Se mi chiedete come si fa un Big

Se mi chiedete come si fa un Big o un Tasty o un Piccolo Piacere o che differenza c’è tra la coca cola Zero e la Light (no, questa non chiedetemela che è una storia lunga che tra l’altro ho già ben descritto in un post che ritrovarlo è chiedermi troppo) vi rispondo, perché sono preparatissimo. Quando poi il discorso slitta su derivate e integrali, un’improvvisa vampata di calore m’investe e mi prendono i brividi bollenti e svengo ogni 15 secondi risvegliandomi giusto in tempo per non cadere. Sono svenimenti in piedi di cui nessuno si accorge perché mi si chiudono gli occhi per pochi istanti e ai passanti la cosa appare alquanto normale perché tutti chiudiamo di tanto in tanto gli occhi, ma, mentre gli altri chiudono gli occhi e li riaprono, io chiudo gli occhi, svengo, e li riapro; vi è chiara la non tanto sottile differenza?
Stamattina mi son messo lì col mio bel foglio delle regole di integrazione stampato a cercar di capire come ciufolo si faccia l’integrale di una funzione che poi mi son ricordato, perché l’ho letto, che fare l’integrale di una funzione vuol dire calcolare l’area della funzione da un certo punto a un altro. E visto che la funzione non è praticamente mai un triangolo, né un quadrato e quindi, ahimé, non si può fare base per altezza fratto 2 né lato per lato, c’è bisogno di questa cosa che è tipo una esse allungata (che non è il supermercato dove faceva la cassiera Giusy Ferreri) e che segue una valanga di regole strane. Sarebbe tutto più semplice se ogni oggetto appartenente al reale avesse inizio e fine e trama a sé, come un racconto. E invece no. Gli integrali, come un po’ tutta la matematica in generale, sono come Beautiful che se non hai seguito gli ultimi 5 milioni di puntate non sperar proprio di comprendere alcunché. Ecco come si risolvono gli integrali, con le primitive che non sono le donne del Paleolitico, ma oggetti matematici che equivalgono alla funzione che derivata ridà la funzione iniziale, se ho capito bene, ma è molto probabile che così non sia. A questo punto sorge la domanda: Che vuol dire derivata? Vallo a sapere! Neanche il generoso uomo di università che ha pubblicato on line un manuale di matematica per deficienti con problemi ha saputo essermi d’aiuto. Non si chiama così il manuale, ma la profondità e il linguaggio che utilizza per illustrare regole, funzioni e retroscena (sembra il trailer di un film e invece sto parlando di numeri e numeri e simboli e numeri, che poi sono i simboli il problema) lascia chiaramente intendere che il pubblico a cui ha pensato quando l’ha partorito è quello, i deficienti con problemi appunto. Ma io, visto il grado d’apprendimento,  devo appartenere addirittura a una branchia sottosviluppata dei deficienti con problemi. Il fatto è che devo violentarmi, non con un oggetto oblungo che di certo preferirei, ma con pagine e pagine di una roba che mi fa svenire, oltre che vomitare e cacare e non fatemi dire cos’altro, ma immaginate manifestazioni corporee e verbali non di quelle dolci e carine, insomma. Devo, perché ieri è tornato il dead-moment con tutti i soliti discorsi delle cose che non cambiano e anche se oggi va meglio quello è stronzo, si sa, e sta sempre là, pronto a zomparti addosso e buttarti giù di brutto. Intanto aspetto che mia sorella richiami. Ha chiamato un’oretta e mezza fa implorandomi di andarla a prendere. Io prima le ho risposto di no. Poi le ho detto di arrivare all’ospedale col bus, così faccio meno strada, e di richiamarmi quando è scesa, così aspetta lei e non aspetto io. Lei mi ha detto che non ha i soldi al cellulare e che richiamerà da una cabina. Io ho sbuffato e ho riagganciato. Poi mi son girato verso la finestra e ho notato che fuori piove e nevica, un po’ e un po’. Ho provato a richiamarla, ma non risponde. Ho ri-riprovato dopo un quarto d’ora e ha pigiato il pulsante rosso del rifiuto perché ho sentito quel tu-tu-tu triplo, che lo sai che ti hanno rifiutato. Chissà dove sarà! Questo per dirvi che io son proprio cattivo.