Se non l’avevo considerata è perché, evidentemente, le cose in questi anni non sono andate poi tanto male.
Per essere più preciso, mai in questi tre anni che vivo a Firenze mi sono sentito davvero lontano da L’Aquila, dalla mia famiglia, dalla mia vita precedente. Davvero nel senso di star male. Tranne in un momento, molto più lungo di un momento. Pensavo di avere sotto controllo pregi e difetti del mio presente, e invece no. Mi mancava un pezzo, un aspetto sfuggito alle mie valutazioni: il dolore degli altri, viverlo insieme.
Il 24 agosto ha avuto, sulla vita di tutti noi, un impatto personalissimo. A me ha fatto soffrire i chilometri mancanti sbattendomi davanti agli occhi questa consapevolezza: non poter essere lì, con chi ha dovuto rivivere lo stesso incubo.
Mia madre mi raccontava che era tornata a dormire nella casetta costruita in giardino dopo il terremoto dell’Aquila non perché penso che mi crolla la casa addosso, ma perché ce l’ho, sto tranquilla, là dormo, e io mi sono sentito chiuso in mille gabbie, due pianeti più in là. A dire sì, se ti fa stare meglio, a dire mi dispiace, a dire inutilità al telefono. Era come se le sue parole riempissero il mio cuore di un dolore più sottile del dolore fisico, cariche di un’esperienza che potevo certamente capire, ma che stavolta era soltanto sua e degli altri vicini a lei e lontani da me, non mia. Si era compiuta una disunione del nostro sentire; si era compiuta l’impossibilità di abbracciare ognuno il sentire dell’altro, vivere insieme un momento complesso, dividersi le angoscie, sdrammatizzarle, fare un tutt’uno di sensazioni e persone, come succede quando due corpi si avvicinano.
Il telefono non basta, né è quasi mai sincero. I toni al telefono sono sempre allegri, i toni al telefono hanno il preciso scopo di cambiare l’umore dell’altro, tenerlo su, senza preoccuparsi dell’umore di chi, come mia madre, per esempio, i toni allegri li sa fare benissimo.
È una conseguenza della lontananza che non avevo considerato, ora una pedina in più al nostro gioco delle forze.
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