• La paura

    La paura sta là, o la ascolti o impazzisci.
    È un brusio che può crescere fino a diventare un urlo. Non c’è nulla che tu possa fare di sensato di fronte alla paura, che sia diverso dallo stare fermo a osservarla. Respirare piano senza sapere che sei tu che l’hai partorita e sfamata, per nulla. Può rovinare pure il marmo, perché lo vede cristallo e pensa che prima o poi si romperà. Così lo fa lei stessa a colpi di martello, prima di qualcun altro. Lo tieni fra le mani e fai una gran fatica però ti senti di far bene, tanto prima o poi sarebbe finita così: è questa la convinzione che muove il gesto. Come se le cose accadessero da sole, come se non fossi tu stesso a provocarle, a costruire e a distruggere pensando di costruire. Pur trovandoti in alto, pur su una sedia privilegiata nel cielo da cui osservi la città, le persone, gli incontri, gli occhi, con obiettività reale, che ti fa persino rendere conto che a incrinare tutto è solo paura, null’altro di concreto o motivato, la paura non la puoi evitare; scacciarla sì, ma poi torna, al primo silenzio. Al primo di troppi minuti di silenzio. Quelli che seguono il disastro, mentre osservi muto i frammenti e la prima cosa a cui pensi è che rincollando tutto potrebbe funzionare.

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  • Oggi che è domenica mi sento in dovere di offrirvi qualche alternativa alle tredici ore paralizzati in poltrona a fare zapping fra Domenica 5 e Domenica In e Domenica Un Cazzo, che poi vi vengono le piaghe da decubito al culo e non è un’esperienza augurabile.
    Cominciamo dalla locandina. Oggi pomeriggio alle 16.00 all’osteria Ca’ Lice che sta in via Borgo Eniano 53 a Montagnana, nei pressi di Padova, si terrà un bell’incontro fra letteratura per grandi e piccini per la rassegna ‘Mamma portami al Ca’ Lice!’.
    Per i bambini, nell’accogliente mansarda del Ca’ Lice, la lettura animata del racconto di Daniil Charms ‘Di come Nicolino Punk volò in Brasile (e Pierino Spazzoletta non ci ha creduto neanche un po’)’ (Zampanera). Per i grandi,  nella sala del camino (Ca’ Mino!), il reading  di ‘Supermarket24’ (Camelopardus – o per l’occasione Ca’ Melopardus), con le musiche dal vivo di Emanuele Cirani al Chapman’s stick. Quindi se abitate da quelle parti fateci un salto. Indiscrezioni da evidente privilegiato mi parlano pure di certi gustosi dolcetti. Ve lo dico con largo anticipo, giusto per darvi il tempo di lavarvi i denti e indossare scarpe e cappotto.
    Chissà se Alda Teodorani sarà brava in cucina. Non gliel’ho chiesto; di certo a scrivere sì. Di questo e tante (non troppe, appena 4) altre cose abbiamo parlato nell’intervista per le 4 Chiacchiere (contate) su Solo Libri che trovate qua.
    A proposito di Solo Libri. E qua mi rivolgo agli appassionati oltre che alla lettura di buoni e cattivi libri, anche alla scrittura e alla discussione. Quelli che poi hanno voglia di parlarne e di scriverne. Recensire. Ebbene, la redazione ha messo su un concorso prima partito come natalizio e poi, per via del successo che ha avuto, divenuto mensile e ci terrà compagnia per tutto il 2011. Scrivete la recensione di un libro che vi è piaciuto o anche no, Solo Libri ve la pubblica e, se la gente vi legge, vincete buoni acquisto. Gli autori delle tre recensioni che allo scadere del mese avranno ottenuto il punteggio maggiore, calcolato a seconda di un meccanismo di visite ponderate che trovate ben spiegato nella pagina del concorso, riceveranno un buono di 20, 30 o 50 euro, messo a disposizione da laFeltrinelli.it. Mi sembra una bellissima iniziativa che coniuga il piacere della lettura, con quello della scrittura e riconosce il merito a chi riesce a intrigare la fetta di pubblico più grande raccontando un libro. Io qualche recensione l’ho scritta, ma non vinco mai. Provateci voi!
    Dopodiché uscite a fare una passeggiata (sempre per le piaghe), che di sciare non è aria. La neve quest’anno s’è intimidita e ha deciso di restare anonima, per la gioia degli impianti e di chi con le stagionali ci campa un anno intero. A me la neve non manca per niente, anzi.

    Scrivi un commento →: Iniziative per una domenica anti piaghe da decubito
  • Ieri alla radio hanno detto che al mare fa freddo perché il nostro paese è stato ricoperto da una fitta coltre di nubi basse che stazionano sulla costa, e che in montagna fa caldo perché la montagna è alta, quindi buca le nubi basse e il sole riscalda le vette. Ho pensato, sorridendo, a tutti i miei paradossi.
    In macchina, mi godevo il silenzio dovuto alla mancanza delle voci che mi infastidiscono, mentre la strada non mi sorprendeva. È la stessa, si consuma, ma resiste quella, mentre cambiano i perché, i se e i sì. Sono moscerini, mosche, mosconi e pure vespe certe volte, che si affaticano dall’alba al tramonto e la notte, perché soffrono d’insonnia, a bisbigliarmi parole di sconforto nelle orecchie e a pizzicarmi con quelle loro zampette secche.
    Il silenzio mi fa compagnia. Non occorre un silenzio totale, ma un silenzio di assenze. Mi piace, per quanto odi le mancanze. Le assenze di cui parlo non appartengono alla nostalgia, ma alla speranza che continuino a mancare. Se il mondo fosse capace di costruire una calotta tutta per me, che sappia isolarmi oltre che rendermi invisibile, mi ci tufferei e chiuderei gli occhi. Magari fatta proprio di nuvole, per nascondere me, che sono alto, abito fra i monti, ma ho freddo nonostante il sole.

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  • Io credo che Melissa P. abbia fatto bene.
    Non fate quella faccia, provo a spiegarmi. In questi giorni si sta consumando sulle pagine de Il Fatto Quotidiano una battaglia fra l’autrice di ‘Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire’ ultimo caso letterario italiano dalle proporzioni mondiali che ricordi, e il suo ex editore e quasi suocero Elido Fazi. Melissa ha deciso di chiedere giustizia attraverso gli avvocati, visto che da sola non le è stato possibile. Quando infatti, dopo diversi solleciti attraverso e-mail scritte da lei e dal suo agente, si è recata alla sede della Fazi per chiedere come mai da due anni nessuno le presentasse un rendiconto delle vendite dei tre suoi libri, il signor Elido le è scoppiato a ridere in faccia davanti a tutti. Melissa P. decide adesso di rivelare un passato che agli occhi degli altri desta solo invidia per una fanciulla baciata da tutta la buona sorte del mondo messa assieme. In verità resta una giovane scrittrice a cui il suo editore, dopo averle pagato soltanto parzialmente i diritti, le dà dell’analfabeta e della fallita (lui che ha pubblicato tre suoi libri, mica uno, e le ha fatto un’offerta per un quarto ‘Tre’ adesso nelle librerie con Einaudi). Elido parla pure di ‘Tre’, dice che non l’ha letto, ma l’ha fatto la sua compagna che è un’italianista. “Dopo una trentina di pagine accettabili diventa una vera porcheria. Si è rovinata da sola”, continua, “decidendo di fare di testa sua. Melissa P. è finita”.
    Da quello che Melissa P. sostiene la casa editrice Fazi le dovrebbe più di un milione di euro. L’editore, per corrisponderle le royalty dovute al massiccio successo di vendita del suo libro, aveva scelto la formula dello stipendio. Rate mensili quindi, prima di 50mila euro poi ridotte fino a non più arrivare, nonostante ci fosse ancora molto da pagare. La faccenda economica e legale con la Fazi è stata comunque risolta da un accordo ultimo raggiunto fra gli avvocati delle parti. Elido dovrà versare a Melissa P. una quota finale di 61mila euro restituendole i diritti di tutte le sue opere pubblicate con la Fazi, già sparite dalle librerie.
    Il punto dov’è? Melissa P. non si accontenta degli avvocati e sceglie la strada dello sputtanamento in pubblica piazza raccontando al giornalista e blogger Luca Telese tutti i retroscena di un rapporto che aveva oltrepassato i confini del lavoro facendosi carico di astio represso per la storia d’amore fra Melissa e Thomas, figlio di Elido, che l’editore mai ha sostenuto, né accettato. Molte polemiche anche sui diritti cinematografici acquistati da Francesca Neri dal lungo fiuto, quando ancora il libro non si era trasformato nel fenomeno noto a tutti, per una somma che si aggirerebbe attorno agli 80mila euro dei quali Melissa ne avrebbe percepiti solamente 4. Leggo nell’intervista dei suoi sbagliati investimenti fatti solo per amore della madre, alla quale avrebbe acquistato un negozio poi fallito, attraverso un mutuo che la venticinquenne catanese continua ancora a pagare, e poi una casa a Roma forse troppo costosa. Melissa P. racconta di essere tuttora sull’orlo della bancarotta, nonostante la sua ultima pubblicazione per Einaudi e il ruolo che riveste come ospite fissa nell’edizione di quest’anno di Very Victoria su La7.
    Storie come questa, in cui per vederci chiaro bisognerebbe fare i conti in tasca ai protagonisti, di solito vengono lavate in casa assieme a tutti i panni che si sporcano per ripulirle. Melissa P. ha deciso di far emergere un cono di relazioni, accadimenti, intrecci, falsità tipiche di un mercato spietato che mangia le uova d’oro della gallinella del momento. C’ha fatto le spese uno degli editori più apprezzati nell’ambito degli indipendenti, uno che ha lanciato grandi nomi come Licalzi, passato poi a Rizzoli, Abate, passato alla Mondadori. Uno che ha fiutato il fenomeno dell’anno Twilight e l’ha portato in Italia. C’ha fatto le spese un nome rispettabile che nessuno prima di Melissa P. aveva mai messo in discussione, nonostante i tanti abbandoni che la Fazi in questi anni ha subìto proprio da chi l’aveva scelta. Per fare un nome su tutti: Isabella Santacroce che ha pubblicato il suo ultimo romanzo con la Rizzoli, senza dare a nessuno spiegazioni sulla sua decisione. Che i suoi motivi siano vicini a quelli degli altri e di Melissa P. ma che lei, come gli altri, abbia preferito le acque di un torbido silenzio rassicurante, al baccano della verità che lascia, agli occhi dei lettori, una macchia sull’onore e sul percorso artistico?
    Per questo dico che Melissa P. ha fatto bene.

    Qua trovate l’intervista a Melissa, la replica di Elido Fazi sembrerebbe essere stata rimossa, e questa è la lettera che Melissa P. ha scritto e chiesto a Il Fatto Quotidiano di pubblicare.

    Scrivi un commento →: Melissa P. scopre gli altarini: “Il mio editore mi rise in faccia davanti a tutti!”
  • Ecco la recensione che ho scritto dopo aver letto ‘Quella sera dorata’ di Peter Cameron. Come al solito la trovate oltre che quaggiù anche laggiù.

    Il titolo originale era ‘The city of your final destination’ e, a lettura ultimata, mi domando perché, per la versione italiana, sia stato cambiato in ‘Quella sera dorata’, che non rappresenta per nulla il romanzo. Lo generalizza e va alla ricerca di una poesia gratuita che, oltre a non servire, rischia di banalizzare una storia meravigliosa.

    Trama: Tutto inizia da una lettera che Omar Razaghi, studente del Kansas con origini iraniane, scrive a Caroline Gund, Arden Langdon e Adam Gund, esecutori testamentari della proprietà letteraria di Jules Gund, autore di un solo romanzo tradotto in molti paesi: ‘La gondola’, per chiedere loro l’autorizzazione a scriverne la biografia. La carriera universitaria di Omar dipende dalla biografia di Gund. L’assegno di ricerca, che comprende anche i fondi per la pubblicazione, è vincolato al consenso degli eredi. Consenso che i tre gli negano nonostante Adam, fratello dell’autore, ritenga che una biografia ufficiale non possa che giovare loro, ma Caroline, ex moglie di Jules, e Arden, sua ultima compagna, non ne vogliono sapere. Omar ha ventotto anni e un’insicurezza dalle radici lontane. L’esito negativo della richiesta lo tenta a rinunciare al dottorato, ma Deirdre, la sua ambiziosa ragazza, che l’ha sempre sminuito e guidato come un bambino a cui si deve insegnare la vita, lo convince ad andarsi a prendere quello che vuole, a spendere parte della borsa di studio per recarsi in Uruguay, dove vivono i tre, per provare a convincerli a farsi concedere l’autorizzazione. Dal momento del suo arrivo, fuori il cancello della grande villa di Ochos Rìos dove vivono Caroline, Arden e sua figlia Porzia, Omar dal bell’aspetto sconvolgerà gli equilibri di silenzi che hanno regolato per anni il ritmo della loro convivenza e del rapporto che le due hanno con Adam che vive in un mulino poco distante, assieme al suo giovane e infelice compagno Pete. È un viaggio senza ritorno, il suo, nonostante comunque dovrà ripartire. Uno di quei viaggi che cambiano la vita e ti tengono in trappola per sempre. È un libro che riesce a raccontare i rapporti umani come pochi e lo fa attraverso i dialoghi. La voce di Cameron è autentica a tal punto da non appartenergli più; si personifica ogni volta in chi parla. Nel libro, Cameron sparisce lasciando spazio a Omar, Arden, Adam, Deirdre, Caroline, la piccola Porzia e il misterioso Jules Gund, morto colpevole di aver posseduto una sensibilità capace di vedere attraverso i silenzi e gli intrighi di una famiglia un po’ troppo allargata. Non importa se alla fine Omar avrà la tanto agognata autorizzazione, se alla fine riuscirà oppure no a portare a termine il suo dottorato. Omar non è un vincente come la sua ragazza, che arriverà a insegnare nei più prestigiosi college americani. Omar assorbe le sensazioni che gli arrivano dalle atmosfere dell’Uruguay, dal caldo soffocante, dal sole che abbronza la pelle, dagli occhi di Arden, dall’amore che Adam prova per il suo compagno Pete che dalla sua non riesce a lasciarlo, dalla reticenza di Caroline che vive rinchiusa nella torre a dipingere quadri d’altri, perché da molti anni ha smesso di credere nelle proprie qualità di pittrice. Omar si nutre dei profumi dei fiori della serra, della luce che la distesa di stelle sconfinata riserva ai suoi occhi ogni notte. Entra nelle motivazioni che spingono Arden e Caroline a dire di no, lo fa attraverso la vita segreta di Jules che scopre lentamente dai molti confronti con i tre. La convivenza, seppur di pochi giorni, lo arricchisce e lo priva di tutto di colpo, nel momento in cui assieme a Deirdre, che l’ha raggiunto in seguito a un brutto incidente, deve lasciare la villa e Ochos Rìos e tornare nel Kansas. La meta diventa secondaria rispetto a tutti i cambiamenti che il viaggio porta in Omar, costringendolo a rivedere la sua vita.

    Peter Cameron, che ho apprezzato moltissimo per i racconti contenuti in ‘Paura della matematica’ e per il romanzo ‘Un giorno questo dolore ti sarà utile’, conferma di essere un romanziere capace di dare vita a personaggi che, dopo averti tenuto stretto per il braccio, impedendoti di lasciare la storia prima della fine del libro, escono dalla pagina e continuano a farti compagnia per un po’.

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  • Cominciamo bene il 2011 con una bella recensione che Alessandro Gioia fa di Supermarket24 sul suo blog Origami di un Chiappanuvoli. Ancora auguri a tutti!

    E alla fine sono riuscito a trovare la concentrazione giusta ed il tempo per scrivere anche una recensione a cui tenevo particolarmente. Quella di Supermarket24, romanzo d’esordio di Matteo Grimaldi, aquilano e amico, edito dalla Camelopardus (ISBN 978-88-902561-4-1).

    Supermarket24 è un genere di libro che a me non piace. Cioè non so se l’avrei scelto tra gli scaffali della libreria. Cioè la storia di tizio che va a lavorare in un supermercato, la storia di un singolo giorno, insomma, se non lo avessi voluto leggere per conoscere meglio Matteo, se non lo avessi voluto leggere per conoscere uno scrittore aquilano, non credo che lo avrei mai aperto. Ma in questo caso, fortuna ha voluto che le circostanze mi portassero ad affrontalo, a confrontarmici, oggi a recensirlo e devo dire che non me ne posso assolutamente pentire, tutt’altro.

    Supermarket è un romanzo davvero ben riuscito. In esso si ritrova chiaro il tentativo, riuscito, di produrre un linguaggio nuovo, non solo giovanile e moderno, ma compiuto e sapientemente dosato. Matteo riesce a trattenere il lettore sul testo parlando della vita del commesso di un reparto ortofrutticolo, cosa non proprio facile e scontata. Dopo ogni pagina ed ogni avvenimento si ha la voglia di proseguire, andare oltre, vedere come va a finire. Numerose sono state le nottate in cui ho spento la luce oltre le due di mattina per colpa del ritmo avvincente e coinvolgente. Supermarket24 è scritto bene, va detto, è con questo presupposto che l’autore ha potuto permettersi di parlare di qualsiasi cosa, dalla frutta ai grandi sistemi, dal provincialismo dell’Aquila, città dove è ambientato, all’Italia intera, rappresentata con i suoi pro e contro fin dentro un semplice reparto di supermercato.

    Ed i contenuti abbondano. Tra mele e pere si parla della solitudine degli esseri umani, dell’amore che troppo spesso non è la soluzione che ci aspettavano al problema della solitudine, dell’invidia tra le persone, della riduzione del lavoratore a cartellino da timbrare in orario. Arriva a toccare temi alti come il suicidio, la Fede, il rispetto per la donna, le differenze di genere, con semplicità e ferreo sarcasmo. Armi di cui deve essere dotato non già lo scrittore, ma l’osservatore della realtà che viviamo. Ecco cos’è SM24, un viaggio di 24 ore dentro la testa di un osservatore attento e spezzante, che non ha paura di mostrare, indicare, criticare il bello o il brutto dei minuti che riempiono le esistenze di tutti noi. A tratti, i pensieri sono sembrati diventare anche isteria, foga, ma mai, mai saccenza.

    Paolo di Paolo nella sua prefazione scrive: “Luca (il protagonista CNL) passa nel supermarket come nei tre regni danteschi (i titoli delle tre sezioni sono Appena, Dentro, Scappo); si disorienta, si stupisce, si infuria. Scopre. Capisce.” Se si possono avvicinare con le dovute cautele le due opere, va riconosciuto a Matteo, non già unicamente la scoperta, il viaggio attraverso l’esperienza, “caduta, punizione e beatitudine”, quanto il carattere didascalico di SM24, scevro dalla mania tutta dantesca di mettersi sul piedistallo e giudicare.

    Punti di forza: assolutamente la tecnica, la colla con cui è scritto i libro che ti trattiene le ciglia sulle pagine. L’ironia che dimostra il protagonista, e quindi crediamo lo scrittore, nel prendere se stesso e nell’affrontare le situazioni che gli si pongono davanti. Una gran bella piacevolezza di 200 pagine.

    Punti deboli: non vedevo l’ora di arrivare a questo punto. La cosa che non ho gradito è il finale, che non voglio e posso svelare. Che dire? Io ci avevo creduto, ci ero entrato dentro, mi ero immedesimato, avevo sofferto, avevo immaginato, avevo sperato, avevo sentito l’odore della frutta e della merda che respira Luca Sognatore e mi aspettavo… Ma forse son io poco “Sognatore”.

    Consigli al lettore: leggerlo perché parla di voi, di me, di lui, di loro, degli altri, e di quegli altri ancora. Parla della realtà di provincia, parla dell’Aquila pur non menzionando lontanamente il terremoto. Si accomodi chi vuole fare un giro nel cervello di un osservatore sarcastico e preciso.

    Futuribili: a Gennaio esce il secondo romanzo di Matteo Grimaldi, “Una valigia tutta sbagliata”. Attendiamo, ma stiamo pur sicuri che ne sentiremo comunque parlare.

    Link utili:

    Camelopardus, scheda libro.

    Intervista a Matteo su sololibri.

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  • Ecco l’ultima parte dell’intervista uscita su MRS. Subito dopo ho inserito un link dal quale potete leggere uno dei capitoli più divertenti del romanzo.

    MRS, in ambito letterario, vuole essere una vetrina per gli scrittori giovani ed emergenti. “Supermarket24” è uscito nel 2010, ma ha alle sue spalle una lunga e tortuosa storia, piuttosto comune tra gli autori esordienti che cercano di pubblicare le loro opere. Puoi parlare brevemente del tuo primo, e non esattamente incoraggiante, approccio con il mondo dell’editoria?

    Per fortuna Supermarket24 non è stato il primo approccio e l’esperienza che ho maturato con Non farmi male mi ha aiutato. Caparezza cantava: “Il secondo album è sempre più difficile…” e alla pubblicazione di Supermarket24 a un certo punto giuro che c’avevo rinunciato. Dopo tanto avevo trovato una casa editrice disposta a investire sul mio romanzo, si chiamava Edizioni di Latta, di Milano. Nata da poco meno di due anni, ma partita subito in quinta infatti aveva deciso di affidare la distribuzione dei suoi libri ad ALI che è uno dei maggiori distributori nazionali. Ero felicissimo. Il libro era ormai pronto, editato, copertina realizzata, scheda presente su tutte le librerie on-line, ma a meno di due settimane dall’uscita ufficiale cominciano a capitare strani eventi. Il sito della casa editrice sparisce dal web, la redazione non risponde più alle e-mail, gli autori mostrano preoccupazione e non trovano risposte finché non arriva la raccomandata con cui l’editrice Elena De Lalla comunica che la crisi dell’editoria e i troppi investimenti senza effettivi riscontri nelle vendite la portano a prendere la difficile decisione di chiudere e restituire così i diritti delle opere ai singoli autori ai quali augurava buona fortuna. È stato un colpo durissimo seguito una settimana dopo dal terremoto. Per mesi non c’ho capito più niente. Continuavo a chiedermi cosa dovessi fare, senza più un lavoro visto che era crollato, costretto a stare lontano da casa, perché le case che immaginiamo essere il rifugio dove stare al sicuro d’improvviso s’erano tramutate in mostri pericolosi, senza più un sogno perché avevo perso il mio editore. C’avevo rinunciato, solo che poi evidentemente la passione è più forte e le basta solo il tempo per rialzarsi e ripartire. Dopo un’infinita ricerca sul Santo Google mi sono imbattuto nella Camelopardus di Sara Saorin. Da lì un lungo dialogo non soltanto su Supermarket24. Beh, lei ha creduto in questo progetto e ha ridato vita ai miei sogni, per questo ha e avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

    Tramite questo link raggiungerete direttamente la temibile Cagacazzi. Buona lettura!

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  • Me ne accorgo poco prima, di quanto bene possa farmi liberarmene. Quei due istanti che bastano. Tenere premuto il pulsante e guardare il vetro del finestrino tornare indietro fino a sparire nella guarnizione di gomma. Sentire l’aria gelida che a settanta all’ora mi arriva in faccia in direzione contraria a quella delle ruote. Tenere fra le mani la bustina d’oro che sta lì da un tempo così lontano che non sembra neanche di questa vita; tenerla quel poco in più che basta a contare: sono appena trecento giorni. Gettarla fuori assieme al cuore di pezza e a un pezzo del mio. Chiudere il finestrino con in faccia la soddisfazione di un sorriso che dura poco, però leggero.
    Il macigno precipita a terra, ben più pesante dell’evidente sottile consistenza. Impacchettato c’è tutto l’amore che avevo. Non so cos’è che l’ha tenuto nella tasca dello sportello fino alla Vigilia di Natale. Rimane sulla strada senza muoversi di un solo millimetro, mentre io mi allontano da tutto quello che restava. Dal momento che nessuna promessa dev’essere a senso unico e nessuna promessa dovrebbe tradire chi la fa, preferisco rinunciarci inteso come vivere senza. Preferisco vivere senza il battito malato di quella parte abbandonata al gelo. Le piogge, la neve, la terra smossa, i vermi e il silenzio che l’ha ricoperta, tenendola al caldo, hanno permesso alle creature di star bene dove stavano, star bene e moltiplicarsi, un anno intero, fino a marcire a Natale. Come mi sono sentito bene un istante dopo averlo fatto. Un piccolo pacchetto dorato che non vale niente di niente. Un piccolo pacchetto dorato che ho cercato un giorno intero a piedi di una domenica di un anno fa. Mi piacerebbe sapere di cosa è fatto il tuo cuore, bellissimo alla vista. Rosso, luminoso, che al sole incanta di rubino. Intaccabile mentre del mio ritaglio gli angoli anneriti e mi convinco di aver così eliminato il male.
    Questo è il mio augurio. Liberati del passato, non dei dolci ricordi, ma dei sassi, dei pugnali alle spalle, delle promesse tradite prima ancora di essere recitate da occhi teneri. Liberati di tutto quello che ti tiene ancorato al tempo tuo, che desideravi potesse durare per sempre. Tu, mentre qualcun altro si preoccupava di tagliare i ponti e sparire. Getta via tutto e fallo nel modo meno delicato, fallo e basta. Ammirevole lo sforzo per non impazzire, con i piccoli oggetti della memoria a un passo da ogni cosa che fai. Ma basta! È il tuo turno, ovunque ti trovi. Adesso tocca a te sparire, capisci? Fallo come faresti con un fazzoletto di carta usato, e ti sentirai prima meglio e poi bene.

    Scrivi un commento →: Per Natale butta via il cuore!
  • Il venerdì 17 ha portato con sé un’energia bianca tale da aprire gigantesci squarci nel cielo da cui son venuti giù, su L’Aquila, sacchi di neve senza sosta, dal primo pomeriggio fino a ieri mattina. Me la sono vista brutta sul ciglio della salita, quando l’automobile davanti a me ha deciso, non so quanto giustamente, di fermarsi al bivio – uno può anche buttarsi nell’incrocio senza guardare, no?! Mi son dovuto fermare pure io solo che poi quella è ripartita, io spruzzavo schizzi di fango e neve dalle gomme, ma non mi muovevo di un millimetro e, se mi muovevo, era al passo del gambero. Sarà mica perché le antineve sono le stesse da dieci anni?
    Ho visto anche alcuni sciatori gareggiare nella specialità del fondo, sulla statale; bimbi fare a palle di neve fra le macerie e vecchie godersi i giorni natalizi sulle scalette di invidiabili baite che, da più vicino, sono grandi cucce per cani che addormentano persone che una casa non l’hanno più. Comunque sono sopravvissuto alla nevicata+gelata e adesso mi aspettano tre giorni di riposo, inteso come non dover mettere piede in quel postaccio puzzolente in cui ogni giorno assemblo panini americani e friggo le “insuperabili Mc papatine”, ma avrò altro da fare. Potrei, per esempio, mettermi a studiare sul serio per questa stramaledetta tesi, come stramaledetta sia la facoltà di Informatica e stramaledetti tutti gli esami da dieci anni a questa parte. Ok, mi sono sfogato.
    Ogni tanto ho bisogno di dire stramaledetta e stramaledetti se no esplodo. Potrei studiare, ma di sicuro rifinisce che scrivo. Il sole fuori la finestra non aiuta i miei doveri di studente fuoricorso e fuori ormai da tutte le logiche di una strada che passo passo ti porta da qualche parte e che non ho ancora imbroccato, o forse su quella strada ci sono nato e non lo so ancora. Io resto fermo, mi addormento e faccio incubi, moderati pure quelli, mangio troppo e nella testa, se potessi guardarci dentro, vedrei un mare di nebbia che si dissipa solo di rado e poi ritorna spazzando le immagini dei ricordi. Il cielo è tornato bianco e ha ingoiato il sole. Non vorrà mica ricominciare a nevicare?!
    C’è un libro che ho letto e di cui vorrei parlarvi. Non lo conoscerà nessuno perché a pubblicarlo è stato un editore di quelli che si danno tanto da fare, ma che, quando chiedi un loro titolo, il libraio o ti fissa come se stessi pretendendo un etto di prosciutto cotto Rovagnati a Decathlon, oppure ti dice che il libro non esiste, certe volte pure l’editore. L’autore è Iacopo Barison, è giovanissimo, ventidue anni, e ha già dalla sua uno stile limpido, secco, efficace, irriverente. Era un po’ che non recensivo libri, ’28 Grammi dopo’ mi ha fatto tornare la voglia di farlo, così l’ho fatto.
    Ecco la recensione per Sololibri.net. A chi volesse acquistarlo consiglio di evitare gli sfiancanti confronti coi librai e ordinarlo direttamente dal sito dell’editore che fra l’altro, noto, sta facendo i saldi natalizi.
    Buona domenica a tutti!

    Chissà se il camionista, che sarebbe dovuto giungere a L’Aquila a scaricare insalate e pomodorini al Mc Donald’s e invece è rimasto bloccato trenta ore sull’autostrada nei dintorni di Firenze, è sopravvissuto. Trenta ore senza che nessuno sia andato a portargli una coperta, né qualcosa da mangiare e bere. Un po’ vergognoso, nonostante lo scatenarsi della Natura.
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  • Non credevo che il primo ostacolo da superare sarebbe stato all’ingresso e non per le immaginate code chilometriche che non abbiamo trovato. Sarà che non eravamo al concerto di Lady Gaga, ma a Roma, alla fiera della piccola e media editoria ‘Più libri più liberi’, e in Italia sono di gran lunga più i fan di Lady Gaga che i lettori dell’infinito leggibile. La biglietteria è separata dal portone del Palazzo dei Congressi da una scalinata che abbiamo salito prendendo a gomitate gli uomini dalle mani cariche di decine di libri su toccanti storie d’Africa, nera come la pelle. Io non nutro pensieri cattivi, non nei loro confronti e non a prescindere, però, se non sono interessato, tu non mi puoi prendere per un braccio e impedirmi di ignorarti. Restano poche libertà riconosciute in questa vita, non toglietemi pure quella di far finta che chi voglio non esista. A gomitate presunte, in certi casi reali, raggiungiamo l’ingresso. Sono due piani di stand dedicati alle piccole e medie realtà editoriali, come suggerisce il nome della fiera, tipo Sellerio, Voland, Il Saggiatore, Castelvecchi, Fanucci, Minimum Fax… Questa cosa non mi è mai piaciuta e sembrerebbe che stiano lavorando proprio in tal senso. Lo dimostra l’esclusione della Fazi e l’autoesclusione della Newton che, per voce dello stesso direttore editoriale Vittorio Avanzini, in un’intervista su Affari Italiani fa sapere che la sua casa editrice non è né piccola né media (l’unico a far finta di non capirlo era lui, mi sa). La Newton in effetti è la sesta realtà editoriale italiana con un fatturato di milioni di euro l’anno. Pertanto la decisione di lasciare la fiera ai piccoli, quelli veri, è stata buona e giusta. Mi arrabbio non perché non sia emozionante scorrere gli stand e scambiare qualche chiacchiera con chi manda avanti i colossi editoriali. Mi arrabbio perché lo spazio fisico è limitato, nonostante sia vastissimo è pur sempre un palazzo, mica una landa sconfinata, e questi qui hanno le porte spalancate a qualunque fiera. Uno stand di mezzo metro quadrato, pur perdendosi nell’oceano di tutti gli altri, è uno spazietto fondamentale e preziosissimo e non fa al caso di chi ha già dalla sua una sovraesposizione libraria in grandi e piccoli store, catene e librerie indipendenti, supermercati, bazar, mentre tanti piccoli editori appassionati si ritrovano a fare cin cin, al tavolo degli adorabili sconosciuti, per una libreria in più conquistata da un proprio titolo o per una recensione su un blog che tocca picchi di dodici visite giornaliere, e a vantarsi pure.
    “Sai che ‘Leggolibridallamattinaallaseratrannequandofacciopipì’ ha recensito la nostra ultima uscita ‘Lo chiamavano Dentone’?” “Che invidia! Invece la nostra autrice Barbaria Pestaerba sarà ospite dell’ultima puntata di ‘A me mi piace’ la trasmissione di culto di La 140 TV, non è pazzesco?”
    Sono contento per Fabio Geda e per il suo romanzo ‘Nel mare ci sono i coccodrilli’ che si è aggiudicato il “Libro dell’Anno” di Fahrenheit proclamato e premiato nell’ultima giornata di fiera al caffè letterario al primo piano, in diretta su Radio 3. Niente da dire su un libro che non ho letto, ma pare valga la pena farlo, però ci risiamo. Baldini & Castoldi Dalai non è proprio un piccolo o medio sgomitante editore (attualmente secondo in classifica col nuovo libro di Faletti, per dire). Mi domando se non sarebbe stato più carino (o giusto) assegnarlo a Cristiano Cavina o a Paolo Piccirillo e al suo ‘Zoo col semaforo’ pubblicato da Nutrimenti, ma è la gente attraverso internet a votare e quindi non mi sorprende la vittoria del più noto e più letto (ovvio!) dei dodici libri del mese. È come Sanremo, che lo vince Marco Carta e l’anno dopo Valerio Scanu. Il televoto, questo è il tarlo.
    C’è di buono che quando meno te l’aspetti arriva l’amore, ma non quello che passa e va, quello di una toccata e fuga, quello del bacio rubato e chi s’è visto s’è visto. L’Amore con la a maiuscola, quello della vita che lo sai dal primo istante che durerà tanto, pure se lo conosci da più di dieci secondi e meno di un minuto. Io l’ho trovato al piano terra del Palazzo dei Congressi. Ve lo presento, si chiama Racing Green ed è il nuovo eReader della Simplicissimus. Io che mai avrei detto di poter leggere un libro senza sentire la familiare sensazione del contatto e del profumo della pagina, non riuscivo a staccarmi da QUESTO gioiellino verde acido che mi regalerò più prima che poi. Non è retroilluminato e la lettura non solo non stanca, ma le dimensioni, l’impaginazione e il carattere che puoi scegliere e ingrandire come vuoi, la rendono addirittura piacevole. Lo amo. Racing, vuoi sposarmi e venire via con me in viaggio di nozze con duemila libri dietro al peso complessivo di centosettantotto grammi? Sì, sì, sììì!
    A chiudere la manifestazione diversi incontri. Sara Saorin, la mia editrice, è stata invitata a parlare della doppia esperienza di traduttrice ed editrice assieme. Si è confrontata con altri due editori di nicchia oltre che sul fascino della scoperta di storie lontanissime da portare in Italia, anche sulle difficoltà della piccola editoria e su quanto ci si possa ritenere fortunati intanto a mantenere la casa editrice prima ancora che a guadagnarci qualcosina. La sala Ametista era piena zeppa e io, il suo autore preferito (me lo dico da solo) costretto a stare in piedi, in fondo, con la schiena contro il muro e il giaccone in mano.
    Oltre alla maschera di fiera per la piccola editoria a camuffare i grandi gruppi che ci magnano sempre, due altri sono stati gli aspetti un po’ fastidiosi. Il caldo, dio mio l’anno prossimo fate qualcosa, perché non si sopravvive lì dentro a quella temperatura e con tutti quei fiati che appesantiscono l’aria. E poi la tendenza alla svendita da bancarella. Cartelli di Tutto a Cinque Euro capeggiavano su molti stand; appena ti avvicini, l’essere umano preposto alla vendita ti risucchia nel suo mondo e non ti libera finché non sei tu a liberare dieci, quindici euro. Non mi piace il paragone dei libri alle mutande di terza scelta, in virtù di una crisi di cui ci hanno fatto le palle piene e grosse come mongolfiere. Ci mancava solo un megafono urlante: “Accattateville! Faciteme ‘stu piacere ia!”. Se un libro costa quattordici euro, vendilo a quattordici euro, vendilo a dodici, a dieci tiè, non a cinque, neanche fosse l’ultimo pomodoro molle avanzato nella cassetta del mercato a fine giornata. I libri meritano rispetto e mi aspetto che gli editori siano i primi a riconoscerglielo.

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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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