Mi sa che così non va tanto bene

Stanotte son venuti a trovarmi Athos, Porthos, Aramis, e c’era pure D’Artagnan. Non è stata una di quelle volte che dici: “Piacere di conoscerti”; beh proprio no. Perché loro usano presentarsi a colpi di spada, dentro e fuori dalla gola, zac zac zac fino all’alba. Ogni goccia di saliva che scendeva mi si aprivano gli occhi di scatto, come quei bambolotti quando gli alzi il braccio. Guardavo l’ora sullo schermetto del cellulare e: “Uh, ciao Athos! Son già le 4. Uh, ecco Aramis, quasi alle 4 e mezza. Uh, tra 20 minuti saranno le 5 e mezza. Grazie per avermi avvertito Porthos! Uh, alle 6 potrei anche alzarmi. Cavolo sono le 6 e mezza, eccome se ho dormito! D’Artagnan, anche tu. Ancora le 6 e mezza (prima erano e 29 ora sono e 33), ma quando arrivano le 7? Ecco le 7 meno 2 minuti. Alle 7 e mezza mi alzo e allora sì che sarò riposato”.
Alle 8 in punto l’ennesimo colpo di Athos, che ci prova estremamente gusto, al che decido di venir fuori da quel calore esagerato sotto le coperte. C’ho pensato che poteva essere la febbre, però mi son detto che io son comunque più forte, e la combatto con l’indifferenza. Mi ha accolto l’aria gelida della mia stanza, che accarezzava le ghiandole gonfie e battenti (che amore di sensazione!) e acuiva i dolori dappertutto. Volete sapere perché era gelida? Perché fuori nevica che è una meraviglia (per modo di dire) e penso che devo ancora svegliarmi, che sto sognando e che non vedo l’ora che Porthos mi assesti un’altra spadata. Le articolazioni tutte sono accomunate da un pericoloso cigolare. Il ginocchio in particolare, che distendo e piego per sgranchirmi e tentare di ritrovare una mobilità (non è che posso smettere di vivere), svegliando i vicini. Peggio del cancello elettrico arrugginito che ogni volta che pigio sul telecomando sembra l’intro di un concerto degli Afterhours. Faccio colazione con una tazza di latte bollente; peccato che il miele non ce l’ho. Come non ho le aspirine, né Vivin C, né un cazzo di nulla che possa tentare di aggredire il male da subito. In questa casa abusano di medicinali quando non ne hanno bisogno. Ho anche la sensazione di avere le mani gonfie e un cerchio alla testa che spinge sugli occhi. Il cerchio più che una sensazione è una certezza, rimasta anche dopo la doccia. Vaglio l’idea di chiamare al lavoro e prendermi la malattia fino a domenica che lunedì devo partire per Firenze e raggiungere Luca e Niccolò e non è che posso ammalarmi (oltre il mio stato direi già avanzato), visto che abbiam fatto i biglietti, e che ho aspettato questa settimana, come un carcerato che conta i giorni dalla libertà col gessetto sulla parete fuligginosa della cella. Stiamo 7 giorni assieme con tanto di giovedì, venerdì, sabato e domenica a Parigi. Solo che poi ho pensato che 5 giorni non me li pagano, e son troppi 5 giorni di paga persi; neanche mi va che al lavoro pensino che ho fatto così per prolungarmi la vacanza. E allora ho deciso che ci vado bombardato di pasticche e sciroppi che spero il farmacista mi venderà sulla fiducia. Tempo di andare dal mio medico a farmi fare la ricetta proprio non ne ho. E, anche se l’avessi, non ne avrebbe lui, che per prendere appuntamento in settimana devi, intanto sperare che muoiano almeno 3 pazienti, e poi che tu sia tra i 3 sostitutivi, che c’è una lista d’attesa che, ahimè, molteplici anime vengono a spirare prima del salvifico incontro con Diopadre medico di famiglia. Giuliacci sta dicendo or ora che è tornato il sereno su tutta l’Italia. O si droga o L’Aquila non fa parte dell’Italia, e nessuna delle 2 mi sorprenderebbe. Ho appena sbadigliato e son rimasto senza fiato per 12 secondi. Se mi alzo dalla sedia mi devo risedere. Mi sa che così non va tanto bene.