MURAKAMI HARUKI, COME UNA SALAMANDRA CHE ALL’IMPROVVISO SI TRASFORMA IN UNO STRUZZO. MA, SOPRATTUTTO, PERCHé?!

Ci eravamo lasciati col patto di sangue che mai e poi mai mi sarei ritrovato un altro libro di Murakami fra le mani. Almeno non con l’intento di leggerlo. Chi non ricordasse il perché, può rapidamente recuperarlo cliccando qui.
E invece… l’ho rifatto. Sì, ho comprato L’arte di correre (pagandolo con soldi veri. Non tanti: 11 euro, che comunque buttali via…). Ho sottovalutato la comprovata mia sensazione che Haruki Murakami non avesse più nulla da dire, piombato nel buco nero delle Nauseabonde Similitudini, e invece che considerarla granitica certezza e cancellare di conseguenza il suo nome dalla lista degli scrittori dell’Universo, mi sono lasciato di nuovo trarre in inganno dalla quarta di copertina.
A mia, solo parziale, discolpa stavolta si potrebbe dire che, se quella dell’Incolore… era ingannevole, quella dell’Arte… deve averla costruita una squadra di subdoli criminali della parola che mi conoscono più di mia madre, e sanno quanto io creda nella fatica quotidiana del lavoro e poco nel talento come esplosione creativa.

Una riflessione sul talento, sulla creatività, e più in generale sulla condizione umana. L’autoritratto di uno scrittore-maratoneta […] la sorpresa di scoprire che un autore celebrato per la potenza della sua fantasia sia in realtà una natura estremamente metodica, ordinata, agli antipodi dello stereotipo dell’artista tutto genio e sregolatezza.

Parole che hanno avuto su di me l’effetto di una busta di crocchette agitata davanti al naso di un grasso gatto affamato. Allora, amici di Einaudi, visto che io le vostre quarte le leggo sempre con piacere e curiosità, mi rivolgo a voi e vi domando: non li potreste scrivere voi i prossimi libri di Murakami? E magari rimettere mano anche ai vecchi?
Dovevi insospettirti, Matteo. Avete ragione, ma io continuavo a ripetermi che Murakami in questo libro è di se stesso che racconta, mica di una creatura che emerge dagli abissi. Scrive della sua vita, la vita di uno che fa lo scrittore e corre, lo scrittore-maratoneta (?). Un essere umano che ha raggiunto il successo, sì, ma comunque soggetto alle leggi del Cosmo, della Natura. Insomma, all’interno di una biografia di 146 paginette mica avrà potuto infilarci misteriose onde che risucchiano l’anima o facce nell’ombra di lune che restano sempre al buio, no?
E invece sì, Matteo, sì!
Da qui, l’esigenza di dare seguito a quel post nella sentitissima speranza che questa non diventi una trilogia, perché al terzo episodio soccomberei.

neonato_incazzato

Ma ‘sta cosa dell’affanno non l’aveva già detta quattro maratone fa?

L’arte di correre viene presentato come il libro autobiografico di un artista della parola, il racconto della sua vita intrecciato a quello della sua più grande passione: la corsa.
No, non è così.
L’arte di correre è la cronaca delle maratone di un orientale tormentato dall’ossessione per l’accumulo compulsivo di endorfine. E quando dico cronaca delle maratone, intendo la descrizione dettagliata dei paesaggi, del vento, delle crepe dell’asfalto, del ritmo del battito cardiaco e del graduale cedere dei muscoli delle gambe.
Per intenderci, la prima gara di Haruki Murakami è stata sulla distanza dei 5 chilometri. Breve, in fondo, se non fosse che  l’Autore con la A maiuscola quei 5 chilometri ce li racconta tutti, passo dopo passo, metro dopo metro di cemento, albero dopo albero, soffio dopo soffio di vento, battito dopo battito del cuore. Il lettore, senza accorgersene, e quindi impossibilitato a qualunque tipo di autointervento difensivo da questo meccanismo stordente, viene risucchiato in un loop podistico di partenza – gambe stanche – vento – alberi – acqua – traguardo – ripartenza  – avversari che lo superano – manca l’acqua – manca il fiato, e si ritrova continuamente a riflettere sull’affascinante fenomeno del déjà vu.

Comunque, se fino a pagina 119 la storia, che come immaginerete non è propriamente un’escalation di fantasmagorici slanci, si fa leggere e in alcuni tratti garba come le biografie sanno fare, 27 pagine prima del previsto (solo 27, capite? Ci era quasi riuscito!)  dev’essersi esaurito l’effetto del sedativo per elefanti che il buonsenso gli aveva sparato alle chiappe, e il Demone Protettore della Similitudine a Tutti i Costi improvvisamente si ridesta in un’esplosione di magma murakamico dal devastante potere distruttivo.
Non sto dicendo che le prime 119 pagine sono similitudo-free, attenzione, ma che la densità di queste, per quanto come al solito inutili alla narrazione e spesse volte ridicole e insensate, nella prima parte del libro per lo meno non ne disgusta la lettura, almeno non fino al punto del non-ritorno.
Cito le 3 più significative del pre-devastazione.

  1. Pag 91 – Haruki Murakami sta disputando una maratona (abituatevi all’idea perché, per tutto il libro, Haruki Murakami sta sempre disputando una maratona) e in prossimità del 50° km prova ciò che per noi umani sarebbe assolutamente normale al 3° km, figuriamoci al 50°, invece per lui assume i connotati del mistero. “Mi è sembrato di avvertire una sensazione diversa, i muscoli delle gambe si stavano indurendo.” Mura, hai corso per 50 km, fatti due domande! “Se ci fosse stato un punto di distribuzione d’acqua avrei bevuto perché la disidratazione mi inseguiva come un infausto destino. Similitudine che già di suo sarebbe bastata a rovinare un intero romanzo. Ma ad Haruki non basta, e perché nessuno dei suoi lettori possa rischiare di non comprendere appieno l’esatta sensazione di un disidratato, aggiunge che la disidratazione lo inseguiva “come una regina della notte dal cuore pieno di tenebra“. Ma chi è questa regina della notte dal cuore pieno di tenebra? Qualcuno, disidratandosi, l’ha mai vista? Potrebbe fornircene una descrizione?
  2. Pag 93 – Haruki Murakami si trova al km 55 (quindi 2 pagine per descrivere 3 km. Vi state facendo una vaga idea?), e le sensazioni cambiano. “Mi sentivo come una cotoletta di manzo passata attraverso un tritacarne.” Mi raccomando, che sia di manzo. E anche qui c’era bisogno di aggiungere immagini su immagini e allora (occhio che questa va seguita con attenzione): “O un’automobile cui si voglia far fare una salita con il freno a mano tirato a fondo.” Quale essere umano con facoltà mentali mediamente funzionanti potrebbe decidere di costringere un’automobile a percorrere una salita col freno a mano tirato a fondo?
  3. Pag 102 – Il miracolo Murakamico si compie. State per assistere alla Similitudine Poker Potenzialmente Infinita. Murakami si domanda come mai a un certo punto della maratona (e quando, se no?) subentri in lui l’abbattimento del corridore, e trova la risposta a tutte le domande dell’Universo: “forse la vita è così”. E va avanti: “Forse è una cosa che dobbiamo semplicemente accettare. Come le tasse (e one!) come i flussi delle maree (e two! E tornano le ambientazioni acquatiche), come la morte di John Lennon (e three! Con quale logica ha scelto l’eccellente morto da citare?) come un errore dell’arbitro durante i campionati del mondo (e four! I campionati del mondo di cosa? Vanno bene tutti gli sport oppure bisogna pensare a uno in particolare, tipo il manzo di poco fa?).” Perché non aggiungerne altre? Dài, come il pesce che dopo 3 giorni puzza, o come il lampo che viene prima del tuono, o come un cane che abbaia e una pecora che bela. Brivido.

Entriamo nel vivo. Le similitudini della seconda parte:

  1.  Pag 123 – Murakami è riuscito ad arrivare al traguardo dell’ennesima maratona in meno di 4 ore, ma non è per niente soddisfatto. “Mi è rimasto un insopportabile rimpianto, come un brandello di nuvola scura impigliato dentro lo stomaco. Un brandello di nuvola scura? Impigliato? Ma come si fa a impigliare un brandello di nuvola? Si impigliano soltanto i brandelli scuri o anche quelli delle nuvole chiare? Interrogativi ai quali varrebbe la pena dedicare una serie di 8 puntate di Voyager. E poi se la prende con Lui. “Perché doveva venirmi quel maledetto crampo? Se in cielo c’è un Dio, non potrebbe darci ogni tanto un piccolo segno della sua esistenza? Non potrebbe mostrarci almeno un piccolo segno della sua benevolenza?” Infatti, io proprio non lo capisco questo Dio che non si prende una pausa dai problemi del mondo per dedicarsi a non far venire i crampi a Murakami, lo scrittore-maratoneta.
  2. Pag 124 – Di nuovo l’insoddisfazione al traguardo di un’altra maratona, e la sua impossibilità a spiegarsela (–> Déjà vu). “La ragione io non la conosco. Oppure è semplicemente da cercarsi nel fatto che sto invecchiando. O in qualche altro fattore, che ne so… (?) Magari in qualcosa di grave che mi sfugge. Comunque sia, a questo punto, il discorso si esaurisce negli oppure. Come un magro corso d’acqua che venga assorbito silenziosamente dalla sabbia del deserto.
    Ecco, avete assistito alla Super Similutudine No Sense condita di Ovvio Mistero. Si tratta di una figura retorica rarissima all’interno della produzione letteraria mondiale, in grado di far perdere fra le sue spire anche lo stesso Murakami che a un certo punto non ci capisce più niente e mette i puntini di sospensione. E poi, ve la immaginate la sabbia del deserto che assorbe un corso d’acqua non silenziosamente? Tipo col risucchio?
  3. Pag 125 – Murakami affonda nelle pippe mentali. Pensa a quando le sue condizioni fisiche non gli permetteranno più di battere tutti i record, a quando le persone lo esorteranno a smettere (non di scrivere i libri, di correre!) e decide che se ne infischierà: “Perché sono fatto così”. Concetto sufficiente, chiaro, completo? No! “Come lo scorpione punge, come la cicala sta attaccata all’albero, come il pesce ritorna al fiume dove è nato, come le anatre maschio e femmina si cercano l’uno con l’altra”.
    Ci ho riflettuto e la mia conclusione è la seguente: la Similitudine Poker Potenzialmente Infinita è la conseguenza di una specie di embolo che gli parte all’improvviso.
  4. Pag 125 (la stessa) – Il capitolo si chiude con una presa di coscienza dell’autore. “Un produttore di Hollywood (Murakami valuta proposte solo dai produttori di Hollywood) che volesse trarre un film da questo libro, arrivato all’ultima pagina lascerebbe perdere.” Bene, sfido chiunque a presentarmi un produttore, non importa che sia di Hollywood, mi va bene pure che venga da Sclafani Bagni in provincia di Palermo, che leggendo L’arte di correre abbia pensato, anche solo un istante, di trarne un film.
  5. Pag 128 – Murakami si accinge ad affrontare la sua prima gara di triathlon. Sarà entusiasta e ultramotivato? No, sta lì sul bagnasciuga a spararsi sulle palle. “Mi preparo a nuotare per millecinquecento metri, pedalare per quaranta chilometri e correre per dieci (tiratela anche meno, comunque). Ammettiamo che ci riesca. E poi? Non sarà come ostinarsi a versare acqua in un vecchio vaso forato sul fondo?” Ma chi è che passa il tempo a versare acqua nei vasi forati? Forse lo stesso che costringe le automobili a procedere in salita col freno tirato.
  6. Pag 128 (due righe dopo) – “Non c’è un alito di vento, il mare è liscio come l’olio“. Originalità commovente.
  7. Pag 129 – Murakami sta per tuffarsi. Il mare è calmo per fortuna… No! Mai fidarsi del mare calmo. Perché? “Probabilmente era tutta una finta, in realtà a metà strada mi aspettava una brutta sorpresa, qualche orrendo, inimmaginabile evento.” Uno squalo bianco, ho pensato ridendo, ma naturalmente Haruki Murakami è avanti. “Nel mare erano forse in agguato frotte di meduse velenosissime. (!) Pedalando avrei incontrato un branco di orsi, affamati prima del letargo invernale. (!!) O mentre correvo un fulmine mi avrebbe colpito. (!!!) Uno sciame di vespe infuriate mi avrebbe sferrato un attacco improvviso. (!!!!) Mia moglie, che mi aspettava al traguardo, nel frattempo avrebbe scoperto qualche verità terribilmente spiacevole sulla mia vita.” (!!!!!) Ecco, mi viene da dire soltanto una cosa: povera donna!
  8. Pag 129 (è un tripudio) – Murakami  si guarda intorno. “Altre persone in costume da bagno e maschera aspettano impazienti il segnale di partenza. Sembriamo quasi dei poveri animali marini che siano finiti alla deriva su questa spiaggia per un capriccio della natura, e ora aspettino l’arrivo dell’alta marea.” Quasi, però. Non proprio degli animali marini. Qualcosa di simile, più misterioso. Comunque Murakami dovrebbe parlarne con qualcuno di questa sua ossessione per il regno subacqueo.
  9. Pag 133 – Dopo una lunga e stremante descrizione di una lezione di nuoto Murakami associa le capacità acquisite dall’allievo a un evento naturalistico di difficile comprensione. “Le tenebre si dissolvono (quali tenebre?), il cielo si rasserena (qui c’è aria di embolo in ripartenza) e finalmente si distinguono la forma e il colore dei tetti delle case che fino a quel momento si intravedevano confusamente. (Stiamo parlando di un ragazzino che impara a nuotare, al massimo può intravedere un trampolino, una tavoletta, il bordo vasca!). Sembrerebbe quasi l’esercitazione di un insieme di tamburi. (Perché voi mi insegnate che i tamburi, di tanto in tanto, si riuniscono in insiemi e si esercitano.) Per diversi giorni si ripete soltanto la parte del tamburo basso. Poi è il turno del cimbalo. Poi del tamtam… (?) uno per uno sono noiosissimi.” No Haruki, i tamburi non sono noiosissimi, sei tu che lo sei, tu!
  10. Pag 135 – Murakami è in attesa del segnale di partenza per l’ennesima gara di triathlon. Mi rendo conto, amici, ma il libro questo è. “Mi sono cosparso il corpo di vaselina in modo da potermi togliere il costume in un batter d’occhio quando esco dall’acqua. Ho fatto diligentemente stretching. Ho bevuto acqua a sufficienza. Sono andato alla toilette (se ci vuoi dire anche cosa hai fatto alla toilette). Non ho tralasciato nulla. Forse.” Ansia! Il gas l’hai chiuso?
  11. Pag 137 – In piena gara il pericolo incombe oscuro. “Com’è che non vedo più niente? La maschera si è appannata. Il mondo è avvolto in un vago biancore, come se stessi attraversando una fitta nebbia. (Haruki, l’hai appena detto, si è appannata la maschera, calma!) Mi fermo e in piedi nell’acqua pulisco in fretta la maschera con le dita. Non serve a nulla. Com’è possibile? Che razza di cretino! Di solito prima della gara la pulisco sputandoci sopra. Questa volta ho dimenticato di farlo.” E allora!!!

    salamandra

    Struzzo sarai tu!

  12. Pag 138 – Il passaggio dall’acqua ai pedali lo turba. “Tutto è diverso, cambiano persino i muscoli coinvolti. Come se una salamandra all’improvviso si trasformasse in uno struzzo.
  13. Pag 141 – Murakami è talmente orgoglioso di una passata similitudine che trova l’occasione giusta per autocitarsi all’interno dell’ennesima pippa mentale sull’utilità o meno del suo correre. “Anche ammettendo che compiamo soltanto una serie di atti vuoti, come per l’appunto versare acqua in un vecchio vaso forato, per lo meno resta il fatto reale che ci impegnamo. L’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce col cuore“. Bella questa frase, dove l’ho sentita?
piccolo principe

L’ho detto prima io!

Chiudiamo con le riflessioni che l’autore ci regala nell’imperdibile postfazione.
“Ho impiegato molto tempo a scrivere questo libro e ho dovuto ancora limarlo e rifinirlo con cura.” E cosa è accaduto dopo? Hai per errore dato alle stampe la versione primordiale?
“Raccontando del correre ho cercato di chiarire i criteri che hanno ispirato la mia vita, sia in quanto scrittore di quest’ultimo quarto di secolo, sia in quanto persona qualunque.” Amici, se non siete scrittori per almeno un quarto di secolo allora pussa via, persone qualunque!
“Ho cercato di illustrare la mia concezione, ma non sono pienamente convinto di esserci riuscito. Nel momento in cui ho finito di scriverlo ho provato un senso di sollievo, come se avessi finalmente deposto un fardello.” Più o meno la sensazione complementare che ha provato chi invece quel tuo fardello se l’è ritrovato a leggerlo, Haruki.
“E desidero esprimere la mia profonda riconoscenza anche al mio editore, Oka Midori che ha pazientemente aspettato più di dieci anni che io le consegnassi il manoscritto.” Il mio pensiero va a Oka Midori, con estrema compassione, che trascorre dieci anni di non-vita in attesa del manoscritto di Murakami, poi lo legge e…

7 commenti su “MURAKAMI HARUKI, COME UNA SALAMANDRA CHE ALL’IMPROVVISO SI TRASFORMA IN UNO STRUZZO. MA, SOPRATTUTTO, PERCHé?!

  1. Almeno a me lo hanno regalato,così non mi sono sentita in colpa quando ho smesso di legerlo,per eccesso di noia.
    e ,somma cattiveria, l’ho regalato a mia volta..

  2. I tuoi post parodiaci sono imperdibili. Spero vivamente che questo Oka midori nel frattempo abbia fatto altro….già che c’era poteva non farsi trovare a casa! XD

    • Grazie! 🙂 Purtroppo no, fonti certe mi dicono che non ha fatto altro. Ha aspettato il manoscritto dello scrittore maratoneta per dieci anni.

      • Comunque un libro che fosse stato un tema delle superiori non avrebbe preso più di 5 mi sa. Ma l’ha scritto lui…la tua analisi del testo mi fa ridere anche se la rileggo, facciamo un 10 e lode và 😀

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.