Se nessun editore vi pubblica, forse è perché

Dopo aver commentato l’ultimo articolo della coraggiosa Michela Murgia, pronta a prendersi anche gli insulti pur di dire la sua sugli autori che si auto-producono (argomento che mi fa sempre molto incazzare), scrivo per raccontarvi del mio Kindle. Anzi, fatemi tornare un attimo solo sulla questione, per favore perché non ce la faccio a tacere.
Io capisco tutta la fatica, le attese insostenibili, le non-risposte, i rifiuti editoriali prestampati, le sensazioni di impotenza e inadeguatezza. Giuro che capisco tutto, non foss’altro che per il viverle quotidianamente, però a differenza di coloro i quali paiono proprio non riuscire ad andare oltre la convinzione: “Se non ti raccomanda nessuno, sappi che l’unico modo per pubblicare è versare 3mila euro all’editore (vampiro)!”, sono convinto che se un manoscritto ha dignità di pubblicazione, prima o poi qualcuno lo noterà e quindi lo porterà in libreria.
Se ciò non dovesse accadere, è vero che ci sono le (solite) attenuanti:
I grandi editori fanno fatica a leggere per bene i manoscritti che ricevono (figuriamoci i piccoli). Il perché è semplice. Per valutare centinaia di manoscritti al mese, ci vogliono risorse a sufficienza e non è pensabile pagare centinaia di lettori. Oppure voi, lamentosi autori emergenti, leggereste forse gratis decine di (quasi sempre) brutti libri altrui al mese? No, perché io non lo farei. Prima di arrivare alla decisione di pubblicare un testo, bisogna leggerlo per bene e pure più volte. Non è detto che si debba analizzarlo dalla prima all’ultima sillaba, almeno nella valutazione preliminare che quasi nessun manoscritto supera. Per capire se può valer la pena valutarlo attentamente, bastano una quarantina di righe prese a caso, e quelle vi garantisco che qualcuno le legge prima di buttarlo nel secchio. Se non lo butta subito, magari ne legge un altro po’ e a quel punto tutto può essere. Pure che appaia Maria (De Filippi) e vi chieda di scrivere il nuovo libro di Amici, a 4 mani con Luca Zanforlin.
Non avere un agente significa partire svantaggiati. Gli autori rappresentati da un buon agente letterario hanno qualche possibilità in più di raggiungere la meta rispetto a chi si ostina a spedire il proprio romanzo, di 1450 pagine di struggente amore medievale, pure all’indirizzo di Tv Sorrisi & Canzoni. Non è che i buoni agenti letterari si trovino per strada, né trovarlo significa essere raccomandati. Da chi, dall’agente? Chiariamo pure questo, se no sembra che l’agente sia il pappone delle veline. L’agente decide di rappresentare un autore se ritiene che il suo manoscritto valga la pena. Quando vale la pena? Vale la pena se l’agente pensa di riuscire a piazzarlo presso un buon editore e magari di guadagnarci pure un po’, visto che il compenso di un buon agente è dato da una percentuale sui diritti spettanti all’autore. Un buon agente non può stare a perder tempo con tutti coloro i quali bramano la pubblicazione, ma deve lui stesso operare una severa selezione per potersi dedicare soltanto a quei manoscritti e autori che a fine mese gli porteranno in tasca qualcosa, sperabilmente tanto. Immaginate un agente che se ne va in giro per editori a proporre una schifezza. Perderebbe di credibilità e perderebbe tempo perché, nonostante lui sia un bravo agente, è difficile che l’editore deciderà di pubblicare il libro-schifezza. Un buon agente non può permettersi di perdere tempo, tantomeno credibilità, quindi se un autore riesce a trovare un buon agente, è perché se lo merita. La ripetizione fino alla nausea di buon prima di agente non è casuale; occhio che cascate male!
Il manoscritto è finito per sbaglio nel tritacarte. La redattrice necessitava di un blocchetto per gli appunti e ha inavvertitamente scambiato il vostro malloppo di fogli capovolto per l’oggetto dei suoi desideri. La postina ha scoperto che siete aspiranti scrittori; da quel momento apre tutti i pacchi in partenza da casa vostra verso le sedi delle case editrici italiane. L’ha fatto di nuovo, impadronendosi stavolta proprio del manoscritto destinato all’unico editore che vi avrebbe detto Sì.
Insomma, tolti inconvenienti di rara probabilità, ai quali aggiungerei anche l’iniziativa di qualche noto autore di pubblicare a suo nome il vostro romanzo, del quale è venuto in possesso per caso e, tanto che ci stiamo, pure i rapimenti alieni, mi sento di dire che, se il benedetto manoscritto è stato rifiutato, anche solo col silenzio eterno di tutti, beh, provate almeno a vagliare l’ipotesi che quello che avete scritto non sia all’altezza. No che vi vendete al primo stronzo che chiede danaro in cambio di una brutta edizione che non comprerà nessuno, perché nessuno ne verrà mai a conoscenza. Buon per voi, mi vien da dire.
Io non so perché ho scritto questo post che vi giuro non volevo scrivere. Non mi volevo arrabbiare e volevo parlarvi del mio nuovo Kindle. Mi sono arrabbiato e non vi ho parlato del mio Kindle. Ma come fai a non arrabbiarti quando leggi commenti così fuori dal mondo? (Clicca qui!) Sostegno da parte mia a Michela Murgia, che è una che non le manda a dire.

23 commenti su “Se nessun editore vi pubblica, forse è perché

  1. Al di là del giudizio di merito sulla pubblicazione a pagamento o meno, il post della Murgia fa vomitare per arroganza e egocentrismo. Inutile poi che faccia finta di battersi per i buoni valori della società, se ha un tale malanimo, mi sembra solo una che ha piacere nel distruggere gli altri. Che tristezza quando il successo si sporca di arroganza.

    ciao a tutti!

    ps. scrivere è bellissimo, mi ama scrivere continui a farlo, non importa se non diverrà mai nessuno. Ciao 🙂

    • Io ho una visione di Michela Murgia completamente diversa. Mi è capitato di avere a che fare con molti autori alle prime armi e l’egocentrismo e l’arroganza si sono sprecati. Mi associo al tuo PS. 🙂

    • Roberto, sì. Io ho imparato a viverla con una relativa serenità e soprattutto con calma. Non c’è fretta, l’importante è lavorare per crescere.

  2. Io, Michela, la amo già da anni e ho pure ripubblicato sul blog le liste degli editori a pagamento dopo la ripubblicazione sua e di Loredana Lipperini. Più concorde di così…

  3. Allora Matteo non capisco dove sia il problema se non è la qualità del prodotto ad essere discutibile.
    Non mi sembra che paragonare l’autoproduzione all’esercitare la professione di avvocato avendo comprato la laurea (ti sembra un sottinteso?) come nel post di Michela Murgia sia un “fermarsi alla pubblicazione”.
    C’è qualcuno che ha preso una laurea da scrittore? C’è qualcuno legalmente preposto ad autorizzare l’esserlo?
    Ripeto quanto detto nel precedente commento e cioè che nutro dei forti dubbi sull’autoprodursi, ma da questo ad accusare qualcuno di esercitare abusivamente una professione ce ne corre. L’aver pubblicato autorizza poi Michela Murgia ad usare toni di scherno, perché questi sono, verso qualcuno (forse) meno dotato di lei?
    Io in quel post ci leggo, al di là del merito, una discreta dose di arroganza e mancanza di educazione.
    Ciao spero di non averti irritato con questa “polemica”.

  4. Matteo, ovviamente il tuo è un discorso pratico e oggettivo proprio perché è il tuo campo d’azione; a maggior ragione io non sono nessuno per giudicare certe “operazioni”, ma è indubbio che è così che gira il mondo, lo hai detto tu stesso commentandomi purtroppo, quindi, ahimè, l’etica centra, poi è ovvio che ognuno si comporta come meglio crede.

    Sto vivendo una cosa simile dal punto di vista della ricerca del lavoro e so quanto questa cosa faccia ribollire il sangue.

    Ah, centra poco. Fidati, non sei stato eccesso e non hai perso il controllo. Beato te 😀

    Ciao!

  5. Io articoli così ne avrò scritti milioni quando erano i “bei tempi” che provavo a fare lo scrittore.

    Sono sostanzialmente d’accordo che se nessuno ti si fila, probabilmente, i tuoi scritti non valgono molto.

    E’ pure vero che oggi più che mai l’editoria è talmente in crisi che si pubblicano solo lavori specificatamente indirizzati a un dato target, con poco coraggio per innovare e per puntare su testi magari più difficili e meno vendibili ma forse anche più interessanti.

    Cioè se non sei bravo è ovvio che non pubblicherai nulla. Ma anche se non sei abbastanza “omologato”:

    Simone

    • Simone, concordo. Devi avere la storia giusta, non solo un’ottima storia.

      MisterGrr, il controllo l’ho perso oggi, per un’altra cosa. Ah ah!

      Giovanni, irritato, ma va. Mi piace sempre quando si generano discussioni interessanti. Io credo che per poter dire di scrivere bisogna che qualcuno dica che sai scrivere. Questa funzione la svolgono solamente gli editori. Io non ci vedo, nell’articolo della Murgia, le cose che ci vedi tu. A me è parsa schietta ed educata, al contrario di molte delle persone che l’hanno commentata.

      Claudia, infatti sì. Mi sono stancato pure io. Ah ah!

  6. Ma grande Matteo!!!!
    Mi trovi perfettamente d’accordo con te e poi… Preferisco di gran lunga i sentimenti genuini che quelli di autocontrollo.
    Sei speciale! Ecco!!!!!!

  7. Post Scriptum: chiedo scusa, non vorrei aver espresso male un concetto. Ovviamente la frase “penso che ci sia troppa gente che scrive” non si riferisce affatto all’autrice Michela Murgia che, come ho detto, non ho mai letto, pur essendo a conoscenza del suo successo. Per la stanchezza temo di aver esposto le due frasi in maniera scorretta, scusami Matteo, buonanotte!

  8. Io non conosco Michela Murgia, non ho mai letto i suoi libri. Penso che ci sia troppa gente che scrive, questo sì. Non è nemmeno detto però che se uno scrive bene prima o poi arriverà su uno scaffale di libreria. Pagare per essere pubblicati è un’assurdità…sono d’accordo con ciò che ha scritto Chagall, quando parla di un mezzo per arrivare non si sa bene dove…

  9. trovo che sia tu sia Michela Murgia abbiate più che ragione.
    Parlavo qualche tempo fa con un carissimo amico di famiglia (praticamente un nonno), intellettuale, poeta e giornalista da 60 anni. Ha ultimamente scritto un libro che considero il suo testamento spirituale e dice una grande verità: scrivere non è emozione, non è un flusso di coscienza, non sono parole messe a caso. Scrivere è un lavoro, richiede una serie di competenze importanti. Prima fra tutti una conoscenza approfondita della lingua italiana, ma anche l’aver letto e capito ciò che scrivono e hanno scritto altri grandi o meno grandi scrittori, e potrei andare avanti per parecchio.
    Scrivere è un lavoro che va saputo fare. Poi forse c’è pure un genio ogni 2 milioni di persone che “nasce imparato”, ma non è il caso di sperarci.

  10. Ne hai già parlato. Come al solito dico che molte persone preferiscano spendere un sacco di soldi piuttosto che fare i conti con loro stessi.
    Non è mai facile guardarsi allo specchio e accettare di non essere portati per qualcosa, dire: “Io non ho talento”.
    Senza contare in molti casi il vero scopo non è nemmeno la scrittura a mio avviso. Molti covano il desiderio di pubblicare più come una fantasia astratta, un mezzo per arrivare non si capisce bene dove. Impiegando le stesse energie in altre cose potrebbero magari essere un pizzico più felici…

  11. Ciao Matteo, visto che oggi non si parla di numeri mi lancio in un commento spero esaustivo di quello che è il mio pensiero riguardo all’argomento trattato da te e sul post di Michela Murgia che hai segnalato. Come potrai esserti reso conto non sono oggettivamente nelle condizioni di nutrire ambizioni da scrittore e la mia opinione è semplicemente quella di un lettore. Premettendo di nutrire, per diverse ragioni, dei seri dubbi sull’ auto-produzione mi sembra però che anche le argomentazioni di critica presentino evidenti punti deboli. Non credo che il fatto d’essere pubblicati da un editore sia la garanzia di valore intrinseco dell’opera, non si spiegherebbe altrimenti la quantità di merda che occupa gli scaffali delle librerie. Il libro, allo stesso modo della pittura e di tutte le altre forme di comunicazione artistica, è una merce, non attribuisco nessun significato deteriore al termine, e quindi soggetto, del tutto legittimamente, a valutazioni che non sono esclusivamente di natura artistica ma anche commerciali; nessuno investirebbe in un prodotto che non abbia possibilità, a suo giudizio, di successo commerciale. Ritengo in virtù di questo di poter affermare che potrebbe esserci (difficile) un bel libro non pubblicato e uno brutto (molto facile) addirittura pubblicizzato su tutti i media perché scritto dal cantante-attore-giornalista- belloccio di turno. Sul piagnisteo ” ci vuole la raccomandazione” poi non ci spenderei parole se non per dire che questo è un paese di genii incompresi in ogni campo, qualcosa mi dice che sono troppi, inoltre nel momento in cui ci si confronterà con il pubblico-mercato la raccomandazione non potrà fare più di tanto essendo per sua natura il mezzo per accedere a posti che non richiedono qualità.

    • Giovanni, il collegamento che fai tu fra pubblicazione vera e qualità non l’ha fatto Michela Murgia, né lo sto facendo io. E sbagli se pensi che l’abbia sottinteso. Non penso affatto che i libri pubblicati da editori seri siano qualitativamente e in assoluto superiori a quelli di chi si autoproduce. Sai quanti romanzi pubblicati da Einaudi o Feltrinelli mi hanno deluso? No, il nostro discorso si ferma alla pubblicazione, non entra nel merito dei contenuti. Quella è una pubblicazione reale, a prescindere dai contenuti, ogni altro tipo no.

      Michi, e anche fare l’editore richiede una serie di responsabilità ben precise, mica chiacchiere.

      Miss Fletcher, ho capito quello che vuoi dire. Basterebbe che chi ha ambizioni letterarie legga un paio di libri al mese per risollevare un mercato messo veramente male e magari imparare un po’.

      Federico, il Kindle-post è solo rimandato. 🙂

      Devis, anch’io. Anche se in questa circostanza spero di non aver perso il controllo, a parte quell’incazzare lì al secondo rigo. 😀

  12. Matteo, sono una persona estremamente lontana dal tuo mondo, ma faccio questo ragionamento che penso valga in generale.

    Fondamentalmente, sono d’accordo con te.

    Percorrere la via più semplice per arrivare al nostro obiettivo X, è la cosa che “sognano” tutti, non lo diamo a vedere, ma lo sogniamo tutti. Poi qualcuno cerca di seguire questa strada appena trova l’opportunità, e c’è invece chi decide di farsi il culo e persegue la qualità. Si sa poi dove va a finire…quasi certamente chi cerca la via più facile raggiunge prima il suo obiettivo, ma rimane rinchiuso nella sua mediocrità, ma gli va bene così; chi invece punta sulla qualità arriva sempre dove deve arrivare, e con maggior successo.

    Non so se si capisce ciò che dico e quanto si può collegare al discorso che hai fatto, ma, fidati, capisco ciò che dici.

  13. Uno con cui all’epoca facevo cose mi mando’ decenni fa un manoscritto. All’epoca nell’ordine: allattavo ogni tre ore, dormendo nei ritagli di tempo, mandavo avanti una casa, uno studio, un figlio maggiore in piena crisi di gelosia, una compagnia teatrale per la quale in quel periodo ho lavorato ai miei ruoli migliori, lavoravo in proprio e mi pare avessi pure gli stagisti del lavoro pagnotta. Mai letto, fino a che la mia libreria di riferimento non organizza la presentazione, ecc. ecc. Non sono mai riuscita a finirlo, nessuno degli amici ha avuto il coraggio di dirgli che aveva scritto un pippone illeggibile (proprio mancante dell’editing piu elementare, giuro che mi sono pentita di non averlo letto e magari con dolcezza provare a convincerlo a risistemare le robe piu grosse, ma non ci sarei riuscita). , ha pure venduto, dicono 1500 copie. Risultato, mi sono convinta che se un editore l’aveva trovato lui, prima o poi l’avrei trovato pure io. Cosa poi avvenuta e ho pure una signora editor.
    Matteo, sinceramente, se ce l’ho fatta io….
    Michela Murgia ha scritto un post santissimo, purtroppo a parte noi che siamo lettori e lo apprezziamo, quelli a cui serverebbe di piu’ darle retta non si faranno mai venire un dubbio al mondo.

  14. Concordo in pieno!
    C’è gente che evidentemente non riesce a liberarsi del sentimento così puramente italiano dell’invidia verso chi “ce l’ha fatta”, e invece di pensare che il proprio capolavoro magari non sia effettivamente un granché, o invece di lavorare per migliorarlo e riproporlo, preferiscono consolarsi col pensiero che chi è pubblicato è un raccomandato mentre loro sono bravi, puri e onesti e quindi soffriranno in vita per venire poi scoperti e amati dopo morti.

    Bah..

    • Tanabrus, sì. Poi questa cosa della raccomandazione come unica via mi fa così incazzare.

      Mammamsterdam, tu ce l’hai fatta perché sei brava, punto. Deve passare questo messaggio. E deve passare il messaggio che pubblicare a pagamento non significa pubblicare. Poi ognuno fa quello che vuole, tanto i soldi sono i loro.

      MisterGrr, il mio non è un discorso etico. Non sono nessuno per giudicare nessuno. E’ un discorso pratico e oggettivo. Le cose funzionano così, poi chi vuole illudersi o nascondere la propria inadeguatezza dietro la corazza della raccomandazione come unica strada, faccia pure.

      Chagall, è proprio così.

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