Scusa se ti chiamo libro.

Ieri ho accompagnato mia madre dal medico; rigorosamente senza appuntamento, rigorosamente infinita attesa fino alle venti. Il mio medico è peggio del Papa, se decidi di prendere appuntamento telefonicamente, la parecchio grezza segretaria bionda te lo dà ventisette giorni dopo, altrimenti devi andare e aspettare che l’ultimo abbia finito.
“Allora vengo verso le sette e mezza così il dottore s’è liberato.”
“Eh no, signora. Deve venire massimo alle sei e aspettare fino alla fine.”
“Ma lei è masochista?”
Arriviamo alle sei e mezza. Mi salta addosso un afrore niente male, ottenuto dal mixaggio degli oltre venti aliti pesanti presenti in sala d’attesa, sceccherati (volenti o nolenti è questa la forma registrata nel Grande Dizionario Italiano dell’Uso) con quelli fino ad allora transitati in quella stanza. Dopo aver imparato a memoria tutti gli avvisi appesi alle pareti cerco una rivista da leggere. Come se fosse facile. Alla fine opto per GQ, semplicemente perché non avendola mai sfogliata prima, a paragone con le varie novelle2000, 3000, 10000 & Co. ho sperato che nell’ignoto si celasse qualcosa di interessante. Quando ormai mi stavo rassegnando al girare pagina passivamente bramando la fine (che rivista inutile! Oltre trecento pagine di cui due su tre sono pubblicità. Ditemi chi spende soldi per ‘ste robe!) ecco che all’ultima, sì proprio all’ultima leggo a caratteri cubitali: Scusa se ti chiamo libro.
È come Alessandro Robecchi vede Federico Moccia. E visto che coincide perfettamente con tutto ciò che penso io di Moccia e dei suoi libri, spisciandomi dalle risate, ho deciso di strappare con mossa furtiva la pagina (se ne sono accorti tutti) e rendervi partecipi del suo splendido articolo. Eccolo.
“Non c’è dubbio che i romanzi di Federico Moccia tirino su il morale alla gente. Uno si rompe una gamba sciando, oppure tampona in autostrada, e maledice la sorte. Poi si consola e dice: poteva andarmi peggio, potevo nascere afghano, o potevo leggere un libro di Moccia. Un altro fatto positivo è che i romanzi di Federico Moccia aiutano l’autostima: quando uno si sente stupido, ma proprio molto scemo, un perfetto cretino, basta confrontarsi con un personaggio dei libri di Moccia e subito si sente un genio. Un po’ come quando senti parlare George Bush: credevi di essere il più stupido della Terra e invece no, qualcuno ti batte, sospiro di sollievo.
Come tutti avrete notato la critica si tiene lontana dai libri di Federico Moccia e non si prende la briga di stroncarli. E del resto c’è da supporre che nemmeno i lettori li prendano troppo sul serio: se gli italiani pensassero che dai libri di Moccia esce un ritratto credibile degli italiani, avremmo probabilmente un’ondata di suicidi di massa. Eppure l’editoria scommette molto su questi prodotti, che appena usciti sul mercato filano primi in classifica e ci restano per mesi, il che dipende dal fatto che in Italia si legge poco, e quando si legge, si legge Moccia, e questo è triste.
Come nelle ricette di cucina, il segreto del successo è semplice: i dialoghi sembrano quelli dei reclusi del Grande Fratello, la scrittura è appena un po’ più semplice degli sms che vi scambiate con la fidanzata, e le dinamiche affettive e sentimentali fanno sembrare i fotoromanzi degli anni Settanta grandi romanzi ottocenteschi. So qual è a questo punto l’obiezione classica: uh! Che snob! Non è meglio che uno che non ha mai preso in mano un libro cominci a leggere, fosse anche un libro di Moccia? La risposta è no. C’è sempre il rischio che uno poi pensi che i libri sono tutti così, e questo terrebbe chiunque lontano dalla letteratura per sempre.
Naturalmente vanno fatte alcune considerazioni di mercato. Dai libri di Moccia nascono film, linee di gioielli, braccialetti, orologi, collanine. Presto avremo suonerie con i dialoghi dei libri di Moccia, preservativi con le firme dei protagonisti e, chissà, utilitarie che si chiamano 3msc, ovviamente superaccessoriate, 16 valvole e coi sedili reclinabili, un omaggio al romanticismo delle opere citate. Per coerenza dovrebbero farle senza freni.
Anche se può sembrare paradossale, gli unici che si rallegrano del successo dei romanzi di Federico Moccia sono gli scrittori. Ingenuamente pensano che i soldi fatti dall’editore con le vendite di Moccia servano a pagare anche loro, ma si sbagliano: serviranno soltanto a pagare i prossimi libri di Moccia, per i quali temo si taglino anche degli alberi. Alcuni editori poi se ne vergognano. Incassano buone cifre, è vero, ma quando gli ricordi che erano gli editori di Pasternak e ora sono gli editori di Moccia, gli scappa un gemito e cambiano discorso.
C’è chi dice che i libri di Moccia raccontano i giovani, ed è vero: raccontano i giovani come piace raccontarli a uno di mezza età che non essendo più giovane vuol far passare i giovani per totali deficienti. Esattamente come accade agli autori dei reality show, gente di mezza età che carica su di sé questo fardello: raccontare i giovani e intanto odiarli profondamente e farne la caricatura. A quanto pare funziona, il che getta una luce inquietante su questo paese.”
Mi complimento con Alessandro Robecchi che ha finalmente pubblicato il resoconto reale di un fenomeno avvilente, che pare per ora irrefrenabile.
Per dare degna conclusione a questo post moccioso, vi incollo la geniale imitazione di Fiorello per W Radio 2.
È esilarante.

 
Ce ne sono altre. Cercatele su You Tube; non è che posso fare sempre tutto io eh!
 
M.

L’altra notte è morto Sabani Gigi, ieri notte Pavarotti. Secondo me stanotte andranno a riposare in pace Mike Bongiorno e la Carrà.