I know

Non è piacevole guardare l’azione dalla prospettiva del futuro. È come far finta che un film già visto nove volte ci stia appassionando per la decima; star lì col batticuore, seduti sul letto e gli occhi puntati sullo schermo, a mostrare suspense per un finale ormai imparato a memoria. Che poi non è che sia proprio lo stesso film: cambiano gli attori (tutti tranne me), cambia la location, cambiano i caratteri e i modi di fare dei protagonisti, ma il regista è sempre lui e carente d’ispirazione. Così, dopo il grande successo dell’esordio, si ostina a riproporre facsimili e scene-fotocopia. Il risultato è una stanchezza nelle membra e nella testa, dovuta al dover recitare sempre la stessa parte. Ho provato a chiedergli di cambiarmela, ma lui no, dice che sono perfetto per questa e, visto che la paga non è male, io continuo a recitare, ma dentro so bene qual è la realtà e, soprattutto, come andrà a finire. Così mi fingo sorpreso e adulato da certe parole che segnano chi non sa, invece non lo sono per niente, perché conosco tutti i fini che le hanno condotte da me. Così mi fingo coinvolto, intraprendente, desideroso di nuove emozioni, lo sarei anche, mica no, è solo che quelle emozioni non sono affatto nuove e, quel che è peggio, non sono emozioni perché, seppure con le parole ci sai fare, io sono molto, ma molto più bravo di te. Ricorda che io quel film l’ho recitato già. Lo dico per te, non per me. La prima, la seconda, e anche la terza volta c’ho creduto (un po’ meno la terza, ma sì, perché io la possibilità di sorprendermi alla vita gliela concedo comunque) ma la nona no. So in anteprima cosa accadrà; lo so prima che le scene vengano girate, prima addirittura di leggere il copione, tanto con quel regista non puoi sbagliarti. Non è cattiveria il mio tono gelido e appena sufficiente, non è cattiveria il non guardarti mentre, deciso, continuo a chiederti quale sia il senso che gli dai. Non è cattiveria l’andarmene senza salutarti, senza concederti troppe parole. Il mio tempo è prezioso, io sono prezioso; e tu?
Ma cosa sto qua a farneticare, domani giriamo la scena finale. Sarà un domani breve, cosa vuoi che siano pochi mesi? Ieri sono stato bravo. Ieri non ho parlato. Parlerò poi, o forse neanche alla fine. Perché certe volte il silenzio, oltre ad essere chiaro a chi ha voglia di capire, è indispensabile per risparmiare le ultime parole: il grano che occorre per la nuova semina.