Una settimanella fa passavo per caso a Bagnano (Massa Carrara), mi sono fermato un attimo al bar Biffi a prendere un caffè e, tanto che c’ero, ho giocato una schedina da 2 euro siglando i numeri: 10, 11, 27, 45, 79, 88. Qualcuno mi dice se ho fatto almeno uno, che non ho avuto un solo minuto di tempo per controllare?
Ebbene la famosa pallina magica finalmente qualcuno l’ha pescata, in un urna che ne conteneva 622 milioni. Ora non so se è vero, ma addirittura parrebbe non aver fatto neanche lo sforzo di segnarli lui i sei numeri e, se da una parte ha permesso alla ricevitoria/bar di risparmiare sull’inchiostro della penna, dall’altra la ricevitoria/bar gl’ha fatto un bel regalo compilando quella schedina assieme a tante altre, di quelle nei cestini della fortuna, capite? Una a caso fra venti, trenta, trecento milioni sparse per l’Italia, e lui/lei/l’altro ha preso proprio quella, in quel baretto di quel paesino sperduto di duemila abitanti. È un attimo, l’ha presa e TAC ha vinto quasi centocinquanta milioni di euro.
L’uscita del sei ha definitivamente ucciso tutte le aspettative che avevo riversato sul mio supersistema Range. L’ho creato io e obiettivamente non è che abbia scoperto l’America. Ho preso un range di numeri, una ventina, e li ho combinati in sestine. Non che le abbia proprio giocate tutte, le combinazioni. Ne ho scelte otto e le ho giocate in quattro schedine da due colonne con quattro superstar diversi spendendo la considerevole cifra di otto euro. Ho fatto uno per ogni colonna, se li avessi combinati tutti avrei fatto tre, ma forse avrei speso più dei quindici euro che avrei vinto. Non era una gran trovata ‘sto supersistema Range, ma era tutto ciò che mi restava, e avevo deciso di dargli fiducia per almeno tre estrazioni consecutive, sempre se non fosse uscito il sei. Non ho fatto neanche in tempo a dichiararlo, che uno stronzo di Bagnano ha rovinato i giochi a tutti e affanculo pure il supersistema Range. Io penso a chi ha ideato sistemi da cinquantamila e passa euro e non ha beccato una ceppa, intanto lui/lei/l’altro, con una certa noncuranza, e anche un po’ di timore dovuto all’inesperienza – magari era pure la prima volta che giocava, lo strastronzo, e allora avrà pensato: “Ne prendo una pronta, almeno non faccio figure di merda” – pescava la sua felicità.
Io, che sono uno moderato, ho deciso di continuare a giocare perché quaranta milioni mi vanno bene uguale. Al bar c’era una fila disumana. Dopo tanto attendere arriva il mio turno e proprio in quell’istante entra una signora accompagnata da un bambino decenne che supera tutta la fila, allunga la mano e porge alla cassiera confusa la sua schedina proprio nello stesso istante in cui io mi accingevo a porgerle la mia. La cassiera mi osserva con occhi interrogativi, io le faccio cenno di prendere quella della signora, tanto una in più poco cambia e poi non mi va di discutere per trenta secondi d’attesa. La signora si lascia andare al commento ad altissima voce: “Mo’, solo perché uno è alto…” come se fosse lei la vittima. A quel punto non c’ho visto più: “Signora, comunque c’ero io” “No, si sbaglia!” “Guardi, lei ha superato una fila di venti persone, non soltanto me.” E da dietro si udivano borbottare: “Sì, ha ragione… Quella stronz… Non si vergogna… Ma tu guarda la gente…” La bionda di verde vestita non ha potuto fare altro che ammettere le proprie colpe: “Forse ha ragione, mi scusi!” “Non si scusi, si figuri, ma la prossima volta i commenti se li tenga per sé!” “Io commento quanto e quando mi pare!” “Sì, a casa sua!”
Dopo qualche istante di silenzio, mentre riponevo la preziosissima giocata (zero) nel portafogli, lei si volta al figlio e: “Lo vedi che figure mi fai fare? Giuro che con me non ci esci più. La figuraccia col signore ce l’ho fatta io, mica tu!”
Ho ripensato a mia madre, quando in seconda media mi disse di non studiarla quella pagina della Divina Commedia a memoria perché secondo lei il professore era pazzo a obbligarci a imparare a memoria il delirio dantesco. Il giorno dopo, il pazzo mi ha interrogato e io *molto furbamente gl’ho detto che non avevo studiato perché mia madre mi aveva detto di non farlo, fra l’altro omettendo la sua riflessione sulla sanità mentale dell’uomo. Lui l’ha convocata al ricevimento e mia madre: “Professore, ma le pare che io possa dire a mio figlio una cosa del genere. Mi fa fare certe figure Matteo…”
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