4 chiacchiere (contate) con… Pietro Presti [1]

Devo smetterla di fare le ore piccole, son circa 10 anni che me lo ripeto senza risultati apprezzabili. Oggi è sabato e quindi è tempo di 4 chiacchiere (contate) con… che, puntualissima, arriva sui vostri schermi (non certo grazie a me, ma a Rachele di Sololibri, che è una brava ragazza lei che si sveglia presto la mattina). Questa settimana ho incontrato un giovane autore, dallo stile e dalla penna laceranti.

4 chiacchiere (contate) con… dà il benvenuto a Pietro Presti.

Fatemi dire un paio di cose. Sono arrivate una valanga di richieste e io non me l’aspettavo proprio, come sono state una valanga le persone che hanno letto l’intervista di sabato scorso. Questo, oltre a essere di stimolo, comporta una difficoltà ulteriore per me data dalla certezza che non possiamo soddisfarle tutte, anzi solo pochissime, a dir la verità. Se fosse una rubrica giornaliera, intanto sarei già emigrato alle Galapagos dopo mezza settimana in stato di grave squilibrio cerebrale, ma certamente ci sarebbe la possibilità di pubblicarne molte di più. Visto che così non è (e meno male!) dobbiamo far delle scelte. Come avrete notato (se non lo avete notato, notatelo!) nella colonna di destra ho aggiunto una piccola sezione dedicata alla rubrica, con il  logo. Se cliccate là, andate a finire direttamente nella pagina principale di 4 chiacchiere in cui ogni sabato trovate la nuova intervista. Poi, sempre in quella pagina, in basso a destra, trovate la newsletter del sito che arriva ogni week end e, oltre all’intervista, contiene tutte le recensioni della settimana, le novità editoriali e info sugli sconti praticati dalle migliori librerie on-line, selezionate dalla redazione di Sololibri. Inserite la vostra e-mail così sarete sempre informati.

Parentesi (quadra) metereologica non richiesta: [è tornata la pioggia e, se non ve ne siete accorti, ve ne accorgerete (c’ho infilato pure la minaccia, tiè!). Finalmente la mia macchina potrà farsi, dopo tanto, una lunga doccia rigenerante].

Io non credo tanto nell’oroscopo anzi

Io non credo tanto nell’oroscopo anzi, per niente proprio, però so cosa l’oroscopo dovrebbe dirmi perché io possa concedere agli astri e a chi li legge il beneficio del dubbio. E questo c’ha beccato, perché io mi sento così.

Quest’anno le stelle vi spingeranno a non farvi più sentire perfettamente soddisfatti nel vostro guscio in modo da dovervi concentrare non dico sul futuro, ma quantomeno sul presente e sui voi stessi. Siete i romantici dello zodiaco e spesso siete talmente legati al passato o ad occuparvi della cura del vostro nido che non vi rendete conto che il mondo intorno a voi e, soprattutto, le vostre esigenze, nel tempo sono cambiate.
Sarà Giove con la sua spinta al futuro a farvi provare questo senso di irrequietezza e malessere entrando a Gennaio in Acquario e formando un aspetto di quinconce al vostro Sole per tutta la durata dell’anno. Anche il definitivo passaggio di Plutone in Capricorno, contribuirà a questa situazione mettendo a fuoco obiettivi e tematiche apparentemente non in sintonia con voi.
Non lamentatevi però, lo scopo di tirarvi fuori dalla vostra conchiglia è quello di liberarvi da un passato che non vi appartiene più, di rimettervi a contatto con i vostri bisogni profondi e di imparare ad amare e nutrire prima di tutti di voi stessi. Che grande ricchezza sarà allora poter disporre di tutta la vostra sensibilità e premura sia nella vostra professione che nella vita privata!

E visto che siamo a febbraio e l’aspetto di quinconce al mio Sole è ormai bello che radicato e la mia conchiglia è una specie di carcere con 99 cancelli, 99 porte blindate, 99 celle, 99 sbarre, tutto 99, ieri ho cominciato a valutare la possibilità di pensare al pensare di lasciare la prigione un po’ prima del previsto. Ho pensato che potrei pensare, insomma. Il passo successivo è pensare se farlo, e si presenterà al momento della fine, non del mondo, che quei simpaticoni dei Maya hanno pronosticato per il 21 dicembre 2012, quindi c’è ancora tempo (tanto a loro che gli fregava), ma delle sofferenze. Perché le sofferenze interiori, se quella fine ce l’hanno e tu la vedi, hai il dovere di perseguirla. Stamattina mi son svegliato che, se non mi fossi teletrasportato al bagno nell’arco di un decimo di secondo, sarei esploso, e mi son sentito tanto felice di non soffrire d’incontinenza e, nel tragitto dalla mia stanza al bagno, mi veniva da cantare L’inquietudine di Nek. Mentre espletavo mi son ricordato che avevo sognato che ero in vacanza al mare coi miei amici, e la famigliola del bungalow di fronte  al nostro non faceva che ascoltare ‘sta canzone, a ripetizione per tutto il giorno (non dovevano star molto bene). Per forza poi uno si perde in certe riflessioni di irrequietezza e cambiamenti e fughe.
Domani puntata numero 1 di 4 chiacchiere (contate) con… Ho un po’ di cose belle da dirvi al riguardo.

Torno dal professore, armato

Torno dal professore, armato del mio irresistibile sorriso di latta e di un taglierino affilato. Dopo la lunga assenza dal suo studio, che ricorda più una sparizione, non si sa mai che provi a inscenare la pantomima del finto tonto che non mi riconosce. Prima di me un ragazzo decide di aspettare che Birba si scolli dal cellulare narrandomi di quanto fosse stato sicuro stavolta di aver superato l’esame per poi rimanere deluso, perché lui il metodo del simplesso lo conosce benissimo (che non è l’amplesso, quello lo conosco pure io). Che gli tornava lo stesso risultato, ma il professore gl’aveva dato soltanto 3 punti su 6 a quell’esercizio e quindi niente di fatto, ma lui vuole vedere il compito. Vuole vedere, perché è convinto che sia stato Birba a sbagliare. Ha altri esami da preparare e non possono rovinargli i piani così. E io son d’accordo, ma neanche lui può rovinare la giornata a me che delle sue disperate vicissitudini me ne sbatto. Entra, viene divorato. “Sta aspettando me?” domanda, facendo capolino fuori la porta. No, la prozia di mio nonno, vorrei rispondere. “Prego, si accomodi!” Mi siedo e solo per qualche millimetro non mi ribalto su quella sediolina girevole francamente pericolosissima. Esclamo: “Ops!” aggrappandomi al tavolo. “Mi dica!” “Eh, intanto mi scusi se ho lasciato passare così tanto tempo.” “Così tanto tempo da cosa?” “Dall’ultima volta che ci siamo visti.” “Ah, perché ci siamo già visti?” Quanto sei prevedibile! Io, che son arguto, tiro fuori il taglierino la cui lama risplende al sol artificiale del monitor del PC nuovo, grande come quello della tv del mio salotto. Chissà come mai, in quel preciso istante, proprio quando il luccichio del lindo metallo gli bagna l’iride, lui si ricorda di me. “Lei è quello che lavora da Mc Donald’s, ricordo. Ne è passato di tempo!” Ripongo il taglierino. “Ho studiato quella parte che mi aveva assegnato.” “Io non ricordo neanche quale.” I miei occhi gridano: Stai attento che stavolta il taglierino lo uso! “Allora mi parli di quello che ha studiato.” Parto con la mia pappardella a cui pone fine dopo neanche mezzo minuto con un: “Va be’, queste sono cose semplici semplici…” Io mi azzittisco pensando che per capirle vagamente ho impiegato mesi, mentre lui volta le paginette del mio quadernone, opportunamente scritto per dimostrare il mio indiscutibile impegno, come se stesse manipolando fogli di diarrea di suino essiccata. Si trascina al PC e mi domanda: “Lei legge in inglese?”. A quel punto potrei rispondergli: Of course! Ma, chissà perché, la mia bocca sputa fuori un: “Ehm…” tremolante. Poi penso che in fondo lui m’ha chiesto se leggo in inglese, mica se capisco quello che leggo, nel caso in cui mi trovassi nella remota costrizione di dover affrontare pagine in idioma anglosassone, che son 2 cose diverse e allora, tossicchiando, faccio un cenno affermativo. “Wagner Whitin lo conosce?” “Chiii?!” “È un algoritmo!” “Ahhh!” “Allora…” legge un file pdf che ha appena scaricato in funzione di una qualche ispirazione improvvisa, uno a caso da Google. Mi immobilizzo sulla sedia francamente pericolosissima e penso che se mi fa leggere in inglese è la volta buona che espatrio, mentre lui borbotta: “Cos’è ‘sta roba…” poi si volta verso di me e: “Va be’, facciamo così. Incentriamo il suo esame sullo studio di un caso. Lei si studia Wagner Whitin, poi si dà un’occhiata a questo articolo (di 55 pagine in inglese) e vediamo se ha le capacità per comprendere e farmi comprendere cos’è che fanno questi signori.”

Lascio lo studio di Birba inebriato da nuove speranze, perché ha pronunciato ancora una volta la parola esame, ma ho come la sensazione che io quelle capacità di cui parla non tanto ce l’ho. Però la speranza non l’ammazza nessuno – si sa – la mia poi…

Credevo che saper contare fino a 3

Credevo che saper contare fino a 3 e poi riuscire ad arrivare a 10 e quindi 20, 100 e 1000 significasse saper contare fino a qualunque cifra possibile. Niente di più sbagliato. L’ho capito quando ieri mi sono imbattuto in un articolo dedicato a Mark Zuckerberg. Si tratta del milionario più giovane del mondo. Ha 23 anni e il suo patrimonio è valutato 4,5 bilioni (con la b) di dollari. È nato fottutamente ricco come Paris Hilton? No, c’è diventato grazie al demone del momento, perché questo ragazzo dalla faccia da 15enne sfigato coi denti gialli (no che non sono invidioso, per niente proprio) ha avuto la brillante (a dir poco) idea di inventarsi Facebook, che ora è valutato 15 bilioni (sempre con la b) di dollari. Lui, possedendo il 30 per cento della compagnia, dorme sonni tranquilli sui suoi 4,5 bilioni di dollari, che stanno tra le doghe in legno e il suo materasso ortopedico, e che nei prossimi mesi lieviteranno facendolo di certo entrare nella classifica dei 20 uomini più ricchi del mondo. Non avendo, per ovvi motivi, mai avuto a che fare con questo termine e col suo significato intrinseco, mi son chiesto: Cos’è un bilione?
Wikipedia dice: Il bilione (1.000.000.000.000, o 1012) è il numero naturale dopo il 999999999999 e prima del 1000000000001. Quindi 1000 miliardi. Andiamo a fare un calcolo. 1000 miliardi moltiplicato per 4,5 fa 4000 miliardi e mezzo di dollari. 1 euro = 1,2823 dollari quindi 4000 miliardi e mezzo diviso 1,2823 fa 3500 miliardi di euro che in lire, tanto per essere sadici e massacrarci, fa 6milioni e 776000 miliardi di lire. Forse mi son perso perché mi paiono tanti 776000 miliardi, figuriamoci poi i 6milioni, ecco perché dico che da un certo punto in poi uno non sa più contare. Fortuna che io non ho problemi di questo tipo, perché da Mc Donald’s, che ai dipendenti ci tengono e gli vogliono bene e li amano pure e non vogliono affatto metterli in difficoltà, per avere una vaga idea dell’ammontare delle buste paga bastano i regoli delle elementari.
Aggiornamento lampo: ho letto e corretto e moltiplicato e diviso le cifre di questo post un’infinità di volte, meno sicuramente dei bilioni di Mark.

Nel dubbio sono andato a vedere Il dubbio

Ieri una devastante domenica sera al Mc Donald’s. Direttore e manager(s) tutti, all inclusive e l’ansia – non la mia che ero tranquillissimo e pensavo che erano 2 o 3 giorni che stranamente non pioveva – potevi tagliarla a listelli e metterla nel Tasty, sotto alle 2 fette di formaggio bianco, al posto del bacon. Offese e una valanga di lacrime per un cestello di crocchette formaggio e spinaci che cuoceva senza tempo, salvato per miracolo dalla combustione. Chi aveva messo quel cestello a cuocere? Era stata lei a non impostare il tempo oppure qualche sbadato che, quando il timer ha suonato, l’ha spento dimenticandosi di alzare il cestello dall’olio? Un testimone non troppo attendibile ha fornito la sua dichiarazione e io, fortunatamente, per una volta, non solo non c’entravo, ma neanche mi sono accorto di niente. Quando ho visto la Ory in lacrime pensavo si stesse sentendo male. Le ho chiesto se era tutto ok, mi ha risposto di sì. Insomma una specie di puntatona di Nel segno del giallo, che io e Franchino dovevamo portare a termine dopo aver staccato, sciogliendo l’atroce dubbio che ha tormentato le nostre notti dopo la soporifera visione di Revolutionary road: il dubbio che fosse meglio Il dubbio con protagonista, l’ormai abbonata alla nomination per l’Oscar, Meryl Streep, del polpettone depressivo di Kate e Leo. Io non è che avessi molta voglia di tornare a Malpensa, solo che poi il pensiero che son mesi che non ho una vita sociale apprezzabile, mi ha spinto a rituffarmi fra gli sconosciuti a fare il cinefilo sapientino.   
Il film è tutto incentrato sul sospetto che un prete, padre Flynn, abbia abusato di un giovane allievo di colore della scuola St. Nicholas, nel Bronx, di cui è preside sorella Aloysius interpretata appunto da Maryl Streep, che indice una vera e propria crociata contro il prete, senza uno straccio di prova, basandosi solo sul sospetto e sulla sua sicurezza morale, incurante delle possibili conseguenze. Battagliera decisa in un’epoca definita dalle condanne morali, non combatte solo contro il prete anticonformista ma contro le forze del cambiamento che le aleggiano attorno. La sua lotta ostinata e senza remore farebbe pensare che in lei non regni il dubbio, così non è. Non vi dico se Flynn ha abusato o no di quel ragazzino però vi dico che la fine non m’è piaciuta granché e, nonostante questo, vi consiglio di andarlo a vedere. Se non altro per l’interpretazione di Maryl Streep. Una scena in particolare: l’accesa discussione col prete, tanto intensa da provocarmi un velo lucido sugli occhi, nonostante fosse tutt’altro che commovente. Questo è il trailer, vedete voi. Io aspetto The reader. Volevo mettervi pure quello di trailer solo che l’ho trovato soltanto in inglese e, onde evitare di farvi sentire come mi son sentito io quando l’ho visto, e cioè un perfetto delfino nel deserto, ho evitato.

Revolutionary road

Ieri sera io e Franchino abbiamo staccato alle 22.30 e alle 22.35 eravamo al Movieplex, e ci siam anche dovuti cambiare. Istallare il teletrasporto nello spogliatoio del Mc Donald’s – devo dire – è stata una grande idea. Per lo spostamento d’aria provocato dal nostro passaggio la manager, in evidente stato confusionale, è caduta fra i sacchi della spazzatura che grondavano liquami alieni. Franco s’è fatto un panino di nascosto e se l’è ingurgitato in bagno. Io così non ce la faccio, ho bisogno dei miei tempi di masticazione e assaporamento, e quindi a mangiare c’ho rinunciato. Al cinema c’era una fila che sembrava l’area check-in dell’aeroporto di Malpensa. La gente era disposta in un lungo serpente che strisciava verso le 2 casse. Avevamo un dubbio: ci vediamo Il dubbio, o un altro film a caso?
“Viaggio al centro della Terra, l’ho visto è una cagata” captano le mie orecchie. Italians proprio non m’ispira, e poi ho un blocco molto radicato nell’anima e nel culo, che m’impedisce di vedermi un qualunque film dove compaia anche per un solo istante Scamarcio. “Revolutionary road cos’è?” “Boh!” La fila procede. “Scusi!” La signorina continua a parlare col suo fidanzato. “Scusi leiii?!” Franco le dà un cazzotto sulla spalla, lei si volta terrorizzata. “Mi allunga la recensione di Revolutionary road?” Quella è stata l’ultima cosa che ha fatto. Estremamente dolorante per la botta subita, è stata portata subito in ospedale ed è morta dopo un’agonia di 9 ore. “Uh, il film con Kate Winslet e Di Caprio! Sì andiamo a vederci questo!” “Matte’ sei sicuro? Ho il dubbio che sia meglio Il dubbio!” “Ma che dubbio e dubbio, ho deciso!” “Sì, ma…” “2 biglietti per Revolutionary road!” “15 euro!” “Cheeee?!” Gli do un calcio e Franco si azzittisce. Paghiamo e lo spingo oltre la transenna, prima che si lasci andare a uno dei suoi commenti inopportuni e incontrollati, ad altissima voce. “Prendiamo l’ascensore!” “Ma che ascensore Fra, saranno 2 scale!” “No, ne sono tante e poi sta arrivando!” “Forza che è tardi!” E parto per le scale; 6 rampe ragazzi. Arriviamo alla sala 3 che dopo 5 ore di lavoro e il teletrasporto e la corsa per le scale ci sentiam come quando hai pestato l’uva per un’intera giornata e poi all’improvviso, qualcuno ha pestato te. Il film comincia con una litigata tra Kate e Leo. Lei sognava di far l’attrice e si ritrova a un’età indefinita, ma meno di 40 anni, a fare le recite del paese. Si sente frustrata, incompresa, fallita, piena zeppa di sogni e imprigionata in una casetta bianca con giardino in Revolutionary road che è più una prigione. Lui ha un lavoro che non lo soddisfa, ma è l’unica possibilità per portare avanti la famiglia coi loro 2 figlioletti. Il primo tempo è – credetemi – una palla pazzesca. Più di un’ora a suon di litigate e urla e silenzi, ma nessuna evoluzione. Per la serie: L’abbiamo capito che la vostra vita fa schifo, ma proviamo ad andare avanti. La scena clou è quando la signora Givings, la vecchia agente immobiliare che ha venduto loro la casetta, che poi è Kathy Bates, mica per ricordare Titanic, no no, suona al campanello. Kate apre la porta nel solito stato depressivo che le appartiene per tutto il film, lei le sorride e: “Cara, ho notato che il tuo giardinetto è un po’ arido, smorto, e così ti ho portato delle piccole piantine ornamentali che hanno bisogno di appena uno schizzetto d’acqua al giorno!” Il secondo tempo è un po’ più vivo, con quelle 2 trombate lampo in cui Di Caprio viene dopo 12 secondi (per essere generoso) e, se fossi in lui, mi preoccuperei un attimo, ma l’esito non cambia. Ricordiamo anche la scena clou del secondo tempo che è, senza ombra di dubbio, quella in cui Kate dice a Leo che anche secondo lei quella era stata una colazione speciale e, considerato che hanno parlato solo di quanto fosse deliziosa la frittata, spero che questo basti a farvi rimuovere la malinconica tentazione di rivederli insieme. Il film fa schifo. Kate Winslet che, per carità, recita da dio – ha beccato pure il Golden Globe come migliore attrice per questo film – stavolta non è riuscita a trovare una tavola a cui aggrapparsi ed è affondata appresso al suo Jack che, dopo Titanic, s’è messo a mangiare di brutto visto che è triplicato di dimensioni.
Avete capito, lasciate perdere e andatevi a vedere Beverly Hills Chihuahua, che sicuramente è meglio.