• Esco dal lavoro dopo dieci ore. Ho una fame che statemi lontani se no vi mangio a mozzichi crudeli, gnam gnam. La schiena mi ricorda della sua esistenza a colpi di sciabola (una curiosità: quanto impiega un nervo infiammato a smettere di esserlo e tornare nell’oblio a farsi i cazzi suoi indolore?) e l’antidolorifico ha finito l’effetto. Fuori fa un freddo che si fa notare, perché erano giorni che col sole l’aria tiepida mi aveva quasi illuso di una primavera stabile, invece ieri siamo arrivati a tre gradi sopra lo zero e un venticello per niente simpatico. Però ho un appuntamento e non c’è scusa che tenga.

    È una festa notturna, non è un funerale. È passato un anno esatto e L’Aquila ha voluto dire a tutti che intanto esiste ancora, che è piena zeppa di gente che la ama e che quei 308 angeli se li ricorda eccome. L’ha voluto fare in una fiaccolata memorabile. Oltre 25 mila luci hanno percorso chilometri in un infinito serpente di persone che parlavano fra loro, che si conoscevano già o si conoscevano perché vicine, che sorridevano.
    25 mila alle tre di notte non sono proprio 4 gatti. Sono 25 mila appunto.
    Ho visto bambini tenersi per mano, ragazzini, adolescenti. Donne stanche ma con ancora addosso la voglia di sdrammatizzare: “Tu che sei alto che si vede?” e io anticipavo il percorso: “All’incrocio andiamo giù. Ora stanno girando. Si scende per via Strinella…”.
    Ho visto un uomo anziano pregare inginocchio sul freddo pavimento di sampietrini della piazza. Ho visto universitari con al collo la foto di un loro amico sorridente, con l’alloro fra i capelli e una vita finita in una notte di merda. Una notte vergognosa, ma che c’è stata e che sarebbe un grande errore provare a dimenticare. Una notte ingiusta che l’amore, il buono, la dimostrazione, il calore, la vicinanza, le lacrime, gli abbracci, il silenzio rispettoso in quei lunghissimi 308 rintocchi, la dedizione, le mani, le carriole che secondo qualcuno non servono a niente, il lavoro onesto contro le risate dei criminali, il tempo, tanto tempo, dovranno riscattare. Questa è la missione degli aquilani: riscattare quella notte e dimostrare alla natura che se è vero che a lei bastano 30 secondi a rovinare 70 mila vite, a quei 70 mila potrà servire una vita intera, ma la loro città se vogliono (e vogliono) se la riprendono.
    Che poi nella testa siano passate immagini inquinanti più del petrolio non è colpa mia. E non è neanche colpa mia che 25 mila persone non siano sufficienti a concedere il potere dell’invisibilità. E quindi ho rivisto e ho sofferto di rabbia.
    Poi ho pensato che eravamo lì per motivazioni ben più importanti e allora ho scacciato quella rabbia che è tornata, perché non se n’era andata veramente, per uscire dagli occhi un’oretta dopo, in macchina. Quando mi trovo di fronte all’inconcluso mi sento inconcluso, che ha come conseguenza l’impotenza, la rabbia, poi la rabbia e pure la rabbia. Sarebbe una gran vittoria scavare nei più reconditi luoghi della mia mente e pescare da lì la saggezza per spegnere quella luce rimasta accesa, cementificare la mia vita dentro una cupola di mattoni, oppure ordinare ai miei uomini di scavare un fossato profondo che mi protegga dagli attacchi esterni e inaspettati. Vivo nel condizionale e finisce lì e così.
    Questo è quello che ho scritto giusto un anno fa. (Abile mossa per cambiare argomento e tornare alle cose importanti. Comunque non l’ho deciso io che quell’altra non lo fosse.)

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  • È  Pasqua quindi buona Pasqua!
    Neanche un uovo intero ho potuto slurparmi perché quest’anno è una Pasqua povera con un uovo soltanto, quello della Fra che si sposa il 27 giugno e io sarei il testimone. Scusate se è poco.
    Madre e Padre hanno dichiarato di essere stati impossibilitati a far la spesa infatti, fra l’altro, è finito pure il latte.
    “Evita le tazze di latte e cacao alle tre di notte se no a martedì non c’arriva!” “Sì, ma un uovo potevate comprarlo!” “T’ho detto che non siamo potuti andare a fare la spesa che tuo padre non si sentiva bene.” Io non me ne sono mica accorto di questi malori, però ci credo, parzialmente. Che poi uno che arriva la Pasqua lo sa con un largo anticipo, non è che se ne accorge all’ultimo momento. Due uova le potevano comprare pure una settimana fa e pure un mese fa. Sì sì, avrei potute comprarle io, ma a saperlo le compravo, mica no.
    In compenso ho passato venticinque minuti a montare l’idrovolante della Kinder con il complicato motore a propulsione a elastico che ho posizionato sulla mensola vicino al toro di Madrid e al Winnie non Winnie, orsetto tarocco.
    Comunque come faccio io ora privato del latte e cacao delle tre di notte fino a martedì?! È la mia medicina contro la depressione. Morgan si pippa la coca, io mi ammazzo di bicchieroni di latte e cacao. Ora però non cacciate pure me dal Festival di Santo Remo.
    A proposito di Sanremo, è finito Amici (che è meglio di Sanremo perché per esempio Biaccio Antonacci ad Amici ci va). Ha vinto Emma Brown, sorella del Dan scrittore e amica  della cantante salentina Alessandra Amoroso che aveva vinto l’anno scorso – andavano a farsi le maschere di bruttezza insieme. Tutti si chiedono perché la gente abbia preferito seguire la sua ascesa al trionfo invece che Porta a Porta col resoconto, attimo dopo attimo, scheda elettorale dopo scheda elettorale, della sconfitta per esempio dell’altra Emma (Bonino) nella regione Lazio conquistata dalla gaia sorrisevolezza della Scopettina Swiffer Polverini. A parte che una vittoria è meglio di una sconfitta. Vai a dormire sereno e per gli italiani la parola serenità rientra a tutti gli effetti fra quei vocaboli in via d’estinzione. Parrebbe che noi poveri analfabeti riusciamo a utilizzare soltanto 25oo parole e con quelle costruiamo i nostri bei discorsi. Le altre, che sono tante, ma tante di più, fra poco non le conoscerà più nessuno e faranno la fine dei triceratopi. E poi l’idea di ricostruire il tragico momento boniniano attraverso un plastico delle cabine elettorali laziali con quell’ammasso di nei parlante, e parlanti pure i nei, che ne studia tutte le dinamiche interloquendo col criminologo Massimo Picozzi, temo che faccia sugli italiani lo stesso effetto che sta facendo l’ultimo libro della Santacroce sul mio nervo infiammato.
    Si è arrabbiata Isabella perché un tale Barilli ha stroncato Lulù Delacroix su Tuttolibri definendolo un libro noioso che fa il verso a Carroll così gli ha risposto con un raffinato post sul suo blog che casomai il verso lo fa lui, “che sia nel suono somigliante al ragliare di un asino però” e che dovrebbe recensire la sua intelligenza, stroncandola. Allora io non glielo dico che la penso come Barilli nonostante adori la Santacroce e abbia letto tutti i suoi romanzi perché se no dà dell’asino e del venduto pure a me. Poi Parente su Il giornale dice che è più bello dell’Alice di Carroll e allora proprio no. Dice pure che la Santacroce sta scrivendo una Divina Commedia moderna e dopo l’inferno di V.M.18 (sì, quello sì) e il paradiso di Lulù (insomma, insomma) arriverà il purgatorio e sarà un mattone di mille pagine. Non pensiamoci, per ora. Qualcuno però dovrebbe dire a Isa che Lulù Delacroix è il meno riuscito dei suoi libri. Che Alice nel Paese delle Meraviglie è rock e il suo è lento. Che Dante era Dante, tutta un’altra musica. Io però non glielo dico, ho un po’ paura. Intanto lei sul suo blog pubblica le ovazioni e ignora le stroncature eccezion fatta per quella di Barilli, che comunque non ha pubblicato, e molto sportivamente gli ha dato del venduto. Come si permette costui di criticare un (capo)lavoro di tre anni – se lo dice da sola- senza sicuramente averlo letto a fondo?
    Io non lo so come la pensate voi, però secondo me uno in tre anni può scrivere pure una mezza schifezza. Dico schifezza pure se schifo è una brutta parola, che non si dovrebbe dire e che qualcuno giudica maleducata. Ma io lo faccio solo per non farla estinguere, per il bene della lingua italiana, insomma.

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  • Cominciamo col dire che ho la polmonite. Non è ancora sicuro, ma siam lì. Non sto a descrivere il malessere della febbre a 39.5 perché non credo di essere l’unico al mondo ad averlo provato. Quel dolore lancinante dietro la schiena, però, non l’avevo provato mai. Come spade conficcate fin dentro ai polmoni, che stanno lì e non c’è verso. In piedi proprio non è pensabile stare. Immobile nel letto, l’unica soluzione, sebbene quel dolore mi arrivasse al cervello.
    Oddio mio, pensavo. Oddio, deliravo mentre Mamy voltava e rivoltava continuamente la pezza che si scaldava in un paio di secondi sulla fronte, e poi andava di là e la bagnava e poi tornava e io stavo pochissimo meglio. C’ho anche litigato parecchio durante la notte. La accusavo di non essersi saputa spiegare col medico, perché non era possibile che oltre all’antibiotico non le avesse dato un antidolorifico. Ad un certo punto mi sono messo a piangere. Il punto dell’impotenza. Volevo strapparmi quel male da dietro la schiena e invece c’era da aspettare la notte, poi il giorno dopo e chissà quanto ancora.
    Disperato e contro il volere di Mamy che urlava: “Se non te l’ha dato, l’antidolorifico, vuol dire che non ti serve!” afferro il telefono e richiamo il medico.
    “Paolo, io questo dolore alla schiena non lo sopporto.” “Quale dolore alla schiena?” “Il dolore interno, dentro, il dolore alla schiena, ma mia madre quando è passata non te l’ha detto?” “Mi ha parlato di tosse e febbre.” In quel preciso momento avrei voluto strangolarla, e undici ore di agonia sarebbero state un motivo più che valido, ma mantengo la calma e lui aggiunge: “Prenditi Brufen bustine, due volte al giorno a stomaco pieno”.
    Homer, l’antibiotico, mi ha tolto la febbre. I polmoni è come se fossero avvolti da uno strato di zucchero spesso e all’apparenza compatto che mi fa sentire un fastidio leggero perché il male sta tutto dentro. Solo che col passare delle ore lo zucchero comincia a sciogliersi e lo strato spesso e compatto ad assottigliarsi, col diminuire dell’effetto dell’antidolorifico Brufen, finché tornano le lame ed è l’ora di una nuova bustina.
    Va bene la polmonite, va bene la bronchite, va bene la broncopolmonite, va bene tutto, ma una cosa mi fa incazzare a morte (non posso dire: incavolare o inalberare o inquietare se mi fa incazzare).
    Stasera, giovedì 25 marzo 2010, c’è il concerto di Carmen Consoli al teatro comunale di Teramo. I biglietti me li ha regalati Luca a Natale. Argomentiamo la faccenda con un altro dato di fatto. Io sono quasi tre anni che non mi ammalo. Ebbene. Doveva prendermi questa bordata ancora non ben definita di malanni proprio proprio proprio ora?!
    Evidentemente sì. Grazie eh. Ma io, che sono uno che non ci sta, c’ho provato così: “Paolo, senti, domani c’è il concerto di Carmen Consoli a Teramo, no?” “Mbè?!” “No è che io ho i biglietti da tre mesi e me li ha regalati il mio migliore amico e ci tengo da morire ad andare.” “Quindi?” “Lo sai cosa significa Carmen per me?” “No, e neanche mi interessa. Quindi?” “Se facessi una scappatella? Tanto è un’oretta scarsa che Carmen non è una che canta tantissimo. Poi è un teatro, mi copro bene, il tempo di andare e tornare – giuro – e poi non esco più.” “Allora Matte’, mo’ ti dico una cosa. Se da qui a dieci giorni ti azzardi a metter piede fuori da casa, ti conviene cambiare medico perché io smetterò di curarti per l’eternità.”
    Morale della favola: chi vuole andare al concerto basta che segua Franco e la Papi nei loro spostamenti e tenda loro un agguato. Stanno partendo adesso da Sassa in una Ka azzurra nuova. Non fatevi ingannare dal fango che la ricopre, è una tecnica della Papi per scoraggiare eventuali idee di qualche malintenzionato ahum ahum. Vi do qualche altro dettaglio. Ha un porta CD spugnoso di Hello Kitty bene in vista sul cruscotto. I biglietti sono in una busta da lettere bianca nella borsa piumata della Papi.

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  • Ho avuto un’idea geniale.
    Le idee geniali vanno mantenute supersegretissime.
    Consiglio breve e pratico: imparate a chiudere la bocca sennò arriva uno stronzo che acchiappa l’idea, cambia due cose e magari la migliora pure – a migliorare un’idea geniale non ci vuole niente, è nell’averla l’idea il vero merito – e ci fa su nel migliore dei casi una gran figura (quella che meritavate voi), nel peggiore (per voi) una gran carriera, mentre voi continuate a spalare la merda dei cani, per dire.
    Ci voleva (cazzo) quest’idea! Ci voleva a dare spinta, carica, energie, linfa vitale, rabbia, reazione e velocità al mio nuovo progetto letterario. Che a sua volta dà spinta, carica e tutte quelle belle parole appena scritte, alla mia vita che di spinta, carica e velocità ne vanta quanta un verme drogato. È una catena di spinte, che non è una cosa hard, ma una giostra.
    C’è un sacco di musica ora nella mia testa che si aggroviglia e cambia continuamente restando fissa sulla stessa stazione. 
    Che poi chi lo stabilisce se e quanto un’idea è geniale?! Tutte sembrano geniali, finché si perdono. Quella geniale veramente ti salva la vita, come la sterzata di volante che la mia amica Papi ha dato l’altra notte.
    Guidavo per modo di dire. Procedevo con la faccia che guardava lei, sul sedile del passeggero – gran bella ragazza la Papi – e col piede che non smetteva di ritenere opportuno premere sull’acceleratore. Finché un grido.
    “Oddio!” La mano della Papi sul volante. La mia Gets devia bloccandosi a una spanna da un vecchio che salta per la paura.
    “Ma togliti dalla strada rimba!”
    Come facevo a non insultarlo? Lui rispondeva senza emettere suoni. Tipo un pesce. Sarà stato lo shock. Che poi insomma, a una certa età, che problema c’è se t’investono e muori? Hai vissuto. Hai comprato casa ai tuoi figli. Hai comprato lecca lecca ai tuoi nipoti. Hai comprato dentiere a volontà.
    “Tu sei un assassino!” Pronuncia lentamente la Papi sbigottita, scandendo ogni sillaba proprio così: T U S E I U N A S S A S S I N O.
    “Dai, mica è morto. Non l’ho neanche colpito!” “Oddio, cosa sarebbe accaduto se l’avessimo ucciso?!” “Eh, ce ne saremmo andati, tanto non c’ha visto nessuno!”
    Io comunque, a parte l’idea geniale, in questo post ci tengo a precisare che non sono un senzacuore come sembrerebbe. Pensate che ho persino salvato una cimice che si era ribaltata su se stessa nella stanza d’albergo dove sono stato per una notte, non a cavalcare puledrine, ma per un corso di pronto intervento e primo soccorso. Mi ci ha mandato il mio direttore. È fondamentale che io sappia rianimare manichini e spegnere incendi di quaranta cm per un metro.
    Poteva restare vuota quella stanza d’hotel. Potevo rientrare troppo tardi e invece.
    Che gran botta di culo quella cimice!

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  • Continua a seppellire i miei ricordi. Continua a mascherare il mondo. A riempire gli squarci degli edifici esplosi. A far tacere le voci inutili e le risatine sarcastiche. A raffreddare i sentimenti e a riscaldare i boccioli invisibili. Continua ad annebbiare la vista di chi impotente sbuffa. Ad appesantire le tegole di un tetto che non ha ceduto. Continua a farti odiare da me che gradualmente ti capisco, perché ritrovo in te tutto quello che nessuno ha mai afferrato, amato e portato via di Matteo.
    Siamo uguali perché prendi la vita per stanchezza. Alla fine a qualcuno simpatica dovrai esserlo per forza perché, vuoi o non vuoi, tu continuerai a cadere, incurante di chi ha un appuntamento, incurante di chi vuole il sole e le stelle.
    Che noia il sole e le stelle se non sai con chi lasciarti accecare, se non sai con chi contarle.
    Forse è per questo che ti odiavo prima, perché non ero capace di capirti, afferrarti e portarti via. Io non mi capisco quasi mai. Comincia a infastidirmi questa stupida convinzione di avere il cuore più grande del mare. Come ho smesso di odiare te forse un giorno imparerò a comprendermi e ad apprezzare il dubbio di quel rosso, che brucia all’idea che un’altra volta, incurante, l’amore abbia proseguito, per niente attratto da un tale calore. Avrei proseguito anch’io se fossi stato l’amore. Avrei proseguito anch’io per niente attratto da un tale calore. Quale calore?
    Il mio fuoco brucia senza scaldare. Brucia tutto in poche settimane e non lascia niente, neanche la cenere. Non c’è bisogno di ripulire i resti, non ci sono resti.
    Dopo tanta neve. Dopo che il cielo in mille modi ha provato a gridarmi: “Ehi, io sono la neve e tu devi amarmi”. Niente da fare, maledetta neve. Anzi, smetti pure di cadere perché mi stai rovinando l’esistenza, mi stai togliendo emozioni, mi stai facendo odiare la poesia della neve che sei.
    Quanto poco orizzonte vedevano i miei occhi. Quanto inutile male gridavo al cielo che così tentava di tenermi al riparo, coprirmi di neve per non farmi vedere a nessuno. Segnare distanze chiare. Costruire barriere che impedissero alla pelle di incollarsi troppo e definitivamente, interrompendo di continuo il processo di fusione.
    E ora cammino sui sampietrini farinosi di freddo, guidato dal fruscio ovattato dei fiocchi che cadono leggeri sui ricordi. Ci sono solo io fra queste strade abbandonate da undici mesi. Io e la neve che si liquefa e scivola per il corso, i portici. Bagna i davanzali, gli uffici, il pavimento piastrellato della profumeria. In questo teatro triste nessuno spettacolo verrà più rappresentato.
    Cammino a fatica e tengo le lacrime nel cuore. Cammino fra le macerie.
    Le macerie.
    Le macerie.
    Le macerie.
    E, abbracciato da questa neve coraggiosa, mi sento invincibile.

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  • La luce è ancora fredda, ma questo azzurro è incredibile per quanto non riscaldi neanche un po’. Non va per niente bene, ma sono comunque qui, meno felice di prima. La vita è adesso, non ieri e neanche domani. Non è cambiata molto, anzi è cambiata troppo. Ha smesso di nevicare da due giorni. Mi ha fatto ridere tutta quella neve il cinque marzo. Non era una risata divertita la mia, più grottesca. Paradossale neve fuori stagione come me, che non trovo la mia di stagione.
    Devo distribuire le mie faccende nelle ore dei giorni delle settimane dell’anno di tutti gli anni della vita. È un problema finto, però di problemi ne include parecchi. È un involucro di problemi che stanno lì e guai a chi li tocca. Il fatto che siano imballati da metri di cellophane mi fa sentire da un lato come se avessi tutto sotto controllo, come se avessi le mani su ogni cosa che non può scappare perché non è fatta di sabbia. Affrontare la sabbia cambierebbe il discorso. Dall’altro mi fa mancare l’aria, perché stretto in quel cellophane spesse volte mi ci ritrovo anch’io che divento all’improvviso un problema per qualcun altro. Senza averlo chiesto. Senza aver fatto nulla di male a nessuno, anzi. Senza aver smesso di fare del bene a quel qualcuno.
    Oddio quanto bene!
    Inquantificabile bene che non credevo di possedere e inqualificabile silenzio. Come la neve, paradossale.
    Che fai quando ti accorgi di indossare scarpe che cominciano ad aprirsi. Scarpe rovinate e fuori moda da anni, in cui entra l’acqua dagli squarci quando per sbaglio finisci in una pozzanghera? Gli altri hanno tutti scarpe più belle delle tue, di quelle che attraggono gli altrui occhi quando passeggiano per il corso.
    Che fai quando arrivi alla normale conclusione che le tue scarpe hanno fatto il loro tempo?
    La risposta è semplice: le butti. Non facciamola così drammatica, si tratta pur sempre di scarpe. Poi, se sei un maniaco del collezionismo senza regole e casa tua è diventata negli anni un museo di robaccia incontrata dalla pubertà a oggi, le appoggi su una mensola, le chiudi in qualche scatola, riservi loro un angolo del tuo museo, ma comunque ai piedi ora hai fiammanti Adidas o quello che ti pare, ma non quelle lì. Ti guardi allo specchio e pensi: Cazzo che figata le mie scarpe nuove!
    Saresti un folle se pensassi di spendere anche solo due minuti per spiegare a quelle vecchie scarpe di tela logore come sono andate le cose e il perché di quell’abbandono.
    Il problema nasce quando si parla di persone. Esseri umani fatti non soltanto di carne e sangue e ossa e muscoli e organi, ma pure di sensazioni, battiti, pulsioni, assenze d’ossigeno, palpitazioni, mancamenti, sorrisi. Bisogna rendere conto a tutto questo. Non puoi scendere dalla giostra perché stufo, cambiare gioco e magari luna park senza neanche salutare. O meglio, puoi. Solo che poi in quel luna park non ci puoi tornare più.
    Certe volte non basta il mondo che dai a farti meritare di riavere indietro una mollica di rispetto e io questo proprio non potevo crederlo.

    “Ero triste perché i momenti troppo felici si dileguano senza lasciare traccia, è l’angoscia che non ha piume, oppure troppo peso per volar via.”

    Emily Dickinson

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  • Il post post-natalizio ci sta tutto soprattutto con la voce di Norah Jones in sottofondo che mi conferma che questo Natale è stato diverso. Non nel CD, quindi non compratelo se volete sentirvi dire ciò. È un messaggio strettamente personale, fra Norah e me insomma. Mai come quest’anno avrei dovuto sentire il Natale come un gigantesco vuoto divoratutto. Mi ero preparato a provare la sensazione del triste nulla e invece in questi giorni un’emozione calda mi sorprende e mi lascia ammirato e senza parole. Speechless, diciamo. Sorrido incantato all’eventualità che questo possa rivelarsi come uno dei migliori ultimi dell’anno di sempre. Sapete quei sorrisi che mentre ridi non pensi a niente, perso?
    Come fai a festeggiare la nascita di Gesù Cristo se vivi a L’Aquila? Come fai a sentirti così, dopo un duemilanove così? Sono due così che stanno agli estremi. Eppure sì, è proprio così: una fusione impossibile, ma riuscita.
    Qui abbiamo tutti fatto finta di non voler bene al Natale, di non sentirlo più, di non veder l’ora che arrivasse il duemiladieci. Volevamo liberarci di quest’anno, lasciarcelo alle spalle e non sentire il bisogno di buttare uno sguardo indietro, anche se dalle spalle non se ne va di certo.
    Eppure è impossibile non vedere la voglia che hanno gli aquilani di riprendersi la loro città, ora più di ieri e meno di domani. Non vogliono luminosi campus ancora impacchettati, non vogliono nuovi centri storici, nuovi luoghi di ritrovo, nuove piazze, chiese e fontane. Gli aquilani rivogliono L’Aquila e, se fino a qualche settimana fa non c’avrei scommesso un centesimo sull’eventualità di recuperarne l’anima, ora un pensierino ce lo faccio. Tocca arrendersi di fronte alla forza di questa gente molto più caparbia di me. Mi sorprende e mi trascina come una corrente oceanica. Alla messa di mezzanotte alla basilica di Collemaggio che non è stata ricostruita, ma solo rimessa un po’ in sesto per l’occasione, hanno partecipato più di mille persone. Mille persone, ragazzi. Vicino la piazza hanno riaperto la banca, il bar e la tabaccheria.
    Dopo il bombardamento si può abbandonare il campo di battaglia devastato, oppure ripartire proprio da lì. Dalla polvere e dai brividi che affiorano sulle braccia quando la mente torna a vedere quello che c’era e chi c’era. C’era mia nonna a casa, la madre di mio padre. Non ricordo l’ultima volta che aveva messo piede in casa nostra prima di questo Natale. Non ha molta importanza. Ecco, è come se l’essere andati così vicino al non aver più nulla, neanche una vita, avesse dato agli aquilani la giusta percezione, non proprio di tutto, ma dell’importanza dei rapporti, quello sì. Mia nonna che prega Santa Rita la santa degli impossibili ogni volta che pensa di non riuscire a cavarsela. Quando le tocca salire quella infinita e ripida rampa di scale di ferro che la separa dall’entrata della nuova casa che le hanno dato. Quando tenta d’infilare il filo da cucire nell’ago e non c’indovina mai. Mia nonna che ha un Mantegna in casa. Un acquerello comprato più di sessant’anni fa da un rigattiere a Roma per cinquantamila lire. Lei dice di essere una grande intenditrice di quadri, in realtà si accatta tutto quello che in qualche modo l’attrae, che probabilmente è il modo migliore per vivere la vita. L’ho visto il suo Mantegna e in effetti c’è scritto Mantegna in basso a sinistra. Se è originale sono pronto a riconoscere la sua competenza in cambio di anche solo un ventesimo del valore di quel quadretto. Non che sia tutta colpa di qualcun altro, ma mia nonna non la conosco per niente. Forse è tardi per cominciare, però che ci volesse il terremoto per invitarla a pranzo è un po’ vergognoso. Questo mi fa pensare. Non che io sia mai andato da lei, neanche una volta negli ultimi due o tre anni, ma forse pure dieci, tanto per ribadire il concetto della ripartizione delle colpe.
    Per raccontarvi il Capodanno dovrei prendere un gigantesco telone, grande come il cielo potrebbe andar bene, riempirlo di vento e condurvi lontano, fra le stelle di un paesino senza neve, ma pur sempre meraviglioso. L’aria non è fredda come me l’aspettavo e quel vento fortissimo attraversa i capelli e l’acqua di molteplici ruscelletti, avvicinandomi alla vita.
    Quest’anno è iniziato come nessun anno prima. Anche se non sono molto presente ultimamente sul blog, volevo raccontarvi di come sto. Mi auguro che anche voi sentiate nel cuore quello che sento io, la gioia di due nuvolette che svolazzano assieme e magari arrivano pure a Londra.
    Buon 2010!

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  • Buondì. Ripartire da Padova è stato come precipitare da un aereo, risvegliarsi in mezzo alla merda dopo aver sognato zucchero filato, ingozzarsi di tortellini con la panna di un discount dopo una prelibata cenetta in un hotel di sei stelle. Non proprio così, però una sorta di ritorno alla vita, e questo non vuol dire che la mia sia una vita di merda, ecco. Anzi, devo dire che questi ultimi mesi hanno visto il mio umore salire vertiginosamente per via di qualche (non troppi, ma la quantità – si sa – è irrilevante rispetto all’intensità e alla qualità delle meraviglie) accadimento inaspettato, imprevedibile direi, visto quello che sono e quello che mi dice lo specchio. Le presentazioni sono andate alla grandissima. Non mi aspettavo due cose.
    1. Vedere così tanti sconosciuti entusiasti del libro di uno sconosciuto.
    2. Vedere così tanti sconosciuti con in mano una, due, tre e addirittura sei copie, del libro di uno sconosciuto e ciò che definirei sorprendente è che alla fine le hanno pure pagate.
    Ecco. Queste due cose non me le aspettavo proprio. Quando Sara, la mia editrice, a cinque minuti dall’inizio, mi ripeteva: “Abbi fede!” io, sul fatto che sarebbero venuti così in tanti, trascinando pure mariti, mogli, fidanzati, bambini, cani, gatti e criceti, proprio non c’avrei scommesso un centesimo e invece, come sempre, aveva ragione lei.
    Conoscere Sara è stato come incontrare un’amica che conosci da secoli. Non per l’età eh, che noi siamo gggiòòòvani, ma per l’affinità, che in questi sei mesi di lavoro a Supermarket24 abbiamo scoperto e coltivato. Nessuna sorpresa, lei era la Sara e io il Grimaldi.
    “Hai proprio la faccia da Grimaldi!”
    In effetti…
    Ho conosciuto i Lanternati e ho avuto l’onore e il piacere di partecipare alla loro segretissima cena di Natale a porte chiuse, con tanto di rituale finale della pesca miracolosa dei libri con dedica. Io mi son beccato La vita davanti a sé. Noi, che siamo affetti dal morbo della disattenzione, avevamo dimenticato i nostri libri del cuore in macchina, e così Sara ha messo in palio tre copie di Supermarket24. Coloro i quali hanno avuto il bacio della sorte e le hanno pescate, sono stati vinti da reazioni psicofisiche contrastanti, ma estreme, comunque apparentemente entusiasmanti, sempre se strapparsi convulsamente i capelli e mettersi a vomitare tutto il cous cous dentro e fuori dal piatto possa essere definito un segno di commovente entusiasmo.
    E poi Didi e Yuri, i piccoletti di Sara che progettano ottovolanti al computer.
    “Io sono più bravo di Yuri perché li faccio anche senza le rotaie!” “E come… cioè come cammin… si muovono, sì, insomma, volano?” “No, scoppiano!” “Ah, va be’. Tu fammi sapere se qualcuno un giorno ne costruisce uno dai tuoi progetti che sull’ottovolante kamikaze non ci salgo!”
    E poi la Ivana che ringrazio per l’incredibile affetto che mi ha dimostrato, invitandomi fra l’altro nella splendida Rodi, dove vive – mi sono autoinvitato, in verità, sfruttando con subdola astuzia la dedica sulla sua copia di Supermarket24 – e lei ha detto che, dato il mio metro e novanta e qualcosa, sarà costretta ad allungare il letto.
    Insomma due giornate grandiose in cui mi sono sentito importante non come si sentirebbe un pavone, ma di esser riuscito in qualcosa che valesse, che avesse un senso profondo per me e per gli altri. Soprattutto per me, perché io solo so cosa avevo nel cuore nel vedere tanto entusiasmo attorno alla mia storia, che ho concepito e cresciuto e visto crollare, e che a un certo punto ho quasi ucciso – come ho potuto! – prima di rimettermi in strada a cercare.
    Non potevo sperare in una partenza migliore. A allora, nell’attesa che mi arrivino le copie, nell’attesa delle foto del weekend in quel di Padova, vi ricordo che fino al 15 gennaio, chi acquista tre libri camelopardici direttamente dal sito, si becca il trenta per cento di sconto e zero spese di spedizione.
    Il mio potete prenderlo da qua:
    http://www.camelopardus.it/info/libri/supermarket
    Pure per pietà, ma fatelo! Ah ah ah.

    Scrivi un commento →: Supermarket24 fra Este e Padova
  • presentazione11Molto brevemente, visto che sono le due e trentasette della notte e domani dovrò costringere i miei occhi a sbarrarsi alle sette e qualcosa, alle otto dovrò già (e ci riuscirò a) essere operativo in giro per la città, perché L’Aquila era e resta una città, nel tentativo di portare a termine una molteplicità di giri, tutti fondamelntalissimi, a partire dai biglietti per Rovigo.
    Gli appuntamenti ufficiali per brindare in anteprima a Supermarket24 sono due: il primo a Padova l’11, domani, alle ore 18.00 all’Huracane Bar in via Altinate 157; il secondo il giorno dopo, sabato, alle ore 11.00 stavolta a Este, all’Opera in via Isidoro Alessi 1 (sul ponte di S. Francesco). Assieme a me ci sarà l’editora Sara e tanti cameloamici. Vi aspetto e vi ricordo che chiunque volesse può ordinare Supermarket24 direttamente dal sito dell’editore: http://www.camelopardus.it/info/libri/supermarket e, se ne prendete tre copie, avete diritto al trenta per cento di sconto e neanche pagate le spedizioni.
    Ci sentiamo qua e là. Buon week!

    Scrivi un commento →: Supermarket24 tour: tappa 1 e 2
  • Cominciamo con la notizia numero 1. L’uscita ufficiale di Supermarket24, per i giornali (mi riferisco soprattutto ai giornaletti di due facciate che distribuiscono nelle scuole con, in prima pagina, la foto della professoressa stronza beccata in flagrante mentre rolla una canna nel cesso), le radio, le TV di tutto il mondo, gli scaffali delle librerie e pure per tutte le librerie on-line è il 22 gennaio. Quindi, da quella data in avanti, potrete pretendere da qualunque libraio/a la vostra copia di Supermarket24 e mandarlo/a affanculo se inventa balle tipo che non esiste e stronzate del genere a cui ormai non faccio più caso. Ma, e state bene attenti perché questo è un punto focale, o cruciale, o clou, da ADESSO è possibile ordinare il libro direttamente dal sito di Camelopardus: www.camelopardus.it in cui lo vedete trionfalmente in home page. Notizia numero 2, la mia editrice è pazza, e questo l’ho capito nel momento in cui ha deciso di pubblicarmi, ma ne ho avuto la sacra riprova quando mi ha annunciato la promozione natalizia che non ha eguali e che varrà fino al 15 gennaio. Tutti i libri Camelopardus scontati del trenta per cento a patto che se ne acquistino tre, e non è finita qua: spese di spedizione azzerate. Questo vuol dire che verrà un omino a casa vostra e vi lascerà le copie senza farvi pagare il servizio. Facciamo un esempio calzante. Chi decide di acquistare tre copie di Supermarket24 (ma vale per qualunque combinazione dei libri della Camelopardus, quindi che so, due Grimaldi e un Bobin (libro che dovreste leggere tutti, Mille candele danzanti, perché apre il cuore a sensazioni dolci e malinconiche), o un Grimaldi e due Bacchiani, o nessun Grimaldi e va be’, siete stronzi, però, ecc.) paga, tornando all’ipotesi più meravigliòòòsa, cioè quella dei  tre Supermarket24, che ci fate i regalini di Natale, trentacinque euro al posto di quarantadue, e vi arrivano dritti dritti a casa senza ulteriori spese di spedizione.
    Notizia numero 2. L’11 e 12 dicembre sarò a Padova o giù di lì per aperitivo/presentazione lancio con allegata, a seguire, cena con editrice Sara e tanta altra bella gente che non vedo l’ora di conoscere.  Sarà una specie di anteprima mondiale. Il luogo ancora non è noto. Diciamo che gli scagnozzi di Sara ci stanno lavorando. Poi vi aggiorno così, chi capita da quelle parti, sempre se ha voglia di una birra pagata da me, potrà godere della mia compagnia (nel vero e proprio senso del termine, sì proprio quello di senso). Solo per vòòòi della Stanza, la birra gratis, dico. Va be’ che se state leggendo ciò è perché siete nella Stanza, quindi seppur per pura casualità una birretta (media, che voglio essere generosissimo) ve la meritate.
    Sara_Sup24Ok, smetto i panni da venditore di quadri col catarro e cambiamo argomento. E questa è la notizia numero 3. Dopo settimane di lunghe e ponderate riflessioni ho deciso di acquistare un computer portatile. E dopo settimane di lunghe e ponderate riflessioni, consigli, consulti, chiamate all’899, incontri con maghi, veggenti e pure con Stefania Nobile, che lei non sbaglia e dal vivo è ancora più cesso, ho optato per un Sony Vajo da quindici pollici (io lo volevo di quattordici, ma duecento euro in più per due centimetri in meno mi sembravano obiettivamente un capriccio da stronzetto). E poi io non è che col computer ci debba progettare ottovolanti, come il piccoletto di Sara, l’editora, io ci devo solo scrivere e cazzeggiare su Internet. Quindi è perfettissimo. Sono circa quarantasette minuti che sta aggiornando Messenger, questo per farvi capire le mie priorità.

    Vi lascio col bel faccione di Sara al primo brindisi col Sup24 in mano. Almeno lei, dice che era il primo, di brindisi, ma dagli occhi direi che si trattava già del sesto o settimo.
    Vado a brindare anch’io, a suon di coca cole, sprite senza ghiaccio e incazzature da purga per la quinta chiusura consecutiva. Prima di crollare a terra stremato vi lascio il link della scheda di Supermarket24 sul camelosito: www.camelopardus.it/info/libri/supermarket. Potete ordinarlo da lì e, se ne prendete tre, supersconto del trenta per cento, zero spedizioni, e grande regalo a me, non tanto economico quanto ai miei sogni. Quindi, fatelo!

    Scrivi un commento →: Supermarket24 per tutti!

sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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