4 chiacchiere (contate) con… Eraldo Baldini

Intanto prometto che la prossima volta, prima di sparare minchiate tipo quella che in Italia non si trovano i kiwi a febbraio, mi documenterò. Fortuna che ho pure lavorato in un supermercato per 7 lunghi mesi, ma io mica me lo ricordo se vendevamo i kiwi a febbraio. Ho sempre avuto seri problemi ad associare il frutto alla stagione, che natura vuole accompagni la sua nascita e crescita fino alle nostre tavole, figuriamoci se posso stare a pensare pure a quelli maturati in riserva. Comunque non credevo che attorno alla Stanza del Matto ruotassero tanti appassionati di kiwi. Propongo di fondare la Lega per la Protezione del Kiwi che, giuro, mai più mi azzarderò ad oltraggiare.

Appena tornato dal pranzo (quando a cucinare è mia madre va rispettato rigorosamente il fuso orario dell’Isola dei famosi, quindi se non son le 3 e mezza non si vede spaghetto al sugo o sofficino o bistecca) e prima di andare al lavoro (penultimo giorno e poi si parte) ecco puntualissima sulle pagine di Sololibri.net la mia intervista a un autore che, grazie alle sue molteplici pubblicazioni di grandissimo successo, Mal’aria e Come il lupo, per citarne un paio, s’è guadagnato l’appellativo di Re del noir italiano. Signore e signori, 4 chiacchiere (contate) con… Eraldo Baldini.

Un ringraziamento speciale a Eraldo Baldini che ha dimostrato disponibilità e grande eleganza, nonostante qualche mia domanda fosse un pochino spigolosa e quest’intervista per lui fosse tutt’altro che necessaria.

Un sacchetto di kiwi a febbraio

Nel pomeriggio esco a comprare un paio (un po’ di più) di cosette tipo i biglietti dell’autobus e del treno che lunedì mattina presto parto, e domani e domenica lavoro fino a tardi. Sto decisamente meglio grazie alla ricetta di Darkangel e all’Efferalgan 1000 che ha creduto in me. Certo, 3 pasticcone al giorno era esagerato, considerato che sul foglietto illustrativo dice una o 2 e, per i casi gravissimi, 3. Rischiavo di fare la fine di Nina Moric e finire su tutti (ma proprio tutti) i giornali, come il celebre scrittore che tenta il suicidio abusando di Efferalgan 1000. Unico lato positivo: l’invito della Toffanin che a Verissimo avrebbe raccontato la mia drammatica vicenda personale, l’abisso che mi aveva portato a tentare il disperato gesto.  A fine intervista avrei furbamente fatto sì che Supermarket24 cadesse dalla mia tasca, in cui per purissimo caso sonnecchiava, sul divano della ex letterina e: “Toh, che casualità. Il mio libro!” che poi avrei mostrato alle telecamere di Canale 5 col sorriso malinconico e gli occhi lucidi che urlano al pubblico a casa: “Compratelo, vi prego! E farete felice un povero disgraziato”. Io che non è che stessi proprio morendo, ho ritenuto opportuno evitare tutto questo in virtù di quel briciolo di dignità che ancora mi resta e ne ho presa una, di pasticca, per veder che effetto faceva. Già che ha scacciato il cerchio attorno alla testa e il macigno sugli occhi e almeno 2 dei 4 moschettieri che mi punzecchiavano con lo spadino la gola, è un ottimo motivo per inserirlo nella lista dei miei medicinali preferiti. Devo la mia semiguarigione anche all’industriale quantitativo di agrumi che ho ingurgitato in questi 2 giorni,al punto che stamattina al cesso ho pisciato succo d’arance rosse di Sicilia. Fabio mi ha detto che i kiwi contengono più vitamina C delle arance, solo che mi manca il tempo di partire per il Paraguay per trovar qualcuno che mi venda un sacchetto di kiwi a febbraio, se no giuro che l’avrei fatto.
A proposito di Supermarket24, mi ha comunicato l’editore che ci son dei lievi ritardi e che quindi la pubblicazione subirà uno slittamento. A questo punto il conto alla rovescia non è più così attendibile, ma non strappatevi capelli e peli pubici perché la data di uscita non dovrebbe discostarsi di molto da quella prevista, visto che è tutto pronto. Oggi mi hanno mandato il pdf definitivo ed è stata una bella sensazione. Poi vi devo dire che Gabriella, che è una ragazza fantastica, che mi legge e mi segue praticamente da una settimana dopo l’uscita di Non farmi male, ha creato su Facebook una fan page in cui raccoglie tutto quello che faccio. Le interviste, i video, le pubblicazioni, le 4 chiacchiere (contate) con gli scrittori del sabato mattina, qualche foto. Chi ha voglia di seguirmi, là può farlo con estrema facilità. Questo è l’indirizzo. Cliccate su diventa fan ed entrerete a far parte della grande famiglia dei matto-lettori, non così pochi, e tutti buonissimi. Oltre quella, che gestisce Gabriella, esiste anche la pagina del mio profilo personale che è questa. Aggiungetemi e sarà un piacere conoscervi più da vicino, che poi non è vero che è più vicino, ma più diretto sì. Domani state sull’attenti perché a 4 chiacchiere (contate) con… avremo ospite il re del noir italiano Eraldo Baldini. Qua si comincia a fare sul serio.

Cedimenti strutturali

A Pescara hanno occhio per gli affari. Guardate qua.

Propongo un applauso per il cedimento strutturale e un altro per il destino che l’ha provocato. Un milione di euro per una costruzione oscena, perché è indubbio che la fontana in questione facesse non poco schifo. Facevano prima a istallare in piazza la rete Electa di Eminflex con l’acqua che zampilla dalle doghe in legno che intanto è più bella (pure la fogna di casa mia è più bella) e poi Mastrota uno straccio di garanzia per 20 anni te lo dà. Vatti a fidare dei giapponesi. (Notare il delicatissimo e direi quasi invisibile intervento per rincollare le 2 metà.)

Mi sa che così non va tanto bene

Stanotte son venuti a trovarmi Athos, Porthos, Aramis, e c’era pure D’Artagnan. Non è stata una di quelle volte che dici: “Piacere di conoscerti”; beh proprio no. Perché loro usano presentarsi a colpi di spada, dentro e fuori dalla gola, zac zac zac fino all’alba. Ogni goccia di saliva che scendeva mi si aprivano gli occhi di scatto, come quei bambolotti quando gli alzi il braccio. Guardavo l’ora sullo schermetto del cellulare e: “Uh, ciao Athos! Son già le 4. Uh, ecco Aramis, quasi alle 4 e mezza. Uh, tra 20 minuti saranno le 5 e mezza. Grazie per avermi avvertito Porthos! Uh, alle 6 potrei anche alzarmi. Cavolo sono le 6 e mezza, eccome se ho dormito! D’Artagnan, anche tu. Ancora le 6 e mezza (prima erano e 29 ora sono e 33), ma quando arrivano le 7? Ecco le 7 meno 2 minuti. Alle 7 e mezza mi alzo e allora sì che sarò riposato”.
Alle 8 in punto l’ennesimo colpo di Athos, che ci prova estremamente gusto, al che decido di venir fuori da quel calore esagerato sotto le coperte. C’ho pensato che poteva essere la febbre, però mi son detto che io son comunque più forte, e la combatto con l’indifferenza. Mi ha accolto l’aria gelida della mia stanza, che accarezzava le ghiandole gonfie e battenti (che amore di sensazione!) e acuiva i dolori dappertutto. Volete sapere perché era gelida? Perché fuori nevica che è una meraviglia (per modo di dire) e penso che devo ancora svegliarmi, che sto sognando e che non vedo l’ora che Porthos mi assesti un’altra spadata. Le articolazioni tutte sono accomunate da un pericoloso cigolare. Il ginocchio in particolare, che distendo e piego per sgranchirmi e tentare di ritrovare una mobilità (non è che posso smettere di vivere), svegliando i vicini. Peggio del cancello elettrico arrugginito che ogni volta che pigio sul telecomando sembra l’intro di un concerto degli Afterhours. Faccio colazione con una tazza di latte bollente; peccato che il miele non ce l’ho. Come non ho le aspirine, né Vivin C, né un cazzo di nulla che possa tentare di aggredire il male da subito. In questa casa abusano di medicinali quando non ne hanno bisogno. Ho anche la sensazione di avere le mani gonfie e un cerchio alla testa che spinge sugli occhi. Il cerchio più che una sensazione è una certezza, rimasta anche dopo la doccia. Vaglio l’idea di chiamare al lavoro e prendermi la malattia fino a domenica che lunedì devo partire per Firenze e raggiungere Luca e Niccolò e non è che posso ammalarmi (oltre il mio stato direi già avanzato), visto che abbiam fatto i biglietti, e che ho aspettato questa settimana, come un carcerato che conta i giorni dalla libertà col gessetto sulla parete fuligginosa della cella. Stiamo 7 giorni assieme con tanto di giovedì, venerdì, sabato e domenica a Parigi. Solo che poi ho pensato che 5 giorni non me li pagano, e son troppi 5 giorni di paga persi; neanche mi va che al lavoro pensino che ho fatto così per prolungarmi la vacanza. E allora ho deciso che ci vado bombardato di pasticche e sciroppi che spero il farmacista mi venderà sulla fiducia. Tempo di andare dal mio medico a farmi fare la ricetta proprio non ne ho. E, anche se l’avessi, non ne avrebbe lui, che per prendere appuntamento in settimana devi, intanto sperare che muoiano almeno 3 pazienti, e poi che tu sia tra i 3 sostitutivi, che c’è una lista d’attesa che, ahimè, molteplici anime vengono a spirare prima del salvifico incontro con Diopadre medico di famiglia. Giuliacci sta dicendo or ora che è tornato il sereno su tutta l’Italia. O si droga o L’Aquila non fa parte dell’Italia, e nessuna delle 2 mi sorprenderebbe. Ho appena sbadigliato e son rimasto senza fiato per 12 secondi. Se mi alzo dalla sedia mi devo risedere. Mi sa che così non va tanto bene.

Vita da insetto stecco

Niccolò dice che io assomiglio all’insetto stecco, in funzione del fatto che questi insetti, dell’ordine degli Pterigoti, son terrestri, di medie e grandi dimensioni, di forma allungata, allargata o depressa. E qua è scattato il suo commento: “Di forma allungata, allargata o depressa (calca su depressa alzando lievemente il tono della voce e rallentandone la pronuncia, come in una rigorosa divisione in sillabe). Oddio, sei tu!”. Comunque son fantastici questi esserini perché riescono a mimetizzarsi con l’ambiente circostante per il loro colore e per la loro forma imitando steli, rametti, fuscelli, foglie, e sono in grado, a volte, di cambiare colore sia lentamente che improvvisamente. Un po’ come capita a me che da un momento all’altro mi girano (sottinteso palle) e mando affanculo il primo che incontro e pure il secondo, dipende dal livello d’allarme, se sia giallo o già rosso. Poi, se lampeggia pure, statemi lontano.

L’insetto stecco si nutre di vegetali che divora voracemente, come io nei lunghi ed estenuanti mesi nei quali m’impongo sadiche diete. Rumino scodelle di insalate scondite come una pecora isterica, perché poi, quando non puoi mangiare, ti sale il nervoso e prenderesti a coltellate tua madre per un piattino ino ino di pastasciutta alla puttanesca. I comportamenti mimetici possono comprendere anche la tanatosi. Come me che, quando mi sento spacciato, coi miei 2 nuggets avvolti nel formaggio, inzuppato nel ketchup, avvolto nello speck, avvolto nell’altro formaggio, pronti per essere azzannati, e il manager che arriva all’improvviso, sapete che faccio? M’immobilizzo, come l’insetto stecco, e il manager non si accorge che fino a un istante prima stavo svuotando la cucina del Mc Donald’s, né fa caso alla refurtiva appiccicaticcia che tengo in mano con nonchalance. Le cose bisogna farle con classe e sicurezza, non come Anita che, l’ultima volta che ha tentato di nutrirsi di nascosto di un hamburger plain (senza salse cipolla e cetriolo, solo pane e carne, insomma. Imparatelo che, quando lo volete così, almeno dite plain. No che state mezz’ora a spiegare che non ci volete la cipolla e neanche quelle schifezze rosse e neanche il cetriolo che non vi piace perché sa di brutto che, a chi ci lavora, non gliene frega un cazzo dei vostri gusti, sappiatelo), all’arrivo del manager, per trovar rifugio nella rientranza del drive, dove beneficiare di qualche secondo vitale per consumare il delitto, è scivolata ed è precipitata a terra con le gambe all’aria e il panino appallottolato in mano.

Io sono un po’ insetto stecco anche nella vita. Ci son periodi che sembra che non sia mai esistito. Procedo senza rendere partecipe quasi nessuno di quello che faccio. Parlo da solo e osservo il sole e la luna da solo. Nessuno mi nota e questo mi rassicura, circondato da insopportabili distese di case e automobili e risate e lamentele e questioni sempre identiche a loro stesse, che fanno molto più rumore di me, che tento di non farne. Io ci sono e, pure se sono grande, quando mi va, non mi vedo.

Mi vengono e le sparo, rigorosamente da dietro (II)

Se le fan di Marco Carta si chiamano cartine (il loro motto coesivo è: Se non ti ammazzi di canne non puoi arrivare a tanto) e i lettori della Stanza del Matto si chiamano stanzini, che son quei luoghi piccoli e indefiniti, in un angolo protetto della casa, in cui puoi buttarci dentro di tutto: dagli stracci vecchi alla pompa per gonfiar le ruote della bicicletta, fino agli scii e  alla cassetta degli attrezzi, che ci son tutti tranne il cacciavite che serve a te, e pure tua nonna e farla morire di fame e sete là dentro, mi chiedevo come si sarebbero mai potuti chiamare i fan di Albano se non albanesi.

Do you like Carnival?

Io la De Filippi non l’ho vista, però mia madre m’ha detto che aveva i capelli incollati alla testa, ma così gelatinati che sembrava rasata. Non riesco a figurarmi l’immagine, che un po’ m’inquieta, da mia madre descritta; se ne sapete di più, spiegatemi pure. Ho seguito la finale dal Mc Donald’s. Mettevo a lavare i vassoietti e le pinze e le tasche della griglia piene di denso lardo bruciato e correvo alla TV. Quando ho visto che i finalisti erano Sal, Povia e Marco Carta ho avuto prima un mancamento, crollando su un sacco di spazzatura morbido/liquido (Marzia dice che se ti tira la gamba da dietro al culo è la sciatica, io penso che era Povia) e poi ho pregato il Signore, proprio lui, sì; quello che sta lì, nell’alto dei cieli, e a (quasi) tutto provvede e vede. L’ho pregato, implorato con le mani giunte e unte, di far vincere Marco Carta e lo ringrazio immensamente per aver scelto di accontentarmi, che secondo me l’ha fatto solo per non farmi emigrare perché giuro che non c’avrei pensato mezza volta. Se avesse vinto Povia, sarei andato a vivere altrove, in Australia ad esempio. Mia madre a pranzo ha detto che lei ha sempre sognato di andarci, e mia zia le ha risposto: “Ma che stai dicendo? Ma se neanche dal giardino esci, vai in Australia?”.

Son tornati Virginia, mia cugina, e il suo ragazzo Daniel da vicino Londra che non so come si chiama, dove vivono ormai da un paio d’anni. La conversazione ha preso pieghe imprevedibili percorrendo strade in cui mia madre si arrischia senza il minimo senso del pudore. S’è parlato della situazione italiana degli extracomunitari che entrano nel territorio e poi violentano le ragazze. Mia zia: “Quante ne abbiamo combinate pure noi italiani all’estero in cerca di fortuna…” “E che avremmo combinato, sentiamo!” (Lo spirito nazionalistico di mia madre è come la fede nella Roma radicata in Totti o l’intento arrivista della Tatangelo; son cose genetiche.) “Te lo sei scordato Al Capone?” domanda mia zia. “Al Capone? Ma che nomini Al Capone! Si sa che in guerra tutto è concesso.” “E che c’entra la guerra? Tutta quella gente che ha ucciso…” “Ma l’avrà pure uccisa, ma lui aveva delle ideologie. Per lui gli ebrei non andavano bene e basta. Che ideali hanno quei bastardi romeni che violentano le bambine?”

In quel preciso istante m’è andata una frappa di carnevale di traverso e ho cominciato a tossire nuvole di zucchero a velo, e poi ho chiesto a Daniel: “Do you like Carnival?” che lui parla solo inglese. Notare la profondità dell’interrogativo nel disperato tentativo di nascondere ai convitati l’imbarazzante momento di confusione storica in cui annaspava mia madre. Avrei fatto prima a chiedergli se gli piaceva l’Italia o gli spaghetti o la pizza. E lui ha risposto: “Magna, magna!” che, dopo: Vai a fare culo! è l’espressione che più utilizza. Al che ho inteso che aveva capito tutto della vita.

Bene. Pure quest’anno è andata e, considerata la quasi totale impossibilità a seguire la trasmissione, mi pare che abbiam fatto un ottimo lavoro. Come un ottimo lavoro ha fatto chi questo Festival l’ha ideato e chi l’ha condotto, perché stavolta ce lo ricorderemo. Chiudo ringraziando Lastampa.it che mi ha citato, non in tribunale (son certo che prima o poi qualcuno lo farà), ma qua.

4 chiacchiere (contate) con… [3] (Arisa e Benjamin)

Ieri mi son risparmiato Sanremo e sono andato al cinema che, se avessi saputo che Il curioso caso di Benjamin Button era stato candidato a 13 Oscar sulla fiducia, mi sarei risparmiato i 6 euro e 50, e seguito Sanremo, dove son accadute cose imprevedibili come l’esclusione di Dolcenera e la non esclusione di Albano e Sal che erano stati ripescati giovedì e, soprattutto, la non morte di Povia. E una, non so se prevedibile, ma da me largamente preannunciata e cioè la vittoria della strana creatura Arisa. Quando Bonolis apre la busta, lei fa un paio di passi, gli occhi si inumidiscono, ma è come se non capisse a pieno cosa sta accadendo. Si fa un gran parlare di lei. RTL 102.5 dichiara che sarà l’unica delle proposte a far parte della playlist, viste le richieste.  Su Facebook, il suo fan club in 2 giorni, è passato da 150 a 6800 fan. È uscito il CD che si chiama Sincerità, e ora azzardo un’altra previsione e cioè che finisce in classifica. Qua potete ascoltarlo per intero aggratis. È molto carino. Lo stile è quello del singolo sanremese, fresco nei toni, nelle parole. Positivo, insomma. Stasera c’è la finale che ovviamente io non potrò seguire perché faccio chiusura, ma domani ve la racconto lo stesso. Con Luca ho fatto un pronostico: prima Patty e secondo Marco Carta. Lui s’è messo a ridere e ha detto: “Patty Pravo? Dai!” ma secondo me la canzone della Patty è proprio la canzone vincitrice di qualunque Festival di Sanremo, poi magari mi sbaglio.

Tornando al film, son 3 ore esatte in cui non succede niente. Benjamin nasce vecchio e ringiovanisce finché non diventa Brad Pitt e poi un ragazzino di 11 anni e poi un bambino che dimentica come si cammina, come si parla, dimentica i suoi affetti, e poi un neonato che muore tra le braccia del suo amore della vita che ha 80 anni. Secondo me non c’è membro dell’Academy che sia riuscito a vederlo tutto (sfido chiunque a seguire, con un seppur vago interesse, 3 ore di niente. La gente ha anche una vita, voglio dire) e allora, onde evitare storie su storie, metti che poi è bello sul serio, l’hanno candidato pure come migliore materasso su cui fanno sesso. In sala, a Los Angeles, per l’occasione, sarà presente anche Mastrota. Non mi è piaciuto. È lento, prevedibile e noioso, al punto che sia io che Franco abbiamo vissuto il nostro quarto d’ora critico di occhi chiusi e sogni d’oro, mentre Wendy, al mio fianco, sparava parolacce sottovoce, non ho capito se presa dalla trama o indirizzate a chi aveva prodotto il film. Quando ho riaperto gli occhi erano passati 10 anni, Benjamin era ancora abbastanza decrepito, stava in un albergo con una che pensavo fosse la bambina di cui si era innamorato quando è nato, e cioè da vecchio, e invece era un’altra che si tromba solo per un po’. Meglio che la smetto che, se continuo a rievocare quegli interminabili 180 minuti, mi torna il sonno e, visto che ho dormito poco e dovrei studiare, non mi pare il caso di crollare sulla tastiera.

Piuttosto, oggi è sabato e allora è tempo di 4 chiacchiere (contate) con… Nella puntata numero 3 incontriamo uno scrittore che ha deciso di esordire con una storia forte, di amore che forse è poco più che solo sesso fra 2 uomini, e scelte di vita, che a qualche ora dalla proclamazione del vincitore di Sanremo, che spero non sia Povia, ci sta benissimo: Massimiliano Paparo.

Sincerità, adesso è tutto così semplice

Ho sempre ritenuto Laurenti un maledetto baciato dalla buona sorte di aver incontrato Bonolis durante una delle sue notti in tangenziale, che lo considera l’unico uomo con cui tradirebbe la moglie (tra l’altro ieri si son anche baciati) – non mi sorprenderebbe se, persino al cesso, se lo portasse dietro per controllargli la porta, come fanno le quattordicenni che vanno in giro, sotto i portici, mano nella mano – perciò non gli ho mai riconosciuto particolari capacità artistiche, men che mai comiche. Beh, ieri mi ha fatto ridere e non so se è l’ennesima dimostrazione della mia testa che smette ogni giorno di più di funzionare, oppure un’altra vittoria di questo Festival.

Ieri era la serata dei ripescaggi. Quest’anno Bonolis ha introdotto l’ennesima umiliazione a cui questi poveracci dei big di una volta, eliminati dopo la prima esibizione, devono sottoporsi, e cioè cantare all’una di notte nella speranza che arrivino una manciata di sms per esser ripescati e poter continuare la gara (ed essere eliminati stasera, stavolta per l’eternità, suppongo). Hanno ripescato Albano e quindi Loredana dovrà aspettare. Magari è lì che esulta perché potrà fare i suoi porci comodi ancora per qualche giorno, e poi Sal Da Vinci. Sul momento non mi spiegavo come uno sconosciuto potesse aver ricevuto più voti non dico tanto di Tricarico, che è abbastanza ovvio perché, oltre ad essere anch’egli sconosciuto, ha l’aggravante che, quei 37 esseri umani che sanno chi è, lo disprezzano e 3 dei quali, addirittura, gli augurano di morire, ma di Iva e tutto il cucuzzaro di signorotte ottantenni pronte col loro telefono fisso che degli sms han paura. Poi mi son ricordato che Sal è napoletano e se ci fate caso, anagrammando il suo nome (d’arte,voglio sperare) vien fuori: evviva la camorra. Ed ecco spiegato tutto.

Sin son riesibite tutte le proposte (che, se ci aggiungi nuove prima, Bonolis cambia espressione del volto e ti mozzica) stavolta assieme ai loro padrini. Il trattamento è stato molto, ma molto diverso e ingiusto. Irene Fornaciari, la bruttissima figlia di Zucchero, ha scambiato il palco dell’Ariston per una data del suo tour cantando insieme al padre (che non è proprio Peppino Peppinelli di Borghetto Sant’Eufemia) e a Vandelli che l’ho sentito ad Arischia in concerto, e saremo stati una buona sessantina, e c’era pure uno dei Pooh che potrebbe essere Dodi Battaglia, ma non ci metterei la mano sul fuoco, ben 2 canzoni oltre la sua. Gli altri hanno cantato sì e no la loro, oscurati da padrini ingombranti resi protagonisti. Per non parlare della povera Malika che, presa in controtempo da quel rimbambito di Gino Paoli, s’è ritrovata a dover interpretare Il cielo in una stanza così: Quando sei qui con me, questa STRANZA non ha più pareti… che secondo me voleva dire stronza, e ce l’aveva con Irene.

Comunque resto dell’idea che la vera scoperta di quest’anno è Arisa che si chiama Rosalba Pippa (e mi sa che ha fatto bene a prendersi un nome d’arte, che è poi la composizione delle iniziali dei suoi familiari più cari, che lei la famiglia la porta sempre con sé) ed è stata molto felice di duettare con Lelio Luttazzi perché è per lei un personaggio di una sottile comicità educata. Qualcuno le spieghi che non è uno di Zelig.
“Noi ti facciamo un grosso in bocca al lupo e vorrei che tu facessi un saluto particolari per i lettori del nostro blog” “Allora… sì! Un saluto particolare per i… per i… visitatori di blogosfere!”
Almeno ha sostituito lettori con visitatori, anche se c’ha dovuto pensare non poco. In quel momento avrebbe pagato oro per un dizionario dei sinonimi e contrari. Questi ed altri momenti meravigliosi nell’intervista che segue. Guardate che personaggio, ragazzi!

 

Ed ecco la graziosa canzoncina (come dice Lelio) che ha fatto alzare il pubblico dell’Ariston in una mezza standing ovation che lei, fuggendo a fine esibizione, non s’è goduta: Sincerità, di Mangiaciligie che invece è Mangiauva; canta Arisa!

Sì, ma noi mo’ non ci sentiamo più!

Non avendo potuto assistere alla seconda puntata del – così dicono – trionfale Festival di Bonolis (i 14 milioni dell’esordio non che siano proprio l’immensità, ma son numeri che Del Noce si era dimenticato. Era da tempo che non vedeva la doppia cifra negli ascolti), ho chiesto a Niccolò di raccontarmi. Pare siano usciti Albano che potrà tornare da Loredana e dai bambini. E va be’ dai, è andata così. Niki-Nikolai-Nikolai-Niki che mi dispiace perché è sempre stato il mio scioglilingua preferito addirittura più in alto in classifica del sopra la panca la capra campa e dell’arcivescovo di Costantinopoli che si disarcivescostantinopolizza; e Sal Da Vinci che io gl’ho chiesto chi fosse e Niccolò ha risposto: “Boh, uno!”. Suppongo che la gente, mossa da un comprensibile meccanismo di autodifesa dal contagio dell’estraneo, abbia saggiamente optato per l’ignorare il suo numero di televoto, e quindi auguri anche a Sal. Son riuscito finalmente a sentire la canzone di Povia. Non è che ci volesse molto ad andare sul sito della RAI che ci son tutti i video delle esibizioni, ma mica posso pensare a tutto. E mi vien da dire che ci teniamo quello che ci meritiamo, signori miei. Perché se il pubblico sovrano (o la giuria, chi cazzo è che vota? Comunque qualcuno e in grandi numeri, suppongo) ha permesso che una canzone ributtante, con un testo che ti vien da rimpiangere l’amico gay di Anna Tatangelo, priva di qualunque contenuto artistico, interpretata da una faccia di cavolo del genere, perché Povia mentre cantava aveva la faccia di uno stronzo, quindi non esattamente di un cavolo, ma di uno stronzo, ecco, passasse alle prossime serate, e allora va bene. Che nessuno più si lamenti perché se no prendo il piccione di Povia e lo obbligo a cacargli in testa, perché ‘sto facciadimmerda qualcuno l’avrà pur votato o no? Potevamo dimostrare di essere un popolo civile che si vergogna di certe espressioni ancor più che medievali e non permette loro di manifestarsi più del dovuto, e abbiam fallito (mi ci metto anch’io che mi sento italiano, non so per quanto ancora) allora siam così anche noi, tristi pecore mangia-merda. L’Italia, come dice il buon Masini, è un paese in cui va tutto male (unica strofa della canzone che ho sentito prima di chiudere la pagina con un: Che amarezza!) e allora che vinca pure Povia, a ‘sto punto, e poi magari muoia sul colpo. Stasera ci dovrebbero essere le proposte (tutti questi condizionali son dovuti al fatto che io ignoro il programma delle serate). Mica ve l’avevo detto che Simona Molinari è aquilana e andava a scuola con la mia collega Ory che dice che era tanto brava in musica? Se vai a vederti un film al Movieplex, dopo la pubblicità della Tavernuccia Antica e prima di quella del torrone Fratelli Nurzia, la foto sensuale di Simona, nipote del vescovo Molinari, invade lo schermo mentre la voce del doppiatore di Eric Forrester esclama: “Simona Molinari, un’aquilana a Sanremo (che culo). Televotala!”. Poi c’è anche la figlia di Zucchero, Irene Fornaciari, che è identica al padre come lineamenti, come vocalità, come stile dei pezzi. Comincio a temere che sia Zucchero incarnato che, timoroso del suo calante successo e della morte che arriva lenta e inesorabile abbia deciso di farsi clonare e ricominciare da capo nel corpo di una donna. Notevole la canzone di Malika Ayane, la nuova scoperta della Caselli, quella di Feeling better, per intenderci. Gliel’ha scritta Giuliano dei Negramaro e si sente, e pure la sua voce è particolare. Da tener d’occhio. E poi c’è una ragazza stranissima. Si chiama Arisa. Sembra presa da un film d’epoca ed è assolutamente la mia preferita, con quella sua vocina, il rossetto acceso, occhialoni da vista col bordo nero alla Ugly Betty, caschetto e abitino nero. Canta con le mani dietro la schiena come una bambina dell’Antoniano e la canzone oltre ad essere orecchiabile ha un refrain che ti entra in testa con delicatezza. Il pubblico accompagnava l’esibizione con le mani e ho la sensazione che se non vince poco ci manca.

Degli altri ne parliamo domani che stasera me lo seguo. Ora vorrei segnalarvi un interprete che ahinoi e ahilui, ahitutti, insomma, è stato escluso dal Festival, ingiustamente, devo dire, ma uno col talento come il suo che se ne fa di Sanremo? Lo ascoltiamo nella prima di una lunga serie (temo) di esibizioni. Signore e signori (mani alle orecchie finché siete in tempo) ecco a voi Franchino con Ti sento. (Sì, ma noi mo’ non ci sentiamo più!)