I trabocchi

"Secondo te ce la siamo giocata bene?"
"Secondo me sì."
"Allora meglio di così non poteva proprio andare?"
"Poteva andare oltre, ma finché non ho fatto la cazzata ce la siamo giocata bene."
"Ti sei pentita?"
"Sì."
"Pensavo non provassi più niente per me."
"È quello che ho dovuto dire. Sei insostituibile."
"Perché l’hai dovuto dire?"
"Perché dovevo andare via, e dirti che non ti amavo più era l’unico modo per farti stare meno male."
"Una storia Milano–L’Aquila sarebbe stata una tortura, è per quello che mi hai lasciato?"
"Sì, solo per quello. Fosse andata diversamente staremmo ancora insieme."
"E perché ora, dopo tre anni, mi stai dicendo che provi ancora sentimenti?"
"Perché è vero."
"Sì, ma perché me lo dici, visto che domani torni a Milano?"
"Lo devi sapere."
"Dici, perché magari un giorno…?"
"No, non diciamolo per niente, però il senso era quello."
"Quindi ho perso."
"Abbiamo perso, anzi forse ho perso più io, quando ho deciso che dovevo andare via."
"Quando ci rivedremo, tra altri tre anni?"
"Speriamo prima, no?"
"Magari allora mi concederai una rivincita."
"Te la devo. Tanto, sono certa, ti avevo trovato per un motivo ben preciso."
"E quale sarebbe?"

Come se esistesse davvero un destino. E come se, nell’immensità di Milano, non ne esistesse davvero uno migliore di me. Certo è che rivangare un passato comune, in due, può riportare a galla dettagli sconosciuti, e la cosa è, spesso, profondamente deleteria. E chiamali dettagli!