Sono reduce da una settimana di inutili corse. Appuntamenti e scadenze da rispettare, serate a cui avrei voluto mancare, ma non potevo. Mi fermo un attimo a pensare. Penso pure mentre corro; quando mi fermo, il pensiero si fa più ragionato. È meglio pensare da fermi. Lo analizzo assieme alla logica delle cose. Lo ricostruisco dal momento della sua venuta al mondo. Lo posso capire, perché mi focalizzo solo su quel pensiero.
Rifletto sulla disgrazia capitata a Francesco Pinna e di conseguenza sul bizzarro modo di muoversi del destino. Penserete che è un argomento ormai fuori moda. Adesso va tanto far finta di essere stato stuprato e denunciare un rom e bruciare i campi rom e sparare sui rom. [Poi, se i rom s’incazzano, c’hanno pure ragione.]
Non so perché la notizia di Francesco Pinna si sia così radicata nella mia mente da non permettere alle altre di acquisire un grado di priorità superiore. L’età del ragazzo forse: quei 20 anni che, quando li vedo negli occhi degli altri, penso sempre che sono l’età della vita, della passione e del ghiaccio che vuole gelare il mondo. Il lavoro che faceva al momento della tragedia, anche. Lavorava all’allestimento dell’enorme palcoscenico sul quale sarebbe dovuto salire Jovanotti, per la tappa triestina del suo Ora Tour 2011. Un’impalcatura ha ceduto; gli è crollata addosso causando la sua morte e il ferimento di diversi colleghi, uno dei quali ha dichiarato all’ANSA:
Sai quanto guadagna un ragazzo come lui? 5 euro l’ora. Si può morire per questo?
Se di euro ne avesse guadagnati 8 o 10, sarebbe rimasto più o meno lo stesso discorso: non si può né deve morire per questo. Il (mio) punto non è legato alla mole degli incidenti sul lavoro che non accennano a diminuire – solo per citare i cantieri, dovremmo raccontarne migliaia l’anno -, ma al significato che mi sono sentito immediatamente in dovere di dare alla disgrazia di Francesco Pinna. Cerco un senso nelle cose che un senso non ce l’hanno. [Vasco l’ha trovato nei suoi clippini francamente imbarazzanti. Beato lui!]
L’ho cercato nel terremoto e non l’ho trovato, per esempio. Lo cerco nella morte di un ragazzo 20enne che ama la musica, che si paga gli studi con un lavoro di facchinaggio e avrebbe speso quei soldi per il biglietto del concerto. Beh, non lo trovo, proprio no.
Jovanotti dice di essere devastato dalla notizia perché, quando si va in tour, ci si sente tutti parte di una stessa grande famiglia. Ma che dici, Jovanotti? Non è vero, non è così. Non c’è nessuna stessa grande famiglia. Ce ne sono molte, diverse, squilibrate per condizione di vita. Quella del 20enne, che inchioda ferraglie per pochi soldi, erige il trono sul quale si accomoda la star e muore, schiacciato dalla necessità del fasto, delle luci che non avrà, ma che si ostina a costruire. E quella di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, senza colpa, ci mancherebbe, ma che non c’entra proprio niente. I componenti di una grande famiglia si ritrovano la sera attorno allo stesso tavolo, dormono in stanze diverse di una casa comune, se sono lontani si telefonano. Perché, Jovanotti, devi dire che Francesco Pinna faceva parte della tua stessa grande famiglia? Perché lo devono dire gli altri cantanti, amici tuoi, che all’improvviso si sentono protagonisti di uno show che, per una volta, non prevede che siano loro illuminati dall’occhio di bue?
È vero che a ognuno tocca convivere col proprio destino. A Jovanotti il suo. E pure a Francesco. Distinti e lontanissimi. Altro che stessa grande famiglia. Questo volevo dire.
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