Arrivano le aquilane Last Ladies

Stanotte la Wind mi ha mandato il seguente SMS: “Le abbiamo scalato -0.07 Euro a fronte dei 5 Euro previsti per il rinnovo del Noi Wind. Per poter utilizzare il traffico bonus deve effettuare una ricarica”. Io volevo rispondere solo tre parole: Grazie Di Esistere, seguite da un punto esclamativo! Proprio così, esatto, ma non avevo credito per farlo. Ti succhiano pure l’anima, ‘sti vampiri.
Mi hanno scalato sette centesimi, cioè tutto quello che avevo nella scheda, senza neanche salutarmi. Un: “Salve amico, come andiamo?” oppure un educato: “Arrivederci, buone cose!” finale; niente di niente. Che ci crediate o no quei sette centesimi erano importanti. Ora non posso neanche più comunicare attraverso il codice Morse degli squilli. Squillo breve = punto, squillo lungo = linea. Punto linea è A, linea punto punto punto B e così via.
Credo che dovrò presto interrompere la mia clausura volontaria (non che la presenza di un plotone armato fuori casa sia proprio di stimolo ad uscire) almeno per andare a ricaricare la scheda, ché da casa, la mia banca on line, non me lo fa fare, perché la mia banca è differente. Sono anche finiti i gamberetti essiccati per le tartarughe e coi bastoncini vitaminici ci vanno avanti al massimo altri tre giorni. Come se non bastasse s’è fulminata la lampadina UVA e pure quella costa un tot, per non parlare del deodorante Borotalco spray, essenziale più che mai, per me, non per le tartarughe. Sapete, nessuno mi riempie buste di plastica con tutto l’occorrente e mi dice: “Stai tranquillo, Matteo, me lo pagherai appena qualcuno ti verserà i soldi che ti spettano!”. No, loro i soldi giustamente li vogliono subito, perché se no sei un ladro. La riapertura del Mc Donald’s avverrà (gioite e ripetete con me in coro Alleluja Alleluja) il 17 luglio che è venerdì. Aspettare un giorno in più pareva brutto?
Comunque è bene che si sappia che la gente che aveva un lavoro (me compreso) e che dopo il terremoto è rimasta senza, non è stata abbandonata a se stessa, no, per niente. È finita in cassa integrazione straordinaria, ma fino ad ora non ha visto un centesimo. Nessuno. I soldi dovrebbero arrivare tutti assieme a settembre. Ma, dico io, se uno con quella sommetta mensile doveva viverci che fa, smette di mangiare fino a settembre? Il senso della cassa integrazione, correggetemi se sbaglio, è quello di supplire alla mancanza dello stipendio, per tutto il tempo che sarà. È adesso che le persone hanno bisogno di quei soldi, non fra due o tre mesi quando avranno ricominciato, si spera, almeno a lavorare.
Le nostre donne aquilane ne hanno pensata un’altra delle loro. Si sono appuntate sul petto un cartello con scritto: Last Ladies. Dopo Yes we camp! ancora una volta l’ironia per ricordare alle belle signore, mogli dei potenti, che esistono anche le last ladies, quelle sulle sedie di plastica, con la pelle bruciata dal sole, che non hanno bisogno di una pedana che simuli il terremoto per capire cosa si prova. Bisogna pur occupare il tempo a queste 8 pinguine, così qualcuno ha avuto la brillante idea di montare un simulatore di sisma nel cortile della caserma. La macchina è stata fatta funzionare mentre l’ingegnere spiegava. A dimostrazione avvenuta, l’invito scherzoso: “Qualcuna vuole provare?” la Barroso ha alzato la mano senza esitazioni (evviva un gioco nuovo!) e un attimo dopo saliva decisa sulla pedana. Seguita con un po’ più di esitazione dalle altre tre signore. Alla fine, facce un po’ stordite e tante domande, soprattutto dalla spagnola, per nulla spaventata. Ma di cosa avrebbe dovuto spaventarsi, scusate? Perché non la infilate in una stanza al buio, alle tre e trentadue della notte mentre gli si sgretolano le pareti davanti agli occhi; lei tenta invano di uscire, ma non ce la fa perché il pavimento si muove e non riesce a seguire una direzione crollando continuamente a terra. E vediamo se ha paura. Questo è il terremoto. Quello che hanno fatto loro è un giro in giostra, che è diverso.
Oggi c’è stato il grande pranzo in cui i leader hanno potuto apprezzare la gustosissima cucina italiana. Una tavola imbandita di sfiziosità inenarrabili e Obama che fa? Chiede che gli venga portato un cheeseburger col ketchup. Non è una battuta, giuro. Anche Carla Bruni ha raggiunto le altre bacarozze. È arrivata all’ultimo perché non gliene poteva fregare di meno di stare a visitare Roma, ieri, così è venuta direttamente a L’Aquila ad incontrare i terremotati. Comprendentemi, ma non posso assolutamente rivelare i particolari del nostro incontro privatissimo, però provate ad immaginare, insomma. Certo, mi sono dovuto disfare di tutte le chitarre classiche nel raggio di duemila e quattrocento chilometri se no, rapita dal suo talento da se stessa (e basta) riconosciuto, avrebbe dato vita ad un supplizio canoro che ora come ora, mi scuserà, ma proprio non ce la farei a sopportare.

Yes we camp!

yeswecamp
Questa è la scritta che campeggia sulla collina di Roio ben visibile dalla sede della Guardia di Finanza di Coppito dove oggi si sono incontrati gli otto capi di Stato, più altre delegazioni dal resto del Mondo, per il primo giorno di summit.
Yes we camp!
Un modo ironico per ricordare a chi ha fra le mani il potere di fare e disfare, che venticinquemila persone sono ancora nelle tende in situazioni di forte disagio. Noi siamo fatti così. L’avevate detto che gli aquilani sono un popolo che non molla, no? Ebbene, non molliamo. In Italia si pensa che la ricostruzione stia procedendo liscia, che gli aquilani siano tornati tutti nelle loro case e invece a tre mesi dal sisma la verità è un’altra. Mi stupiscono molti dei commenti di cui è disseminata la Rete. Chi, per esempio, umbro, rivendica per la sua terra lo stesso trattamento che starebbero riservando a L’Aquila, perché loro sì che sono stati abbandonati. Loro sì che hanno sofferto. Perché loro le case ancora non le rivedono, come se gli aquilani avessero visto un solo centesimo delle centinaia di milioni di euro che sono o dovrebbero essere arrivati.
Nelle tendopoli non hanno da mangiare. Ci sono giorni in cui finisce tutto e chi non ha potuto mangiare viene invitato a recarsi in un altro campo e provare a vedere se là è rimasto qualcosa, come un animale in caccia. “Non ci danno da mangiare, figurati se ci ricostruiranno le case” mi ha detto un giorno un signore che faceva la fila col piatto di plastica vuoto in mano.
La verità è che l’uomo sente il bisogno di primeggiare anche nelle sciagure. Qualunque cosa tu abbia passato, io l’ho vissuta doppia. Qualunque sofferenza tu stia vivendo, io sì che posso capirti e non sai quello che sta accadendo a me. Non è una condizione di privilegio essere un terremotato aquilano, come molti credono.
Fino al giorno prima delle elezioni l’obiettivo in Abruzzo era restituire agli aquilani le case che hanno perso. Qualche giorno dopo l’uscita del decreto, di cui ho già abbondantemente parlato, il Premier rilascia una dichiarazione, tra l’altro ripetuta ieri sera nella lunga conferenza stampa alla vigilia del G8, in cui sostiene che “il suo obiettivo è quello di restituire un tetto a tutti gli aquilani prima dell’inverno”. Non so se vi è arrivata, come un pugno in faccia, la sottile differenza fra le due dichiarazioni, che a prima vista appaiono concettualmente equivalenti.
Ricostruire agli aquilani le case che hanno perso vuol dire che Mario, che aveva il suo bell’appartamentino in centro, ora ridotto a un mucchio di mattoni che hanno già portato via, dovrà riavere un appartamento dello stesso valore. E significa pure che Mariella, che aveva la sua bella villetta circondata dal verde, dovrà riavere una villetta dello stesso valore. E significa anche che Gianclaudio che aveva una bella villetta e pure un bell’appartamentino che teneva affittato agli studenti, dovrà riavere la villetta e l’appartamento se sono entrambi crollati, non soltanto la villetta entro i prossimi 25 anni (fra quarant’anni, praticamente) e l’appartamento no perché era seconda casa. Come se uno poi, le seconde case le avesse trovate nell’uovo di pasqua. Come se uno sulle seconde e terze e dodicesime case non c’avesse pagato le tasse, ancor più care e salate che sulle prime, fra l’altro. Comunque io, che ho gran fiducia nel fantino delle mignotte, il Cavaliere, appunto, mi aspetto che le sue parole significhino questo e invece poi il suo obiettivo diventa restituire un tetto a tutti gli aquilani prima dell’inverno.
Quale tetto? Naturalmente quello di una delle C.A.S.E. (che è diverso da case) che verranno destinate agli sfollati che hanno perso tutto, perché, se ti è rimasto qualcosa, la cuccia del cane o la vasca idromassaggio con cabina doccia, l’appartamento non te lo danno in quanto risulti in possesso di tutti i mezzi per provvedere all’autonoma sistemazione.
C.A.S.E. sta per Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili. La strategia tradizionale, dopo un cataclisma di questa portata, prevede nell’immediatezza la sistemazione in tenda, poi una sistemazione provvisoria in baracche e poi (chissà quanto poi) quella definitiva in una casa vera e propria. Stavolta invece Berlusconi ci tiene a far notare che lui ha deciso di attuare una strategia alternativa, infatti dalle tende gli sfollati passeranno direttamente in uno degli appartamenti ad elevati standard abitativi e immersi nel verde di questi complessi che stanno costruendo contemporaneamente nei molteplici vastissimi cantieri attorno alla città. Questo, se da un lato fa pensare ad una buona mossa, perché ancora un po’ di pazienza e gli aquilani avranno un alloggio più che dignitoso (date un’occhiata) dall’altro viene spontaneo chiedersi se non sia un modo per lavarsene la coscienza senza rimorsi, e alle case vere, prima o poi, ci si penserà (impersonale), chissà.
Il primo giorno di G8 è andato. Non chiedetemi cos’è accaduto che io non esco di casa da quattro giorni per partito preso, se non, stamattina, per dire al poliziotto che suonava da quaranta minuti il campanello, che la Yaris grigia parcheggiata male non era la mia. “È sicuro?” “Un attimo che ci penso. Effettivamente, con tutte le automobili che ho, potrebbe essermi sfuggita”. So che Berlusconi ha portato Oby in gita fra le macerie e che stasera Silvio offrirà la cena a tutti i quarantuno membri presenti. Che alla fine lo sanno tutti che non pagherà lui, ma la Finanza con gli aiuti. Quindi noi, cioè voi.

Date il premio Strega a Franco Di Mare!

Quest’anno più che mai la serata finale del premio Strega sembrava il momento clou della festa di Sant’Apollonia a Catania, la fatidica estrazione del primo premio della lotteria abbinata, consistente nella statua di gesso a grandezza naturale della suddetta Santa protettrice dei dentisti, lei che i denti se l’è visti cavare uno ad uno con le tenaglie. Che simpatici i pagani del tempo!
Paolo Giordano, perfetto come valletto del prossimo Girofestival: “La cantautrice Ninni Nanni si aggiudica il premio della critica per il suo pezzo Dimmi se è il caso che smetta di fare la strimpella-stronzate in rime binarie, che sarà prodotto e distribuito sul territorio nazionale e – perché no – anche in America, dalla Gigi D’Alessio Productions (non è uno scherzo, esiste davvero. È la casa discografica di Anna Tatangelo. Quando si dice i casi della vita…).
Si giunge al momento della proclamazione. Chi si sarà aggiudicato il sessantatreesimo premio Strega fra Antonio Scurati, autore de Il bambino che sognava la fine del mondo, e Tiziano Scarpa, autore di Stabat Mater? Visto che sono passati cinque giorni lo sapete tutti che ha vinto Tiziano Scarpa con 119 voti contro i 118 di Scurati. Un voto di differenza, non era mai successo. Giordano dà la lieta (per Scarpa) novella (a Scurati gli s’è oscurato il volto. Perdonatemi la battuta di bassa lega, ma sono giorni che la penso) e il presentatore piomba in uno stato di fibrillazione confusa ed eccitata che lo porta ad affilare versi e parole scollegati fra loro neanche il premio Strega l’avesse vinto lui. Parliamo del signor Franco Di Mare che dopo aver condotto per tre anni Uno Mattina estate e Uno Mattina week end è riuscito finalmente a farsi affidare la conduzione di Uno Mattina e basta. Ripercorriamo insieme la meravigliosa sequenza del marinaio Franco ripartendo dalla dizione perfetta di Giordano: “A distanza di un punto, il vincitore della sessantatreesima edizione del premio Strega è Tiziano Scarpa con Stabat Mater, 119 voti”. Ed ecco che Di Mare si scatena: “Un punto… un punto… un punto… è incredibile… incredibile! Beh, io vorrei… aspetta… in genere, in genere, si fa l’intervista, l’intervista, al vincitore, ma in realtà la dovete fare tutti e due perché siete entrambi vincitori, i vincitori di questo Strega. Un solo voto, un solo voto. Prego (consegnano la bottiglia del liquore Strega al gaudente Tiziano Scarpa)! È una cosa che non credo si ricordi, non credo ci sia memoria. Un passo avanti prego per la foto opportunity (ma che sta dicendo?) Tutti e due vi prego… io credo che non ci sia memoria…”.
A questo punto una voce fuori campo gli ricorda che Bevilacqua ha perso per due punti e che dice in giro che ancora se la ricorda quella sconfitta, ma Di Mare è troppo eccitato, sorride ai flash e non lo ferma più nessuno: “Ecco, ecco, ecco… siccome siamo in diretta ancora per qualche minuto vorrei… ecco, eeecco (ecco che?) eeeh… ve… sì… come no, sì. Il momento della… (bevuta?) .
Torna la voce fuori campo che informa Franco Di Mare dell’arrivo di Gigi Marzullo e lui risponde: “Tanto i bambini a quest’ora sono a letto”. Ma povero Marzullo! Cos’è, un mostro? Il terrificante Babau che vive negli armadi e la notte esce a catturare i bambini? Marzullo annuncia la presenza di Tiziano Scarpa a Sottovoce dopo il TG1 (poteva invitare pure quello sfigato di Scurati, però) e viene subito liquidato da Franco Di Mare che, sentitosi improvvisamente defraudato della scena, cattura Scurati e lo costringe ad essere complice del suo delirio d’onnipotenza finale: “Io vorrei seguire… un solo voto… certo che è un po’ amara (sì, ma solo un po’ eh?!), un po’ amara come… immagine” e la telecamera inquadra Tiziano Scarpa che prima si bagna il collo con qualche goccia e poi prende a scolarsi la bottiglia del prestigioso liquore simbolo, senza ritegno. Aspettare di arrivare a casa era chiedere troppo? Gli alcolisti anonimi saranno felici di accogliere nella cerchia un nuovo non proprio anonimo iscritto. Torniamo a Di Mare: “Bevilacqua prima diceva:  <<Ho perso per due voti e ancora me la ricordo>> (non era Bevilacqua prima, a meno che non si sia deciso a cambiare sesso evirandosi. Era una donna che riferiva di Bevilacqua) perdere per un voto è ancora peggio (no, guarda. È meglio)?” Che bella domanda! Scurati risponde: “Manuel Fangio (l’audio a questo punto non è chiarissimo, io l’ho ricondotto a lui che era un grande pilota e quindi potrebbe anche averla detta, ma magari si riferiva a un altro, poi glielo chiediamo) diceva <<El prim ciapa la copa e il secun non ciapa nien!>>”.
Ecco il video in cui potete verificare e seguire i dialoghi da me trascritti. Allora ditemi voi se Franco Di Mare non ha urgente bisogno di una potentissima pera di camomilla.


Sulle note di questa amara verità vi segnalo le 4 chiacchiere della settimana. Ho avuto il piacere di intervistare un giovane autore già di grande successo fra gli adolescenti e non solo. Francesco Gungui ci parla del suo ultimo romanzo L’importante è adesso, pubblicato da Mondadori.

La fiaccolata degli aquilani

Uso per l’ennesima volta il blog a scopi personali – per cos’altro dovrei usarlo visto che è il mio? – mi sa che lo devo scrivere da qualche parte e in bella vista. Certe cose sembrano così ovvie e invece…
Mando un saluto ai quattro elicotteri che da ieri sera alle sette e mezza volteggiano ininterrottamente nel cielo sopra casa mia (ma il carburante non gli finisce mai? I potenti mezzi americani… Sì perché Obama, pure se ancora non arriva, comunque c’entra, lo sanno tutti) e mi salutano con il loro musicale vorticare di eliche che ha fatto felicissima compagnia alla mia notte solitaria in casetta. Non quella di Amici di Maria De Filippi che, rinfrescata della foglia di palma agitata dallo schiavo Garrison, che con l’altra mano intanto si copre i gingilli di famiglia, starà pensando alle proclamazioni per la prossima stagione imperiale di Uomini e Donne, ma quella di legno che ha fatto costruire mia madre, che non ha intenzione di rientrare a dormire in casa per i prossimi trent’anni.
Uh, eccoli che ripassano. Quando trascorri ore ed ore assieme a qualcuno, quando con costui ci condividi tutto, persino la notte, non può che stabilirsi fra voi un rapporto privilegiato. Non può che essere un’amicizia senza precedenti quella che lega me agli elicotteri. Salutate i miei amici, fate tutti ciao ciao con la manina, su! Pure Iker li saluta abbaiando di infinita gioia coi denti che colano bava. Se solo potesse, li sgretolerebbe fra le fauci, come lo squalo del film fa con la barca dei giovani avventurieri, tra cui il figlio dello sceriffo dell’isola di Amity che, alla fine, lo sopprimerà mi pare facendogli prendere la scossa o facendolo esplodere, non ricordo. Nel frattempo il mio cane si dedica all’inseguimento delle vespe che, strafregandosene del G8, sono tornate, fedeli come ogni anno, in villeggiatura nella mia siepe e che, l’anno scorso, gli hanno fatto ricordare l’estate pungendolo sul muso e facendogli venire un labbrone grosso come un cocomero.
Io sono due giorni che non esco di casa. Non che non possa farlo, è che mi rompe oltremodo sottostare a questo regime militarizzato. Che poi non è che fuori ci sia molto da fare, diciamocelo. L’unico posto dove si può andare a passare un po’ di tempo resta il CC L’Aquilone. Per il resto le attività commerciali provano ad organizzarsi sparpagliando container e casette di legno per le zone libere della città. Per scoprire dov’è andato a finire quel locale piuttosto che quell’altro, sempre se è andato a finire da qualche parte, bisogna affidarsi al passaparola o ai cartelli di carta attaccati con lo scotch ai pali della luce.
Ieri notte, a tre mesi esatti dalla calamità, c’è stata una fiaccolata partita dal Castello a mezzanotte e conclusasi alle 3.32 esatte, ora in cui sono state commemorate le trecento vittime del sisma. Hanno partecipato oltre quattromila persone partite da tutta Italia con autobus organizzati. Sembrerò impopolare, forse anche giustamente, però nutro un lieve fastidio al pensiero che della gente parta da chissà dove per venire in gita a camminare i luoghi distrutti, ora che le immagini delle macerie e delle chiese in pezzi continuano a fare il giro del mondo, e a commemorare, con una luce fra le mani, persone che neanche conoscevano. La stessa gente che fino a tre mesi fa di L’Aquila ne ignorava l’esistenza. Della sua storia, delle novantanove piazze, fontane e chiese che le avevano fatto guadagnare il nome di città del 99. Quella di ieri sera doveva restare la fiaccolata degli aquilani. Di chi quelle strade le ha camminate per anni. Di chi assieme alle proprie case e a quelle dei suoi amici ha visto crollare i luoghi che hanno segnato i momenti del suo passato, che ora fanno da sfondo alle foto più belle, negli album. Agli amori, alle litigate e alle feste a scuola. Alle passeggiate in centro con la pizza di Trippitelli coi chicchi di sale grossi, mentre in classe la professoressa di Latino interrogava a manetta. Per quanto sia apprezzabile il gesto di volerci essere, cosa c’entravano tutti gli altri?

Sulla faccia di Berlusconi

Ieri ho sentito quattro scosse fino all’ultima, leggerissima, della notte, che m’ha indotto ad afferrare un libro, spegnere PC, stereo e luci, chiudere il portoncino e di corsa nella casetta di legno, in giardino. Quella di quattro punto uno mi ha ricordato il motivo per cui me n’ero andato da qui.
Sovrappensiero al caldo cocente dell’una, aspettavo fuori dal container dei carabinieri di Sassa che qualcuno mi consegnasse il pass che mi permetterà di poter camminare liberamente attorno a casa mia. Via Dell’Aringo, che è la strada in cui abito, quella che passa davanti all’aeroporto dove atterreranno gli otto potenti del mondo, sarà chiusa da domani pomeriggio al 12 luglio insieme a qualche altra strada vicina ai luoghi che saranno camminati da costoro. Dopo aver lasciato i documenti mi dicono che c’è da aspettare.
“Attenda fuori!”
Dovete sapere che creare dal niente un foglio di carta in cui si dice che Matteo Grimaldi ha il diritto di calpestare l’asfalto che conduce a casa sua (visto che il teletrasporto non è nelle mie facoltà e neanche il dono del volo, a dirla tutta. Comunque mi avrebbero sparato se solo avessi provato a librarmi nei cieli circostanti) comporta una tale molteplicità di azioni che non potete nemmeno immaginare. Insomma, si parla di un’infinità di tasti da schiacciare, solo il mio nome e cognome sono quattordici caratteri, pensate un po’. Poi bisogna dargli un senso compiuto e non è da tutti. Gli spazi, che fai, non ce li metti? Mica si può scrivere tutto appiccicato. Per non parlare del comando di stampare il foglio e del timbro, faticosa ultima incombenza. Ad apporre la firma invece si fa presto presto che son carabinieri ed è sufficiente una leggibile X a fondo pagina. Mezz’ora tutto compreso.
Il sole mi stava arrostendo così ho pensato bene di andarmi a sedere su una panchina all’ombra del grazioso balcone del primo piano del palazzo molto inagibile di fronte al container. D’un tratto TTTTRRRR, il mio culo trema violentemente. Scatto come un grillo, anche se Luca fa fatica a crederlo perché: “Non ti ci vedo a scattare come un grillo”. Ci mancava che mi crollasse il balcone del rudere sulla testa. Un tipo in camicia bianca esce dal container e vaneggiando da solo: “Ah, voi fate come vi pare, io me ne vado in Australia”. Si allontana a passo svelto e, sempre a passo svelto, dà una pizza cosmica con la faccia contro un palo della luce.
Il G8 è ormai alle porte e Berlusconi, diciamolo, si sta cagando sotto dalla paura. Forse immaginava che all’arrivo dei suoi amichetti sarebbe stato tutto finito. Lo sciame sismico di nuovo addormentato e le loro chiacchiere e passerelle al sicuro. Invece la terra non ha mai smesso di tremare e ora, nel timore che gli cada una trave fra capo e collo, stanno mettendo a punto piani d’emergenza fra i quali è previsto anche un possibile e improvviso dirottamento del G8, anche all’ultimo minuto, a Roma (volesse Dio). Intanto le misure di sicurezza si fanno sempre più ridicole. Da qualche parte ho letto che sarà vietato portare a pascolare le pecore in quei giorni, al che mi sono chiesto se io potrò portare a spasso Iker. No perché, con tutto il rispetto per Obama che è un brav’uomo, mica al mio cane gli si può chiedere di non cagare per una settimana. Parrebbe inoltre che a partire da domani pomeriggio saranno oscurate le comunicazioni. Non si potrà né ricevere né fare telefonate se non ai numeri di emergenza; e ci mancherebbe pure. “Sto morendooo!” “No, ci dispiace. C’è il G8, non puoi chiamare. Cerca di resistere fino al 12. Buona fortuna!” E, sempre da voci abbastanza attendibili, ma non poi così tanto, pare che anche internet sarà schermato.  Se così dovesse essere, nonostante la tentazione di raccattare sei mutande, due jeans, tre magliette e partire col portatile per una meta qualunque, io resto qua, chiuso in casa, a scrivere. Se vi va passatemi a trovare, nella casetta c’è posto a volontà, facendo bene attenzione ad evitare l’area coperta dai lanciamissili che si son dovuti montare da soli nei pressi dell’aeroporto (è la cruda conseguenza di voler fare affari all’Ikea).
Ho la modestissima sensazione che, se architettassero un attentato (neanche troppo) fatto bene, considerata l’efficienza dimostrata dalle forze dell’ordine fino ad ora, andrebbe in porto in pieno. Per la serie: Buona la prima. Nutro il sottocutaneo desiderio che di attentato ne facciano uno ai danni di Berlusconi, gli aquilani, però. Ci vuole un certo coraggio a portare ancora la sua faccia di mer…lo in giro da queste parti, dopo tutte le puttanate che ha detto e non ha fatto. Massimo rispetto per le puttane.
Se oscurano internet fate come me. Avvicinatevi al balcone più vicino, va bene anche una finestra. Apritela e gridate a gran voce V-A-F-F-A-N-C-U-L-O! Al mio tre, pronti?
Uno.
Due.
Due e mezzo.
Due e tre quarti.
Due e tre quarti e mezzo più zero virgola due periodico.
Tre!

Ho finito gli esami. Vi giuro che è vero!

Per tornare da Firenze a L’Aquila c’ho impiegato sette ore. Altre tre soltanto e avrei ricevuto, fra gli applausi scroscianti della Laguna Macao tutta, un kg di pasta, quattro pomodori, dodici telline e una padellina monodose per fare il soffritto come premio ricompensa per la prova superata. Sono arrivato a L’Aquila a mezzanotte e mezza. Si ringrazia per la gentile collaborazione il locomotore che ha smesso di funzionare e che ha costretto i poco equilibrati (me compreso) passeggeri del regionale a restare ad aspettare la partenza per più di quaranta minuti accovacciati sul sedile come sacchi di patate. Quell’umido afoso s’incolla al corpo e accentua la produzione, senza sforzo, di bottiglie di bibite saline tiepide gusto sudore. Quando uno dei controllori, correndo, ha frettolosamente gridato, mangiandosi cinque parole su otto: “È quasi tutto a posto, ma partiamo ugualmente!” l’ho fermato e: “Che vuol dire quasi? Se il treno è a posto partiamo, se no no!”. “Partiamo!” mi ha risposto lui con tono perentorio prima di riprendere la sua traversata fra gli scompartimenti. Ecco, mo’ deragliamo, così, dopo il terremoto, la mia collezione di catastrofi vissute sarà al completo, ho pensato.
Dopo la notizia dell’altro aereo precipitato con un solo superstite (nello scorso post ho scritto che i superstiti erano due. Mi perdonino i parenti del pilota, che si saranno illusi leggendo nella Stanza che il loro caro era sopravvissuto, ma devo correggermi. È sopravvissuta soltanto Baya Bakari, ragazzina di quattordici anni, rimasta per oltre dodici ore aggrappata ad un pezzo d’aereo in balia del mare) mi verrebbe da dire che non è proprio il momento migliore per guardare il mondo da un oblò e annoiarsi un po’. Il deragliamento del treno con me a bordo, in quest’aria da perenne disastro imminente, ci stava tutto. Poi ho letto l’oroscopo alle ultime pagine di una copia di Intercity di Roma, abbandonata sul sedile accanto al mio, immediatamente riempito dal culo di un vecchio che puzzava di vecchio, che diceva: Non c’è un aspetto della vostra vita che non andrà a gonfie vele. Accogliete tanta fortuna con ottimismo e grinta, godendo di tutto quello che di bello vi accadrà d’ora in poi e mi sono sentito subito meglio.
Sono arrivato a casa che puzzavo, ma talmente puzzavo che Italia e Nerozza, le mie due tartarughe d’acqua, hanno vomitato in sincronia alternata in segno d’affettuoso saluto: Italia prima, Nerozza poi, di nuovo Italia e infine Nerozza, che ha chiuso lo spettacolo espellendo dal suo deretano una pietra traslucida, di quelle che fanno bello l’acquario e che loro inghiottono per digerire (mi auguro sia normale questa cosa), come i cani fanno con l’erba, o mia sorella con le pasticche dell’erborista rumena.
Il fatidico terzo giorno volge al termine. Dovevano accadere cose determinanti e così è stato. Ora aspettiamo le evoluzioni anche se ho la netta percezione di aver tratto da questi giorni il massimo possibile, anche se poi non dovesse arrivare altro. Mica perché ieri ho preso venticinque all’esame. No, quello non è legato affatto allo stato di beatitudine che mi ha cullato per l’intera giornata. Affatto proprio. Mica perché quello che ho sostenuto a novanta km da L’Aquila – la sede l’hanno sbaraccata a Corropoli (corro che?), notissimo (alle linci e ai lupi) paesino della provincia teramana – era l’ultimo esame.
Capito? L’ultimo! Finiti. The end.
Ma no, non è per questo che sto da sedici ore espellendo continui e ininterrotti flussi di sperma sulla trapunta del letto. Ho studiato sputando sangue su quelle pagine per mesi. Ho studiato pure alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, sul binario 11, in attesa del regionale. Ho studiato pure sul regionale, per calmarmi, scansando il pensiero di prendere a calci quel controllore panciuto. Ieri mi sono svegliato alle sette per ripassare dopo essere andato a dormire alle tre. Non che pretenda un riconoscimento diverso dal Mongolino d’oro, tutto questo per dirvi che mi sento fiero di me. Perché non ho mollato la presa. Ora mi sa che non ho più scuse. Nel pomeriggio scrivo a un professore che mi è simpatico. L’ho incontrato che usciva di fretta da un’aula e gli ho domandato dove fosse il Mostro col quale dovevo sostenere il mio ultimo esame. “Deve cercarlo, si sarà preso un’auletta per divorare le sue vittime in pace!” Io gli ho sorriso pensando che la mia prossima preda sarà proprio lui, per una posta in palio che sfiora l’inestimabilità, come la Monna o i Girasoli: la mia tesi.