Scrittori irriconoscenti che sputano nel piatto dove mangiano – Alcide Pierantozzi

Non mi è piaciuta l’ultima di Alcide Pierantozzi. Ho nutrito l’ammirazione per lui fin dai suoi primi passi, perché è riuscito giovanissimo a imporsi al grande pubblico con Uno in diviso, uscito per Hacca Edizioni nel 2006 e ristampato quest’anno in una veste nuova che a me piace molto meno della precedente. Il libro vende benissimo per essere distribuito da una piccola realtà editoriale, e divide il pubblico. Pierantozzi viene osannato dalla critica e da certi rispettabili addetti ai lavori quali Fois e Genna. Rizzoli lo chiama anticipandogli 45mila euro per i successivi 2 libri. Leggete Vivere di libri, articolo comparso su D Repubblica nel quale Laura Piccinini mette a confronto gli anticipi superlusso che le major sborsano agli autori. Alla faccia di chi dice che di scrittura non si vive! L’uomo e il suo amore è il secondo, il primo pubblicato da Rizzoli, un’opera forse un po’ troppo ambiziosa vicina al saggio filosofico, che non porta ad Alcide e a Rizzoli i risultati sperati. Ivan il terribile, come lui stesso annuncia nell’articolo, ha tutte le caratteristiche per diventare un bestseller, ma, almeno per ora, così non è. Qualche giorno fa pubblica su Facebook la seguente nota.

Mi pare una contraddizione evidente quando dice che vuol stare lontano da editori, giornalisti, scrittori e quant’altro, e poi aggiunge che il suo lavoro è scrivere. Quello che fa della sua scrittura un mestiere è intanto il denaro che il suo editore gli versa, in termini dell’anticipo prima e dei diritti d’autore poi, altrimenti di lavoro dovrebbe cercarsene un altro meno piacevole, e ritagliarsi del tempo per scrivere con la testa e il corpo stanchi davvero, e la luce della luna fuori. Le recensioni che i giornalisti, altra categoria da cui vuol tenersi alla larga, stanno regalando alla sua opera. Le parole che gli scrittori, terza categoria che nomina infastidito, hanno acconsentito a spiattellare sulle quarte di copertina. Sulla copertina dell’ultimo si legge:

Un capolavoro sull’adolescenza. Tra le inquietudini di Dostoevskij e la magia di Stephen King. Giuseppe Genna

Ecco, appunto. Questi sono gli elementi che consentono ad Alcide Pierantozzi di poter definire la sua scrittura un lavoro, e che lui sembra all’improvviso detestare. Alcide si cala nella parte del divo silenzioso che avvampa del sacro fuoco della scrittura, e schifa coloro i quali stanno facendo la sua fortuna. E’ stanco di sbattersi in giro a fare serate, così annulla tutte le prossime presentazioni, senza tenere per nulla conto di chi per quelle serate ha lavorato in termini di tempo, pubblicità, organizzazione; e l’ha fatto non per soldi, ma per la passione che andrebbe rispettata. E io che ho sempre considerato gli incontri col pubblico un’incredibile possibilità di confronto e crescita personale, oltre che di arrivare al cuore delle persone, farsi conoscere attraverso i propri libri. Ma tu guarda un po’ questo!
Mi piace sempre meno Pierantozzi perché mi sento preso in giro. Questa dello scrittore puro e stanco dei riflettori, divo alla Isabella Santacroce, dalla quale sta attingendo le caratteristiche peggiori, non corrisponde alla sua reale natura. Ce lo vedete un Salgari, che ha vissuto la sua esistenza in isolamento totale a scrivere storie, a creare mondi, quello che Pierantozzi sente per lui stesso, che spende 7mila euro in pantaloni di Cavalli e giacche Armani (la fonte è sempre l’articolo sopra citato), e posa su Rolling Stone con Nina Zilli?
Alcide, torna in te!
Piccolo aggiornamento lampo: Ho avuto un breve confronto con l’autore che mi ha contattato su Facebook dispiaciuto “di questa improvvisa cattiveria”. E ha continuato: Non sai niente di me, della mia vita, di quelli che possono essere i miei problemi familiari in questo periodo e le ragioni per cui ho annullato le presentazioni. Giudicare così, dall’esterno, è molto ingiusto. Io ho risposto che la mia non era cattiveria, ma delusione e rabbia perché la felicità, la soddisfazione, la buona sorte non sono dovute nella vita: La condizione dello scrittore riconosciuto, quale sei tu, è rarissima da trovare per chi lo sogna, lo desidera, e anche per chi lo merita. Bisognerebbe sempre essere riconoscenti verso chi ci consente di vivere facendo quello che più desideriamo, senza doverci accontentare di un mestiere per tirare a campare. Tu ci sei riuscito, ma per come ti stai ponendo nei confronti dei tuoi lettori (mi ci metto pure io) sembri dimenticare quanto può essere sacrificata e sacrificante una vita. Te lo dice uno che alle 18 va a fare chiusura al Mc Donald’s dell’Aquila e torna a casa all’1 e mezza di notte che puzza di fritto e sudore. E, unto come una bruschetta, si mette a scrivere, pure se non c’è nessun signor Rizzoli disposto a pubblicarlo. Lui mi ha invitato a rileggere il titolo, troppo forte: Ecco, ti assicuro che non sono cose belle da leggere, svegliandosi la mattina. Anche perché uno scrittore non deve essere riconoscente a nessun editore, caso mai è il contrario. Ai lettori, sì. E io lo sono moltissimo (anche se certo non ho milioni di lettori). Non la penso così: Uno scrittore deve essere sì riconoscente al proprio editore. Altrimenti non potrebbe neanche definirsi tale. Allora lui ha tagliato corto: Va bene, chiudiamola qui. Se vuoi capire, capisci. Ciao. Quando ho provato a rispondergli, mi aveva già cancellato dalla lista degli amici.