Posts published in Maggio 2007
Istantanee dalla Fiera del Libro
DA (non troppo) LONTANO.
ZOOM – ZOOM – (zoom!)
Allora era vera la storia del mio libro a Torino!
M.
La giornata del cuore
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E’ arrivato un sms di protesta, e allora mi trovo costretto all’ennesima precisazione. Le splendide foto sono opera di Fabio e della sua costosissima macchinetta fotografica. (Tranne ovviamente quella dove figura lui, che, per esclusione…)
Ma quale reading?!
Stamattina i tipi del comitato organizzatore della festa sono passati per la quarta o quinta volta a chiedere un contributo volontario. (Volontario… Ti guardano con certe facce che se non gli dai quei 20 euro ti segnalano a Stefania Nobile, e poi chi se la spiccica più di dosso quella?!) Li ho accolti io, e molto gentilmente (e molto finto) ho domandato come mai, se la festa era già in atto, quindi si presuppone già organizzata e i preparativi pagati, ebbene, come mai andavano ancora chiedendo contributi alle case della gente.
Alla risposta: “Possono sempre servire!” ho chiuso la porta e l’ho lasciati intrappolati nel giardino per un bel po’ di minuti, prima di far scattare il cancelletto pedonale e liberarli. Intanto Iker latrava sputandogli anche una discreta quantità di bava addosso.
Domenica sera, come ogni anno, andrà in scena il reading di poesie. Il mio barbiere checca, membro del comitato, più o meno questi giorni dell’anno scorso, mentre mi tagliava i capelli (13 euro per 4.5 minuti di macchinetta (il punto vuol dire virgola; sì, va be’, potevo mettere la virgola, ma si usa il punto. Ma no! Non si usa la virgola per dire punto!), m’ha proposto di partecipare con qualche mia poesia. È il clou della festa. Momento di altissimo spessore, definito dal biondo ancheggiante addirittura culturale. Troppo facile fargli notare che visto il resto non è che ci volesse poi molto.
Ci stavo cascando. OK sono stato ingenuo, e nel subdolo mondo della letteratura l’ingenuità è inammissibile, se vuoi ritrovarti addosso almeno le mutande. Fortuna che tra Oggi, Gente, Novella2000/3000/5000… , c’era il programma dettagliato, stampato formato volantino, b/n, ed evidentemente fotocopiato (e male), viste le righe orrende che coprivano anche dettagli importanti tipo le ore dei vari eventi. E quindi è uscito il discorso.
“Come funziona per il reading?” (Ancora pensavo fosse tale, o quanto meno che gl’assomigliasse.)
“A turno ognuno legge tutte le poesie che vuole!”
“Ah…” (Pausa sconcerto)
“Quand’è il mio turno?”
“Allora, ti possiamo infilare tra Maria e Gennaro il ferraio.”
“E chi sono Maria e Gennaro il ferraio?”
“Maria è la padrona del minimarket, e Gennaro è il ferraio!” (Giustamente!)
[…] Pensieri irriproducibili, ma non belli.
“No, non mi va più di partecipare!”
“Perché?”
“Eh… (oddio mi serve una scusa, subito!) … Mi vergogno!”
“Ma come ti vergogni, che hai fatto un sacco di presentazioni!”
Vaglielo a spiegare che non è stata la timidezza, alla quale sono quasi immune, a farmi decidere di dare forfait!
M.
Due doverose rettifiche, viste le numerose e-mail e telefonate di protesta pervenute direttamente dalla sede del potente comitato organizzatore dopo il post sulle attrattive della festa.
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La musica colonna sonora dei Calci in Culo non è house, ma sono gli Zeroassoluto.
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La luminaria-rosone è intermittente.
Ora sì!
OK, la penna rossa con l’inchiostro schizzato non era male, solo che ogni tre blog che aprivo due avevano la penna rossa con l’inchiostro schizzato, e allora sempre più il pensiero che fosse male ha iniziato a tarantolarmi il cervello. (Non so cosa possa voler dire questa espressione, né se voglia dire qualcosa. Qua ci starebbe bene un commento del caro amico Anonimo che mi prega di imparare l’Italiano.)
Ricerco su Google: template Splinder, con tutte le varianti possibili: template per Splinder, template for Splinder (non si sa mai ne esca qualcuno oltreoceano), Splinder template (cazzo! Allora è vero che cambiando l’ordine degli addendi…), un template per il mio blog su Splinder vi prego! Ne avrò visti oltre 500 (cinquecento), niente (di niente).
No, troppo complicato.
No, troppo anonimo.
No, troppo glitterato.
(Ma noi siamo grafiche, ci piacciono gli sbrilluccichini!)
Eh, a me no.
No, troppo fashion.
No, troppo poco fashion.
No, troppo bambino.
No, troppo idiota.
No, troppo serio.
No, non mi piace.
(Ma perché?)
Eh, non mi piace, va be’?!
No, non mi rappresenta.
(Ma rappresenta noi!)
Sì, lo so, ma ci devo scrivere io, mica voi!
No, troppo… e basta.
No.
No.No.
No.No.No.
Finché capito sul sito di Aria1984. Sono le tre di notte, gl’occhi bruciano e si chiudono da soli; sì, ma non posso e non devo ancora andare a dormire. Cliccare è diventato un gesto meccanico, senza speranza. Ne scorro cinque o sei, ed ecco la folgorazione. Non era La stanza del matto, ma si capiva che doveva diventarlo. Sembrava parlasse, insomma lo capite tutti perché. È chiaro a tutti il motivo per cui quell’immagine non poteva che rappresentare la nuova Stanza. È come quando ti rispondi che non poteva che essere così. È stata disegnata e realizzata da altri che non conosco, ma è come se l’avessero pensata per me. Ho scritto ad Aria, e lei è stata gentilissima. E questo è un piccolo modo per ringraziarla. Visitate il suo sito, e vedete se c’è quello che fa al caso vostro; sempre se avete intenzione di cambiare aria al blog.
Ma c’era ancora qualcosa che non andava. L’avatar. Una lotta senza tregua, da un avatar all’altro che un istante dopo già mi fa schifo.
Poi arriva Fabry e: “Ti posso mandare un avatar che secondo me sta bene con la nuova grafica?”.
“Sì, anche se l’arcobaleno che ride mi piace!” (Mentre lo dico già non mi piace più.)
Visto e aggiudicato.
M.
Ora sì che mi sento a casa!
Calci in Culo
C’è aria di festa in paese.
Più che di un’aria purtroppo si tratta di una ineluttabile certezza. I segnali sono inequivocabili. E sono due: la luminaria (una) a forma di rosone trecentesco, la stessa di Natale e Capodanno ovviamente, parzialmente fulminata, fissata ai due lampioni da un lato all’altro della strada, in corrispondenza dei cassonetti. Oddio, ieri per un attimo mi sono preoccupato. Pareva stessero costruendo una nuova base Nato. Uno spiegamento di uomini e mezzi senza precedenti per un solo addobbo, tra l’altro orribile.
Il secondo segnale è la giostrina tripla. Nessuno sa dove venga custodito per il resto dell’anno quella specie di Luna Park molto in miniatura, che spunta dal nulla nella settimana delle feste (come se fossero più d’una, sempre se il baraccone di quelli che loro chiamano eventi possa essere considerato una festa) e ce lo ritroviamo nello spiazzo a fianco al casermone segreto rivestito di bianco, che hanno innalzato nemmeno un anno fa. Chissà che attività si nascondono al suo interno. Le poche finestre sono altissime e oscurate. Quando passo con Iker tiro un po’ il guinzaglio per costringerlo a fare la pipì il più vicino possibile, io intanto allungo l’occhio per captare immagini. Niente di definito, solo un continuo proliferare di spostamenti. Un giorno che non scorderò mai ho potuto vedere un essere umano entrare. Ebbene sì. Una donna, poi uscita ad annaffiare le due piante accanto alla porta, che secondo me sono sintetiche o comunque di materiali alieni. Saprei riconoscerla tra milioni. Lei sa tutto, ed io l’ho vista.
Il primo elemento della giostrina è la Girella dei Calci in Culo: un cerchio di sedioline che girano (beh è una girella, non la merendina, va be’ ci siamo capiti) con tanto di musica house che rompe non poco i coglioni, perché, forse non l’ho detto, ma tutto questo si svolge a pochi metri da casa mia. Lo scopo è acchiappare una bandiera issata a un gancio in mezzo al cielo. (Che non è quello che cercava Baglioni e che troverai anche tu Strada Facendo. Evitiamo!) L’unico modo per arrivarci è per via propulsiva. Una spinta violenta dai piedi dell’amico forzuto sul tuo ben noto didietro, che ti spara come un cannone e tu, mingherlino e leggerissimo devi arrivare al fazzoletto. La coppia vincitrice becca un giro gratis. Ma il gioco può diventare un incubo se nessuno ci riesce. Il giro rischia di farsi eterno, e se devi andare a svuotarti la vescica oppure hai un appuntamento, ti conviene metterti l’anima in pace e pregare. Da lì non scenderai finché qualcuno non ti libererà dalla maledizione.
Il tutto è ripetuto a giustizia dei piccolini in una girellina dei Calcetti nel Culetto, alla disperata ricerchina di un gancetto in mezzo al cielino…
E poi l’umiliante macchina dei cazzotti. L’ho sempre odiata. È programmata per insultarti e farti sentire un’inutile merda di cavallo, che neanche puzza. Tiri un cazzotto, parte un termometro che sale e scende e si ferma categoricamente vicino al fondo tra suoni imbarazzanti, e poi una voce saccente, di un’antipatia che prenderei a legnate chi l’ha doppiata, sputa sentenze del tipo: “Ehi bello, datti all’ippica!” oppure “Ehi bello, su, non scherzare, colpisci!” , ma quella che m’ha turbato al punto da decidere di non sfidare più quel perfido guantone elettronico è stata: “Ehi bello, sei sicuro di essere un uomo?” .
M.
Ehi bello… VAFFANCULO!
rose TUE
Avete mai sentito il profumo di una rosa?!
Sì, che domande.
Anch’io prima di ieri l’avevo sentito più e più volte. Eppure mai ricordo di un profumo così. Forse perché sono piccole rose scure, che faticano a sbocciare. Confuse nel rosso, e scelte per me.
Quasi che vi sia da qualche parte racchiusa la naturalezza di un gesto spontaneo e giovane. Forse nel loro profumo, che non occupa spazio, ma riempie le stanze illimitate del mio sentire. Le guardo appassire, intrappolate nel portapenne, sul tavolo verde della camera. Mentre tu forse starai pensando che sei riuscita a sorprendermi. Non lo credevo possibile. Insomma, dovrei essere io quello che sa come muoversi e gestire le cose. E poi arrivi tu, con un mazzolino di rose piccole e semischiuse, e mi dici che l’hai prese per me. Ma me lo dici con quel tuo tono fresco come se fosse tutto così normale, e poi cambi discorso mentre io guardo le rose strette da un fazzoletto bianco, e non riesco a seguire le tue nuove parole, perso in quell’istante.
Potrei metterle al sole, seccherebbero e acquisirebbero forse forma gradevole, magari adatta a farne un segnalibro; o incollarne i petali su qualche scatolina in un improbabile lavoretto di bricolage. Ne stravolgerei la natura e, quel ch’è più grave, il profumo, che si mischierebbe ad altri odori, chimici, di collanti e smalti lucidanti, abbellenti e assassini. È quel profumo che voglio preservare finché sarà possibile, non la loro apparenza. Per questo continuerò a osservarle avvizzirsi, nella penombra della mia stanza, avvicinandomi di tanto in tanto a cercare il loro aroma rassicurante; ne sfiorerò i petali morti, che non perdono mai quell’irriproducibile sensazione di velluto divino al tatto. E starò bene, aspettando il tuo ritorno.
M.
Ho capito che no, non erano vere tutte le rose del mondo che ho sentito prima di queste tue.
Stojan Decu, l’altro uomo
Ho conosciuto Stojan Decu quando avevo bisogno della sua storia. Non sapevo che l’avrei incontrato; non è mai casualità quella che ti porta a scambiare due chiacchiere con chi non puoi immaginare quanto riuscirà ad arricchire la tua esistenza. Stojan Decu entra nell’anima e l’avvolge; l’abbraccia costringendola senza violenza alcuna a seguirlo agli antipodi delle emozioni. Un viaggio che resta memorabile, il potere di un libro di farsi indimenticabile.
Un romanzo d’avventura e d’amore, che narra la storia di un personaggio epico, delle sue guerre, delle sue imprese irrealizzabili, del mistero del suo essere ovunque e contemporaneamente; del desiderio di un ricercatore di raccontarne la vita, spiegarne ogni tappa sforzandosi di costruire consequenzialità che spesso saltano in vuoti inspiegabili, forse perché Stojan è davvero un uomo molteplice. Perché una sola vita non basta.
A colpire è subito l’immagine di copertina, ispirata allo straordinario quadro di Leonor Fini, che trasmette l’incertezza, la sensualità, l’eleganza e la dolcezza del protagonista, eppure anche la fredda determinazione nell’agire, perché Stojan Decu sa essere cinico come pochi. Un uomo coraggioso, forte, pronto ad affrontare mille avventure lungo il suo viaggio nella storia dell’umanità, ma al contempo bombardato da debolezze enormi, al punto da sconfiggerlo più volte di quanto non sembri. Voler esser amato per come si è veramente può risultare distruttivo se si è così diversi dalla massa, così unici in mezzo al mondo che schiva l’altro, se è così altro da sé.
Le passioni del protagonista coincidono con quelle dell’autore: i viaggi, il mare, la navigazione. E la solitudine. Stojan spesso scompare, certamente dove nessuno può disturbare il suo bisogno di stare solo e recuperare energie, per poi tornare, inatteso, a cambiare la vita di chi lo incontra.
Mi ha stregato la sua capacità di lasciare i luoghi certamente diversi, forse migliori, di com’erano prima di lui. Incastonare nei cuori delle persone un segno che brilla. Un po’ come ha fatto con me e con tutti coloro che ha incontrato, naturalmente perché così ha voluto, pur non risparmiandosi gesti efferati tutt’altro che contraddittori. Sono espressione della sua personalità superiore e totale. Che non può non prevedere risoluzioni violente quando ce n’è bisogno. Sa andare oltre facili e deboli moralismi, Stojan sa agire sempre. Non ha paura della vita che divora a suo piacimento. Forse ha paura di sé, e della sua unicità nell’anima, alla quale risponde con una molteplicità nel mondo e nel tempo. Stojan fa semplicemente il suo dovere. Cambia il mondo.
Simone Perotti, con il romanzo Stojan Decu, l’altro uomo, si è aggiudicato il primo premio Volpe d’Oro 2005.
Fatemi dire qualcosa sul Simone uomo. Per quel poco che ho potuto capire di lui è senz’altro una persona cordiale, gentile, di grande sensibilità, educata e rispettosa delle passioni altrui. Sincera, non avvezza ai falsi complimenti.
Chiunque volesse approfondire la sua conoscenza lo trova QUA, oltre che nella lista dei miei preferiti.
Volevo ringraziarlo per esser capitato sulla mia strada e per aver raccontato una storia speciale come il suo protagonista: Stojan Decu.
M.
Rinascere
Costretto ad un nuovo inizio altrove. Solo un po’ di pazienza, i tempi tecnici per definire due o tre cosette, e La stanza del matto riprenderà la vita che di là hanno deciso di spegnere, come un interruttore.
M.