A caccia del saurogallo!

Sabato scorso sono stato a un mostra d’arte contemporanea al Palariviera di San Benedetto del Tronto. Non è stata una mia iniziativa (arte? parola derivante da? dal significato di?), ma di due cari amici che critici d’arte non sono (Vittorio S. era occupato), ma almeno dimostrano interesse. Sentivo una voce che m’incitava: Vai Matte’, fallo per una volta l’esteta, il teorizzatore di bellezza, lo storico d’arte! E allora siamo partiti a bordo della Mini di Daniele, che di mini ha soltanto lo spazio attorno al sedile del passeggero (va bene che sono diversamente alto, però…) perché a 180 km/h ci arriva in 7 secondi, ve lo posso giurare, croce sul cuore. Durante il viaggio ho capito cosa prova una sardina nel corso del lunghissimo processo di inscatolamento, e in più sudavo. A spingere Daniele e Fabiana (più Fabiana, ma pure Daniele) a questa mostra è stata l’idea di incontrare un tipo. Dico un tipo perché Alessandro Baronciani, che ho scoperto essere uno dei più apprezzati fumettisti italiani, intervistati da questo mondo TV e quell’altro, autore di molte copertine per gruppi editoriali faraonici, per me era Baro chi?!
(Ignoranza capanna!) (Per la cronaca sarebbe il ragazzo al centro della foto. E non dite che non c’ero perché c’ero! Dietro la fotocamera, ma c’ero!) Procediamo con un minimo sindacale di coerenza cronologica per favore.
Io e Daniele continuavamo a domandarci come mai Fabiana continuasse a domandarsi se quello, proprio quello, fosse il Palariviera. Se una cosa è una cosa, c’è poco da fare. Quello è. “È questo quindi il P-a-l-a…?!” “Sììììììì!” Ah ah. Nella vita bisogna pur aggrapparsi a qualcosa. E la nostra unica certezza su questa Terra, devastata dalla barbarie degli uomini predatori, era l’avere davanti il Palariviera, che poi non è altro che un cinema con al primo piano questi grandi spazi adibiti all’esposizione delle opere e fuori un parcheggio a pagamento.
È di certo un mio limite, unito all’ignoranza capanna di cui sopra, quello che m’impedisce di apprezzare certe espressioni definite arte contemporanea. Tipo c’era un cimitero fatto di croci dentro ai vasi. Su ogni croce c’era scritto il nome di un grande esponente letterario, o del cinema, o della musica, morto. Che ne so, c’era la croce di Oscar Wilde, quella di Totò, quella di Alda Merini, quella di Dacia Maraini… No, ancora non muore, ma se fosse morta ci sarebbe stata pure Dacia. Io naturalmente vedo e osanno l’arte dei crociati, ma c’è un ma. Perché ficcare una croce di legno dentro a un vaso di terra e incollarci una targhetta con inciso il nome di un grande del passato recente o remoto, e accostarla a un’altra e a un’altra ancora, dovrebbe fare di te un artista?
“Che ci vuole, possono farlo tutti!” “Ma se lo fai tu non è la stessa cosa!” Eh, ma perché?! Boh!
La stessa perplessità l’ho provata dinanzi alle opere di una fotografa, tal Chiara Francesconi che ha immortalato una casalinga tutta nuda, mentre assume pose plastiche su un tavolo o sul bancone della cucina, con la tetta che spunta dal grembiule e le bottiglie di olio sullo sfondo. Che dire di Sabrina Muzi che ha favorito la prostituzione di svariati frutti consanguinei, dando luogo a figli deformi e strane mescolanze genetiche. Una patata spinata. Una noce che emerge da un limone. I ciccioli delle patate che spuntano da una melanzana. Un mandarino trafitto da affilati fagiolini. Boh!
Mentre riflettevo assorto con gli occhi al soffitto e la bocca al calice di spumantino offerto gentilmente dall’organizzazione, capitava che urtassi oggetti qua e là che mi hanno spiegato essere delle istallazioni. Tipo dei sassi colorati buttati con apparente casualità. Arte, logica, istinti, forza d’animo, talento, non casualità. Oppure una scala fatta di ossa. Io cammino guardando l’orizzonte, mica posso immaginare che qualcuno abbia montato una scala di ossa lunga non so quanti metri, al centro della stanza, per il gusto di farmi inciampare, voglio dire.
Riecheggiava, a pochi passi dalle opere di Baronciani, il fumettista strafamoso, un verso inquietante. Proveniva da un computer aperto sul Mediaplayer che riproduceva il file dal nome ‘verso del saurogallo’. L’ignoranza capanna mi ha spinto al silenzio. Il saurogallo non l’ho mai sentito, questo non vuol dire che io debba mettermi a ridere all’idea di trovarmi in una stanza piena di roba che non comprendo con nelle orecchie il verso di un animale dal nome comico. Mica il tirannosauro, o il triceratopo, ma il saurogallo. Ve lo immaginate un gallo preistorico, magari alto venti metri e con la cresta spinata che all’alba si desta e sveglia tutti i suoi amici dinosauri augurando loro il buondì così: “UUUUHHHHIIIIII! (4, 3, 2, 1…) UUUUHHHHIIIIII… (4,3…)”. A un certo punto il verso s’è fatto uomo. Basito osservavo un ragazzo sui trenta, con la faccia color aragosta impiattata e gli infradito ai piedi. Scolava sudore mentre occupava la sua postazione, comodo comodo su un tavolino sopra all’altro su cui stava il computer, in una costruzione pericolosa e pericolante. È arrivato il saurogallo in persona. Non ci crederete, ma questa creatura dal coraggio eroico, servo dell’artista s’è fatto opera d’arte e, dopo aver preso fiato, con gli occhi fissi nel vuoto, di fronte alla perturbazione scioccata della folla, s’è messo a fare quello stesso verso pocanzi riprodotto dal Mediaplayer. “UUUUHHHHIIIIII, … , UUUUHHHHIIIIII…!”
Non riuscivo a smettere di ridere. Mi spiace per lui, ma non riuscivo. Vada per il cimitero di artisti, vada per le patate transgeniche, vada pure per la foto della casalinga porca e la scala di ossa, ma un uomo che si accomoda su un tavolino e si mette a fare un verso idiota e ridicolo affermando di essere intanto un’opera d’arte, visto che è in esposizione e non so se pure in vendita, poi un saurogallo, è davvero troppo. Insomma, Baronciani a parte (fatevi un giro nella rete, è proprio bravo, ma magari lo sapete già, perché a differenza di me, non vivete in una capanna di ignoranza), io di arte poca ne ho vista (o capìta, chissà). Poca, ma buona: quella indimenticabile frittura di paranza del ristorante di pesce Il Pescatore di San Benedetto del Tronto, per esempio e chi se la dimentica! Risveglio dei cinque sensi tutti e tutti assieme.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.