Non avendo potuto assistere alla seconda puntata del – così dicono – trionfale Festival di Bonolis (i 14 milioni dell’esordio non che siano proprio l’immensità, ma son numeri che Del Noce si era dimenticato. Era da tempo che non vedeva la doppia cifra negli ascolti), ho chiesto a Niccolò di raccontarmi. Pare siano usciti Albano che potrà tornare da Loredana e dai bambini. E va be’ dai, è andata così. Niki-Nikolai-Nikolai-Niki che mi dispiace perché è sempre stato il mio scioglilingua preferito addirittura più in alto in classifica del sopra la panca la capra campa e dell’arcivescovo di Costantinopoli che si disarcivescostantinopolizza; e Sal Da Vinci che io gl’ho chiesto chi fosse e Niccolò ha risposto: “Boh, uno!”. Suppongo che la gente, mossa da un comprensibile meccanismo di autodifesa dal contagio dell’estraneo, abbia saggiamente optato per l’ignorare il suo numero di televoto, e quindi auguri anche a Sal. Son riuscito finalmente a sentire la canzone di Povia. Non è che ci volesse molto ad andare sul sito della RAI che ci son tutti i video delle esibizioni, ma mica posso pensare a tutto. E mi vien da dire che ci teniamo quello che ci meritiamo, signori miei. Perché se il pubblico sovrano (o la giuria, chi cazzo è che vota? Comunque qualcuno e in grandi numeri, suppongo) ha permesso che una canzone ributtante, con un testo che ti vien da rimpiangere l’amico gay di Anna Tatangelo, priva di qualunque contenuto artistico, interpretata da una faccia di cavolo del genere, perché Povia mentre cantava aveva la faccia di uno stronzo, quindi non esattamente di un cavolo, ma di uno stronzo, ecco, passasse alle prossime serate, e allora va bene. Che nessuno più si lamenti perché se no prendo il piccione di Povia e lo obbligo a cacargli in testa, perché ‘sto facciadimmerda qualcuno l’avrà pur votato o no? Potevamo dimostrare di essere un popolo civile che si vergogna di certe espressioni ancor più che medievali e non permette loro di manifestarsi più del dovuto, e abbiam fallito (mi ci metto anch’io che mi sento italiano, non so per quanto ancora) allora siam così anche noi, tristi pecore mangia-merda. L’Italia, come dice il buon Masini, è un paese in cui va tutto male (unica strofa della canzone che ho sentito prima di chiudere la pagina con un: Che amarezza!) e allora che vinca pure Povia, a ‘sto punto, e poi magari muoia sul colpo. Stasera ci dovrebbero essere le proposte (tutti questi condizionali son dovuti al fatto che io ignoro il programma delle serate). Mica ve l’avevo detto che Simona Molinari è aquilana e andava a scuola con la mia collega Ory che dice che era tanto brava in musica? Se vai a vederti un film al Movieplex, dopo la pubblicità della Tavernuccia Antica e prima di quella del torrone Fratelli Nurzia, la foto sensuale di Simona, nipote del vescovo Molinari, invade lo schermo mentre la voce del doppiatore di Eric Forrester esclama: “Simona Molinari, un’aquilana a Sanremo (che culo). Televotala!”. Poi c’è anche la figlia di Zucchero, Irene Fornaciari, che è identica al padre come lineamenti, come vocalità, come stile dei pezzi. Comincio a temere che sia Zucchero incarnato che, timoroso del suo calante successo e della morte che arriva lenta e inesorabile abbia deciso di farsi clonare e ricominciare da capo nel corpo di una donna. Notevole la canzone di Malika Ayane, la nuova scoperta della Caselli, quella di Feeling better, per intenderci. Gliel’ha scritta Giuliano dei Negramaro e si sente, e pure la sua voce è particolare. Da tener d’occhio. E poi c’è una ragazza stranissima. Si chiama Arisa. Sembra presa da un film d’epoca ed è assolutamente la mia preferita, con quella sua vocina, il rossetto acceso, occhialoni da vista col bordo nero alla Ugly Betty, caschetto e abitino nero. Canta con le mani dietro la schiena come una bambina dell’Antoniano e la canzone oltre ad essere orecchiabile ha un refrain che ti entra in testa con delicatezza. Il pubblico accompagnava l’esibizione con le mani e ho la sensazione che se non vince poco ci manca.
Degli altri ne parliamo domani che stasera me lo seguo. Ora vorrei segnalarvi un interprete che ahinoi e ahilui, ahitutti, insomma, è stato escluso dal Festival, ingiustamente, devo dire, ma uno col talento come il suo che se ne fa di Sanremo? Lo ascoltiamo nella prima di una lunga serie (temo) di esibizioni. Signore e signori (mani alle orecchie finché siete in tempo) ecco a voi Franchino con Ti sento. (Sì, ma noi mo’ non ci sentiamo più!)
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