• Spesso accuso qualcuno di essere maleducato, o di essersi comportato in modo maleducato, che è meglio, di non aver detto una parola in più, di aver detto solo quelle sbagliate, o anche quelle sbagliate, che andrebbero taciute, altrimenti non penseremmo che fossero tali. Spesso critico un atteggiamento (che mi appare) menefreghista, una telefonata mancata, un invito di circostanza, un invito perché, se vengo io viene anche lui che si porta quell’altro, e stai a vedere che era solo l’altro quello desiderato. M’infastidiscono modi di fare preconfezionati, a cui, se non rispondi con tono altrettanto natalizio, passi per quello che vuole fare l’alternativo, quello che vuole fare il vero, quello che dice di non avere limiti e paletti perché lui è così: underground. Vaglielo a spiegare che invece sei solo uno che non respira più in mezzo a tanta finzione! Perché la finzione puzza di pesce andato a male, di uova marce, di cavoli, di stabbio (volevo usare merda, ma mi sembrava una parola poco carina). Solo che poi accade che, passeggiando per la città, incrocio il Re delle farse, e mi scopro a precederlo rovinandogli il tanto atteso inutile e ormai banale, diciamolo, suo saluto, suo invito, suo tempo (sprecato a priori e, anche se non lo fosse, dichiaro ufficialmente che non ne ho per lui), sue parole, suo sorriso (Dio (maiuscolo) credimi quando dico che gli tirerei un calcio in faccia!) suo tutto. Resta a bocca semiaperta con gli occhi calanti (sì, ce l’ha così) increduli, di fronte alle mie due o tre frasi di plastica, che lo salutano senza curarsi delle attenzioni che si aspetta. Trasformazione completata. Mi sono addirittura superato in tutto quello che ho sempre schifato. La differenza però è fondamentale: che io, così, lo sono solo se lo voglio, lo divento insomma, qualcun altro non saprà mai essere limpido, neanche se lo volesse con tutto se stesso.

    Che qualche pia anima che ci tiene (se esiste, ed esiste purtroppo) trovi il modo di dirgli che non è bello andare in giro con quella puzza di cavoli addosso, e non è con una doccia, o con due, che se ne sbarazzerà.

    Scrivi un commento →: Cos’è questa puzza di cavoli? Ah, sei tu!
  • Sul primo numero di Kiamarsi, rivista letteraria che trovate in giro per le librerie, Salvina Alba scrive di Non farmi male.

     

    Se è vero, come sostiene Giulio Mozzi, che “ogni tentativo di raccontare una storia, è un tentativo di inventare il mondo”, non si può certo dire che il mondo inventato da Matteo Grimaldi nella sua opera prima Non farmi male (ed. Kimerik, euro 10) sia particolarmente attraente e consolatorio.

    Si tratta infatti di sette racconti che tratteggiano una realtà spietatamente drammatica, priva di luce, di speranza, di spiragli di salvezza; una realtà in cui l’umanità, volente o nolente, appare irrimediabilmente condannata ad un destino di violenza e sopraffazione a volte inflitta, a volte subita, comunque necessaria.

    Matteo Grimaldi tratteggia questo universo da incubo con uno stile molto personale e sicuro, senza sbavature, con una maturità narrativa davvero sorprendente e una padronanza linguistica che gli consente di adattare di volta in volta il linguaggio all’io narrante di questi racconti originali e mai banali, intensi e talvolta visionari, evocativi e coinvolgenti, capaci di commuoverci e farci riflettere. La morte, fisica o spirituale, sembra essere il comune denominatore di queste storie, da quella causata da paradisi artificiali a quelle provocate da abusi e violenze sessuali, dall’abbandono o da incidenti stradali. Un briciolo d’ottimismo s’intravede nel bellissimo racconto Passione da cani nel quale l’autore sembra volerci suggerire che l’unica scappatoia possibile, per sfuggire al destino crudele  che accomuna tutti gli uomini, è quella di imitare gli animali, infinitamente più saggi degli umani, rifugiarci nell’amore e nella passione, e non arrenderci mai.

     

    Ringrazio Salvina Alba e la rivista Kiamarsi per l’interessamento e la bella recensione al mio libro. A proposito di libro, qua c’è da aggiornare il contatore che, alla velocità di Bee Bep, procede a ritroso fino allo zero di tre appuntamenti importantissimi.

    -9 alla presentazione dell’antologia del premio letterario Oltre… a Roma. Chi volesse sapere dove e quando trova tutti i dettagli su www.myspace.com/matteogrimaldi.

    -19 alla presentazione di Non farmi male a L’Aquila.

    -24 all’uscita di Durante di Andrea De Carlo.

     

    Una buonissima domenica matta a tutti!

    Scrivi un commento →: Non farmi male su Kiamarsi
  • Esco dalla Stanza e mia madre mi accoglie così: “Tesoro cosa vuoi mangiare?”. Tesoro?! Faccio finta di niente e nel frattempo mi autoimposto in modalità protetta: allarme giallo. “Va bene se ti preparo un piatto unico: mais, pomodoro e tonno, e pure una frittatina?” Oddio, quando usa i diminutivi la situazione è davvero gravissima. Di solito non è che sta lì a dirmi: vuoi questo o quello; mi fa trovare una mozzarella e un paio di fette di pane, io posso mangiare o non mangiare e, visto che io sono uno che ha solitamente fame, scelgo la prima ipotesi, abbinando al misero pasto un secondo spuntino verso mezzanotte e mezza, poco prima della dichiarata tazza di latte del post precedente.

    Mentre gusto il piatto unico che ha il sapore di un gigante tramezzino: “In garage c’è la coca cola, aspetta che vado a prenderla!” e sparisce oltre le scale. È addirittura scesa giù a prendere la coca cola. Comincio a tremare terrorizzato. Non può essere la stessa donna che mi ha concepito e cresciuto per (quasi) ventisette anni; quella che, a cena, usa abbandonarsi esanime sulla sua rossa poltrona a guardare Chi l’ha visto e Stranamore perdendo i sensi quattro minuti dopo non aver capito la storia in questione. Torna con la coca cola e, mentre mi riempie il bicchiere (Ma che gl’ha preso?), con tono di voce discreto: “potresti contribuire un minimo al pagamento dell’assicurazione?”. Ecco che si spiega tutto! “L’assicurazione di cosa?” “Della tua macchina!” “Io non ho una macchina!” Cioè ce l’ho, nel senso che esiste una macchina che mi appartiene legalmente perché è a me intestata, che sto pagando e continuerò a pagare per i prossimi quattro anni, precisamente una Matiz verdina, però non è più mia. Forse lo è stata, ma ho provveduto a disconoscerla dopo che mia sorella ha cominciato ad apportare piccole, inconsapevoli e non, modifiche all’aspetto interno ed esterno. Ogni giorno una novità. Prima un bozzetto dietro, poi un bozzetto allo sportello destro, poi anche al sinistro (pareva brutto farlo sentire un emarginato), poi il cerchione piegato, poi l’anabbagliante bruciato, poi la prima, che per farla entrare devo invocare l’incredibile Hulk che è in me. Per non parlare della puzza di fumo che è ormai il nuovo Arbre Magique delle automobili della famiglia Grimaldi, e della cenere in tutti gli interstizi; alzi il finestrino e un’ondata di cenere ti assale, abbassi il finestrino e l’ondata torna, la cenere sul cambio, nel volante (sì, proprio dentro!), sui tappetini e persino tra i CD. E quel mostro sarebbe la mia macchina?

    “Non ne voglio più sapere nulla finché non la farete tornare quella di una volta!” “Faccela tornare tu, visto che è la tua!” “Certo, lei la distrugge e io la riparo, così magari lei, tanto che c’è, la ridistrugge? E poi, se hai notato, io non ho più facoltà di guidarla visto che non è mai disponibile, visto che tua figlia, nonché mia sorella, non c’è mai!” “Sì, ma guidi quella di tuo padre, vuoi pagare l’assicurazione di quella (che è quasi il doppio (proposizione sottintesa) ) ?” Colpo basso. Decido di mollare la presa prima che sia tardi. “Quant’è arrivato di assicurazione?” “231 euro.” “E quanto dovrei mettere?”  Tento un disperato patteggiamento.  Almeno i duecento, il resto lo pago io.” Alla faccia dell’almeno, e del contribuire un attimo!

    E sia! Provvederò al mantenimento della vettura, ma non voglio né vederla né sentirla più, almeno finché non mi farà scrivere da C’è posta per te per riabbracciare il suo amato papà (che sarei io).

    Scrivi un commento →: Io, mia madre e mia figlia Matiz
  • Pare che ‘ste robe qua si chiamino Meme, ma non chiedetemi perché e percome perché non saprei dirvi nulla se non che Disperso qualche giorno fa, e Godeliano tanto tempo fa, (forse era una simile. Dai Godelià, facciamo finta che era la stessa così, in una botta sola, mi libero di tutte le mie gravose responsabilità!) mi hanno coinvolto in questa specie di catena che prevede che io scriva sei cose che amo fare. Escludiamo a priori il leggere e lo scrivere perché mi consumerei due punti su sei raccontandovi dettagli che sapete o che potete ben immaginare, vista la mia passione per la letteratura. E allora ecco la mia lista rigorosamente in ordine a cazzo (sicuramente il più democratico degli ordinamenti):

    -Succhiare morositas. (Siete balzati dalla sedia brutti maliziosi, eh?! Ho detto morositas!) Io non so cosa mi sta prendendo, ma è un periodo che quelle gustose caramelle gommose alla liquirizia sono per me peggio di una droga purissima. Ho sempre in tasca il doppio pacchetto e, se  per cause di forza maggiore dovesse verificarsi una concomitanza drammatica di eventi per cui finiscono le scorte e non ho danaro (un euro) per ricomprarle, giuro che prima urlo, poi mi strappo quei tredici capelli che mi sono rimasti, infine (visto che sono uno temerario io) prendo un taglierino (se non lo trovo lo vado a comprare al cartolaio vicino all’edicola (dove sta l’edicola lo so io) che è discreto e non fa domande) e compio una rapina (di morositas) nella tabaccheria che sta vicino al cartolaio che sta vicino all’edicola che sta dove so io, così risparmio pure la benzina. Io l’arrivo della bella stagione lo apprendo non da Giuliacci che con le sue sballate previsioni ha un po’ rotto, ma dalle morositas che si fanno sempre più gommose, ora che, finalmente, il freddo che le induriva sta andando via (anche se oggi piove).

    Prepararmi una tazza di latte e cacao all’una e mezza di notte. Sta diventando un rito fondamentale. Ha l’effetto della camomilla prima di andare a dormire. Non sto parlando di Nesquik, ma di una sottomarca discutibilmente rappresentata dal nome che porta: Dolce Gusto. Dolce sì! È un composto di cacao 3%; zucchero in grossi granelli 90%, che non si scioglie neanche se giri un quarto d’ora col Braun Minipimer settato alla massima potenza, si deposita sul fondo e là rimane finché non lavi la tazza; e la solita indefinibile merda chimica 7%, che dev’essere qualche sostanza che crea dipendenza perché, un po’ come le morositas, non riesco più a farne a meno.

    Guardarmi, quando posso, un po’ di sana , logorante, ma divertentissima trash-tv a casa di Luca e Niccolò. For  example: Amici.

    Dare da mangiare ai piccioni in piazza. Non c’è bisogno di darmi del vecchio, grazie. È che mi piace vedere come da un piccione diventano due, poi quattro, poi otto, finché comincio ad avere paura che quell’immenso stormo mi scambi per una gigante mollica di pane e mi aggredisca in blocco, e allora vado via.

    Fare telefonate quando sono in macchina. Odio viaggiare da solo. Anche quando si tratta di percorsi brevi io chiamo, per la felicità di polizia, carabinieri, finanza, rigorosamente senza auricolare (non per cattiveria, ma perché lo dimentico sempre a casa. Credo non sia mai uscito dal primo cassetto del comodino in cui riposa dal lontano 2003: anno dell’acquisto del cellulare catorcio che, prego Dio, di far resistere fino a indefinita data da destinarsi), e il tempo passa più in fretta (non si fa!). Se volete proporvi per essere chiamati fatelo pure a matteo1077@gmail.com avrò cura di mantenere segreto il vostro numero di telefono; l’importante è che siate simpatici e, fondamentale, che abbiate Wind.

    Andare in montagna. Quando mi ritrovo avvolto dalla Natura nella sua espressione più silenziosa e immensa ho come la percezione di ricaricarmi. Non vedo l’ora che tornino le interminabili giornate assolate per fare un giro lassù e controllare qualche dettaglio, che il tempo, sono certo, ha conservato.  

    Ora devo nominare sei anime sfortunate che dovranno fare lo stesso, e dico: Gogan, Annetta, Ariel, Cenerentola, Alexdj (così aggiorna ‘sto cavolo di blog!) e Xunder va!

    Non mi odiate!

    Scrivi un commento →: Nomination(s)
  • Qualcuno mi vuole male e non mi saluta, o forse non mi saluta senza volermi male. Sì, nonostante ieri ci fossimo guardati a lungo, neanche un accenno amico. La cosa non mi turba, è che non comprendo il senso di tutta questa fatica. Qualcun altro, che invece ha sempre dichiarato di volermi male, agli altri perché con me si è limitato a smettere di salutarmi d’improvviso (aiuto, il saluto del Matto è altamente contagioso, statene alla larga, è peggio della lebbra!) e a non rispondermi al telefono (io un paio di tentativi li faccio pure, però poi mi stanco e a non rivederci!), mi incontra, si fa crescere un sorriso gaudente sul suo faccione un po’ dimagrito, va detto, sarà la vita nuova che ha scelto, (o la morte nuova, dipende dai punti di vista) che evidentemente non gli permette più di mangiare come un tempo, mi stringe la mano e mi abbraccia forte. Io che penso: ma a questo che gl’ha preso?
    È divertente restare ancorati al proprio equilibrio a osservare quello degli altri crollare e portarli a decisioni folli, vigliacche, comprensibili solo se viste da un’ottica di meno complicanze poi. Di fronte al tumulto dell’interiore precarietà altrui che s’affanna, mi dà immensa soddisfazione l’essere sempre stato coerente con me stesso, e osservare le gocce di sudore scendere sulla fronte di chi prova ad arrampicarsi a giustificazioni deboli per colmare i comportamenti assurdi del tempo fino a ieri. Mi fa anche un po’ tenerezza pensare che qualcuno possa credere di recuperare le attenzioni e l’affetto del passato dopo aver lavorato anni per fare terra bruciata attorno al suo mondo. Spero che stia bene nel suo niente. In realtà non spero niente, però neanche auguro il male a nessuno. Io sto benissimo nel mio tutto, e non lo regalo né permetto a qualcuno di entrarvi con troppa facilità. Sembra paradossale, ma queste manifestazioni hanno l’effetto di elevare il mio buonumore, come un film di Verdone: mi fanno ridere, ma tanto.
    Ieri in macchina ho alzato il volume dello stereo, e ho avuto per la prima volta quest’anno la sensazione di potercela fare, che non è poco. Certo, va presa con le pinze, però è stato bello sentirsi avvolto da una sfera di positività, come un’aria diversa che diventa amica della stanchezza fisica e alleggerisce il peso sulla schiena, e accende gli intenti e i progetti, perché mi mostra i primi risultati. I risultati di un impegno che va molto oltre le mie possibilità, me ne rendo conto. L’altro pomeriggio mi sono anche appisolato in macchina; quando mi sono svegliato, una mezzoretta dopo, ho pensato che stavolta ce la stavo mettendo veramente tutta, e forse è la prima volta. Non sono proprio un asso in certe cose io, e quindi per ottenere 1 devo faticare 100 (mila, a volte), lasciar scorrere via tutte le energie che dal mio corpo finiscono a terra, ma proprio tutte. Però a me non importa ora, perché quell’1 lo voglio, e
     l’otterrò per stanchezza, come tutto ciò che nella vita ho ottenuto.
    Scrivi un commento →: In macchina alzate il volume dello stereo al massimo!
  • I trabocchi

    "Secondo te ce la siamo giocata bene?"
    "Secondo me sì."
    "Allora meglio di così non poteva proprio andare?"
    "Poteva andare oltre, ma finché non ho fatto la cazzata ce la siamo giocata bene."
    "Ti sei pentita?"
    "Sì."
    "Pensavo non provassi più niente per me."
    "È quello che ho dovuto dire. Sei insostituibile."
    "Perché l’hai dovuto dire?"
    "Perché dovevo andare via, e dirti che non ti amavo più era l’unico modo per farti stare meno male."
    "Una storia Milano–L’Aquila sarebbe stata una tortura, è per quello che mi hai lasciato?"
    "Sì, solo per quello. Fosse andata diversamente staremmo ancora insieme."
    "E perché ora, dopo tre anni, mi stai dicendo che provi ancora sentimenti?"
    "Perché è vero."
    "Sì, ma perché me lo dici, visto che domani torni a Milano?"
    "Lo devi sapere."
    "Dici, perché magari un giorno…?"
    "No, non diciamolo per niente, però il senso era quello."
    "Quindi ho perso."
    "Abbiamo perso, anzi forse ho perso più io, quando ho deciso che dovevo andare via."
    "Quando ci rivedremo, tra altri tre anni?"
    "Speriamo prima, no?"
    "Magari allora mi concederai una rivincita."
    "Te la devo. Tanto, sono certa, ti avevo trovato per un motivo ben preciso."
    "E quale sarebbe?"

    Come se esistesse davvero un destino. E come se, nell’immensità di Milano, non ne esistesse davvero uno migliore di me. Certo è che rivangare un passato comune, in due, può riportare a galla dettagli sconosciuti, e la cosa è, spesso, profondamente deleteria. E chiamali dettagli!
    Scrivi un commento →: I trabocchi
  • Immagino vi siate accorti della nuova grafica (se non è così, è gradita la vostra immediata sparizione grazie; per favore, oh voi che non avete occhi per guardare, non fatevi più vedere né sentire!). D’un tratto mi sono sentito soffocare da quel viola. La Stanza puzzava di brutto (neanche il mio potentissimo mangiaodori al pino silvestre mandorlato è riuscito ad annullare le vostre (perché io mi lavo) puzze!) così ho aperto un po’ troppo la finestra ed è entrato tutto il cielo. E poi perché sinceramente mi ero un po’ rotto le pallucce di scrivere in un luogo che ho scoperto uguale a tanti altri nel WWW. Chiamatelo pure egocentrismo, ma io ne volevo uno che fosse unico e in cui splendesse sempre il sole, così da poterlo guardare anche quando (non ritorni ed è già tardi e) fuori è buio. La decisione definitiva di cambiare l’ho presa quando una tizia, che non starò a nominare per non ridicolizzarla oltre il dovuto, mi ha scritto chiedendomi di aiutarla a sistemare il suo template. Io, onorato della richiesta (penserà che sono bravo visto che lo chiede proprio a me) apro il suo blog e cosa trovo? Un surrogato di Stanza del Matto incompleta perché la suddetta, avendo prelevato il template senza neanche la decenza di chiederlo a chi l’aveva fatto, si era ritrovata con mille funzionalità in meno e chiedeva a me di aiutarla a completare l’opera. Ma ci rendiamo conto?
    Ah, fatemi avvertire subito tutti i furbetti che cominceranno a scopiazzare a destra e a sinistra; giuro che vi denuncio! (Ci siete stai voi davanti ad uno schifoso PC ore ed ore ed ore ed ore ed ore… e pure ore ad aggiustarlo? No, e allora non v’azzardate a toccare niente ché vi mando una maledizione che non vi risvegliate più eh! (Fatta eccezione per Jerome che s’è già fregato la TAG convinto forse che modificarne i colori basti a renderla personale, scherzo eh!) Quindi attenti a quello che fate che quelle manucce ve le stacco con un morso secco!)
    Detto questo c’è un’altra grande novità: il
    MYSPACE UFFICIALE. Ebbene sì, ho dovuto cedere alla tentazione e realizzare quello che mai e poi mai avrei voluto. Ora, visto che esiste, usiamolo al meglio, e per me al meglio vuol dire come una specie di contenitore di ciò che riguarda quello che faccio. E allora c’è la sezione RASSEGNA STAMPA in cui inserirò di volta in volta le recensioni. La sezione APPUNTAMENTI & NEWS in cui inserirò gli appuntamenti e le news (ma va!) e la sezione INTERVISTE in cui… va be’, potete arrivarci da soli. Naturalmente chiunque abbia un Myspace è obbligato ad aggiungermi come amico, e tenetelo d’occhio perché magari capito dalle vostre parti e ci beviamo una birretta (chiaramente offerta da voi!). Fatemi ringraziare Cia che mi ha sostenuto (praticamente ha fatto tutto lei, pure il MySpace, povera donna!).
    Ah, aggiorniamo i tre conti alla rovescia che abbiamo lanciato qualche post fa.
    -14 alla presentazione di Roma (per i dettagli vi rimando al MySpace).
    -25 alla presentazione di L’Aquila (come sopra).
    -30 all’uscita di Durante di Andrea De Carlo.
    Scrivi un commento →: Il cielo in una stanza (la mia!)
  • Telefonate immediatamente a Fox Molder perché io oggi pomeriggio ho studiato. Ebbene sì, ringrazio Luca e Niccolò per avermi minacciato e legato con lacci d’acciaio a gomiti e caviglie al tavolo del loro salotto/cucina/sala_dei_giochi, dalle quattro e cinquanta alle sei e cinque. La preoccupazione in amici e parenti è alle stelle: circa un’ora e quindici minuti senza staccare per un attimo gli occhi dalle fotocopie, finché Niccolò mi ha gentilmente chiesto se volessi un altro caffè, notando che stavo letteralmente dormendo in piedi (seduto). I caratteri neri ondeggiavano come barchette e poi omini e poi cuori e poi sangue fino a formare disegni sconnessi tipo quelli che ti mette davanti lo psichiatra per accertarsi che tu non abbia una doppia o tripla o quadrupla personalità, che tu non sia affetto da Tatangelite acuta insomma.
    Oh, ma che ne sapete voi? (Eh, giustamente se non ve lo dico…) Mi s’è incarnita l’unghia dell’alluce destro (ok, parlo come magno: l’unghia del pollicione. È più chiaro adesso?) e mi fa un male cane. Mannaggia a me e al vizio di tagliarla tutta, ma proprio tutta con quelle forbicette acuminate che per errore (non sono un masochista, cioè abbastanza, ma non di quelli che infieriscono sul corpo) mi sono conficcato nella carne, anche con discreto accanimento. Lì per lì solo un fastidio, poi quando ti fai la doccia sembra che vada tutto bene, che il mondo ti sorrida in quel senso di pace estatica sotto il getto calmo dell’acqua che ti lava, poi esci e ti congeli perché hai dimenticato la finestra aperta, ed è là che il pollice comincia a dirti: Bello, qua so dolori! Insomma, mi s’è infettata pure l’anima. Conseguenza: lieve cronico zoppicare corredato da madonne multiple sparate sempre e solo a mente, ogni volta che qualcosa urta la superficie della mia scarpetta provocandomi lancinanti fitte in ogniddòve; sì pure là, problemi?
    Poi, vediamo… Luca s’è laureato con un così meraviglioso 110 e lode, come meravigliosi sono stati i nostri regalini. Beh, va detto. Mi stava prendendo un esaurimento nervoso, ma ce l’abbiamo fatta perché Luca ha sparato un inaspettato Wooow!!! alla vista dell’orologio di Armani; ma l’avete visto quant’è bello quel gingillino? (Ho provato a cercarlo su internet, ma il sito di Emporio Armani mi ha aggredito con una colonna sonora tipo deflagrazione, poi è tardi e quindi credetemi sulla parola se vi dico che è bello!) Considerato che a casa mia tutte quelle cosette tecnologiche che si regalano di solito alle lauree sono ormai arrivate alla frutta (il mio cellulare sta per compiere cinque anni e ogni volta che faccio una chiamata devo aspettare almeno otto minuti prima di poterne fare un’altra; quindi, se poco poco si tratta di un’emergenza e sbaglio a digitare il numero, prima che riprenda la facoltà, che è poi quella propria di tutti i telefoni e cioè chiamare, sono morto. Un PC che è la composizione di pezzi vari, dall’età che va dai sei mesi ai nove anni (vedasi monitor e stampante, che non stanno proprio bene bene insieme, non sono caratterialmente compatibili diciamo!) Messaggio subliminale: portatile, portatile, portatile!!! Quindi ora (in senso lato) è il mio turno. Ci aggiorniamo a Dicembre e vediamo come stiamo messi, intanto stilo la lista delle cose che vorrei, eh ragà?!

    M.

    Ah, domani, cioè oggi (dipende da quando leggete, può essere anche ieri se lo leggete dopodomani!) (a volare a bassa quota) non ci sto. Vado ad Ancona (a fa’ che?), al novantanove per cento a perdere tempo. Però si sa che quell’un per cento ha fatto la felicità di qualcuno. (Chi? Presentatelo e lo sfascio di mazzate!) Quindi, credete sempre al vostro un per cento! Ciauz! (A questo punto su MSN esce la faccina verde che saluta e poi scivola, sbatte il muso, e cade giù.)

    Scrivi un commento →: I’m dead. (Non c’entra, ma… c’entra, c’entra!)
  • Hanno vinto Giò Di Tonno e Lola Ponce. (Chiii?) Con una canzone un po’ orrenda, scritta dalla Nannini, ma casualmente non cantata dalla Nannini. Ebbene sì, il Matto ha toppato la previsione, ma non di tanto direi, anzi, di un’anticchietta proprio. Infatti, se scendiamo di un gradino, chi ci ritroviamo come una sanguisuga assatanata di premi, danaro, e potere? Naturalmente Super Taty che ormai a Sanremo è una garanzia: la sua bella palmetta se la becca comunque e, male che vada, se le può sempre rivendere su E-Bay e camparci di rendita. Anna peccato, ce l’avevi quasi fatta. Purtroppo hai dovuto affrontare un nemico invincibile. Lo stereotipo del vincitore perfetto di Sanremo. Duetto d’amore, volete mettere?! Si sa, i duetti funzionano eccome al Festival. Basta ricordare i Jalisse (e ti pare facile? Va be’ comunque era un duetto e hanno vinto), Ron e Tosca che fra cent’anni si ripresenteranno insieme con l’inedito Ci siamo rincontrati cent’anni dopo, Aleandro Baldi e Francesca Alotta (ehhh?), dai su, quelli che cantavano non amarmi per il gusto di qualcosa di diverso… e come potremmo dimenticare Amedeo Minghi e Mietta col loro trottolino amoroso dudù-dadadà. Tra l’altro mica me n’ero accorto che s’erano ripresentati tutti e due. Ma pare che Amedeo si sia molto arrabbiato con Mietta che, convinta ormai di aver raggiunto l’agognato successo, l’ha un po’ snobbato in questi anni. Infatti alla sua proposta indecente Baciami adesso Amedeo risponde con la sua Cammina cammina. Per la serie: ma vatti a dormire Mié!
    Terzo Vasco Rossi. Va be’ schifo non fa quella canzone, però ho come la sensazione che per il giovane Fabrizio Moro sia ora di sbaraccare e tornare a casa. Ma a noi questa classifica non piace mica tanto eh! E allora, visto che sono stati assegnati premi su premi, la Stanza vuole assegnare due riconoscimenti speciali a quelli che secondo la giuria di qualità (il Matto) sono i veri vincitori del Festival. Vincitrice assoluta è Loredana Berté che si presenta in coppia con una drag queen del Mucca Assassina (ah no, è Ivana Spagna). Ok, l’ho presa in giro, c’ho scherzato su, sempre con la massima ironia, ma Loredana Berté ha dimostrato che si può vincere anche venendo esclusi dopo la prima serata. E l’ha dimostrato togliendosi per una volta quegli occhiali neri che sono sempre stati il suo scudo alla vita, che tanto bene non gliene ha mai voluto. Quindi rigodiamoci l’esibizione di Loredana. Guardate che meraviglia e che emozione quando Pippo le consegna il premio della critica Mia Martini. Probabilmente il più bel momento di questo Festival. Io mi sento di ringraziarla, per l’amore immenso che brillava nei suoi occhi, e per quel sorriso. Non è facile vedere Loredana Berté ridere, eh!


    Altro vincitore del 58esimo Festiva di Sanremo è senz’altro il pubblico dell’Ariston. Non perché ha sostenuto i giovani, o ha applaudito calorosamente gli artisti o per altre robe simili. Ma per questa scena splendida: CLICK !
    Grazie platea, perché lei c’è rimasta veramente malissimo!
    Anche quest’anno è andata. Questo Festival non se lo ricorderà nessuno, e meno male! Ascolti ai livelli più bassi di sempre, probabilmente l’ultimo presentato da Baudo, canzoni inutili, vincitori anonimi. (Se Giò e Lola hanno potuto partecipare tra i Big per aver fatto un musical, l’anno prossimo prepariamoci ad ascoltare l’inedito di Garrison! Ma non esistevano delle regole precise per essere un Big, o quelle regole ora non valgono più visto che i big veri si rifiutano?!) comunque è stato un piacere. Il Matto dalla sua Stanza a motore, direzione L’Aquila, ringrazia tutti coloro che hanno permesso ciò: la commessa del forno che ogni mattina mi teneva aggiornato su quanto accaduto la sera prima, i lettori della Stanza, gli amici, i parenti, il cane e le tartarughe. Grazie insomma a chi ha visto Sanremo per me. Da Sanremo è davvero tutto. All’anno prossimo! (Sempre se non ci chiudono prima, e se Sanremo esisterà ancora.)

    M.

    Cari fratelli adesso basta, facciamo fare ai grandi una figuraccia alzando forte la nostra voce, per ogni bambino che hanno messo in croce!”
    Grazie Loredana!

    Scrivi un commento →: Gigggi, ti amo! (BUUUUUUUUUUUUUUUU!)
  • È finalmente giunta l’ora (era giunta da giorni, ma il caso Berté è balzato in testa) di piegarci e ripiegarci dalle risate, al cospetto dell’inarrivabile arte della signorina Tatangelo. Prima di entrare nel vivo del suo testo, devo dirvi che quando è scesa dalla scala con passo contratto non l’ho mica riconosciuta. Per un attimo ho gridato un po’ atterrito, ma felice che finalmente Tutankhamon fosse giunto a inglobarla, e invece, sotto quel trucco da faraona, c’era proprio lei: Super Taty intrappolata in un vestitino nero che lasciava intravedere, come giustamente notato da una simpatica amica lettrice, le tette rifatte per l’occasione. La sua canzone è dedicata ad un amico omosessuale. Il titolo è: Il mio amico, e fin qua niente di strano (anche se il nauseabondo odor di banalità già comincia a stuzzicarci il nasino). Gliel’ha scritta, che ve lo dico a fa’, Gigggi suo, che la ama con tutto il suo amore/cuore, l’abbraccia, se la tromba e, dato non poco significativo, la produce praticamente da quando aveva sedici anni. Anna, che con grande coraggio definisce la sua canzone impegnata, si lancia quindi nel sociale (perché non da un balcone invece?!). Come al solito mi limiterò a inserire qualche commentino sempre e solo sincero a fianco al testo. E, con la consueta premessa, divenuta un po’ il motto della Stanza: chi s’offende è fetente! possiamo partire. 

    Il mio amico

    Il mio amico che non dorme mai di notte (va be’, dormirà di giorno!)
    Resta sveglio fino a quando fa mattina (Anna, che lavoro fa il tuo amico?)
    Con il viso stanco e ancora un po’di trucco (ops; comincio a capire.)
    Lascia i sogni chiusi dentro ad un cuscino (scusate, ma che è una cassaforte ‘sto cuscino? (Buono a sapersi!) Se è sicuro come quello che la Berté ha sventrato per trasformarlo nel suo bianco cappuccio, non mi sentirei tanto tranquillo. Anna perdonami, ma io proprio non c’arrivo al significato di cotali metafore!)
    Il mio amico ha molta luce dentro gli occhi
    Per guardare chi non c’è
    (cioè vede cose che gli altri non vedono?Anna, stai attenta che ‘sto ragazzo tanto bene non sta!)
    Fa di tutto per assomigliarmi tanto, vuole amare come me (io ho come la sensazione che ti si voglia fregare Gigggi tuo!)
    Ma poi si chiude dentro di sé (ah, pensavo dentro al cuscino!)
    Il mio amico s’incammina per la strada
    Fa un accenno e ti saluta col sorriso
    (ecco, ora comincia a riparlare, non si sa con chi. Chi è che saluta, un amico del tuo amico?)
    Nel suo sguardo attento e un poco malizioso
    Per avvicinarsi trova mille scuse
    (tipo: “Ciao, sono l’amico di Anna, volevo solo dirti che le tue canzoni mi fanno spappolare le interiora ogni volta che le sento, grazie Gigggi!” Lo vedi Anna che il tuo amico ci sta a prova’?!)
    Il mio amico avvolto dentro l’amarezza (come il ripieno di un tortellino)
    Mi fa tanta tenerezza (leggasi: pena. Comincia a palesarsi la reale opinione che ha Anna del suo caro amico.)
    Anche quando nasce l’alba più sicura
    Poi di notte gli regala la paura
    (chi è il soggetto?)
    Dimmi che male c’è
    Se ami un altro come te
    (lo chiedi a lui? Cosa vuoi che ti risponda?)
    L’amore non ha sesso
    Il brivido è lo stesso
    (le solite incredibili rime ottenute modificando una sola lettera, e aggiungerei un bel: ma buttati nel cesso! che ci sta benissimo.)
    O forse un po’ di più (attenta, che Gigggi ci sta a pensa’!)
    Dimmi che male c’è
    Se ami un altro come te
    Se il cuore batte forte
    Dà la vita a quella morte che vive dentro te…
    (forte/morte, ci risiamo: Gigggino cambia una lettera e il gioco è fatto. Un talento creativo senza eguali.)
    Il mio amico cerca un nuovo fidanzato (Preferibilmente che si chiami Gigggi! Anna, stai facendo un appello dal palco dell’Ariston per trovarglielo?)
    Perché l’altro già da un pezzo l’ha tradito (e va be; l’importante è saperle portare con eleganza le corna. Tu dovresti saperne qualcosa.)
    Dorme spesso accanto a me dentro al mio letto (ma quando? Prima hai detto che non dorme, ora dorme accanto a te? Ah, anche tu dormi di giorno? Oddio, che scemo, come ho fatto a non pensarci prima?! È così ovvio: tu e il tuo amico fate lo stesso mestiere!)
    E si lascia accarezzare come un gatto (ma cos’è, una bestiolina? Comunque che razza? Con quello che costano…)
    Il mio amico mi confida le sue cose
    Anche quelle che non sa
    (Anna, vuoi il numero dello psichiatra di mia madre? Lo porti da lui che è bravino anche se con lei non è che stia ottenendo risultati granché apprezzabili.)
    Poi mi guarda mentre spegne il suo sorriso
    Spera sempre in quell’amore che non ha
    (e che tu ormai manovri come un vecchio burattino!)
    Dimmi che male c’è
    Se ami un altro come te
    L’amore non ha sesso
    Il brivido è lo stesso
    O forse un po’ di più
    Nel cammino dell’amore
    Scende sempre quel dolore dentro te
    (non dico tanto, ma un attimo di felicità ‘sto ragazzo l’avrà pur vissuto?!)
    C’è chi ti guarda con disprezzo (addirittura!)
    Perché ha il cuore di un pupazzo dentro se (ah, pensavo fuori!)
    A chi dice che non sei normale (che banalità! Che banalità! Che banalitààà!)
    Tu non piangere su quello che non sei
    Lui non sa che pure tu sei
    (lui chi?)
    Uguale a noi e che siamo figli dello stesso Dio (che strazio! È uno dei passaggi più ridicoli che abbia mai letto/ascoltato. Lascia senza parole persino me (non so se vi rendete conto). L’unica cosa che mi viene in mente è pregare quello stesso Dio di fulminare chi ha partorito ‘sta roba, e sappiamo tutti di chi stiamo parlando!)

    Ora ditemi se questo è un tributo ad un amico gay, o  la ridicolizzazione dell’omosessualità. Anna, col tuo solito polpettone di frasi fatte hai toppato in pieno, e non avevamo dubbi, ma secondo me Sanremo lo vinci lo stesso! (Il Matto ha parlato!) A proposito, ieri tra i giovani ha trionfato un duo veronese i Sonhora, la versione (mica tanto) maschile di Paola e Chiara, quelli che dal commento di Dani al precedente post si sarebbero ispirati non poco (copiato, sì!) a Damien Rice. L’ho ascoltati nel Bignami Aristoniano e niente, cari fratellini. Saluti e baci, e addio! perché non credo che mai vi risentiremo. Invece sentiamoci Anna!



    Se proprio non ce la fate ad ascoltarla tutta andate alla fine del video quando lei, da grande vegliarda della comunicazione, portatrice di incredibili e nuove teorie sulla vita afferma: “L’importante è che sia arrivato il messaggio e un’emozione!”.
    Quale messaggio dovrebbe essere arrivato? A meno che tu non abbia inviato un sms a Gigggi prima dell’esibizione, mi dispiace, Anna, ma non è arrivato proprio niente, come accade ogni volta che canti. Ti viene solo voglia di cambiare canale. Ah, appena qualcuno sa i risultati venga a dirmi per favore chi ha vinto Sanremo; perché naturalmente stasera ho altro da fare.

    M.

    Scrivi un commento →: Il mio amico (ancora per poco), canta (purtroppo) Anna Tatangelo!

sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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