Ho nuovamente rinviato il ritorno a L’Aquila di una settimana. Riparto giovedì prossimo. Ci sono sempre più motivi per restare e si sono esauriti quelli che dovrebbero spingermi ad andare via. Ora c’è bisogno di stabilire delle regole ferree. È l’unica soluzione al problema degli obiettivi non raggiunti. Così, almeno finché sarò qui, passeremo le nostre giornate alla biblioteca delle Oblate a Firenze a spremere i cervelli. Mi sto accorgendo che siamo diventati bravissimi a parlare, ma, quando c’è da stringere, andare al sodo, dimostrare, darci sotto e via dicendo – per sottolineare lo stesso concetto – continuiamo a lamentarci e a rimpiangere i giorni che furono e le scelte toppate e quello che eravamo, come se avessimo settantanove anni, giunti alla fine, a commentare un fallimento definitivo. Con tutto il rispetto per i settantanovenni. Che poi non è mai troppo tardi. Fa riflettere la storia di Cesarina Vighy, autrice de L’ultima estate, pubblicato da Fazi e vincitore del Campiello Opera Prima e finalista allo Strega. Ebbene, lei ha settantatre anni e questo è il suo esordio. Quindi neanche a dire che c’è un tempo limite entro cui chiudere il cerchio delle cose. Questo per dirvi che se qualcuno passasse di lì (alle Oblate) in questi giorni, e dovesse riconoscermi – oggi avevo un’accecante maglietta giallo sole, presa alla Coin per nove euro e novantanove, domani non so – è pregato di venirmi a salutare. Poi, se mi è simpatico, gli concedo anche il lusso di offrirmi un caffè.
Ieri siamo passati davanti alla cantina dove suonavano i Litfiba. Me l’ha fatta notare Niccolò. Non che me ne fregasse qualcosa, ma come dice lui: “Tu su queste stronzate ci scrivi i post e quindi…”
Sul muro, oltre agli innumerevoli messaggi d’amore lasciati dai e dalle fan, che l’avranno leccata con la lingua, quella parete, ce n’era qualcuno dispiaciuto e un po’ incazzato perché, dopo aver attraversato mezza Italia, a dir suo, era arrivato lì e non gli aveva aperto nessuno. Ma ci abitano? Sicuro che Piero Pelù fosse in casa? Magari era andato a lavare il fuoriserie o a portare il suo codino a fare la toeletta. Un po’ di comprensione per chi lavora, dico io. Poi cos’è quel modo di imbrattare i muri? L’avessero fatto a casa mia li avrei querelati uno per uno. Dopo il pomeriggio di studio, siamo andati alla partita di pallavolo Italia-Usa al Mandela Forum, valida per la World League. Non eravamo proprio in prima fila, ma dotati del telescopio spaziale Hubble riuscivamo addirittura a seguire la palla. Scherzi a parte si vedeva benissimo. Il panino di due chili e mezzo con centotrenta grammi di salame toscano sullo stomaco non mi ha impedito di esultare ai punti, fare le ole e sbattere i piedi sui gradoni insieme a tutto il palazzetto, mentre quelli non indovinavano una battuta. E infatti hanno perso. Mannaggia a loro.
Volevo chiudere facendo i complimenti alla nostra nazionale di calcio che ieri ha onorato la maglia azzurra perdendo 1 a 0 con la temibilissima formazione dell’Egitto. Non ho potuto seguire la partita perché il segnale sul digitale era bloccato, però immagino sia stata una prestazione storica. Sicuramente ineguagliabile. Esiste un’altra squadra che è stata capace di perdere con una compagine di mummie e cammelli? Io non sapevo neanche che l’Egitto avesse una squadra di calcio, comunque. Ora possiamo tirare un gran sospiro di sollievo e andare a giocare contro il Brasile senza la minima preoccupazione. In compenso ho seguito Il secondo tragico Fantozzi su Rete4. La scena in cui lui, mentre fa gli straordinari fino alle tre, viene sorpreso da un metronotte che, scambiandolo per un ladro, gli spara col mitra, resta memorabile.
Lascia un commento