. Informarsi prima di informare, insomma. Per farvi un’idea leggete anche questo articolo pubblicato su Dita di Fulmine, nel quasi l’autore fa un confronto fra la potenza di un terremoto e quella di un ordigno nucleare. L’immagine che vedete nel post è ripresa da lì. Sono dati che io ignoravo, prima di vivere in prima persona il dramma del 6 aprile. E avrei preferito non doverli imparare sulla mia pelle, credetemi. Resta il fatto che il terremoto si dimostra sempre più una caratteristica del nostro territorio, più comune che eccezionale. Un incubo, mi ha detto un mio amico. Una cosa che esiste, rispondo io, nei confronti della quale, come Paese, siamo purtroppo molto indietro. Altrove hanno mezzi, misure e volontà diverse, e riescono quasi sempre a impedire stragi che da noi, ahimè, si verificano puntualmente con l’accadere di eventi cataclismatici anche di minore intensità.

[Madre Montessori]

Madre, fin da piccola, ha sempre dimostrato una naturale propensione all’educazione della specie, di qualunque specie si parli, a cominciare dal suo gatto. Che poi non era suo, ma lei aveva deciso così, prima di gettarlo nella cisterna per insegnargli che non si catturano i topi, anch’essi creaturine di Gesù Bambino. Poi è cresciuta e ne ha sterminati a centinaia, finché  ha messo al mondo 2 figli riuscitissimi. Il primogenito è diventato un promettente giovane scrittore, salvo poi, a quasi 31 anni, non riuscire ancora a mantenere le promesse. Per mantenersi lavora in una catena di fast food internazionale. Frigge patatine, assembla panini, e intrattiene non sempre facili rapporti con la clientela aliena. Sogna di vivere di scrittura, intanto scrive la tesi, una parola ogni novilunio. La secondogenita lavora presso il call center di un noto ente pubblico. Aiuta i disperati utenti a raccapezzarsi fra tasse, pensioni, contributi, redditi. Ha rischiato il licenziamento per un’assenza ingiustificata di 2 settimane che assomiglia più a una sparizione. La verità è che aveva altri appuntamenti di primaria importanza: 5 ore dal tatuatore, tutte le mattine per 13 giorni, e 4 ore dall’amica aborigena per farsi impiantare delle elegantissime treccine giallo-nere. Nel frattempo non ha dato notizie di sé a familiari, amici, né al datore di lavoro che, preoccupato, ha chiamato Chi l’ha visto?. Federica Sciarelli si è rifiutata di occuparsi del caso, troppo impegnata a sopravvivere dopo la telefonata di un esponente della Banda della Magliana, che mercoledì, in diretta, l’ha minacciata di entrarle in casa con un carro armato, qualora non avesse smesso di gettare merda sulla sua persona in tivvù. Dopo 16 giorni e 7 ore, la secondogenita è riemersa dal buio. Le è bastato scusarsi accarezzando, con abile movimento di lingua, le lucide scarpe del padrone per essere riammessa a lavorare con la sola penale di euro 400 risucchiate dalla prossima busta paga, pari allo stipendio dei giorni non lavorati e non giustificati. Dopo gli eccezionali risultati pedagogici ottenuti con la propria prole, Madre ha deciso di allargare il suo campo d’azione alla fauna che popola lo sconfinato parco naturale di Villa Madre, concentrandosi sull’ultima arrivata, la cagnolina Miho. Non sappiamo a chi sia appartenuta prima che decidesse di adottare la sua padrona, e fra tutte scegliesse proprio la secondogenita dalla quale mai si è separata. Per molto tempo abbiamo ignorato l’esistenza della cagnolina Miho. La secondogenita l’accudiva segretamente. Ogni volta che la incontravamo con lei al seguito, ci raccontava che stava badando al cane di una sua amica. Invece le aveva già fatto mettere il chip e comprato una scorta di prelibate scatolette nel più rinomato alimentari canino. Siamo venuti a conoscenza della verità da una donna animalista esasperata, che una mattina ha citofonato al campanello di Villa Madre, prima di tornare alla sera infuriata e tutta sudata. Aveva trovato Miho in giro e l’aveva portata dal veterinario. Costui, dopo aver letto dal chip i dati della proprietaria, le ha indicato l’indirizzo che la secondogenita aveva fatto registrare, cioè Villa Madre. Madre l’ha accolta con sospetto: Quella donna vuole imbrogliarci, farci credere di possedere un cane che non ho mai visto. Così, l’ha liquidata con il solito: Ci dev’essere un errore. Noi abbiamo sì dei cani, ma nessuno dei 2 è quello lì. Arrivederci!
Quando all’imbrunire l’incallita benefattrice dei quadrupedi abbandonati è tornata, Madre si è insospettita e ha telefonato alla secondogenita che, dopo minuti di tentennamenti e arrampicate disperate sulla superficie scivolosa del suo specchio mentale, ha ammesso: La cagnolina è mia e si chiama Miho. Madre le ha riferito che l’aveva ritrovata una signora amante degli animali. La secondogenita ci ha raggiunto e di tutta risposta: Lei è una ladra! L’ha rapita! Ora la denuncio! La signora ha ribattuto che sarebbe stata lei a denunciarci per abbandono di animale, al termine di un’intera giornata trascorsa a ricercarne i padroni. Dopo averla placata promettendo una donazione di 30mila ossi a base di fluoro, destinati alla fondazione canina presieduta dalla donna, Madre ha stabilito con la secondogenita e con Miho le regole per una fruttuosa e pacifica convivenza. Le ha messo a disposizione lo sconfinato parco naturale di Villa Madre, ma Miho se n’è fregata, dimostrando una volontà di libertà superiore a qualunque grande giardino. Riusciva in quella che ritengo un’impresa impossibile e molto pericolosa. Prendeva la rincorsa e spiccava un salto, neanche fosse la figlia del trottatore Varenne, sfiorando gli spuntoni affilati sul bordo del cancelletto e ritrovandosi dall’altro lato, con tutta la città a sua disposizione. C’è voluto un po’ perché capisse che Villa Madre non è una prigione. Non è facile per nessuno modificare le proprie abitudini e convinzioni. Dopo settimane di corso di buone maniere, proprio ieri Madre vantava con me la sua ultima conquista pedagogica con Miho: L’ho addestrata. Non si azzarda più ad afferrare il rotolone di carta e a sparpagliarlo per tutto il giardino. Sì, è diventata bravissima grazie a me. Non pensare che ci voglia molto. Basta parlarci con gli animali, magari alzare un pochino la voce. Lasciarli liberi di sbagliare per poi spiegar loro i propri errori, e indicargli la strada giusta da percorrere. Dargli un premio quando si comportano bene, e una sculacciata quando si comportano male. Lo diceva pure Maria Montessori!
Qualcosa nello sguardo della cagnolina non mi convinceva, ma Madre era così fiera di sé che non ho approfondito l’origine delle miei strane sensazioni. Stamattina esco per una breve commissione all’Ufficio Postale e lo scenario che mi trovo davanti si posiziona a metà fra l’esilarante e il drammatico. La faccia di Miho dice chiaramente: Sono pronta a fare qualsiasi cosa ma, ti prego, non dirlo a Madre!

Fabio Genovesi si racconta in 4 Chiacchiere (contate)

Leggo spesso che in Italia di bravi autori giovani non ce n’è traccia, che i grandi editori mandano in stampa soltanto le biografie dei calciatori, i libri di racconti delle rockstar fra palco e realtà, e i romanzi di Barbara D’Urso e Pupo. E spesso lo dico anch’io. Che cacchio, se fossi Flavio Insinna, avrei pubblicato il mio nuovo romanzo da 2 anni. Ma non sono Flavio Insinna, non conduco Il Braccio e la Mente, né ho condotto La Corrida su Canale5. Ne consegue che Mondadori può aspettare. Io do parte della colpa di questa crisi culturale, editoriale e di lettura, in Italia, proprio agli addetti ai lavori. Non è difficile notare la virata verso una letteratura che rimbomba, perché rimbombano i nomi divenuti noti in ambiti che coi libri non c’entrano niente. Come dare torto a chi pubblica la biografia ufficiale di Del Piero se la settimana dopo è prima in classifica? Siamo al punto che uno che desidera raccontare storie deve inventarsi prima un modo per finire sulla bocca di tutti e, solo dopo, la storia da scrivere. Magari proprio quella che gli ha portato l’improvvisa notorietà dopo aver commesso un delitto. Ammazzare qualcuno è, oggi come oggi, in assoluto la strada più gettonata verso la celebrità. E dalla celebrità al libro è un attimo. Del Piero ancora no, Amanda Knox forse sì. Comunque una speranza resta. Se è vero che questi qui vendono diecimila volte più di quelli che non hanno vinto nessun campionato di calcio, al massimo quello del fantacalcio in terza liceo, non hanno mai presentato una trasmissione in tivvù, né ammazzato qualcuno diverso da qualche moscone appiccicoso con l’arrivo del caldo estivo, è vero anche che i narratori puri non si sono ancora estinti, e non sono tutti da geriatria ospedaliera. È il caso di Fabio Genovesi, che non sta fermo un attimo. Classe 1974, esordisce nel 2007 con la raccolta di racconti Il bricco dei vermi, uscito a tiratura limitata. L’anno successivo tocca al primo romanzo, Versilia Rock City (Transeuropa), più volte ristampato. Collabora con Vanity Fair, La Lettura del Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tirreno e Satisfiction. Nel gennaio 2011 Mondadori pubblica il suo secondo romanzo, Esche vive, che lo porta all’attenzione del grande pubblico trovando il successo anche all’estero. E nel 2012 ristampa Versilia Rock City. Quando pensi che ci stia benissimo un momento di pausa, ti sorprende con Morte dei Marmi, uscito proprio oggi per la collana Contromano dell’editore Laterza. E allora quale giorno migliore per segnalarvi l’intervista che ho realizzato per 4 Chiacchiere (contate)! Ecco la prima chiacchiera.

Il tuo caso è emblematico della “prepotenza” della passione, che entra nelle storie condizionando, direi piacevolmente, l’autore. So che stai lavorando al nuovo romanzo e allora ti chiedo subito: con ‘Esche vive’ pensi di aver esaurito l’argomento pesca oppure hai in mente nuove catture?

L’argomento pesca è inesauribile, perché è grande quanto tutti i mari e i fiumi e i laghi e gli stagni e i fossi, e quanto l’umanità. Ma non mi piace scrivere libri su un argomento, preferisco raccontare storie, storie di posti e di persone che fanno cose. Dentro poi ci finiscono le mie passioni, che per fortuna sono tante, ma ci finiscono come i cassonetti nei fiumi in piena, che passano e raccattano tutto. È come i famosi “contenuti”, se parti a scrivere pensando a quelli ti ritrovi in mano pagine meccaniche e plasticose. Io racconto una storia, come uno racconta quel che gli è successo o ha visto succedere ad altri, come uno racconta un sogno o un incubo o una barzelletta. Se poi il contenuto ci si tuffa dentro è splendido, ma ci si deve tuffare da solo, non lo devi spingere te.

Le altre 3 le trovate nella pagina dell’intervista su Sololibri.net. Vi consiglio di salvare fra i preferiti il blog di Fabio, e di chiedergli l’amicizia su Facebook, ne sarà felice. Oltre a leggere i suoi libri; Esche vive innanzitutto, secondo me.

Durante di Alighiero degli Alighieri, mica Fabio Scolo!

Mi sono spuntate delle micropalle cicciose sotto il mento, trasparenti e piccole piccole. Sarà conseguenza della rasatura speedy di stamane. Ero in ritardo e non esiste andare al lavoro con la barba non fatta. Non esiste per chi mi paga, mica per me. Io la taglierei solo per estrema necessità, e basta. Quando sta per toccare terra, per non dover raccogliere, camminando, tutto quello che qualcun altro ha gettato; per non sembrare un accattone che preleva e nasconde, all’interno della propria lunga barba, cianfrusaglie e sporcizia di cui, arrivato a casa, farne un sol boccone. Non amo farmi la barba perché sono solidale con la pelle del mio viso. Al passaggio della lametta sanguina come la Madonnina di Civitavecchia. E adesso le micropalle cicciose. Forse arriverà Fox Mulder a mettermi in guardia perché: Quelle sono uova aliene, e tu diventerai presto un Alien alto 3 metri pieno di bolle pustolose! Dana Scully al seguito lo smonta: Dai Mulder, gli alieni non esistono! Proprio in quel momento la luminosità si attenua. Un’ombra cala sulle cose. Dana alza gli occhi al cielo e vede una navicella spaziale coprire il sole. Sì, è proprio un UFO. Non potrebbe essere altra cosa. E’ esattamente così come ce l’hanno descritto nei film, nelle fotografie e Paola Barale a Mistero. Un disco volante con tante lucine intermittenti che mi risucchia a bordo attraverso una luce fluorescente. L’ultima immagine che conservo è Dana che guarda Mulder incredula e poi, quando il disco volante si è ormai allontanato a velocità supersonica fino a sparire nel buio: Mulder, dov’è finito Matteo? Non vorrai mica farmi credere che è stato rapito dagli alieni!
Potremmo spiegare le micropalle come l’avvertimento che qualcosa sta per cambiare. Che gli alieni stanno arrivando, così come ha annunciato Pier Fortunato Zanfretta, guardia giurata di Genova rapito dagli alieni e ributtato sulla Terra più e più volte. Prepariamoci perché il finale del 2012 si annuncia strabiliante. Ma le micropalle potrebbero anche essere uno sfogo, una richiesta d’aiuto della pelle che non ci sta alla notizia del bagno di folla per Fabio Volo. In Fiera, a Torino, legge Dante e racconta le sue passioni letterarie. Intanto se Dante fosse ancora vivo, e malauguratamente avesse deciso di ascoltare Fabio Volo così, tanto per farsi un’idea, da scettico insomma – uno una possibilità gliela vuole pure dare (io no, ma in generale non condanno chi lo fa) – scommetto che si sarebbe suicidato non appena avesse sentito la sua voce pronunciare la parola Dante, cioè il suo nome, il sommo poeta, lo scrittore in lingua volgare. Durante di Alighiero degli Alighieri, mica Fabio Scolo! Visto che per fortuna Dante è morto già – prendete quel per fortuna con le pinze del buonsenso –  di sicuro, durante le letture del Volo, si sarà messo a fare capriole e salti mortali carpiati, fino a rimanere incastrato nella bara in una disperata posizione di scomodità. Immagino il brontolio dei vicini di tomba esasperati da tutto quel baccano. Anche perché Dante mica li faceva orrori del genere. Twitter palesa al mondo ciò che gli editor hanno fatto tanto per celare in anni e anni di duro mestiere, dai meriti quasi mai riconosciuti pubblicamente. Chissà perché Fabio Volo non si fa editare pure i tweet. Alcuni arguti naviganti di buona volontà hanno ritrovato molte delle sue frasi celebri e più condivise, nel pensiero di antichi filosofi, che Fabio Scolo si è limitato a trascrivere in un Italiano un po’ più ganzo. L’idea che lui viva ricco e famoso con le frasi degli altri, morti di fame, mi fa raccapricciare i testicoli ed, evidentemente, spuntare micropalle cicciose sotto il mento. Comunque pure quest’anno la Santa Fiera è finita. Il bilancio è negativo, ma non troppo. Infatti, se è vero che le vendite rispetto all’anno precedente sono crollate di un abbondante 11 %, l’affluenza è aumentata. Saranno contenti gli organizzatori e i gestori dei bar del circondario, un po’ meno gli editori. Per presentare il proprio catalogo nell’occasione editoriale più importante dell’anno pagano fior fior di quattrini di stand. Se poi neanche vendono, tornano a casa galvanizzati da centinaia di contatti nuovi e belle parole, promesse di collaborazioni che non ci saranno e le valigie piene dei libri degli altri che non leggeranno, ma con le tasche sempre più vuote o, come dice il buon Jovanotti: piene di sassi, e gli scatoloni pieni dei propri libri non venduti e un po’ più sgualciti dall’ennesimo viaggio della speranza.
Piccolo aggiornamento lampo: Solo per oggi trovate 1Q84 di Murakami Haruki a 1.99 sul Kindle-Store di Amazon. Ve lo dico perché io, che l’ho pagato 20 euro e lo sto leggendo in queste settimane, sto rosicando a morte. Fra poco arriverò al 70 % del gomito divorato. Voi approfittatene!

A Torino (non) arriva Beppe Grillo (però Sepùlveda sì)

Si è aperto ieri il 25esimo Salone Internazionale del Libro di Torino.  Io vorrei tanto, ma non posso. Non ho giorni liberi e mi mancano i dindi sonanti, detti anche amichevolmente pippis. Rosico perché, oltre ai soliti noti, ci saranno anche Elisabeth Strout e Luis Sepùlveda, al quale vorrei dire quante carezze farei al suo gatto che insegnò a volare alla gabbianella. Non ci sarà neanche Beppe Grillo, ma non per problemi affini ai miei. Non ha gradito le parole di Ernesto Ferrero, il direttore artistico dell’evento, che lo ha invitato al Salone: A parlare di cose concrete, abbandonando l’insulto e l’invettiva. Il Re Grillo, che aveva concordato la sua presenza a Torino presso lo stand di Chiarelettere a patto che gli venisse concesso di esporre il suo programma politico, ribatte sul suo seguitissimo blog: Ne prendo atto e non andrò al Salone come ospite indesiderato, e un po’ ragione ce l’ha. Chiedere a Beppe Grillo di fare un intervento con più di 100 parole non contenenti insulti è come chiedere a Monti di varare una manovra che non preveda un macigno di tasse sui poveracci, o a Maria De Filippi di non scatarrare sulle scalette di Uomini e Donne. Proprio non ce la fanno, non è nella loro indole. Se inviti Beppe Grillo devi prendertelo con gli insulti e le invettive incorporate, perché lui è proprio quello lì. Ferrero ha sbagliato persona. Avrebbe potuto invitare Tata Francesca o Suor Paola. Pensandoci bene, pure lei dalla tribuna qualche maledizione alla Roma Calcio gliela manda.
Il tema di questa edizione è la primavera digitale. Non è un caso che fra i 1200 espositori c’è anche Amazon. Perché ho ripreso a mordicchiarmi il gomito? Non mancano le polemiche contro il colosso che oggi copre una microscopica fetta del mercato, ma è l’unica azienda editoriale che  cresce esponenzialmente mentre le altre crollano, e quindi fa paura. Non nasce sotto i migliori auspici la convivenza fra Amazon e gli editori tradizionali. Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del gruppo Gems, ha acceso la miccia: Vogliono un mondo libero. Sì, ma libero di usare il Kindle. Curiosa nozione di libertà! Io questa sua uscita non l’ho tanto capita. Se qualcuno conosce il signor Mauri può dirgli di chiamarmi per spiegarmi che nesso c’è fra la libertà di espressione e i Kindle che lo infastidiscono tanto (e poi, eventualmente, pubblicarmi)? Amazon è l’Attila dell’editoria. Fa terra bruciata ovunque passa. Prima ha travolto la distribuzione tradizionale, a partire da storiche catene librarie americane come Borders, che sono precipitate. Poi il mercato dei libri di carta con la crescita degli ebook (favorita dalla diffusione del Kindle), per non parlare della piattaforma di self publishing grazie alla quale gli scrittori possono pubblicarsi da soli. L’unico futuro garantito è per gli autori e per i lettori. Per tutti gli altri, chissà. Intanto quale migliore occasione per accaparrarsi un Kindle direttamente allo stand di Amazon, e pure scontato? Io, se non ce l’avessi già, sarei partito per Torino anche soltanto per questo. Non certo per i Modà che presenteranno il loro primo libro Modà. Come un pittore, scritto da Kekko Silvestre (sì, in copertina ci sono tutte queste k) e del  quale sono stato informato attraverso circa 600 eventi, messaggi ed email. Mi spiace, ma io non sarò a Torino quest’anno, rispondevo. E quelli, 5 minuti dopo, ricominciavano con le email: Non perderti l’evento della Fiera 2012! Eh la miseria, pensavo. Chissà cos’è, chissà chi è! Viene Stephen King a Torino? Apro e no, ancora con ‘sti Modà! Con un certo sollievo, in generale posso dire di essere stato risparmiato dal fastidioso bombardamento di inviti in serie da parte di editori, scrittori, addetti e non addetti via Facebook e posta elettronica. Forse avranno capito che, oltre a non servire a niente, rappresentano una tortura per l’occhio e il cuore dell’utente che vede comparire una notifica, s’illude che possa essere quell’email che aspetta da una vita, e invece è l’invito allo stand di CuccuruccuccùPaloma Edizioni che quest’anno porterà il suo ricco catalogo editoriale agli occhi del mondo intero. Il discorso non vale per tutti. Come al solito c’è modo e modo, anche se non tutti lo sanno. Con tutto il rispetto per CuccuruccuccùPaloma Edizioni che, qualora esistesse, mi sarebbe simpaticissima.

Dalla Cina a Perrone Editore, passando per Cesarina Vighy

Ieri mi è arrivato un piacevolissimo bombardamento di news editoriali interessanti. Mi par cosa buona, giusta e utile condividerle con voi che amate la lettura quanto me. Partiamo da una nuova uscita in libreria: Il Monte degli Aromi, il nuovo romanzo di Yu Jie portato in Italia dalle Edizioni San Paolo. Yu Jie è un autore cinese di 38 anni ancora poco conosciuto in Italia, ma molto noto in patria. In seguito alle sue feroci critiche al partito comunista è dovuto fuggire dalla Cina per rifugiarsi negli Stati Uniti perché, come lui stesso ha dichiarato all’arrivo con moglie e figli a Washington: La sua situazione in Cina era diventata troppo pericolosa. Ha scritto libri critici verso il regime, pubblicati a Hong Kong e diffusi clandestinamente, fra i quali una biografia del premier Wen Jiabao, definito nel libro un attore comico. Bookavenue scrive de Il Monte degli Aromi:

E’ un romanzo sorprendente in cui vibra un’atmosfera di attesa. Leggendolo sembra di essere ai confini di una rivoluzione imprevedibile, inaspettata. Forse perché l’amore è unico e prezioso nelle sue innumerevoli forme. Forse perché tutto il mondo è chiamato a partecipare a ogni vero amore.

Potete leggere l’intera recensione qua.
Possessori di Kindle, un attimo d’attenzione perché sto per darvi una notizia fantastica. La casa editrice Fazi ha deciso di rendere onore alla memoria della straordinaria autrice Cesarina Vighy (nell’immagine in alto) lanciando su Amazon, per un’intera settimana, gli ebook L’ultima estate e Scendo. Buon proseguimento al prezzo irrisorio di 0.99 euro l’uno. Io non potevo credere ai miei occhi, e ho acquistato con un click l’uno e l’altro. L’ultima estate è uno di quei romanzi che un giorno si è accostato ai miei pensieri, e sapevo che prima o poi l’avrei letto e sicuramente amato. Ho definito Cesarina Vighy un’autrice straordinaria non soltanto per il talento indiscutibile di cui era dotata, ma anche per la sua storia di donna segnata dalla malattia. Una donna estremamente positiva, pur nella terribile difficoltà di affrontare con lucidità i duri anni della SLA (sclerosi laterale amiotrofica). Nel 2009, all’età di 73 anni e già gravemente malata, esordisce con L’ultima estate, un romanzo dai forti spunti autobiografici, che vince il Premio Campiello opera prima, il Premio Cesare De Lollis, e si impone nella cinquina del Premio Strega.

Camminare eretti e parlare, due facoltà che hanno fatto della scimmia un uomo: io le sto perdendo entrambe. Restano l’inutile pollice sovrapponibile e l’insopportabile coscienza di me. (L’ultima estate)

Muore nel maggio del 2010, due giorni dopo l’uscita del suo secondo libro, Scendo. Buon proseguimento, un addio in forma epistolare costruito con un corpus di email spedite a familiari e amici. E poi la sua è anche la dimostrazione che non esiste un tempo limite per i sogni, perché si può ritirare fieri un Campiello opera prima a 73 anni. Quindi non perdete l’occasione di conoscere l’opera di Cesarina Vighy. Voglio aggiungere che da oggi apprezzo ancor di più la Fazi, una casa editrice che si dimostra sensibile verso gli autori che hanno segnato la sua storia, e generosa verso i lettori che, in un momento sociale così delicato, comunque non ne vogliono sapere di rinunciare alle buone letture.
Da una casa editrice meritevole a un’altra, la Perrone. Giulio, il direttore editoriale, ha lanciato una campagna promozionale dal titolo: L’editoria indipendente dove non ti aspetteresti di trovarla. Dal 2 all’8 maggio infatti, presso tutte le librerie della catena Feltrinelli, troverete i titoli della Perrone Editore scontati del 15%. Visto che io la Perrone la porto nel cuore, e visto che di libri da loro pubblicati ne ho letti diversi, vi do qualche consiglio per approfittare al meglio dell’occasione. Intanto i romanzi di Paolo Di Paolo, che adoro non soltanto per avermi onorato regalandomi la prefazione di Supermarket24, ma anche per aver scritto Raccontami la notte in cui sono nato, Questa lontananza così vicina, e Dove eravate tutti, pubblicato da Feltrinelli, sul quale si era vociferata anche una candidatura allo Strega che poi non c’è stata. Invece c’è stata e con successo quella dell’ultimo lavoro di Giuseppe Aloe, altro cavallo di battaglia della scuderia Perrone, La logica del desiderio in gara per il Premio Strega 2012. Non ha vinto il Premio Strega, ma il Campiello Giovani, che è un po’ il sogno di quando, giovanissimi, ci si avvicina alla scrittura, Ilaria Rossetti ha pubblicato per Perrone Tu che te ne andrai ovunque, che ho amato, tanto che cercai Ilaria per intervistarla. L’anno scorso è uscito il suo secondo romanzo Happy Italy, lettura che recupererò in questi giorni. Altra perlina è Pensieri Crudeli di Ugo Riccarelli, che Perrone ha inserito nella deliziosa collana dei Racconti d’Autore, nella quale trovate gente del calibro di Cinzia Tani, Raul Montanari e Dacia Maraini. Insomma, correte alla Feltrinelli più vicina a casa vostra, e riempite un bustone di ottimi libri a prezzo scontatissimo.