È una festa notturna, non è un funerale

Esco dal lavoro dopo dieci ore. Ho una fame che statemi lontani se no vi mangio a mozzichi crudeli, gnam gnam. La schiena mi ricorda della sua esistenza a colpi di sciabola (una curiosità: quanto impiega un nervo infiammato a smettere di esserlo e tornare nell’oblio a farsi i cazzi suoi indolore?) e l’antidolorifico ha finito l’effetto. Fuori fa un freddo che si fa notare, perché erano giorni che col sole l’aria tiepida mi aveva quasi illuso di una primavera stabile, invece ieri siamo arrivati a tre gradi sopra lo zero e un venticello per niente simpatico. Però ho un appuntamento e non c’è scusa che tenga.

È una festa notturna, non è un funerale. È passato un anno esatto e L’Aquila ha voluto dire a tutti che intanto esiste ancora, che è piena zeppa di gente che la ama e che quei 308 angeli se li ricorda eccome. L’ha voluto fare in una fiaccolata memorabile. Oltre 25 mila luci hanno percorso chilometri in un infinito serpente di persone che parlavano fra loro, che si conoscevano già o si conoscevano perché vicine, che sorridevano.
25 mila alle tre di notte non sono proprio 4 gatti. Sono 25 mila appunto.
Ho visto bambini tenersi per mano, ragazzini, adolescenti. Donne stanche ma con ancora addosso la voglia di sdrammatizzare: “Tu che sei alto che si vede?” e io anticipavo il percorso: “All’incrocio andiamo giù. Ora stanno girando. Si scende per via Strinella…”.
Ho visto un uomo anziano pregare inginocchio sul freddo pavimento di sampietrini della piazza. Ho visto universitari con al collo la foto di un loro amico sorridente, con l’alloro fra i capelli e una vita finita in una notte di merda. Una notte vergognosa, ma che c’è stata e che sarebbe un grande errore provare a dimenticare. Una notte ingiusta che l’amore, il buono, la dimostrazione, il calore, la vicinanza, le lacrime, gli abbracci, il silenzio rispettoso in quei lunghissimi 308 rintocchi, la dedizione, le mani, le carriole che secondo qualcuno non servono a niente, il lavoro onesto contro le risate dei criminali, il tempo, tanto tempo, dovranno riscattare. Questa è la missione degli aquilani: riscattare quella notte e dimostrare alla natura che se è vero che a lei bastano 30 secondi a rovinare 70 mila vite, a quei 70 mila potrà servire una vita intera, ma la loro città se vogliono (e vogliono) se la riprendono.
Che poi nella testa siano passate immagini inquinanti più del petrolio non è colpa mia. E non è neanche colpa mia che 25 mila persone non siano sufficienti a concedere il potere dell’invisibilità. E quindi ho rivisto e ho sofferto di rabbia.
Poi ho pensato che eravamo lì per motivazioni ben più importanti e allora ho scacciato quella rabbia che è tornata, perché non se n’era andata veramente, per uscire dagli occhi un’oretta dopo, in macchina. Quando mi trovo di fronte all’inconcluso mi sento inconcluso, che ha come conseguenza l’impotenza, la rabbia, poi la rabbia e pure la rabbia. Sarebbe una gran vittoria scavare nei più reconditi luoghi della mia mente e pescare da lì la saggezza per spegnere quella luce rimasta accesa, cementificare la mia vita dentro una cupola di mattoni, oppure ordinare ai miei uomini di scavare un fossato profondo che mi protegga dagli attacchi esterni e inaspettati. Vivo nel condizionale e finisce lì e così.
Questo è quello che ho scritto giusto un anno fa. (Abile mossa per cambiare argomento e tornare alle cose importanti. Comunque non l’ho deciso io che quell’altra non lo fosse.)

2 commenti su “È una festa notturna, non è un funerale

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