Posts published in Maggio 2007
Nelle tette di nonna Giovannina
Oggi ho fatto fuori l’ennesimo mazzo di chiavi.
È un’attitudine incurabile, una sbadataggine senza rimedio. Ogni volta che prendo in mano uno di quegli stramaledetti pezzi di metallo intagliato mi ripeto: “Stai attento, pensa a cosa fai, a dove vai, e li porti, e li appoggi, controlla ogni movimento…” .
Io sto attento. Penso a cosa faccio, a dove vado, e li porto, e li appoggio, controllo ogni movimento; eppure, magari non nell’immediato, magari il giorno dopo, sparite le chiavi.
Di solito finiscono in qualche tasca di cui ho sempre ignorato l’esistenza; raramente tornano alla luce, e mai prima di un paio d’anni, quando ormai l’ho rifatte oppure ho cambiato le serrature; e allora le uso per sbudellare le zecche.
Fermo la macchina davanti al cassonetto. Sì, lo so che è divieto di sosta e fermata, ma non pretenderanno che mi faccia i chilometri con cinque buste della CONAD piene di umido puzzolente! Con gesto atletico lancio le prime due, e poi le altre due; la quinta tintinna.
Oddio le chiavi. Mano in tasca. Della macchina, presenti. Di casa, presenti. Tiro un sospiro di sollievo mentre percorro la salita fino a casa di Luca e Niccolò. Pranzo insieme: penne al sugo semplice, insalata con l’olio (io ci volevo l’aceto), caffè divino simil-bar, gelato che non gela gusto cappuccino. Visione delle altre due puntate di Ugly Betty, e studio alternato a simpatiche pause ciambella e internet.
Alle diciannove e trenta parcheggio fuori casa, scendo, arrivo al cancelletto. Mani in tasca. Niente. OK, ripeto il gesto. Mani in tasca, niente. Le chiavi. Torno in macchina, niente. Ancora in tasca, (lo so che c’ho già visto) niente.
Mi apre mia madre che, dopo il momentaneo impeto di incontrollata violenza urlante scatarravolgarità, torna in cucina rassegnata.
“Hai controllato in macchina?”
“Sì.”
“Sicuro che quando sei uscito le portavi?”
“Sì.”
“Questo sarà il decimo mazzo di chiavi che perdi, lo sai?”
“Non l’ho perse.”
“E dove sono?”
“Non lo so, erano in tasca.”
“Se non lo sai vuol dire che l’hai perse; comunque stavolta le paghi tu, io non te le rifaccio!”
“Oddio ma’, ho come un’illuminazione!”
“Ah, dove stanno?”
“Beh, a quest’ora ormai alla discarica comunale!”
“L’hai buttate nel cassonetto?”
“Mi sa di sì. Ho sentito qualcosa di tintinnante mentre lanciavo una busta.”
“E perché non l’hai recuperate?”
“Perché ce l’avevo, ho controllato.”
“Sei peggio di nonna Giovannina.”
“Perché?”
“Stava tutto il giorno a chiedere chi s’era rubato le sue chiavi, ché lei non l’aveva spostate dalla mensola; a dire che erano tutti stronzi, che le volevano male, che la dovevano smettere di frugare tra le sue cose, e poi, quando la sera si spogliava, le cascavano a terra dalle tette.”
[risata con le lacrime]
“Almeno se le metteva nelle tette, tu le butti!”
M.
Nonna Giovannina tornerà presto. Non nel senso che tornerà in vita. Va be’, ci siamo capiti.
Tutti Nudi
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Antipastino di gustosissimi biscottini a base di cocco e cioccolato sintetici, accompagnati da qualche bicchiere di Cola (non Coca) e Aranciata spagnola, tutto targato rigorosamente Eurospin.
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A seguire un bel terzo di Viennetta classica panna e cioccolato, gentile omaggio degli invitati Luca e Niccolò. Ditemi chi l’ha inventata perché voglio chiamarlo per fargli sapere che è un genio.
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Trasloco in camera per attrezzarci alla visione delle prime due puntate di Ugly Betty, scaricate da Luca, obviously E-mule.
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Vicinanza delle prese per attaccare il caricabatteria del PC.
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Spazio per le due casse megalitiche staccate dal mio computer dei primi 900 (Niccolò: “non avevo mai visto un computer così grande!”) e da riposizionare ai lati del suo portatile.
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Visione soddisfacente, considerata distanza e angolazione dello schermo per la giusta luminosità.
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E, fondamentale, comodità degli spettatori, soprattutto la mia.
Ognuno dei contendenti si esibisce in uno strip integrale, ma sfumato (anche male). Si nota perfettamente la mutanda sotto, fateci caso.
Un giorno da NON rifare
Oggi è un giorno tutto da rifare, cantano i Velvet. Sì, perché forse non sono passati per L’Aquila ieri.
Sveglia alle sette dopo aver chiuso gl’occhietti alle tre passate, con tanto di patatine fritte ketchup e maionese sullo stomaco, al mitico Lurido della notte. Arrivo alla Finanza. Caldo soffocante, solita calca degli oltre mille il cui cognome va da Gase a Gurr (io Grim; sì giusto, è oggi) . Ebbene ci riprovo. Per due motivi; primo perché l’anno scorso sono stato un idiota, guidato dal ludico spirito del ma sì, proviamo, tanto è un gioco.
Ma come si fa a superare tutte le prove, dico tutte, arrivare tra i 250 superfinalisti, e presentarsi all’orale con lo spirito del ma sì, proviamo? Il secondo motivo è legato al puro godimento orgasmico che sa darmi una rivincita; anche se, da come sono andati i quiz, direi che posso sognarmelo di rientrare negli 800 su 21000 (ventunomila) che supereranno la prima prova. L’anno scorso non lo so nemmeno io come ho fatto, ma era un gioco e quindi…
Il ragazzo davanti a me si gira a guardarmi: “Di dove siete voi?” .
“Voi chi?”
“No, va be’, noi a Napoli diciamo così!”
“Ah, comunque L’Aquila.”
“Io Napoli!”
“L’avevo capito.”
Fine.
Il finanziere mentre registra la mia carta d’identità all’uscita: “Ha fatto molta strada lei!” .
“Sì, due chilometri.”
Ride. “In bocca al lupo!”
“Tanto sono già morto.”
Ma cosa ride. Me ne vado.
Torno a casa rintronato dal caldo e dalle occhiaie. Cazzo quanto pesano!
Mentre aspetto che bolla l’acqua suona il cellulare. Fabio.
“Hai visto la TV?”
“No.”
Accendo. Aiuto.
“Quindi non sai niente di quello che è successo un quarto d’ora fa sotto casa mia?”
“No, che è successo?”
“Uno ha aspettato una ragazza fuori la casa, gl’ha sparato due colpi di fucile in mezzo alla strada, poi è arrivato a Cansatessa, ha messo fuoco alla macchina, e s’è sparato.”
“Cosa?!”
Era appena accaduto, in una strada che conosco bene. L’allarme l’ha dato il padrone di un negozio di vestiti che ha assistito alla scena, e non smetteva di piangere.
Notizie dettagliate l’avrete sentite ai TG. Vi linco due articoli, usciti sul Messaggero e su Repubblica.
OK (mica tanto) .
Ieri sera partita di pallavolo tra noi. Da premettere che la prima era finita con una pallonata in faccia di una potenza disumana; sono stato venti minuti a guardare il soffitto con gl’occhi inebetiti, che nuotavano tra tante farfalline con le ali colorate tutte intorno a me. Alla Megan Gale, insomma.
Ieri sera, proprio quando ormai stavo trascinando la mia squadra al trionfo e alla splendida rivincita, salto per piazzare la mia solita schiacciata devastante, punto. Sì, ma l’atterraggio è stato, devo dire, altrettanto devastante. Direttamente sulla caviglia. Ahia!
Mi siedo qualche minuto. Ragazzi sto bene. Ragazzi, rientro.
La voglia di giocare, l’adrenalina, il gonfiore, evidentemente hanno nascosto parecchio il dolore. Stanotte avessi chiuso occhio mezzo minuto. Ho pensato che bastasse appoggiare il piede sul cuscino per sentirmi meglio. Il dolore è aumentato, e appena le lenzuola sfioravano quel blu livido mi schizzava in aria il cervello, e gl’occhi reagivano sbarrandosi fissi al buio della parete davanti; intanto il pendolo rintoccava.
Stamattina riesco a camminare con (molta) difficoltà, e questo mi fa pensare che non si sia rotto niente. Spero. Mi sono cronometrato. Impiego quattro minuti abbondanti per arrivare dalla mia stanza alla cucina.
Tutti dicono: “Mettici il Lasonil!”, ma io non ce l’ho. Poi oggi è anche sabato e le farmacie sono chiuse. Dovrebbe essercene una di turno, la cercherò.
Non mi sorprende che Libero abbia sistemato la linea di Luca e Niccolò proprio ieri, e proprio mentre grandinava. In una giornata assurda, di una L’Aquila impazzita. In cui un paio di settimane fa due tipi si accoltellano per amore davanti a un bar, Berlusconi si sente male; e ieri uno col fucile spara come se fosse naturale liberarsi di qualcuno semplicemente uccidendolo.
M.
Si ringrazia vivamente Niccolò per l’umanità e la delicatezza dimostratami quando, mentre ero a terra e mi tenevo la caviglia, nel silenzio preoccupato di tutti, lui rideva incontrollato al centro del campo.
Ieri NOI
Gentilezze
Sorriso di ZECCA
Diffondiamo il Verbo!
Atteggiamento incline allo sfruttamento totale degli altri, che si tratti di cose importanti oppure di dettagli da pochi centesimi. Sfruttare con finta tonta aria di indifferenza. Sfruttare senza pudore. Sfruttare senza fregarsene. Sfruttare con naturalezza. Sfruttare senza morale. Sfruttare come arma evolutiva. Sfruttare l’altrui intelligenza, perché l’armandista ne possiede una sì, ma volta solo allo sfruttamento. Sfruttare per la totale sopravvivenza. Sfruttare cercando di limitare al massimo le perdite. Sfruttare elaborando tattiche per non restituire quanto acquisito per sfruttare. Sfruttare facendo uso di meschini trucchi. Approfittarsene sfruttando. Sfruttare persino l’altrui libertà. Sfruttare tempo, denaro, capacità, vita, sangue dell’armandato (colui che subisce l’armandare dell’armandista). Sfruttare senza chiedere direttamente, ma sfruttando altri perché chiedano per lui. Sfruttare sfruttando. Sfruttare sfruttando lo sfruttare. Sfruttare inducendo l’altro all’esaurimento nervoso e a volte all’abbandono del luogo abitato.
Tutto questo in una parola letale: Armandare, ottenuta per antonomasia; figura retorica che consiste nell’attribuire il nome di un famoso personaggio (Armando) a chi ne possiede le caratteristiche peculiari.
Nel linguaggio colloquiale:
Armandologia: scienza che studia l’insieme dei fenomeni che ruotano attorno all’armandare.
Orgiamoci
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Due di due – Andrea De Carlo
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Novecento – Alessandro Baricco
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Il barone rampante – Italo Calvino
“Così cominciò l’amore… Era l’amore tanto atteso da Cosimo e adesso inaspettatamente giunto, e così bello da non capire come mai lo si potesse immaginare bello prima. E della sua bellezza la cosa più nuova era l’essere così semplice, e al ragazzo in quel momento pare che debba sempre essere così.”
“Lui conobbe lei e se stesso, perché, in verità, non s’era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché, pur essendosi saputa sempre, mai s’era potuta riconoscere così.”
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Achille pié veloce – Stefano Benni
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Il miglio verde – Stephen King
Pensieri crudeli
È proprio quando ti senti al sicuro, cullato dall’atmosfera conciliante di un personaggio quasi familiare, che Ugo Riccarelli ti trapassa come un fulmine da parte a parte. Pensieri Crudeli è un album di ordinate istantanee di paure inarrestabili. Tremende cattiverie celate da vite che si confondono nella normalità, fino al momento in cui tutti gli equilibri si spezzano e irrompe il germe del caos. È un libro impietoso, che lascia largo spazio ai sentimenti, ma quasi mai a quelli buoni. Un libro rapido e intenso, come pezzi di vita che s’incollano ai ricordi; che entra abbondantemente in una tasca di jeans, e ferisce con la crudeltà di poche pagine affilate.
I protagonisti sono uomini comuni che si ritrovano a fare i conti con un’esistenza da far quadrare, perché i loro desideri non s’incastrano mai perfettamente con i pezzi di realtà intorno. Ciascuno attraversa una situazione di instabilità e cerca di dominarla; c’è chi vi riesce con coraggio e chi con frustrazione. In tutte le storie irrompe un elemento perturbante: un pensiero inatteso, che ammutolisce come un tradimento confessato.
Il piccolo di Con, silenzioso, quasi una comparsa prima di farsi attore principale, con una sola battuta che dilania. Mozart e la sua voglia di non vivere più giornate che non gli sono mai appartenute, chiuso in stanze sempre più strette e soffocanti. Le sue note, impossibili da ignorare, respirano aria succhiandogli via tutta la libertà; ossessione come l’arte per il vero artista. Marco, che vorrebbe semplicemente riportare il tempo alla spensieratezza dell’amore passato, e scrive a Paola, pur sapendo che quella sarà solo carta sprecata; perché una lettera senza risposta non sa consolare, figuriamoci restituire la felicità. L’Uccisione di Babbo Natale ha per protagonista ancora una volta un bambino, che deve abituarsi, senza possibilità di scelta, all’idea di una vita nuova, in un quartiere in centro con un imponente palazzone davanti alla finestra della sua stanza. È la notte della Vigilia, e lui sa bene che Babbo Natale non esiste, ma non è suo padre quello che quest’anno lascerà qualche dono sotto l’albero, e tutto questo non gli piace affatto. Eppure deve abituarsi, come al solito.
Undici storie che scavano nell’altra faccia dell’essere umano: quella dietro, quella buia, quella che non subisce le limitazioni del pensiero sociale. L’unica totalmente vera, come il dolore senza freni. Fino ad arrivare al culmine segnato da Pensieri Crudeli, racconto finale che dà il titolo alla raccolta. I pensieri prendono vita e si fanno autonomi; si alimentano fino ad esplodere in desideri che dovrebbero perdersi nell’aria e invece trovano immediata realizzazione. Uno dopo l’altro in una lunga serie di morti, costrette dall’efferatezza di un destino cinico che traduce in realtà il volere rabbioso più intimo, quello dello sfogo di un istante.
Un libro dettato da una ricerca stilistica profonda, che ci fa conoscere un Ugo Riccarelli nuovo, che si discosta dall’abituale stile denso di passato e intrecci tipico dei suoi romanzi, per percorrere la strada della fulminea immediatezza narrativa. Flash da tenere bene a mente. Perché: “dei pensieri non siamo responsabili, crescono dentro di noi come erbacce, che lo vogliamo o no”.