Avete mai sentito il profumo di una rosa?!
Sì, che domande.
Anch’io prima di ieri l’avevo sentito più e più volte. Eppure mai ricordo di un profumo così. Forse perché sono piccole rose scure, che faticano a sbocciare. Confuse nel rosso, e scelte per me.
Quasi che vi sia da qualche parte racchiusa la naturalezza di un gesto spontaneo e giovane. Forse nel loro profumo, che non occupa spazio, ma riempie le stanze illimitate del mio sentire. Le guardo appassire, intrappolate nel portapenne, sul tavolo verde della camera. Mentre tu forse starai pensando che sei riuscita a sorprendermi. Non lo credevo possibile. Insomma, dovrei essere io quello che sa come muoversi e gestire le cose. E poi arrivi tu, con un mazzolino di rose piccole e semischiuse, e mi dici che l’hai prese per me. Ma me lo dici con quel tuo tono fresco come se fosse tutto così normale, e poi cambi discorso mentre io guardo le rose strette da un fazzoletto bianco, e non riesco a seguire le tue nuove parole, perso in quell’istante.
Potrei metterle al sole, seccherebbero e acquisirebbero forse forma gradevole, magari adatta a farne un segnalibro; o incollarne i petali su qualche scatolina in un improbabile lavoretto di bricolage. Ne stravolgerei la natura e, quel ch’è più grave, il profumo, che si mischierebbe ad altri odori, chimici, di collanti e smalti lucidanti, abbellenti e assassini. È quel profumo che voglio preservare finché sarà possibile, non la loro apparenza. Per questo continuerò a osservarle avvizzirsi, nella penombra della mia stanza, avvicinandomi di tanto in tanto a cercare il loro aroma rassicurante; ne sfiorerò i petali morti, che non perdono mai quell’irriproducibile sensazione di velluto divino al tatto. E starò bene, aspettando il tuo ritorno.
M.
Ho capito che no, non erano vere tutte le rose del mondo che ho sentito prima di queste tue.
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