Supermarket24, capitolo 29: La Cagacazzi

Ecco l’ultima parte dell’intervista uscita su MRS. Subito dopo ho inserito un link dal quale potete leggere uno dei capitoli più divertenti del romanzo.

MRS, in ambito letterario, vuole essere una vetrina per gli scrittori giovani ed emergenti. “Supermarket24” è uscito nel 2010, ma ha alle sue spalle una lunga e tortuosa storia, piuttosto comune tra gli autori esordienti che cercano di pubblicare le loro opere. Puoi parlare brevemente del tuo primo, e non esattamente incoraggiante, approccio con il mondo dell’editoria?

Per fortuna Supermarket24 non è stato il primo approccio e l’esperienza che ho maturato con Non farmi male mi ha aiutato. Caparezza cantava: “Il secondo album è sempre più difficile…” e alla pubblicazione di Supermarket24 a un certo punto giuro che c’avevo rinunciato. Dopo tanto avevo trovato una casa editrice disposta a investire sul mio romanzo, si chiamava Edizioni di Latta, di Milano. Nata da poco meno di due anni, ma partita subito in quinta infatti aveva deciso di affidare la distribuzione dei suoi libri ad ALI che è uno dei maggiori distributori nazionali. Ero felicissimo. Il libro era ormai pronto, editato, copertina realizzata, scheda presente su tutte le librerie on-line, ma a meno di due settimane dall’uscita ufficiale cominciano a capitare strani eventi. Il sito della casa editrice sparisce dal web, la redazione non risponde più alle e-mail, gli autori mostrano preoccupazione e non trovano risposte finché non arriva la raccomandata con cui l’editrice Elena De Lalla comunica che la crisi dell’editoria e i troppi investimenti senza effettivi riscontri nelle vendite la portano a prendere la difficile decisione di chiudere e restituire così i diritti delle opere ai singoli autori ai quali augurava buona fortuna. È stato un colpo durissimo seguito una settimana dopo dal terremoto. Per mesi non c’ho capito più niente. Continuavo a chiedermi cosa dovessi fare, senza più un lavoro visto che era crollato, costretto a stare lontano da casa, perché le case che immaginiamo essere il rifugio dove stare al sicuro d’improvviso s’erano tramutate in mostri pericolosi, senza più un sogno perché avevo perso il mio editore. C’avevo rinunciato, solo che poi evidentemente la passione è più forte e le basta solo il tempo per rialzarsi e ripartire. Dopo un’infinita ricerca sul Santo Google mi sono imbattuto nella Camelopardus di Sara Saorin. Da lì un lungo dialogo non soltanto su Supermarket24. Beh, lei ha creduto in questo progetto e ha ridato vita ai miei sogni, per questo ha e avrà sempre un posto speciale nel mio cuore.

Tramite questo link raggiungerete direttamente la temibile Cagacazzi. Buona lettura!

Per Natale butta via il cuore!

Me ne accorgo poco prima, di quanto bene possa farmi liberarmene. Quei due istanti che bastano. Tenere premuto il pulsante e guardare il vetro del finestrino tornare indietro fino a sparire nella guarnizione di gomma. Sentire l’aria gelida che a settanta all’ora mi arriva in faccia in direzione contraria a quella delle ruote. Tenere fra le mani la bustina d’oro che sta lì da un tempo così lontano che non sembra neanche di questa vita; tenerla quel poco in più che basta a contare: sono appena trecento giorni. Gettarla fuori assieme al cuore di pezza e a un pezzo del mio. Chiudere il finestrino con in faccia la soddisfazione di un sorriso che dura poco, però leggero.
Il macigno precipita a terra, ben più pesante dell’evidente sottile consistenza. Impacchettato c’è tutto l’amore che avevo. Non so cos’è che l’ha tenuto nella tasca dello sportello fino alla Vigilia di Natale. Rimane sulla strada senza muoversi di un solo millimetro, mentre io mi allontano da tutto quello che restava. Dal momento che nessuna promessa dev’essere a senso unico e nessuna promessa dovrebbe tradire chi la fa, preferisco rinunciarci inteso come vivere senza. Preferisco vivere senza il battito malato di quella parte abbandonata al gelo. Le piogge, la neve, la terra smossa, i vermi e il silenzio che l’ha ricoperta, tenendola al caldo, hanno permesso alle creature di star bene dove stavano, star bene e moltiplicarsi, un anno intero, fino a marcire a Natale. Come mi sono sentito bene un istante dopo averlo fatto. Un piccolo pacchetto dorato che non vale niente di niente. Un piccolo pacchetto dorato che ho cercato un giorno intero a piedi di una domenica di un anno fa. Mi piacerebbe sapere di cosa è fatto il tuo cuore, bellissimo alla vista. Rosso, luminoso, che al sole incanta di rubino. Intaccabile mentre del mio ritaglio gli angoli anneriti e mi convinco di aver così eliminato il male.
Questo è il mio augurio. Liberati del passato, non dei dolci ricordi, ma dei sassi, dei pugnali alle spalle, delle promesse tradite prima ancora di essere recitate da occhi teneri. Liberati di tutto quello che ti tiene ancorato al tempo tuo, che desideravi potesse durare per sempre. Tu, mentre qualcun altro si preoccupava di tagliare i ponti e sparire. Getta via tutto e fallo nel modo meno delicato, fallo e basta. Ammirevole lo sforzo per non impazzire, con i piccoli oggetti della memoria a un passo da ogni cosa che fai. Ma basta! È il tuo turno, ovunque ti trovi. Adesso tocca a te sparire, capisci? Fallo come faresti con un fazzoletto di carta usato, e ti sentirai prima meglio e poi bene.

Domenica di ghiaccio e neve bruciati dalle parole di Iacopo Barison

Il venerdì 17 ha portato con sé un’energia bianca tale da aprire gigantesci squarci nel cielo da cui son venuti giù, su L’Aquila, sacchi di neve senza sosta, dal primo pomeriggio fino a ieri mattina. Me la sono vista brutta sul ciglio della salita, quando l’automobile davanti a me ha deciso, non so quanto giustamente, di fermarsi al bivio – uno può anche buttarsi nell’incrocio senza guardare, no?! Mi son dovuto fermare pure io solo che poi quella è ripartita, io spruzzavo schizzi di fango e neve dalle gomme, ma non mi muovevo di un millimetro e, se mi muovevo, era al passo del gambero. Sarà mica perché le antineve sono le stesse da dieci anni?
Ho visto anche alcuni sciatori gareggiare nella specialità del fondo, sulla statale; bimbi fare a palle di neve fra le macerie e vecchie godersi i giorni natalizi sulle scalette di invidiabili baite che, da più vicino, sono grandi cucce per cani che addormentano persone che una casa non l’hanno più. Comunque sono sopravvissuto alla nevicata+gelata e adesso mi aspettano tre giorni di riposo, inteso come non dover mettere piede in quel postaccio puzzolente in cui ogni giorno assemblo panini americani e friggo le “insuperabili Mc papatine”, ma avrò altro da fare. Potrei, per esempio, mettermi a studiare sul serio per questa stramaledetta tesi, come stramaledetta sia la facoltà di Informatica e stramaledetti tutti gli esami da dieci anni a questa parte. Ok, mi sono sfogato.
Ogni tanto ho bisogno di dire stramaledetta e stramaledetti se no esplodo. Potrei studiare, ma di sicuro rifinisce che scrivo. Il sole fuori la finestra non aiuta i miei doveri di studente fuoricorso e fuori ormai da tutte le logiche di una strada che passo passo ti porta da qualche parte e che non ho ancora imbroccato, o forse su quella strada ci sono nato e non lo so ancora. Io resto fermo, mi addormento e faccio incubi, moderati pure quelli, mangio troppo e nella testa, se potessi guardarci dentro, vedrei un mare di nebbia che si dissipa solo di rado e poi ritorna spazzando le immagini dei ricordi. Il cielo è tornato bianco e ha ingoiato il sole. Non vorrà mica ricominciare a nevicare?!
C’è un libro che ho letto e di cui vorrei parlarvi. Non lo conoscerà nessuno perché a pubblicarlo è stato un editore di quelli che si danno tanto da fare, ma che, quando chiedi un loro titolo, il libraio o ti fissa come se stessi pretendendo un etto di prosciutto cotto Rovagnati a Decathlon, oppure ti dice che il libro non esiste, certe volte pure l’editore. L’autore è Iacopo Barison, è giovanissimo, ventidue anni, e ha già dalla sua uno stile limpido, secco, efficace, irriverente. Era un po’ che non recensivo libri, ’28 Grammi dopo’ mi ha fatto tornare la voglia di farlo, così l’ho fatto.
Ecco la recensione per Sololibri.net. A chi volesse acquistarlo consiglio di evitare gli sfiancanti confronti coi librai e ordinarlo direttamente dal sito dell’editore che fra l’altro, noto, sta facendo i saldi natalizi.
Buona domenica a tutti!

Chissà se il camionista, che sarebbe dovuto giungere a L’Aquila a scaricare insalate e pomodorini al Mc Donald’s e invece è rimasto bloccato trenta ore sull’autostrada nei dintorni di Firenze, è sopravvissuto. Trenta ore senza che nessuno sia andato a portargli una coperta, né qualcosa da mangiare e bere. Un po’ vergognoso, nonostante lo scatenarsi della Natura.

Accattateville ‘Più libri’! Faciteme ‘stu piacere ia!

Non credevo che il primo ostacolo da superare sarebbe stato all’ingresso e non per le immaginate code chilometriche che non abbiamo trovato. Sarà che non eravamo al concerto di Lady Gaga, ma a Roma, alla fiera della piccola e media editoria ‘Più libri più liberi’, e in Italia sono di gran lunga più i fan di Lady Gaga che i lettori dell’infinito leggibile. La biglietteria è separata dal portone del Palazzo dei Congressi da una scalinata che abbiamo salito prendendo a gomitate gli uomini dalle mani cariche di decine di libri su toccanti storie d’Africa, nera come la pelle. Io non nutro pensieri cattivi, non nei loro confronti e non a prescindere, però, se non sono interessato, tu non mi puoi prendere per un braccio e impedirmi di ignorarti. Restano poche libertà riconosciute in questa vita, non toglietemi pure quella di far finta che chi voglio non esista. A gomitate presunte, in certi casi reali, raggiungiamo l’ingresso. Sono due piani di stand dedicati alle piccole e medie realtà editoriali, come suggerisce il nome della fiera, tipo Sellerio, Voland, Il Saggiatore, Castelvecchi, Fanucci, Minimum Fax… Questa cosa non mi è mai piaciuta e sembrerebbe che stiano lavorando proprio in tal senso. Lo dimostra l’esclusione della Fazi e l’autoesclusione della Newton che, per voce dello stesso direttore editoriale Vittorio Avanzini, in un’intervista su Affari Italiani fa sapere che la sua casa editrice non è né piccola né media (l’unico a far finta di non capirlo era lui, mi sa). La Newton in effetti è la sesta realtà editoriale italiana con un fatturato di milioni di euro l’anno. Pertanto la decisione di lasciare la fiera ai piccoli, quelli veri, è stata buona e giusta. Mi arrabbio non perché non sia emozionante scorrere gli stand e scambiare qualche chiacchiera con chi manda avanti i colossi editoriali. Mi arrabbio perché lo spazio fisico è limitato, nonostante sia vastissimo è pur sempre un palazzo, mica una landa sconfinata, e questi qui hanno le porte spalancate a qualunque fiera. Uno stand di mezzo metro quadrato, pur perdendosi nell’oceano di tutti gli altri, è uno spazietto fondamentale e preziosissimo e non fa al caso di chi ha già dalla sua una sovraesposizione libraria in grandi e piccoli store, catene e librerie indipendenti, supermercati, bazar, mentre tanti piccoli editori appassionati si ritrovano a fare cin cin, al tavolo degli adorabili sconosciuti, per una libreria in più conquistata da un proprio titolo o per una recensione su un blog che tocca picchi di dodici visite giornaliere, e a vantarsi pure.
“Sai che ‘Leggolibridallamattinaallaseratrannequandofacciopipì’ ha recensito la nostra ultima uscita ‘Lo chiamavano Dentone’?” “Che invidia! Invece la nostra autrice Barbaria Pestaerba sarà ospite dell’ultima puntata di ‘A me mi piace’ la trasmissione di culto di La 140 TV, non è pazzesco?”
Sono contento per Fabio Geda e per il suo romanzo ‘Nel mare ci sono i coccodrilli’ che si è aggiudicato il “Libro dell’Anno” di Fahrenheit proclamato e premiato nell’ultima giornata di fiera al caffè letterario al primo piano, in diretta su Radio 3. Niente da dire su un libro che non ho letto, ma pare valga la pena farlo, però ci risiamo. Baldini & Castoldi Dalai non è proprio un piccolo o medio sgomitante editore (attualmente secondo in classifica col nuovo libro di Faletti, per dire). Mi domando se non sarebbe stato più carino (o giusto) assegnarlo a Cristiano Cavina o a Paolo Piccirillo e al suo ‘Zoo col semaforo’ pubblicato da Nutrimenti, ma è la gente attraverso internet a votare e quindi non mi sorprende la vittoria del più noto e più letto (ovvio!) dei dodici libri del mese. È come Sanremo, che lo vince Marco Carta e l’anno dopo Valerio Scanu. Il televoto, questo è il tarlo.
C’è di buono che quando meno te l’aspetti arriva l’amore, ma non quello che passa e va, quello di una toccata e fuga, quello del bacio rubato e chi s’è visto s’è visto. L’Amore con la a maiuscola, quello della vita che lo sai dal primo istante che durerà tanto, pure se lo conosci da più di dieci secondi e meno di un minuto. Io l’ho trovato al piano terra del Palazzo dei Congressi. Ve lo presento, si chiama Racing Green ed è il nuovo eReader della Simplicissimus. Io che mai avrei detto di poter leggere un libro senza sentire la familiare sensazione del contatto e del profumo della pagina, non riuscivo a staccarmi da QUESTO gioiellino verde acido che mi regalerò più prima che poi. Non è retroilluminato e la lettura non solo non stanca, ma le dimensioni, l’impaginazione e il carattere che puoi scegliere e ingrandire come vuoi, la rendono addirittura piacevole. Lo amo. Racing, vuoi sposarmi e venire via con me in viaggio di nozze con duemila libri dietro al peso complessivo di centosettantotto grammi? Sì, sì, sììì!
A chiudere la manifestazione diversi incontri. Sara Saorin, la mia editrice, è stata invitata a parlare della doppia esperienza di traduttrice ed editrice assieme. Si è confrontata con altri due editori di nicchia oltre che sul fascino della scoperta di storie lontanissime da portare in Italia, anche sulle difficoltà della piccola editoria e su quanto ci si possa ritenere fortunati intanto a mantenere la casa editrice prima ancora che a guadagnarci qualcosina. La sala Ametista era piena zeppa e io, il suo autore preferito (me lo dico da solo) costretto a stare in piedi, in fondo, con la schiena contro il muro e il giaccone in mano.
Oltre alla maschera di fiera per la piccola editoria a camuffare i grandi gruppi che ci magnano sempre, due altri sono stati gli aspetti un po’ fastidiosi. Il caldo, dio mio l’anno prossimo fate qualcosa, perché non si sopravvive lì dentro a quella temperatura e con tutti quei fiati che appesantiscono l’aria. E poi la tendenza alla svendita da bancarella. Cartelli di Tutto a Cinque Euro capeggiavano su molti stand; appena ti avvicini, l’essere umano preposto alla vendita ti risucchia nel suo mondo e non ti libera finché non sei tu a liberare dieci, quindici euro. Non mi piace il paragone dei libri alle mutande di terza scelta, in virtù di una crisi di cui ci hanno fatto le palle piene e grosse come mongolfiere. Ci mancava solo un megafono urlante: “Accattateville! Faciteme ‘stu piacere ia!”. Se un libro costa quattordici euro, vendilo a quattordici euro, vendilo a dodici, a dieci tiè, non a cinque, neanche fosse l’ultimo pomodoro molle avanzato nella cassetta del mercato a fine giornata. I libri meritano rispetto e mi aspetto che gli editori siano i primi a riconoscerglielo.

Resoconto e video dell’avventurosa presentazione romana

Nell’aria distinguibile l’odore delle prime avvisaglie che precedono una serata avventurosa. Frank, che di solito è sempre in largo anticipo, arriva a casa, per la prima volta nella sua vita, con due minuti di ritardo. Devo prelevare e mettere benzina. Il bancomat di fiducia è fuori servizio. Ne troviamo un altro. Il traffico ci ingabbia. Chiamiamo Papi che ha appena staccato dal lavoro e ci dice che fra dieci minuti ci aspetta fuori assieme a Veru e Fabrice. Dieci minuti sono anche troppi per la distanza che dobbiamo colmare e invece a L’Aquila, per fare duecento metri alle sei del pomeriggio, di minuti ne impieghi quaranta. Qui ormai versano in stato tanto confusionale che si svegliano la mattina e ridisegnano le strade in modo molto creativo. Pieno di benzina e pieno in macchina. In cinque e Veru dice che secondo lei nella mia macchina in tre dietro non si può stare perché è stretta. E questa è la prima di tante cose che nel corso della serata le daranno fastidio. (Veru, loviù!)
Mangiaparole, il caffè letterario della presentazione, sta a Roma, in via Manlio Capitolino e allora Papi, da brava mamma del navigatore satellitare, seleziona Italia, città: Roma e scrive Via Manlio Capitolino numero civico 7, o almeno è quello che lei dichiara di aver fatto. Che il navigatore non fosse in giornata l’ho capito quando ha tentato di farmi imboccare tutte le uscite possibili e immaginabili della L’Aquila-Roma, pure quelle dei paeselli schifati persino dal nonno di Heidi. Non me ne sono più di tanto preoccupato, a Roma ci so arrivare. Il problema lo affronteremo dal casello in poi, sperando che il navigatore si riprenda. Così non è, le condizioni di quella diavoleria peggiorano al punto che prova a convincermi che mancano sempre due minuti alla destinazione. Lo dice alle 19.00, alle 19.20, alle 19.45, i due minuti sono sempre due minuti, nonostante siano passate due ore. Dopo un’infinita serie di Sto ricalcolando il percorso perché io sbagliavo a imboccare le vie, o lui sbagliava a segnalarmele, o il carro armato che la Papi in una notte di alcool deve aver scelto come icona mobile, si muoveva sul monitor così lento che mi diceva di girare un quarto d’ora dopo che avevo girato, o io non ci capivo niente con quella striscia viola che dovevo seguire, sarà per la tensione che si respirava, le lacrime che rigavano il viso della Papi e io che le dicevo: “Sì, ma tu che lo sai interpretare, che quando sei andata a Firenze ci sei arrivata davanti all’albergo, dimmi che strada devo prendere!” E lei biascicava: “Eh, adesso dice che…” “Dice che?” “Che devi gira’, no…” “Forza che c’è il bivio!” “Non lo so, non lo so!” PE-PEEEEEEEEE! “Aho, te levi da ‘mezzo ai cojoni?” (Comprensivi i guidatori per le strade romane.)
Fra duecento metri mantenere la destra. Mantengo la destra e… Sei giunto a destinazione. “Miracolo!”
S’insinua un dubbio. A destinazione sì, ma dov’è Mangiaparole? “Va be’, starà qua vicino” biascica Papi sempre più disperata, perché lei dentro di sé ha capito. Villa Borghese Parking. Io, come trascinato da una forza sovrannaturale, non so ancora bene perché, ci entro dentro. Chiamo Luca Sacchieri, l’altro autore, gli chiedo se Mangiaparole sta vicino al parcheggio di Villa Borghese. Ovviamente è dall’altra parte di Roma, sulla Tuscolana e manca mezz’ora alla presentazione. Dobbiamo uscire da qui. I parcheggi sono come la droga: ci entri gratis e ne esci a caro prezzo, un euro e settanta in cambio della libertà. Mi accosto qualche istante al lato della sbarra alla ricerca del segreto per farla alzare visto che la macchinetta non ha la fessura per inserire il denaro, e un rincoglionito a due chilometri orari mi tampona. Dopo la costatazione molto amichevole culminata con un: “Mi scusi eh, ma questa è l’ennesima prova che dopo i sessant’anni dovrebbero togliere la patente a tutti” riprogrammiamo il navigatore secondo le indicazione di Sacchieri e arriviamo sulla Tuscolana. Tutto questo alle nove passate, da poco però, nonostante qualcuno mi aspettasse da più di un’ora e non perché affetto da una curiosa sindrome della dolce attesa, ma perché gliel’avevo detto io che sarei arrivato un po’ prima per vedere la situazione. Invece sono arrivato un po’ dopo e la situazione era di decine di persone pronte a sbranarmi, non prima di aver finito il buon vino bianco nei calici.
Ho subito provveduto a farmi fare un doppio Bayliss, l’unico super alcolico in loro possesso, al quale bicchiere ne ho fatto seguire un altro di vino, e puntuale è arrivato il piacevole effetto.
Il pubblico folto e al loro posto.
Pronti via.
Ce la siamo cavata, nonostante fossimo rifiniti a parlare di gggiòòòvani e lavoro, gggiòòòvani e precarietà, i gggiòòòvani e il loro grande cuore. Non potevamo evitarlo visti i protagonisti dei nostri romanzi. C’è stata una bell’intesa e credo sia venuto fuori quello che avevamo l’urgenza di raccontare, quello che ci spinge ogni giorno a buttar giù dita e occhi sui tasti e non fermarci finché si può, quello che vive nei nostri libri. Io c’ho messo l’aspetto della mia personalità che non si abitua mai al contesto e va da sé, pronto a dissacrare le atmosfere seriose e a strappare una risata. Pur provandoci, quello a freno non lo tengo mai.
Grazie ancora a Luca Sacchieri di aver voluto condividere con me quest’esperienza. Grazie a Frank, Papi, Fabrice e Veru di aver riempito il viaggio di risate. Grazie a Vale e Raffy e poi ai simbiotici Alessandro e Marta, Luigi, Simone, Daniele (Geniale), Dani e la sua amica giornalista che è arrivata alle undici e, come promesso, scriverà del dopo presentazione (ah ah ah!), Andrea, Nicola, Rachele di SoloLibri e suo marito, Stefano Giovinazzo per aver pubblicato Luca, Sara Saorin per aver pubblicato me, Mangiaparole per averci ospitato e tutti coloro che hanno scelto di riempirlo e dedicarci un paio d’ore del loro tempo. Grazie a chi ha acquistato Supermarket24, conoscenti e non che spero mi faranno sapere cosa ne pensano. Tutti costoro sappiano che sono pronto a rimborsarli con gli interessi.
Questa era certamente l’ultima presentazione di Supermarket24 del 2010 di cui resta un documento video grazie al signor Mangiaparole che ha ripreso tutto e l’ha montato in sei minuti (io sono troppo scemo e il maglioncino è prugna non nero), ma non finisce qua (non finisce mai qua!) e allora ripartiamo il 2011, non so bene quando e da dove, ma so che sarà bello.

Attenti a quei due!

Quella che pare una normale presentazione letteraria doppia invece nasconde invidie, riti oscuri, istinti omicidi latenti. Queste le scottanti rivelazioni che ho fatto ai microfoni di SoloLibri.net e, se io fossi in Luca Sacchieri, mi preoccuperei!

Matteo Grimaldi ci segnala la Sua prossima presentazione del libro “Supermarket24” a Roma e ci racconta la lunga strada da aspirante scrittore fino alla pubblicazione di due libri, entrambi rigorosamente senza contributi e con diverse ristampe sulle spalle. Un dietro alle quinte di come sia nata questa presentazione raccontato qui per noi da Matteo…

- Ciao Matteo. Dopo molte peripezie, il tuo primo romanzo raggiunge anche la capitale! La tua sarà una presentazione doppia con un altro scrittore, che non conosciamo. Che ci puoi dire di lui?

Venerdì 3 dicembre presenterò a Roma (Caffè Letterario Mangiaparole – Via Manlio Capitolino 7/9 (Metro Furio Camillo) ‘Supermarket24’, insieme allo scrittore Luca Sacchieri che invece parlerà del suo ‘Boing Generation’.

Di Luca Sacchieri ho un’intera storia da raccontare! Me lo ricordo quando a diciotto anni vinse un concorso letterario col suo primo romanzo ‘Tributo a un ragazzo che come me’. Me lo ricordo perché io di anni ne avevo uno in più e lo invidiavo a morte. Scrivevo storie deliranti, piene di avverbi e paroloni desueti e orrendi, abusandone per convincere lo sfortunato lettore delle mie somme qualità. Non solo nessuno mi premiava, ma qualche amicale editore mi prendeva pure a male parole, invitandomi a cambiare mestiere. Nel frattempo, il ragazzo prodigio Sacchieri pubblicò il secondo romanzo ‘C.H.A.T’ con la Fermento e io continuavo a scrivere di stragi di condominio e a implorare chiunque di leggermi. Niente, non c’era verso di riuscire a farmi pubblicare neanche una parola, una sillaba. C’è mancato poco che realizzassi un bambolotto voodoo con qualche pezza dei suoi jeans o una sua ciocca bionda e sfogassi il mio rancore traforando la spugna con uno spillone… ZAC, ZAC!

- E poi come è continuato il tuo percorso di aspirante scrittore fino alla pubblicazione del tuo primo libro di racconti?

Con il tempo le cose cambiarono. Cominciai a pubblicare racconti in antologie, cinque poesie, finché non avvenne il miracolo e nacque ‘Non farmi male’. Grazie all’affetto – più compassione, direi – dei lettori della Stanza del Matto, che allora toccava picchi di contatti giornalieri vertiginosi, il libro raggiunse la terza ristampa. Mollai il monitoraggio silenzioso di Luca Sacchieri per dedicarmi alla scrittura e a tutti i nodi irrisolti della mia vita. Poi c’è stato il terremoto de L’Aquila (dove vivo) e, dopo una travagliata agonia editoriale, riesce ad uscire ‘Supermarket24’.

- Terminata la fase “invidia”, quado hai ritrovato sulla tua strada Luca Sacchieri?

Per caso quest’anno, quando scoprii il suo ultimo romanzo ‘Boing generation’ nel catalogo della casa editrice romana ‘Edizioni della Sera’. A caldo mi venne voglia di tirar fuori dal baule degli oggetti dimenticati il bambolotto voodoo, dargli una scrollata dalla polvere e riprendere il rituale, perché lui è sempre un libro avanti a me. Invece, ho avuto modo di conoscerlo e scoprire un bravo scrittore e un ragazzo che ragiona bene, simpatico e stimolante. Quando gli ho raccontato della mia giovanile ossessione nei suoi confronti, si è messo a ridere, non sapendo di aver avuto uno stalker alle calcagna.

- Come è nata l’idea di una presentazione doppia?

La buttammo lì: “Facciamo una presentazione insieme a Roma?”. Luca venne a L’Aquila per incontrarmi, parlare di libri, (non soltanto dei nostri, che intanto ci eravamo scambiati), farci venire mezza idea su come realizzare la presentazione (che alla fine non è venuta), e vedere la situazione odierna della mia città. Non si aspettava di trovarla così: ferma, silenziosa, arresa. Fuori di qui dicono che è tutto apposto, che L’Aquila è stata ricostruita. Berlusconi parla di miracolo aquilano e buona parte dell’Italia ci crede finché gli occhi non vedono. Non è possibile modificare le immagini che gli occhi catturano: quelle nessuna campagna mediatica o elettorale, nessun telegiornale, nessun tono di voce può stravolgerle, perché io ai miei occhi ci credo e come me Luca Sacchieri che ha voluto non fidarsi delle parole dei potenti e camminare queste strade obbligate, per poi raccontare attraverso il suo blog (http://lucasacchieri.blogspot.com/), senza filtri, dai suoi occhi.

- Hai letto “Boing Generation”: dacci un anticipo di cosa ne pensi…

Leggendo ‘Boing Generation’ scopro che intanto io sto attraversando proprio la fase dei protagonisti del libro. Potrei salire su un’automobile a caso e mettermi in marcia verso il niente, purché sia lontano da qui e da quello che faccio tutti i giorni per necessità. La cosa mi incuriosisce e preoccupa allo stesso tempo: non è detto che a un certo punto non scappi sul serio. Poi scopro che Luca Sognatore, il protagonista del mio ‘Supermarket24’, potrebbe tranquillamente trovarsi in macchina con me, o con i ragazzi della generazione Boing, che si costruiscono una corazza che li difenda dai fallimenti, che saltellano senza mai trovare un pezzo di terra su cui mettere radici, che scappano senza marsupio perché finora non hanno trovato niente di fondamentale da portare con loro.

- Non ci resta che ripetere tutti i dati per vederti dal vivo e ricevere il tuo invito…!

L’appuntamento è per Venerdì 3 dicembre alle 21.00 al caffè letterario Mangiaparole, in via Manlio Capitolino 7/9, fermata metro Furio Camillo. Oltre a me, ci saranno Luca e il suo editore Stefano Giovinazzo e, si vocifera, qualcosa di simile ad un aperitivo per tutti i presenti. Siateci pure voi.

Ecco l’invito all’evento su Facebook: http://www.facebook.com/SoloLibri.n…

Ringrazio Rachele Landi e l’articolo lo trovate pure laggiù.

È morto Andrea De Carlo

Mi dico che non posso fargli questo, ma devo anche e soprattutto per chi ama la lettura e la letteratura, che può destinare diciotto euro e cinquanta all’acquisto di tre o quattro tascabili o di un classico o di una stecca di preservativi, ma non all’ultimo romanzo di Andrea De Carlo. Sì, l’ho sempre difeso. Sì, è l’autore dei miei sogni di adolescente scrittore, quello che mi ha fatto commuovere e sognare e poi ancora commuovere e sognare. Finché ha cominciato a tentennare e m’ha fatto piangere, altro che sognare, ma ci arriviamo fra un po’. Da ‘Giro di vento’ ho cominciato ad avvertire avvisaglie preoccupanti. Più che di roboante aria delle montagne mi dava la sensazione di un giro di pagina e un altro ancora e poi subito via alla prossima purché scorresse veloce e indolore e magari sparisse prima che a qualcuno venisse in mente di accostarlo a ‘Due di Due’ per esempio, nonostante a un certo punto mi pare che si fondano per tematiche, descrizioni. Alcuni lettori hanno provato a sostituire un capitolo di uno con uno a caso dell’altro e il risultato era perfettamente coerente. Ripetitivo e dimenticato alla nascita, per fortuna. ‘Mare delle verità’ porta con sé un’unica grande verità, evidenza per tutti meno che per l’autore che, altrimenti, suppongo avrebbe passato il dattiloscritto nel tritacarta invece che consegnarlo alla Bompiani. La verità di cui sopra è lampante e grida: “Lo stiamo perdendo! Defibrillare!” zzzTUM! “Ancora, forza!” zzzTUM! La sequenza di scosse elettriche torna a far battere il cuore restituendo alla sua penna un ispirato e insperato senso di esistenza che permette alla piantina di germogliare e dare il raro frutto, gustoso stavolta e pure colorato. Sugli scaffali delle librerie fa la sua comparsa il rosso tramonto di ‘Durante’ che m’incanta e mi rassicura: Andrea De Carlo è riuscito a lasciarsi alle spalle l’acqua sporca della sua imitazione. E allora ‘Leielui’ me lo vado a prendere con la forza. Mi ricordo il pomeriggio di ottobre quando ho sfoderato davanti al libraio indaffarato il sorriso del bianco dente, capace di ritinteggiare le pareti e pure far brillare la vetrina che neanche Fairy active caps per lavastoviglie, nella quale vetrina – sacrilegio! – mancava proprio ‘Leielui’.
“Ancora non mi arriva.”
“Ma è uscito, come non ti arriva?”
“Quando è uscito?”
“Oggi.”
“Eh, allora sarà in uno di quegli scatoloni che mi ha consegnato il distributore stamattina.”
“Sono le sei di sera e tu non hai ancora aperto gli scatoloni che ti hanno consegnato stamattina?”
“È stata una giornata impegnativa. Ripassa domani che lo trovi sicuro.”
“Ma io lo voglio adesso. Non posso tornare a casa col pensiero che il libro sia in uno scatolone chiuso davanti a me. Apriamoli tutti!”
Morale della favola uscivo eccitato e saltellante come una scolaretta col nuovo disco dei Backstreet Boys quando i Backstreet Boys riempivano i palazzetti e ballavano le coreografie, mica di Garrison però. In macchina non riesco a resistere e guidando leggo o leggendo guido. Il volante lo giro con lo spigolo del libro e guardo la strada solo quando serve; la vita per le prime pagine del nuovo libro di Andrea De Carlo posso anche rischiarla, no?!
E qui finisce il bello e comincia il duro scontro con la realtà, quella immodificabile delle parole: il nero su bianco che vale, attesta e prova. ‘Leielui’ non è una storia d’amore e neanche una storia di passione e nemmeno di emozioni. ‘Leielui’ non è una storia perché la storia è mancante, non pervenuta, deficiente (non rivolto a te che leggi, ma alla storia), assente, evaporata, mai esistita. Dov’è la trama? Dove sono gli incontri, i sentimenti, il conoscersi, l’amarsi, l’odiarsi, il ritrovarsi, tutto quello che Andrea De Carlo aveva promesso al lettore attraverso i fastidiosi video di dieci secondi con cui ha infestato You Tube come neanche Gemmadelsud aveva osato. Dove?
Non c’è nulla di quanto detto né di più, punto. Così è, ma questo lo si scopre verso pagina cinquecento. È un libro troppo e inutilmente lungo, non soltanto per il numero di pagine; con descrizioni di quotidianità inutile, di sensazioni inutili, di luoghi inutili, di scene inutili e pure ridicole, di dialoghi irreali e ovviamente inutili. Ha il sapore del brodo di pollo allungato con un litro e mezzo di Rocchetta naturale. Piezzo zeppo di inutilmente, drammaticamente, naturalmente, semplicemente, serenamente, dolcemente, dannatamente, pavoneggiosamente (eddai!) che a un certo punto mi è venuto il cannibalesco istinto di inghiottire i miei stessi occhi pur di non poter leggere più. Per non parlare dei refusi, gettati come semi qua e là e se questo è il risultato della terza rilettura, come De Carlo (un tempo avrei detto Andrea, adesso dico De Carlo) scrive nell’avvincente racconto della genesi di ‘Leielui’ che fa sul blog del suo sito ufficiale, mi astengo dall’immaginare cosa potesse nascondere la prima stesura. Una selva di mostri pronti ad azzannare la lingua italiana, digerirla e ricagarla sottoforma di nere palline di merda di coniglio che si disperdono nell’ambiente, e nessuno si lamenta perché sta diventando normale non saperla parlare. Quando ho letto: la chitarrina che le aveva regalato l’hanno scorso mi sono accasciato a terra KO e avoja a contare fino a dieci, cento, un milione. Neanche un flebile istinto alla vita, niente e non è (tutta) colpa sua. Quel tutta vuole dire che io lo so bene che De Carlo sa che anno solare, inteso come somma di dodici mesi, periodo di tempo composto da trecentosessantacinque giorni, giorno più giorno meno, febbraio bisestile più, febbraio bisestile meno, non vuole l’acca. Come probabilmente sa che un altro non vuole l’apostrofo e che sarebbe carino che non manchino lettere dentro le parole o intere parole nelle frasi e via dicendo. Lo sa, ma può scappare. A lui, ma al correttore di bozze no. Questi signori sono (mal) pagati (ma nessuno li obbliga a fare quel mestiere che come tutti i mestieri andrebbe fatto bene) per scovare la merda ed eliminarla. Se non lo fanno vanno fucilati perché rovinano il libro e non vale il discorso: “Eh, ma ce l’ha infilato De Carlo l’errore”. No, perché a De Carlo può scappare a te no, perché tu sei pagato per non fartelo scappare. Se è vera la diceria che Andrea De Carlo non permette a nessuno di toccare i suoi libri, che per mano del correttore di bozze non ci passano, allora mi rimangio tutto e gli dico: Bravo stronzo!
Io non voglio dire che ‘Leielui’ (che fatica scriverlo attaccato, ogni volta mi tocca tornare indietro e cancellare gli spazi) è brutto perché accudisce e nutre i refusi. ‘Leielui’ è brutto perché è brutto. Fortuna che De Carlo partecipa alla campagna Scrittori per le foreste, e che per la stampa dei suoi libri non è stato fatto fuori neanche un alberello, se no sarebbe stata una strage doppiamente inutile. È sempre inutile tagliare gli alberi per produrne carta visto che si può ugualmente, lasciando gli alberi lì dove stanno, ma stavolta avrebbe come aggravante la cattiva qualità, una morte per nulla insomma. Il finale non lo voglio proprio commentare, anzi sì. Lui che insegue lei, come fa per tutto il romanzo, fino a Vancouver dove lei era fuggita dopo aver scoperto che lui è un donnaiolo e averlo scoperto proprio dopo aver trovato il coraggio di lasciare Stefano, il ragazzo mummia di quelli che spesso compaiono nella letteratura decarliana (plin plon: neologismo), che vuole sposarla e condividere la vita con lei, ma lei vuole lui che non vuole lei che scappa a Vancouver, capì?! Lui la insegue e senza sapere quale aereo prenderà, dove andrà a vivere, a che ora arriverà, il nome di qualcuno, la via di qualcosa, un cazzo di tutto, lui la ritrova a Vancouver sopra un aliscafo e nella notte si butta in mare urlando il suo nome. Lei lo sente, ferma i motori e si amano per sempre.
Andrea, ti giuro ho amato quattordici dei diciassette libri che hai scritto e ti ho difeso contro chi festeggiava la tua fine, ma stavolta no. Stavolta no.
Non escludo che tornerò a leggerti, non escludo neanche che domani esco, compro un Turista per sempre, gratto e vinco tutta quella roba per vent’anni. Ciao Andrea, ti ricorderemo così, fra gli sguardi avventurosi di Guido Laremi, la complicità con Mario, e un ‘Due di due’ lontano anni luce, che non ci credo più che l’hai scritto tu.

Se Supermarket24 diventasse un film chi potrebbe interpretare Luca Sognatore? – Intervista di Carlotta Pistone.

L’intervista è stata pubblicata sul portale MRS. La trovate, oltre che quaggiù, anche LAGGIù.

Cosa significa per te essere scrittore?
Non lo so. A me piace definirmi scrivente, solo uno che scrive, non uno scrittore. Essere scrivente è aver dentro l’urgenza di raccontare, anche senza ricevere niente in cambio. È come una macchina che sa fare solo una cosa: scrivere.

Cos’è per te un romanzo?
Un viaggio low cost. Puoi andare in qualsiasi parte del mondo, vivere avventure straordinarie senza aver bisogno di una settimana di ferie e di un mese di stipendio fra voli e alberghi.

Quando hai sentito di esser stato morso per la prima volta dal talento per la scrittura?
Ho la sensazione di aver sempre tentato di arrivare più in là di quanto meritasse il mio “talento”. Dalla maggiore età scrivo con costanza. Mi prendo un po’ più sul serio adesso.

Che percorso hai seguito per arrivare dove sei oggi?
Ho vinto tre o quattro concorsi letterari con racconti brevi fino alla pubblicazione di Non farmi male, facilitata dal fatto che avessi un blog molto visitato. Poi il vuoto dovuto alla chiusura della casa editrice che doveva pubblicare Supermarket24, il terremoto e il buio che ne è seguito, finché non è arrivata Sara Saorin con la sua Camelopardus edizioni di Este. E luce fu!

Fisso o precario (come stato mentale, non solo come dato di fatto)?
Precario (spero) a termine, perché la mia isola felice, quella in cui resterei a tempo indeterminato, è ancora lontana.

3 aggettivi per definire L’Italia e gli italiani
Creduloni, chiacchieroni, rustici gli italiani. Ricca, generosa e abusata l’Italia.

Cosa manca secondo te al nostro paese per essere migliore?
Nella situazione attuale direi che è più difficile peggiorare. Per migliorare basterebbe un governante che non abbia seconde, terze, quarte entrate di denaro, per esempio.

Cosa significa avere un figlio nel 2010?
Anche qua l’esperienza non mi permette di risponderti come vorrei perché io un figlio non ce l’ho. Direi che nel 2010 un figlio non è solo il dono di una Provvidenza generosa, come poteva essere quando di figli se ne facevano pure tredici e si campavano tutti con la fatica e col sorriso, ma il frutto di una decisione che purtroppo dev’essere presa con giudizio e una lunga lista di calcoli che cominciano dallo stipendio e dal lavoro e finiscono alla stabilità della famiglia, all’amore e ai sentimenti che non, si capisce bene perché, si dimostrano sempre meno resistenti al tempo.

Libro e autore della tua vita?
Dico Novecento di Baricco, Due di due di Andrea De Carlo, Anna Karenina di Tolstoj e Delitto e castigo di Dostoevskij. Alla fine ne ho detti quattro, ma ce ne sono eh! Tipo Sulla strada di Kerouac o Achille piè veloce di Benni… fermatemi!

Il tuo rapporto con la politica?
Una forte e insanabile delusione.

Il tuo rapporto con la religione?
Credo in Dio, anche se mi pongo tante domande. La mia religione sta nel comportamento.

Tg, quotidiano o informazione su internet?
Internet batte TG televisivo e pure i quotidiani. L’informazione è uno di quei diritti che ci stanno togliendo. Pensate alle tante manifestazioni che noi aquilani stiamo portando avanti animati dalla disperazione, stato che in pochi conoscono. Eppure i TG ci raccontano la vita coniugale di Briatore o quello che alla Canalis non piace di Clooney, ma il desiderio di un popolo intero di riprendersi la normalità che non per colpa sua ha perso, quello no. Esemplare la puntata di Matrix in cui la Nannini, colpevole di aver affrontato l’argomento scomodo del silenzio dei media calato su L’Aquila, è stata zittita in modo brusco dal conduttore Vinci. È informazione questa?

Legalizzazione delle droghe leggere o no?
No. Non che serva a qualcosa vietarle, ma la legalizzazione significherebbe una benedizione dall’alto. Che lo Stato pensi ai diritti che ci vediamo tutti i giorni negati prima che a concedere quello di drogarsi liberamente.

Preferisci lavorare con uomini o donne?
Ho lavorato quasi solo con donne e mi sono trovato sempre bene.

Un difetto delle donne di oggi?
Le donne non hanno difetti e io, come gli asini, volo. No, è che è difficile e antipatico generalizzare, soprattutto se si parla di difetti.

Un progetto per il futuro?
In un futuro lontanissimo, di sicuro, spero di avere la possibilità di produrre opere di giovani o meno la cui voce talentuosa è condannata a restare inascoltata.

Un sogno?
Lo tengo per me, ma chi mi ama lo sa.

Una città in cui vivere e lavorare?
Firenze.

Un consiglio a chi vuole seguire le tue orme?
Chiediti all’infinito se lo meriti. Continua a camminare solo se ogni volta ti rispondi di sì e non pubblicare mai a pagamento, sarebbe la dimostrazione del tuo fallimento.

Chi senti di dover maggiormente ringraziare per la persona e lo scrittore che sei diventato?
Chi ha fatto del bene alla mia esistenza. I miei amici principalmente e poi la testardaggine di cui Dio mi ha dotato e la buona sorte che mi auguro continuerà a sorridermi.

Matteo in 3 pregi e in 3 difetti?
Tra i pregi metterei la tendenza a sdrammatizzare tutto, la sensibilità al mondo e il saper voler bene. I difetti sono così tanti che faccio fatica a sceglierne tre. Ci provo. Sono lunatico, caratteristica dominante del mio segno: il Cancro, non mi accontento mai e mangio troppe caramelle gommose, anche se sto provando a uscirne.

E ora parliamo un pò del tuo divertentissimo romanzo, “Supermarket24″…
Comincerei con una domanda facile facile: come e quando ti è venuto in mente di scrivere una storia così originale?

Ho cominciato a buttar giù i primi capitoli quattro anni fa. Supermarket24 al momento della genesi nella mia testa non doveva essere quello che poi è diventato. Avevo l’intenzione di scrivere un libretto estivo, da spiaggia, di poche pagine di aneddoti, battute, incontri, che facesse ridere e basta. Era di quello che sentivo il bisogno, però poi i personaggi hanno preso vie imprevedibili e io li ho lasciati fare.

Premettendo che ho trovato il tuo libro dissacrante e geniale, perché hai scelto come ambientazione un supermercato? Hai per caso avuto esperienze lavorative simili a quella del tuo protagonista che ti hanno ispirato?
Sì, in un supermercato e proprio al reparto frutta. Ci ho lavorato per sette mesi e ho raccolto una tale quantità di esperienze che non potevo non riversarle in una storia. Da questo a dire che è autobiografico ce ne passa. Io non invento quasi mai. Mi servo della realtà e la modello a mio piacimento, al punto che diventa irriconoscibile e pare invenzione.

Come mai hai deciso di mostrare la realtà in cui Luca vive e lavora rivelando al lettore ogni suo più impietoso pensiero – che non risparmia proprio nessuno – anziché limitarti alla più tradizionale descrizione di fatti e dialoghi?
Perché la storia la racconta lui, non una voce estranea agli eventi, quindi tutto è filtrato dai suoi occhi. Mi sono divertito a far pensare Luca ad alta voce. Il cinismo estremo che anima i suoi pensieri, i suoi facili giudizi sulla vita degli altri, lo rendono antipatico al lettore e questa si è rivelata la piega del libro. Luca non teme di dire né di giudicare, lo fa senza alcun paletto. Ho voluto portare agli occhi del lettore un personaggio totalmente trasparente, quello che nessuno nella vita riesce ad essere mai. Molti si stupiscono dei pensieri di Luca nonostante ne custodiscano di simili e a volte di ben più scandalosi, però stanno zitti. I pensieri sono silenziosi, tranne quelli di Luca Sognatore.

Scrivere un libro simile, per te, non ha forse rappresentato anche un piccolo sfogo verso quella nutrita categoria di persone insopportabili che immancabilmente migrano ogni giorno nei supermarket? (Immagino che comunque la stesura debba essere stata molto divertente..!)
Mi sono divertito molto e mi sono ritrovato spesso a ridere da solo di quello che scrivevo. Ripensavo alle scene che avevo vissuto io, che mi avevano fatto arrabbiare a morte e che, raccontate con gli occhi di Luca, acquisivano una valenza tragicomica. Certe volte è davvero difficile restare calmi di fronte alle pretese assurde di una che vuole il supermercato ai suoi piedi semplicemente perché: “Sono cliente e vengo a fare la spesa tutti i giorni”. Da quando ho cominciato a lavorare al supermercato ho capito quanto può essere dura la vita di un commesso, stanco nel fisico e logorato dal rapporto costretto con un pubblico impietoso.

All’interno della spassosa carrellata di personaggi che popolano il tuo romanzo, ce n’è uno che preferisci e uno che invece detesti particolarmente?
Lory, la macellaia, è la mia preferita, perché è una madre vera. Ha tutto della madre. Ha occhi dolci, è di poche parole, come se il magone che tiene in gola gliele togliesse. Ama suo figlio e pur di riprenderselo da un marito che l’ha tradita e lasciata, è pronta anche a uccidere, se necessario. Ho sempre tifato per lei e per l’amore, mentre lo scrivevo. Detesto Sonia, la compagna di reparto di Luca. Una ricciola grassoccia col naso schiacciato che ormai dalla vita non può più avere niente per sé e allora gode degli insuccessi altrui, li favorisce e se ne ciba. Provoca mai paga, e Luca Sognatore la odia almeno quanto me.

Se decidessero di girare un film tratto dal tuo libro, che attore italiano o straniero ti piacerebbe vedere nei panni di Luca Sognatore? Perché?
Mi viene in mente Elio Germano che ha la faccia giusta. Ma anche Luca Argentero o Nicolas Vaporidis. Giovani e con gli occhi vispi. La regia la farei fare a Gabriele Muccino che è unico, a patto che non faccia recitare il fratello.

Grazie a Carlotta Pistone.

Una sacra solitudine

Quando i rumori non se ne stanno più buoni sullo sfondo e diventano un barbarico frastuono che ostacola i pensieri. Quando il suono dei tuoi passi viene assorbito dallo strombazzare dei clacson delle automobili e dalle urla di donne isteriche che riprendono figli schizzati. Quando gli altri esprimono il giudizio che hanno maturato di te e dei tuoi comportamenti, neanche fossero ospiti d’onore di un talk show di tronisti e corteggiatrici, senza aver mai capito come la pensi. Gli altri, quelli che dicono di conoscerti per quel paio di mesi di giorni nello stesso posto, qualche volta a parlare. Come se non fosse permesso cambiare opinione. Come se scavare non sia sintomo di volontà di capire e non possa magari capitare di scoprire che si è sbagliato a dire e pensare quello che si è pensato e detto. Come se io dovessi giustificare ogni spostamento, ogni risata, ogni serata, ogni bicchiere, ogni idea. Come se ogni azione debba per forza risultare la conseguenza logica di un’intenzione. Tu conosci l’intenzione e conosci l’azione, ma ignori del tutto il segmento di chiarimenti, spiegazioni che hanno determinato la trasformazione dell’intenzione nell’azione diametralmente più imprevedibile. Nella tua ignoranza, inteso come non conoscenza dei fatti, scrivi di me senza fare il mio nome e poi mi saluti, abbracci e baci col sorriso. Non che se lo fossi davvero, incoerente, debba risponderne a qualcuno. Non voglio difendere la mia coerenza, che non ho mai perseguito, solamente delineare l’aria che respirando mi suggerisce di fermare tutto.
Quando le voci che inviteresti a trasferirsi nel tuo padiglione auricolare le senti di meno. Quando le serate che vorresti vivere sono troppo lontano da dove stai tu. Quando ti guardi allo specchio e nel tuo volto leggi l’invulnerabilità, e allora ridi da solo che non è la più bella delle risate. Quando fuori piove e dentro grandina. Quando hai da mangiare, bere, vestire, un lavoro, un obiettivo grande e uno immenso, eppure ti manca il resto. Quando il filo d’acciaio su cui cammini vibra e tu con le mani ricerchi un volo che ti tenga lassù ogni istante un istante in più. Quando Giuda abbracciava e baciava in modo più convincente di chi lo fa con te. Quando il tempo è sempre più perso e sempre meno. Il tempo non è mai tanto quanto sembrerebbe e io lo sto sprecando pure adesso, che scrivo un post mosso dallo sconcerto di certi piccoli cervelli in azione.
Quando è autunno e vorresti l’inverno e poi l’inverno non ti basta, la primavera non arriva e l’estate la scongiuri, il tutto per una risposta. Quando la compagnia non è degna di te, o tu di essa – esiste questa eventualità, è quasi sempre un problema di linguaggio e a te ancora nessuno offre il dono di comunicare con gli animali – allora è il momento di ricercare una sacra solitudine.

La vostra non-vita

In quel luogo le conversazioni sono tutt’altro che creative. Generano qualcosa sì, ma che è ripetizione di se stessa. Nessuno è interessato a sapere come ti chiami, quanti anni hai, cosa fai nella vita: se studi, lavori, rubi o ti prostituisci, quanto grande è il peso dei tuoi sogni, come sei fatto: se sei alto, magro, muscoloso, obeso, se hai gli occhi azzurri o neri, se ti manca un braccio oppure sei campione nazionale di lancio del disco. Te lo chiedono, ma non è di te che si interessano. Conoscerti è solo un modo per arrivare alla pace dei senssi scalpitanti. Alterno silenzi a sproloqui per emergere dal mucchio ed essere giudicato un fuoriditesta e quando mi va, dopo che sia passato qualche tempo, torno a criticare chi fa lo stesso, in un momento dei tanti in cui la mia luna è spenta. Meravigliosa luna che nel buio non si arrende, che da sola lo vince bagnando il mare nero della paura. Su quel tappeto d’argento vorrei camminare, da solo, nella speranza che non mi porti da nessuna parte. Che sia un infinito moltiplicarsi di chilometri dalla terraferma. Guardo in alto accecato dalla luce fedele a illuminarmi i piedi sull’acqua come Cristo, peccatore come nessuno io.
Non mi preoccupa il giudizio quando è arte di pecore che si seguono fino al dirupo, che una dopo l’altra sperimentano saltando. Quando cala la giusta notte, su tutto tranne che sulla luna, eviterei pure una risata sconveniente, nonostante il bel suono e la luminosità degli occhi ridenti. Non mi cambio ora che vesto abiti d’acciaio. Mi capisco quasi sempre e non mi piaccio quando cammino con nonchalance su un corpo martoriato dalle parole. Questo non mi impedisce di evitare il massacro né mi porta pentimento, sta tutto qua il perché. Guardo la luna e mi sento bene con lei. Ancora una volta ho scelto per me che voglio al mio fianco chi mi assomiglia, chi non mi sfida, non mette il dito nella piaga. Voglio al mio fianco solo coloro che non perdo mai, che mi salvano pure da lontano, che sorridono e mi stimolano a crescere. Voglio al mio fianco chi crede in me, non nella mia disfatta, chi ce la mette tutta per vedermi sul punto più alto del mondo, non chi scava sotto i miei piedi e mi fa franare nel fondo.
State lontani voi che mi provocate per ferire, per destare fastidio e sentirvi vincitori di almeno un premio: una caramella gommosa che rilascia in bocca l’amaro dell’ennesima sconfitta, in una non-vita che conducete e che continua a vincere contro.