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“Da questo si vede la falsità delle persone”
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Scrivi un commento →: “Da questo si vede la falsità delle persone”Chi sono le persone di cui parli? Non riesci neanche a fare il mio nome? Non puoi permetterti di dire a me che sono un falso. Non puoi mischiarmi alle voci di cui ti contorni. Non puoi, non perché la cosa in sé m’infastidisca, il tuo parere sulla mia persona m’importa quanto sapere cos’ha cucinato la vicina di casa per pranzo, ma perché mi stai offendendo, e offendermi va ben oltre al di là delle facoltà che ti sono concesse. Posso ubbidire ai tuoi ordini, se questo ti fa sentire appagato, se questo azzittisce la frustrazione che ti sveglia la mattina e ti segue fino a coccolare i tuoi sogni nel profondo della notte, ma non azzardarti mai più a sputare sentenze su ciò che mai conoscerai, perché certe parole sono ricoperte di lame, e non puoi farne l’uso che ti va. Devi tener presente chi hai di fronte, devi considerare l’ipotesi che non siano tutti come te. “Da oggi in poi non rivolgermi più la parola, parla con le persone vere, e impara a dire per favore.” Questa è stata, e resta la mia risposta.Che poi io riesco ad essere immune quasi a tutto, però di fronte a certe uscite crollo, perché in un istante crolla tutto il lavoro che ho fatto su me stesso, negli anni. Come può qualcuno, anche se sei tu, che conti come un due di spade e la briscola è bastoni, pensare, seppur per un minuto, o anche meno, che io sia falso?Posso essere arrogante, cafone, sfrontato, cinico, stronzo, menefreghista, quello che vuoi, ma falso proprio no. Io in faccia ti sbatto tutto quello che penso. Io rischio la pelle, ma te lo dico. Attento a chi ti sorride, attento a chi ti parla di questo e di quello, e mai di sé. Attento a chi mangia con te, e attento anche a chi dorme con te. Chiediti perché, chieditelo. La tua non è la vita che devo vivere. E non è per buona sorte, sì un po’, ma poco poco, anche quella, ma perché io sono diverso, io ho rispetto per gli altri e per il lavoro che fanno, io sono educato e ho dei valori, io so voler bene e sono sincero. Per questo e molto altro, attorno a me brillano le stelle. Se consideri falso chi ti dice quello che pensa di te, probabilmente con i modi e le parole più sbagliate del mondo, sì, comunque la verità, non hai capito proprio niente della vita. Perfetto così. No, perché falso so esserlo anch’io. Non è un abito con cui mi sveglio, ma so indossarlo all’occorrenza e con chi vuol vedermi vestito a festa. Quindi stai tranquillo, da oggi riuscirò persino a sorriderti. Vedrai che non ci sarà più nessuna discussione, vedrai quanto andremo d’accordo.
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Oltre noi… Roma
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Scrivi un commento →: Oltre noi… RomaLa redazione ha con accuratezza esaminato gli scatti che Gogan con la sua super macchinetta ha realizzato a Roma dopo la presentazione di Oltre… e nonostante io sia uscito malissimo in ogni foto (eccheccazzo! Una dove sembro normale no, eh? (Gogan, non so perché, ma sento che dietro c’è il tuo zampino) Vi giuro che non sono così!) ha deciso comunque di pubblicarle nella Stanza, perché la redazione è un’entità bastarda sempre pronta a ridicolizzarmi.
Vai con la prima.Fine presentazione, io e gli altri autori di Oltre… tutta a sinistra Monia Di Biagio, tutto a destra io che rido come un deficiente perché Gogan faceva le facce da scemo, mentre scattava (sì, sono alto, ma proviamo ad andare avanti). Seguono le foto birresche alla pizzeria di Trastevere che vi sveleranno i volti dei misteriosi Gogan e Jerome, oltre al mio che, va be’, non è così misterioso.Io (togliamoci subito ‘sto dente):Jerome:Gogan:Non lasciatevi ingannare dall’apparenza superfiga che non lo contraddistingue, ma proprio proprio per niente! È tutto merito mio e della mia abilità fotografica che di fotografia non ci capisce una ceppa (l’abilità dico). Per la serie: imbraccia la macchinetta di Gogan e puoi sentirti fotografo anche tu!Poi c’abbiamo Alex e Marta, ma quanto so belli ‘sti ragazzi innamorati!E chiuderei con me che sostengo la lieve come una libellula Marta (ditele che s’è dimagrita che se no scatta il diavolo in lei. Diventa tutta verde, si gonfia fino a far saltare i bottoni dorati della camicetta (?) e si trasforma nella temibile Aggressiva).Quella piccola vena sulla fronte che furbamente (visto il colore dominante) ho cerchiato in rosso, (potrei cambiarla e cerchiarla in nero, o giallo canarino, o azzurrino, o arancione, o quello che volete. O addirittura potrei evidenziare il cerchio che serviva ad evidenziare la vena con un altro cerchio (certo!), ma vado di fretta) dovrebbe essere eloquente segnale della leggiadria della dolce fanciulla.È chiaro che farvi arrivare le sensazioni di una giornata così è impossibile, come è impossibile racchiuderle in cinque o sei, o anche cento foto. Immortalarle nella Stanza vuole essere il mio modo per dire a tutti che a queste facce brutte (sì, mi sono guardato, va bene?) ci tengo tanto. Sappiatelo, ecco.
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Nel silenzio di mille prati
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Scrivi un commento →: Nel silenzio di mille pratiFare l’amore è come ubriacarsi. Non sei cosciente mentre lo fai, mentre accarezzi la pelle, mentre baci, stringi, senti l’odore del corpo e lo assaggi, salato. È come quando attraversi la piazza con cinque o sei Gin Lemon nello stomaco. Segui la scia dei tuoi amici, sorridi e saluti chi non conosci. Respiri e cammini ancora, magari ti siedi, oppure inciampi e cadi. Ma non ti rendi conto del gesto, qualunque esso sia, mentre lo fai. Lo fai per un naturale istinto, perché sei abituato, perché la tua testa conosce i passaggi elementari del vivere quotidiano, non perché pensi e decidi. Non puoi, perché l’alcool ti rende incapace di farlo. Trascinato è il termine giusto. Mentre fai l’amore è lo stesso. Il desiderio, l’eccitazione che sale, la voglia di annullare le distanze, di sentirti appagato, di evadere in quella dimensione adiacente, che tocca la tua, eppure così distante agli occhi di tutti, che faticano a comprendere il significato di un rapporto del genere. L’esaltazione dei sensi annulla la ragione e annebbia la mente.
Fare sesso invece cos’è?È come camminare ubriaco sì, ma insieme a un manichino, mano nella mano. È come confidare i propri dubbi a un manichino. È come abbracciare un manichino. Costringerlo ad assumere la posizione a te più congeniale, accompagnare la testa o le gambe perché l’atto trovi il compimento migliore. È come telefonare a un manichino. È come andare a pesca, o giocare a tennis con un manichino. È prendere la sua mano e guidarla e costringerla a movimenti eccitanti. È scopare senza guardare negli occhi. È scopare voltandosi dall’altra parte. È scopare con un manichino.Perché quando hai finito fa subito freddo e senti l’immediata urgenza di rivestirti. Perché quando hai finito è improvvisamente tardi, e senti l’immediata urgenza di andare a dormire, perché il giorno dopo hai la sveglia presto. Perché quando hai finito piomba un silenzio nell’aria che crea disagio, e sei sincero quando dici che non hai fatto niente di che. È vero che è tutto normale, però quel silenzio c’è e il vento sposta le nuvole che comunque continuano a coprire la luna, che dorme e non ti capisce. L’amore è un altro pianeta, ma c’è una cosa che ti rassicura restituendoti tutta la serenità che quelle evanescenti sensazioni avevano soffocato. E cioè che, ora come ora, l’amore è l’ultima cosa che vuoi. E star lì, sotto le nuvole, a respirare il silenzio di mille prati, ora come ora, è tutto, ma proprio tutto, per te.
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Cambio bar
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Scrivi un commento →: Cambio barL’ho rivista ieri pomeriggio (sempre lei). “Caffè?” E fin qua ci siamo, solo che ti manca il dettaglio fondamentale: macchiato. Ma perché non te lo ricordi mai? Entra una signora brutta (non me ne voglia, è solo per caratterizzare il personaggio). “Cara signora, come va?” Perché a me caro e come va non lo dici mai? “Mi dai anche un bicchiere d’acqua?” Mi versa l’acqua senza rispondere, e m’invia uno sguardo irritato, come se l’avessi disturbata. “Dove sei stata che non t’ho vista più?” “Sono tornata l’altro ieri da Modena” “E tu che mi dici di bello?” “Niente di che, sempre dentro a ‘sto bar…” Meno male, così almeno so dove trovarti. Però parla pure con me ogni tanto, no?! “Ah, stasera ho un appuntamento!” Alla parola appuntamento una piccola goccina di caffè macchiato caldo a cinquantasette gradi si sofferma sulla trachea e mi perfora il respiro come un acido bollente. “Con un ragazzo?” Eh, no con un chihuahua! “Sì, sono un po’ agitata perché questo tipo mi piaceva da un po’ e lo osservavo ogni volta che veniva al bar. E secondo me mi osservava pure lui. Poi ieri m’ha chiesto se avevo voglia di andarci a fare un giro una sera.” “Che carino che è stato!” “Infatti. È bello che esistano ancora ragazzi così romantici.” Sì, un altro ce l’hai vicino che sta facendo finta di bere il suo caffè finito da un quarto d’ora pur di cogliere gli ultimi dettagli della tua massacrante rivelazione. “Beh, io vado. In bocca al lupo per stasera!” “Ciao signora, grazie!” A ‘sto punto vado pure io. “Ciao grazie!” Un passo, due passi… “Ciao grazie!” ripeto con un tono di voce un tantino più alto; non mi avrà sentito salutare. Tre passi, quattro passi, e quando sono ormai arrivato alla porta non mi controllo più, mi volto verso di lei e scocciato e quasi gridando: “Ciao eh!”. No, il saluto lo pretendo. “Oh, ciao! Scusa è che ho un po’ la testa fra le nuvole.” Chiudo la porta ed esco. Spero che l’appuntamento sia andato malissimo, comunque io… cambio bar.
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Il bello è sempre che ci siete voi
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Scrivi un commento →: Il bello è sempre che ci siete voiSono tornato. Non starò a parlarvi della presentazione che anche grazie a tutti i vostri in bocca al lupo è andata bene. Quello che voglio raccontarvi è ciò che si prova a rivedere determinate persone. Perché in fondo la presentazione era solo un pretesto, una scusa per stare di nuovo insieme. Parlo di Alex, Marta, Gogan e Jerome. È una sensazione carica di energia, indefinibile in modo diverso da felicità. Giornate come questa sono la dimostrazione che il tempo materiale è vero che ha la sua importanza, e le distanze è vero che incidono nei rapporti, ma è evidente che tutto questo non è assoluto. Considerato che ho incontrato Jerome due volte, Gogan tre o quattro, Alex e Marta qualcuna in più, dovrei pensarli quasi degli sconosciuti; invece quello che sento per loro è un bene fortissimo. Da cosa dipende? Ho imparato a rispondere alle domande con gli occhi di un bambino. La vita se la prendi così, e la vivi così, oltre ad apparire meno complicata riscalda molto di più. E allora l’unica risposta possibile è che loro sono persone speciali e che le loro peculiarità arrivano a me fino a travolgermi. Devo molto alla Stanza, in particolare l’avermi regalato amicizie per caso. Come può non esser definito caso finire in un blog e commentarlo, e tornarci, e scoprire che l’autore è simpatico, e conoscerlo, e trovarsi in un bar di Termini a chiacchierare come se fossimo tutti amici da sempre. E ora voglio parlarvi della sensazione dell’opposto, l’estremo finale che si prova quando sei costretto a salutare. Prima Gogan, vicino Cinecittà (ho capito bene?). Eravamo lì, fuori casa tua e alla fine sei dovuto salire, altrimenti saremmo rimasti altre due ore. Poi Jerome così gentile a traghettarci per tutta Roma. Grazie veramente, mi ha fatto un piacere immenso che tu sia venuto. E poi Alex e Marta, stamattina sulla metro B. Vorresti prenderti tutto il tempo del mondo per salutarli al meglio, ma tutto il tempo del mondo non ce l’hai. Al massimo istanti piccolissimi perché la metropolitana non sta lì ad aspettare i convenevoli. Così devi scendere perché sei arrivato a Tiburtina, mentre Alex e Marta proseguiranno per qualche fermata ancora. Allora provi a dire loro semplicemente grazie, che è una delle parole più belle che conosca, e anche se non riesci a spiegare quanto è stato bello rivederli e quanto devi loro, sai che loro in fondo al cuore lo sanno. Così abbandoni la metro con un sorriso, che svanisce salendo le scale che ti riporteranno all’aria aperta, perché ti dispiace tanto. Svanisce insieme al treno che è già lontanissimo. Beh, Alex, tu che all’amicizia continui a non sperarci, che hai beccato delusioni grosse come grattacieli, devi credermi quando ti dico che per me sei un Amico, per tutto quello che mi hai sempre dimostrato e per il bene che ti voglio.
Quindi grazie ancora ragazzi, siete fantastici, ma questo lo sapevate già da soli. Spero davvero di rivedervi prestissimo. Magari la prossima volta mi porto un cuscino così non sarò costretto a dormire su una federa riempita di maglie, jeans, asciugamani, e tutto quello che può fare volume. Grazie anche per il tè alla vaniglia e i cornetti caldi preparati da Marta rinominata Aggressiva come il pupazzo di Jerome. Gogan mi hai fatto troppo ridere quando Monia, mentre scattavi foto con la tua macchinetta super professional, ti ha chiesto: “Per quale testata?” e tu: “La Stanza del Matto!”. Poi magari ne postiamo qualcuna appena me le passi.
Seguono alcuni drammi toccati con mano di cui il nuovo governo Berlusconi mi auguro si occuperà al più presto:
Un Magnum alle mandorle: 1.95 euro.
Una pagnotta di pane e un etto e mezzo di prosciutto: 9.10 euro.
Una bruschetta a Trastevere: 3 euro.
Una Margherita alla stessa pizzeria di Trastevere 2 euro. (?) Vi giuro! (Solo che poi fregano un coperto.)
Vi saluto chiudendo ufficialmente il televoto per il primo conto alla rovescia che è andato. Da oggi potete televotare (?) per gli altri due che vi ricordo:
-9 alla presentazione di Non farmi male alla Nuova Editrice a L’Aquila.
-13 all’uscita di Durante di Andrea De Carlo.
Ora vado a farmi una doccia, ché puzzo di Roma.
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Tutti a Roma!
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Scrivi un commento →: Tutti a Roma!Il primo conto alla rovescia è arrivato al suo meno uno barra zero, e quindi io domani sarò a Roma per la presentazione di Oltre… l’antologia del premio che ho vinto insieme ad altri quindici autori pubblicati con me. Per l’occasione ho comprato un jeansino scuro e una camicia a righine molto yeah; devo ricordarmi di chiedere a Luca se mi presta la cinta nera. Comunque ci vediamo tutti qua domani (martedì) alle 18.30:
Tra l’altro ho scoperto che Garbatella è dove girano I Cesaroni (che non ho mai visto) e la cosa mi ha messo addosso una certa ansia. Tanto che ci stiamo, aggiorniamo pure i nostri conti alla rovescia ancora attivi (tutti):-1/0 Presentazione di Oltre… a Roma.-11 Presentazione di Non farmi male a L’Aquila.-16 Uscita di Durante di Andrea De Carlo.Per la serie incontri ravvicinati del sesto, ma pure settimo, tipo:“Mattè, non puoi immaginare. XXX ha visto il tuo libro esposto in una libreria di Avezzano!”“Oddio, e non è fuggito a gambe levate?”Ah, è inutile che continuate a chiedermi tutti qual è il bar dove lavora lei, non ve lo dirò mai. Piuttosto andate a dare un’occhiata nella Terra dei Cachi, dove un parlamento esiste già e l’avete scelto voi. Non oso immaginare cosa potrà accadere con tutti quei tipi là al governo. Certo meglio di chi reggerà l’Italia, chiunque esso sia.
Ok, allora ci aggiorniamo direttamente a mercoledì. Un abbraccio grande, e cercate di tenere la Stanza in ordine in mia assenza; non facciamo che torno e trovo il letto disfatto, la maionese sulle tende, bottiglie vuote di gin dappertutto e profilattici usati qua e là. Siate educati e rispettosi ché io non vi faccio pagare neanche l’affitto. Cercate di farvi meno docce possibili, e date da mangiare alle mie due tartarughe d’acqua giganti e al mio cagnone. Per quanto riguarda il telefono non ci pensate neanche! Ho chiamato la Telecom e ho fatto sospendere la linea ché con voi non si può mai sapere. Comunque vi ho lasciato un promemoria attaccato al frigo.
Ciao.
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I know
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Scrivi un commento →: I knowNon è piacevole guardare l’azione dalla prospettiva del futuro. È come far finta che un film già visto nove volte ci stia appassionando per la decima; star lì col batticuore, seduti sul letto e gli occhi puntati sullo schermo, a mostrare suspense per un finale ormai imparato a memoria. Che poi non è che sia proprio lo stesso film: cambiano gli attori (tutti tranne me), cambia la location, cambiano i caratteri e i modi di fare dei protagonisti, ma il regista è sempre lui e carente d’ispirazione. Così, dopo il grande successo dell’esordio, si ostina a riproporre facsimili e scene-fotocopia. Il risultato è una stanchezza nelle membra e nella testa, dovuta al dover recitare sempre la stessa parte. Ho provato a chiedergli di cambiarmela, ma lui no, dice che sono perfetto per questa e, visto che la paga non è male, io continuo a recitare, ma dentro so bene qual è la realtà e, soprattutto, come andrà a finire. Così mi fingo sorpreso e adulato da certe parole che segnano chi non sa, invece non lo sono per niente, perché conosco tutti i fini che le hanno condotte da me. Così mi fingo coinvolto, intraprendente, desideroso di nuove emozioni, lo sarei anche, mica no, è solo che quelle emozioni non sono affatto nuove e, quel che è peggio, non sono emozioni perché, seppure con le parole ci sai fare, io sono molto, ma molto più bravo di te. Ricorda che io quel film l’ho recitato già. Lo dico per te, non per me. La prima, la seconda, e anche la terza volta c’ho creduto (un po’ meno la terza, ma sì, perché io la possibilità di sorprendermi alla vita gliela concedo comunque) ma la nona no. So in anteprima cosa accadrà; lo so prima che le scene vengano girate, prima addirittura di leggere il copione, tanto con quel regista non puoi sbagliarti. Non è cattiveria il mio tono gelido e appena sufficiente, non è cattiveria il non guardarti mentre, deciso, continuo a chiederti quale sia il senso che gli dai. Non è cattiveria l’andarmene senza salutarti, senza concederti troppe parole. Il mio tempo è prezioso, io sono prezioso; e tu?Ma cosa sto qua a farneticare, domani giriamo la scena finale. Sarà un domani breve, cosa vuoi che siano pochi mesi? Ieri sono stato bravo. Ieri non ho parlato. Parlerò poi, o forse neanche alla fine. Perché certe volte il silenzio, oltre ad essere chiaro a chi ha voglia di capire, è indispensabile per risparmiare le ultime parole: il grano che occorre per la nuova semina.
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Anzi, non mi aspettare proprio!
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Scrivi un commento →: Anzi, non mi aspettare proprio!Dopo la matta telecronaca del Festival di Sanremo, sottotitolo: come non l’avete mai visto (e non sia mai che decidiate di guardarlo!), in cui di tutto abbiamo parlato tranne che di musica (quale musica?), mi è giunta l’insistente richiesta dell’amico blogger Lorenzo, di occuparmi di una partecipante nella categoria giovani (ormai lo sanno tutti che essere nominati nella Stanza può cambiare la vita. Spero che quella giovane vecchia, o vecchia giovane, non l’ho ancora capito, vorrà (economicamente) ringraziarmi quando, da domani, inizierà a vendere un milione di copie al giorno) della cui esistenza io, sinceramente, non m’ero neanche accorto, di nome Giua. Intanto anticipo subito a Lorenzo che il mio avvocato (Taormina, bella località eh?!) sta redigendo una formale denuncia contro di lui con tanto di richiesta di danni morali (e io quando mi muovo non è che lo faccio per pizza e fichi!) perché ho impiegato mezzora a cercare ‘sta Giua scritta Jua, e Google ha cominciato a bombardarmi con una mitragliata incontrollabile di siti giapponesi che, alleandosi alle rosse finestre lampeggianti dell’antivirus, unico mezzo di comunicazione tra me e Avast, che tentava di avvertirmi della presenza di carogne pronte a cibarsi del mio hard disk, mi hanno impallato il pc, che s’è ripreso dopo tre riavvii. Quando finalmente credevo di averla trovata (non sono uno che si dà per vinto, io) clicco sul sito ufficiale di Jua e si apre la pagina di un certo Giovanni, cantastorie napoletano, per gli amici Juanni o Juà, e allora ho capito che forse non era quello il nome giusto da cercare. Comunque, per la cronaca, si chiama Giua con la g, ed è già qualcosa. Ho provato a spulciare nella sua biografia per capire se poteva esistere un qualche legame parentale col blogger Lorenzo, così da evitare commenti spudorati e offensivi, e magari si scopre poi che è la cugina. Pare via libera e allora, tanto per rendervi consapevoli, (se no di che stiamo a parlare?), questo è il video della sua prima (e ultima) esibizione televisiva. Ascoltate (povere orecchie!) e guardate con attenzione, così poi lo commentiamo insieme.
“Brava Giua, brava Giua Giua Giua Giua (Pippooo!) … ciao!”
Ecco sì, ciao!
Provo a fare un supremo sforzo di analisi che va contro la mia idea di giudizio di un artista, e cioè a fermarmi alla canzone, estrapolata dal contesto e da lei che la canta. La canzone non è male (calma!) e considerato che c’è il suo nome tra quelli degli autori va detto che ‘sta ragazza ha delle buone potenzialità autoriali. Il testo è non banale, un po’ ripetitivo (l’abbiamo capito che non ci vai!), però almeno ci risparmia dai soliti sole amore miele cuore dolore fetore (ogni riferimento a Gigggi e Ana (non le calza a pennello? La rappresenta molto più di Anna con due enne, non trovate?) è puramente casuale; sì sì!). E quindi diciamo che se a cantarla fosse stata ad esempio Giorgia, che non è che si distingua per la profondità dei suoi pezzi (e come un girasole giro intorno a te… e mangio troppa cioccolata…), avrei addirittura accennato uno stentato applauso con impercettibile movimento di labbra simil sorriso. Ma a interpretarla è una, come avrete potuto ben sentire, dalla voce stridula e, soprattutto, più stonata di Francesco Facchinetti (e la musica batte sempre sul dueee! Sì, peccato che la gente cambi canale!) con quella chitarrina da rocker poco convincente che non m’ha convinto (appunto) perché una rocker non porta i capelli come La Venere del Botticelli appena sveglia. Quindi esame non passato per Giua, che vedrei bene a cantare tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguuuri a te-e, tanti auguri aaa teee! alle feste di compleanno nelle terze elementari oppure, che so, a fare la dog sitter.
Chiudo con un appello a Giua: “Tesoro, se dovessi capitare da queste parti per un concerto, mi raccomando aspettami, che io non vengo!”.
Ah, visto che siamo in tempo di elezioni, vorrei lasciarvi con l’esternazione di una signora che ieri mattina ingurgitava un hot dog da Peppe e che, con quei codini platinati e l’abitino alla marinara, secondo me era la nonna di Sailor Moon; magari vi schiarirà le idee: “Berlusconi, altro che voto. Io quello, se lo vedo, lo sparo!”
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Trentasette(mila) caffè
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Scrivi un commento →: Trentasette(mila) caffèQuanti caffè occorrono perché quella splendida barista (i miei amici non sono d’accordo (dio Niccolò che faccia schifata che avevi!), ma i gusti sono gusti) mi doni non dico il suo numero di cellulare, ma almeno un minimo di considerazione? Mi accontenterei di un ciao più carino del solito, un ciao diverso, un ciao con l’occhietto (sbril)luccicoso (l’utilizzo di questo termine fa parte di una decisione aziendale ponderata con attenzione, volta ad estendere il mio bacino di lettori anche alle grezze fan di Moccia che, dopo questa parentesi esplicativa, naturalmente, smetteranno di leggermi) e un accenno di sorriso, per la serie: E’ bello che sei venuto a prenderti il tuo trentasettesimo caffè del giorno solo perché io mi accorga di te. Insomma, più carino di quello che riserva ai bavosi che affollano il bar la mattina, poco prima di andare a fregare la gente nei loro rispettivi posti di lavoro; e la guardano, e la immaginano senza camicetta, e ridono mentre la fissano, e si confidano le loro fantasie perverse sottovoce, con le mogli a casa che si dilettano a realizzare l’ennesimo copricesso a uncinetto, per poi confrontarli tutti ed eleggere il più carino che vincerà la fascia di Copricesso a uncinetto 2008. Non mi sembra di chiedere tanto.
Qualche segnale comincio a intravederlo, però. Quando mi vede entrare mi fa: “Caffè?” e vi pare poco? Dev’essere un genio una che dopo trentasei caffè nell’arco di tre orette riesce a prevedere la mia trentasettesima richiesta. Peccato che i precedenti non erano proprio caffè semplici e allora mi tocca sempre aggiungere: “Macchiato grazie!”. (Niente, proprio non si ricorda di me!)
Devo architettare qualcosa per restarle impresso. Vi assicuro che non è facile perché, quando alza gli occhi e in quei pochi istanti incrocia i miei, tutto vorrei tranne che essere lì; mi verrebbe quasi da tuffarmi nel nero caffè bollente e sparire sul fondo della tazzina. Non lo faccio intanto perché nel nero caffè bollente buttatevici voi! Al massimo io mi tuffo in una piscina (possibilmente diversa da Verde Aqua (lo so che manca la c, andate a spiegarlo a chi l’ha chiamata così. Diciamo che L’Aquila è una città alternativa che considera l’Italiano un dettaglio poco importante se paragonato ad esempio a quanto formaggio riesci a produrre quest’anno nonostante metà del tuo gregge di pecore sia stata sterminata da un branco di faine mannare) che una volta (bei tempi quando mi auto illudevo di nuotare e fare attività fisica!), mentre turbinavo in uno stile (molto) libero, ma travolgente, sono andato a sbattere col cadavere galleggiante di un gigantesco ragno peloso che oscillava sul pelo dell’acqua, e un’altra ancora con un cerotto insanguinato che nuotava a farfalla nella mia stessa corsia) oppure nell’azzurro mare (non) pieno di pesciolini e limpido (per via dei depuratori) di Alba Adriatica. Questa era l’argomentazione del primo motivo per il quale non mi tufferò nel nero caffè bollente quando lo sguardo della bar woman punterà di nuovo il mio. Il secondo è ancor più ovvio. Pensate che nascondendomi nella tazzina passerei inosservato? Vorrei evitare la figura di merda che faceva il mio gatto ogni volta che lo cercavo. Metteva la testa sotto il cuscino ignaro del fatto che tutto il suo culo nero fosse all’aria, con tanto di grossa coda pelosa in bella vista. Un’immagine comica e ridicola, e non credo questo sia il modo migliore di presentarmi.
Riuscirò a trovare l’idea giusta per chiederle qualcosa a caso, cercando di non ripetere la triste scena di qualche giorno fa. “Mi dai anche un bicchiere d’acqua?” “Sì, prego!” “Grazie!” Finisco il caffè e me ne vado senza berne un goccio. Me ne sono reso conto quando ormai ero quasi arrivato alla macchina. Volevo tornare indietro a bere, ma dubito che la cosa sarebbe risultata credibile, così sono sparito. Per caso s’è capito che il bicchiere d’acqua era solo una scusa per rivolgerle la parola?
Oggi ci torno. Magari le offro un caffè, o magari no.
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Secondo Voi
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Scrivi un commento →: Secondo VoiNon so se avete presente Secondo Voi: il microspaccato televisivo in cui Paolo Del Debbio, attraverso piccole interviste nelle piazze italiane, affronta di giorno in giorno i drammi della nostra Italia, esponendoli al pubblico canalecinquesco come se avesse davanti una platea di decerebrati. L’ho scoperto mentre aspettavo Aspettando Beautiful; nell’attesa di attendere, insomma. Può essere utile osservare in quei soli (per fortuna!) cinque minuti il pensiero della gente comune, per notare che, nella maggior parte dei casi (umani), gli intervistati non comprendono o non conoscono l’argomento in questione, e allora fioccano i classici interventi che io chiamo a scoreggia. Anche quando pare abbiano intuito il tema, non riescono comunque ad articolare un’opinione, non dico grammaticalmente corretta (sarebbe chiedere troppo), ma che sia almeno esplicativa del pensiero che difendono. Suggerirei a Del Debbio di fare una puntata su come si risponde alle domande di Del Debbio. Qualche giorno fa si parlava dell’inadeguatezza dei servizi nelle pubbliche amministrazioni, qualcosa di cui non si parla mai, insomma.
“Ma sentiamo cosa ne pensa la gente da L’Aquila!”
Uhmadonna! Il panico s’aggrappa al cuore e lo blocca all’istante. La terrificante sensazione che non sarebbero state interviste proprio edificanti per la reputazione della città (la mia? No, non credo) e della gente che la popola (prendo le distanze. Io non ho mai avuto niente a che vedere con nessun appartenente alla mia terra natia) domina gli istanti dell’inquadratura del primo volto parlante (purtroppo!) che alla domanda: Secondo lei (le domande, visto il nome della trasmissione, non possono che iniziare tutte così) da cosa dipende il mal servizio che governa le pubbliche amministrazioni? replica che per lui le pubbliche amministrazioni fanno schifo e che basta! perché lui vuole dire solo questo prima di fare ciao ciao alla telecamera con la manina e andarsene. E da lì una valanga di risposte sgrammaticate, proferite tra l’altro da facce orrende (e scusate, ma anche l’occhio vuole la sua parte. Possibile che nei collegamenti con le altre città tutti bei faccini, arriva L’Aquila e sembra il casting per Non aprire quella porta 7?!), finché l’opinionista Del Debbio (così lo definiscono) riprende la parola, visibilmente sconvolto dalla sagra degli orrori a cui ha appena presenziato e, con voce ancora tremolante, saluta il suo pubblico e dà appuntamento al giorno dopo.
Da sottolineare il minuto quattro abbondante, quando giacevo ormai abbattuto sulla mia di legno sedia. Accade che una vecchia biondona col caschetto si conquista l’inquadratura (va bene che il tempo passa per tutti, ma lei è troppo grassa per essere Caterina Caselli) e spara una risposta che ricarica all’istante la mia stima, facendomi addirittura sentire fiero di essere aquilano e di fare lo scrittore.
“Penso che non è proprio possibbbile che a me mi tocca farmi la fila al ticket di tre ore ogni meno di un mese perché c’ho certi controlli alla tiroide che mi devo controllà per un sacco di problemi miei personali che c’ho.”
Sono con lei, signora. Veramente!