• La lieta novella della domenica è che il Grimaldi scala tutte le classifiche (tranne quelle che contano). La prova, qui a destra, campeggia pure sulla mia bacheca di Facebook. Il buon Equizi, sempre sulla notizia, mi ha incollato proprio stamane la scansione della pagina del quotidiano Il Centro in cui figuro nella classifica dei commessi aquilani più trendy e gentili. Inizialmente ho pensato si trattasse di qualche mio omonimo, ma di Mc Donald’s ce n’è uno e di Matteo Grimaldi (là dentro) pure. Come sia potuto accadere (trendy e gentile io?!) non me lo so spiegare. Deve avermi votato la signora alla quale ho sventolato in faccia il bacon che lamentava mancante nel suo panino 1955, oppure qualcun altro di quei simpaticissimi casi umani che in questi anni ho trattato come meritano. A questo punto prego tutta la cittadinanza aquilana all’ascolto, se riesce, di NON votarmi. Se proprio non ce la fa, credo (non ne sono certo) che il meccanismo sia quello di scrivere su un tagliandino che trovate sul giornale il nome del vostro commesso trendy e gentile preferito e inviarlo non so dove, da qualche parte sarà scritto. Ecco, fate come credete.
    Buona domenica a tutti!

    Scrivi un commento →: Io trendy e gentile?!
  • Buondì.
    Vi scrivo dalla stiva di una nave pirata che dopo avermi colpito a cannonate mi ha tirato a bordo e mi ha intervistato. Gran bel forum letterario questo del Pesce Pirata, nato da poco, ma già con un’identità chiara e tante potenzialità. Vi incollo l’intervista.

    E’ arrivato il tavolo delle riunioni. Ci ha pensato Rashid e lui non scherza, del resto l’artigiano che ha fatto il lavoro arriva dal suo stesso posto. E’ un tavolo grandissimo, forse troppo. Occupa quasi interamente l’area del quartier generale per le riunioni dello staff. Un grande pescepirata rosso con cinque poltrone intorno. Fa paura. E abbiamo quasi finito i soldi…
    Lavinia è rimasta bloccata nel traffico e proprio oggi doveva incontrare un editore importante, sarà meglio disdire.
    E poi sta per arrivare Matteo Grimaldi, la nostra seconda intervista preparata in fretta a causa delle cose da sistemare. Il telefono non smette di suonare, cazzo.
    Suonano alla porta, è lui. Entra disorientato dal caos e dal rumore di sottofondo. Urlo a Cagliostro di abbassare la musica. Dice che i Pixies si sposano da dio con il pescepirata, vallo a capire te.
    Matteo entra a metà tra il trafelato e il sorpreso. Gli offro birra come un rito da perpetrare all’infinito, del resto una birra è un buon modo per cominciare qualcosa.
    Ci sediamo nel divano in pelle degli anni 70 dopo il rito propiziatorio. Attacco la seconda birra, Black Bart è capitano: può.
    Iniziamo con le domande, accendo il registratore.

    Matteo Grimaldi, classe 81, aquilano doc e ben tre romanzi alle spalle, ognuno dei quali distribuito con editore diverso: non ti fai mancare niente!
    Scommetto che il prossimo uscirà con un editore grosso così potremo vederti nei talk show televisivi…

    Ehi ehi, chi ha fatto la soffiata?! Al di là di tutti i gesti scaramantici del mondo poco carini da fare nel corso di un’intervista così importante, diciamo che ci stiamo provando.

    Ah.. Bene! Punti ad andare ad Amici! Ti vedo già a parlare del tuo quarto romanzo (talkshow25) tra le urla isteriche di tronisti e troniste che si lanciano invettive con la De Filippi che finge di essere contrariata…
    Seriamente, la guardi la tv? Non ti piaceranno davvero i talk show??

    Guardo poco la TV che comunque accendo mentre pranzo o ceno. In questo periodo di esplosione di trasmissioni nate per raccontare dettagli certi o inventati degli ultimi drammatici fatti di cronaca, ancora meno. I talk invece avrebbero tutte le potenzialità per essere interessanti, tutto sta a vedere chi è che parla e di cosa. Me la sto un po’ tirando, la verità è che passerei sul cadavere di mia madre per la poltrona di Gianni Sperti.

    Gianni… Sperti… Ehm… (chi cazzo è???)
    Dai, passiamo a cose serie! Il tuo primo libro pubblicato, “Non farmi male” edito da Kimerik. Una raccolta molto bella di racconti piuttosto drammatici, pieni di tensione, giusto? Un modo strano per esordire, sia perché sono racconti sia perché è un tema piuttosto serio. Puoi raccontarci qualcosa di più?

    ‘Non farmi male’ è uscito nel 2006. Adesso mi capita di guardarmi indietro e pensare: cazzo Matte’, sei stato coraggioso di brutto. Se è vero che da qualche anno va di moda un certo tipo di storie e gli esordi sembrano creati con lo stampino è anche vero che io non avevo la più pallida idea che quei racconti avrebbero dato vita a un libro. Sono storie che ho selezionato fra le tante che avevo scritto perché legate da un filo invisibile: la paura. Quella che tormenta i miei personaggi è la più subdola, del quale si accorge fin dall’inizio il lettore e troppo tardi loro. Quella di un incontro fortuito, casuale, forzato dalle circostanze, con chi è capace di rovinarti la vita. La paura di un dolore senza seconde possibilità, affrontata da chi non ha le armi per difendersi. I protagonisti di ‘Non farmi male’ sono tutti adolescenti, in qualche caso bambini, a partire dal piccolo Daniel del racconto che dà il titolo alla raccolta, costretto a subire la violenza del compagno della madre, incapace di accorgersi. La peggiore delle madri, nonostante tutto il bene che gli vuole.

    Complimenti, sarebbe stato più facile scrivere di amori adolescenziali “Moccia style”… Mi chiedo: per scrivere storie come queste bisogna in qualche modo averle vissute, esserne stato in contatto o è solo questione di sensibilità di guardare in faccia al mondo con voglia di raccontare anche gli aspetti meno belli? Sono storie completamente inventate quelle di “Non farmi male”?

    Io sono di quelli che sostengono che non si può raccontare ciò che non si conosce. O meglio, si può fare eccome, con risultati difficilmente credibili però. Conoscere non vuol dire averlo vissuto sulla propria pelle, non vuol dire che il protagonista delle mie storie sono sempre io. Conoscere vuol dire aver attraversato una storia, sentirla stringere alla gola, averla amata o aver provato tanta rabbia da volerla dividere con chi non sa. Io parto da questo e poi viaggio, estremizzo, modifico, e la storia non è più solo quella di partenza, ma si è arricchita di istanti, caratteristiche, evoluzioni che le persone reali non hanno avuto e che i protagonisti hanno scelto.

    Parliamo ora di “Supermarket24” edito da Camelopardus Casa Editrice, un libro che sarebbe un best seller se fosse uscito con Einaudi.
    Una scrittura completamente diversa, molto ironica, dissacrante, a volte feroce nella sua satira del mondo del supermarket. Anche se nel protagonista non si può non vedere un po’ di Matteo Grimaldi, o sbaglio?
    Mi chiedo: c’è un lato nascosto in questo libro? Si può cioè intravedere, dietro l’ironia, una denuncia del senso di inadeguatezza dei giovani di oggi la cui prospettiva è spesso quella di fare il commesso di un supermercato?

    Io ho lavorato in un supermercato aquilano otto mesi. Di quel periodo ricordo la stanchezza di undici ore senza sosta, le risate, il fastidio di certi personaggi e la dolcezza di altri. Ho fatto confluire tutto in questo romanzo che mi ha tenuto compagnia, lasciato evadere, distratto dai cattivi pensieri, per quel lungo periodo della mia vita tutt’altro che felice. Mi piacerebbe poter dire che i giovani hanno le porte del mondo aperte e tutte le possibilità di raggiungere i loro sogni e realizzarsi come professionisti, ma non posso mentire così spudoratamente. Lavorare in un supermercato, che da com’è posta la domanda sembrerebbe essere l’ultima delle scelte, in realtà dev’essere considerata oggi una fortuna. Oggi lavorare non è un diritto, ma un dono, un favore che ci fanno, pure se in un supermercato. Pensa te!

    A volte il mondo è strano.
    Ti va una seconda birra?

    Mi prenoto già per la terza.

    Finiamo di parlare dei tuoi lavori. Manca l’ultimo nato: “Una valigia tutta sbagliata” edito da ET/ET Editore.
    A quanto ho letto sono racconti che hai scritto dopo il forzato trasferimento dall’Aquila post terremoto. Non l’ho ancora letto, mi pare di capire che siano racconti non propriamente allegri, è così? Puoi spezzare una lancia in loro favore?

    I racconti contenuti nella Valigia li ho scritti in momenti molto lontani. Nei mesi successivi al terremoto ho scritto ‘Mai abbastanza lontano da me’ che è il racconto più delicato perché in questo ho annullato tutte le barriere e ho fatto parlare il Matteo arrabbiato, deluso, destabilizzato, impotente contro la Natura e l’uomo stesso che costruisce le scuole con il cemento della camorra fatto con la cacca dei cani, come dice la cosmica Littizzetto. È il viaggio più difficile dei sei. Dev’esserci un motivo forte per partire e quelli dei miei protagonisti non sono viaggi di piacere. Loro non possono far altro che mettersi in cammino, talvolta correre senza più fiato nel tentativo d’inseguire l’unica possibilità su un milione che porta all’obiettivo, convinti che esista. Io sono come loro: tento spesso viaggi impossibili, viaggi indietro nel tempo, nel ricordo, oppure oltre la morte. Non mi arrendo a perdere quanto di più importante esiste per me. I protagonisti della Valigia fanno così, cercano la vita pur scappando dalla loro e senza l’amore non ce la fanno. L’amore passionale, l’amore corrisposto, l’amore che cambia, l’amore che muore, l’amore del mare che non sa tradire in ‘Sms dal mare’, l’amore di Alberto che non sa aspettare, in ‘MutoDentro’, l’amore di Marco, Giulia e Dario che tentano di restare sul filo di un equilibro che non può durare ne ‘Il dolore definitivo’, l’amore della piccola Mia per i suoi sogni che la illudono di poter cambiare la realtà semplicemente colorandola con la magia, in ‘Luci di cera’, un esperimento fantasy dolcissimo che chiude la raccolta. La vita non è sempre allegra, anzi. La differenza fra questa raccolta e ‘Non farmi male’ è che i protagonisti della Valigia non mollano e pretendono la seconda possibilità che quelli di ‘Non farmi male’ purtroppo non hanno la forza di cercare.

    L’editoria underground in Italia. Stiamo dissotterrando un mondo che non sapevamo esistesse. Nel sottosuolo dell’editoria c’è davvero grande fermento: nuovi editori che pubblicano libri ultra curati e scrittori emergenti davvero molto promettenti.
    Eppure… La distribuzione passa quasi esclusivamente dalla vendita on line ma in Italia la guardiamo ancora con sospetto. C’è dell’altro? Qualcuno forse sostiene ancora che sia letteratura di serie B?

    Non è esattamente così. La distribuzione dei piccoli passa anche attraverso le librerie. Dipende dai distributori, inetti in molti casi, ma bravissimi in altri – mi sono accorto per caso che ‘Supermarket24’ sta sugli scaffali di diverse Feltrinelli d’Italia e non ce l’ho portato io, per dire – e dai librai, una razza odiosa di lavoratori che include qualche rarissima eccezione. Non immagini quanto possa fare un libraio eccezionale per un libro. Sfatiamo il mito del piccolo editore che pubblica solo opere d’arte. A parte il fatto che sono pochissimi i piccoli editori seri che sopravvivono al mare magnum di vampiri e stampatori, e qua dovremmo aprire una parentesi che non si chiuderebbe più, comunque anche a loro può capitare di dare fiducia a un brutto libro. Però è sicuramente vero che, tenuto conto dei numeri che raramente permettono anche solo di rientrare nelle spese, la variabile vendibilità conta poco. Pubblicano soltanto quello che gli piace. Anche i grandi pubblicano schifezze e capita spesso, ma non se ne preoccupano, tanto loro ammortizzano col prossimo bestseller. Il libro del piccolo editore lo devi scovare, difficilmente ti sbatte in faccia. Talvolta pur cercandolo trovi un libraio che fatica a ordinarlo, quando sarebbe semplicissimo. Quella poca gente che legge non ha voglia né l’interesse di sobbarcarsi questa fatica.

    E’ innegabile che Supermarket24 non avrà la stessa visibilità dell’ultimo libro della Littizzetto, no? Per questo dico: se solo si avesse più fiducia negli acquisti on line (che sono facili, comodi e sicuri) in parte si potrebbe bypassare la libreria. Questa è la mia opinione…

    Il paragone è un po’ azzardato. Nel suo caso conta il personaggio più che l’editore. L’obiettivo per i piccoli editori non dev’essere quello di riuscire a vivere senza le librerie, piuttosto il contrario: convincere le librerie e i distributori a prestar loro la giusta attenzione. Poi che gli acquisti online ricoprano un potenziale sfruttato solo in minima parte è fuori discussione. Io compro molto sui portali perché ritrovo pubblicazioni e autori di cui i librai ignorano l’esistenza.

    Parliamo degli scrittori emergenti. Con i primi passi di Pescepirata ci stiamo accorgendo di suscitare un inaspettato interesse sugli scrittori emergenti che hanno già pubblicato romanzi. La cosa un po’ ci ha spiazzato, si pensava di attrarre perlopiù aspiranti scrittori, invece… Sembra quasi che allo scrittore esordiente, dopo l’euforia della pubblicazione, manchi qualcosa… Tu cosa ne pensi? Puoi portarci la tua opinione visto che hai avuto addirittura 3 editori diversi?

    L’autore alla prima pubblicazione pensa di aver raggiunto la meta. Non sa che quello è soltanto l’inizio del suo percorso. Immagina che la casa editrice gli farà da mamma portandolo sui palcoscenici più importanti, facendo recensire il suo libro sui quotidiani nazionali e via dicendo. Non sa che la piccola casa editrice che ha creduto e investito su di lui adesso ha moltissimo bisogno del suo impegno, non economico, ma d’azione e promozione. Chi lo capisce passa il suo tempo alla ricerca di mezzi, luoghi virtuali o reali, nei quali poter parlare di sé e del proprio libro, chi non lo capisce cade dimenticato. I mass media dedicano pochissimo spazio ai libri, figuriamoci poi se scritti da autori sconosciuti e pubblicati da editori mai sentiti, e allora i portali, i forum come il vostro, i siti letterari visitati da migliaia di persone ogni giorno ricoprono un’importanza della quale prima o poi il giovane autore si accorge.

    Quindi quando noi pensiamo, tra le altre cose, di inserirci proprio lì in mezzo, tra scrittore emergente e piccolo editore, facendo azione di supporto ad entrambi, organizzando eventi, facendo promozione non siamo completamente pazzi… Sposi il nostro progetto pirata?

    Tutt’altro che pazzi! Un bravo ufficio stampa è fondamentale. Di solito i piccoli editori si arrangiano da soli, perché è una spesa in più che difficilmente possono permettersi. Gli autori talvolta si affidano alle agenzie letterarie per arrivare all’editore. Anche qua vanno fatti dei distinguo fra bravi e cattivi agenti. I cattivi agenti si fanno pagare in anticipo e troppo, e prendono tutti e non riescono a far pubblicare quasi nessuno. I bravi agenti prendono una percentuale delle vendite e rappresentano solo gli autori in cui credono sul serio, perché il loro guadagno è strettamente legato alla pubblicazione dell’opera. Il fatto è che arrivare a un bravo agente talvolta diventa paradossalmente più complicato che riuscire a farsi pubblicare da un editore onesto. Il vostro progetto mi piace. Per il matrimonio c’è bisogno di una lunga conoscenza, e poi dovete venire a casa a chiedere la mano a mio padre. Mica è una roba che si fa così in quattro e quattr’otto!

    Ahahahaha… bella questa!
    (Penso: “gli editori sono troppo impegnati a sopravvivere per occuparsi degli scrittori”)
    Per finire l’intervista le ultime due cose: stai già lavorando a qualcosa, cosa ti frulla nel cranio?
    E per concludere in bellezza… Sai giocare a basket?

    Sì, sarà un romanzo intenso, divertente e commovente allo stesso tempo. Probabilmente il libro della mia vita, ma è presto per parlarne.
    Col basket c’ho provato, giuro! Ho smesso quando, durante una partitella fra scuole, l’unica volta che il mio compagno di squadra mi ha passato la palla mi sono fratturato l’indice.

    L’intervista è terminata, svuotiamo i bicchieri e ci alziamo. In quel momento è come se al quartier generale di pescepirata fosse suonato l’allarme antincendio, tutti si muovono sincronizzati come un meccanismo ben collaudato.
    Uno sposta un tavolo, l’altro porta vie delle sedie. Spunta un pallone e alla fine Cagliostro porta sul lato corto del “campo” un canestro su ruote.
    Matteo Grimaldi sgrana gli occhi incredulo. Non sa che a pescepirata le cose stravaganti sono l’ordinario e che qui di persone normali non se ne trovano tante. Scatta l’ora della partita: tre contro tre.
    Da una parte Rashid, Cagliostro e Anne Bonny, dall’altra io, Matteo e Lavinia.
    La palla viaggia veloce di mano in mano, pochi palleggi ma loro sono molto affiatati. Cagliostro sgomita sotto canestro. Rashid quasi non lo vedi tanto è veloce e Anne Bonny tiene il pallino del gioco. Cerchiamo di evitare la debacle ma l’impresa è titanica. Lavinia ha un tiro perfetto, io faccio il possibile giocando duro e Matteo lotta per amalgamarsi con la squadra.
    Dopo mezz’ora di gioco l’autore di Supermarket24 si alza in tiro e galleggia nell’aria per un tempo interminabile. Alla fine la palla si stacca dalle mani e si insacca nel canestro, un tiro che sembrava impossibile.
    Abbiamo perso ma siamo usciti a testa alta.
    Stanchi e sudati ci stringiamo le mani, abbracciamo Matteo, un meraviglioso ospite con cui abbiamo parlato di cose serie, abbiamo scherzato, bevuto e alla fine abbiamo pure giocato a basket…
    Poco alla volta se ne vanno tutti, un’altra giornata sta per finire; il buio della notte veste la città rendendola elegante e misteriosa.
    Tutta l’energia di pescepirata si dissolve, esce dai corridoi e vola chissà dove.
    Sospiro.
    Guardo fuori dalla grande vetrata. Stringo i pugni.
    “Ce la faremo”.

    BB

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    Scrivi un commento →: Rapito da una ciurma di pirati lettori
  • Mi distraggo dall’attesa di una risposta fondamentale raccontandovi qualche episodio che attesta gli effetti devastanti che ha sulla psiche umana mangiare da Mc Donald’s.
    Cominciamo da due giovani aspiranti vincitori del concorso Uno Music che ha messo in palio tanti bei premi. Complimenti a chi ha vinto e anche a chi c’ha provato come la ragazzina di borgata che si avvicina al banco: – Ho trovato due numeri, ho vinto!
    – Cosa hai vinto?
    – E che ne so, dimmelo tu! Ho trovato due numeri uguali quindi ho vinto.
    – Da dov’è uscita fuori questa regola? (Che minchia ci vuole a trovare due numeri uguali, visto che in tutto sono sei e le carte le hanno appiccicate pure sul bicchierino del caffè?)
    – L’ho letta, aspetta che la ritrovo. Eccola, è scritta lassù!
    – Trov-I due carte su ogni prodotto.
    – Ecco, io l’ho trovate!
    – Quello che c’è scritto lassù significa che sugli incarti delle patatine e sui bicchieri trovi due carte per giocare a Uno. Non che se trovi due carte (uguali?) vinci qualcosa. È un’affermazione, non un’esortazione.
    (Vai a scuola, Dio mio!)
    È la volta del piccolo ottimista e pure genio decenne.
    – Mi dai un 2 azzurro così vinco la macchina?
    – …
    (Certo, vado di là, te lo prendo e torno!)
    Di chi la vuole calda…
    – La coca cola l’hai fatta senza ghiaccio?
    – Alla ragazza dietro l’ha ordinata senza ghiaccio e io l’ho fatta senza ghiaccio.
    Fa un sorso: – Ma è fredda!
    – La coca cola, come tutte le bibite alla spina è fredda al di là del ghiaccio.
    (La prossima volta vai al bar e prenditi una tisana!)
    … e di chi la vuole fredda e ha pure fretta.
    – Ma dove la tenete l’acqua, è bollente!
    – Se vuole le do un bicchiere di ghiaccio chiuso così…
    – E dove vado col ghiaccio! No, no.
    – Vuole una qualunque altra bibita? Quelle alla spina sono fredde.
    – No, voglio sapere dove la tenete l’acqua che fa schifo calda, e quanto ci vuole per avere tutto quello che ho ordinato che devo andare.
    – La teniamo nel forno! Si accomodi sulle strisce gialle, appena sarà pronto le porto tutto.
    (Per quanto mi riguarda poteva rimanere là fino al 21 dicembre 2012.)
    Chiudiamo con la perla di una fanciulla che, condizionata dall’evidente e frustrante astinenza, si lascia scappare una gaff imbarazzante…
    – Un Mc Royal DUREX menù grande, grazie!
    – Deluxe?
    (Tromba che ti passa!)

    Scrivi un commento →: Succede solo da McDonald’s – Tromba che ti passa!
  • Andato bene il weekend?
    Io l’ho condiviso con un’ondata barbarica di adolescenti dall’ormone instabile, i neuroni in guerra e l’educazione non pervenuta che, come uno tsunami, si è abbattuta sul Mc Donald’s dell’Aquila, fenomeno (sopran)naturale tipico di ogni stramaledetto sabato sera. E questo lo sapevamo. Non è un caso che decida di trascorrere i 3 giorni precedenti alla catastrofe annunciata in uno stanzino, in alienazione forzata, a meditare e recitare preghiere in versi incomprensibili per raggiungere l’incorruttibile stato di pace dei sensi e l’energia suprema per affrontare i mostri senza soccombere. Di solito ce la faccio, il problema viene dopo. Il mio corpo cede ogni goccia di forza al mondo, si priva di vita che sacrifica per combattere i piccoli delinquenti rambo e non gli resta niente. Tutto ciò che desidera nel post-sabato sera di lavoro da Mc Donald’s è una forma qualsiasi di giaciglio su cui abbandonarsi e morire in pace. Una gigantesca mangiatoia fasciata di fieno puzzoso va più che bene. Questo è il motivo che mi ha spinto a mettermi in macchina senza badare al vetro ghiacciato dei – 4 delle 11 di sera. Si scioglierà con l’aria, penso mentre giro la chiave, do un paio di pigiate sull’acceleratore per svegliare il motore ibernato, ingrano la prima e avanzo con non troppa cautela. Mi immetto sulla statale. Accelero in virtù della visione onirica della calda e comoda (?) mangiatoia della casa dolce casa, con gli occhi concentrati al millimetro di strada che distinguo attraverso il microscopico squarcio del ghiaccio che, sul parabrezza pian pianino (molto pianino), si allarga. Evidentemente quel microscopico squarcio non ha permesso l’accesso alla volante della Polizia che stavo per travolgere a 80 all’ora assieme all’ominide palettato che tentava di fermarmi. Non vedo niente, inchiodo ai suoi piedi. Da questo momento prende il via uno dei dialoghi più deliranti che ricordi nella mia giovanissima esistenza (< 30 (ancora per poco) dovrebbe essere definita giovanissima per legge). Quei dialoghi di cui ti vergogni a distanza di secondi, giorni, settimane e anni. Mi vergogno sì, per loro!
    – Da dove viene?
    – … (I tre puntini significano silenzio di morte di ogni senso, voglia, volontà, reattività di fronte a certe domande. Persino il fiato (non sempre dall’ottimo aroma di menta e gelsomino) si rifiuta. Scusa eh, ma alle 11 di sera su una strada aquilana, con questa faccia da cadavere-mostro da dove dovrei venire, dall’Arkansas?)
    – La guagliona dove l’ha lasciata?
    – … (Come sopra, ma ancora più sfiancato.) Sono appena uscito dal lavoro. (Traduzione: sono stanco morto e voglio crollare nella mia grande mangiatoia imbottita. Non mi frantumare le balle e lasciami andare, su!)
    – Con la macchina tutta appannata… Ha bevuto?
    – … (Appannata?! Avrai bevuto tu brutto idiota! Il vetro è congelato, non appannato. Anzi, accendo l’aria che, se si accorge, mi ritira la patente questo qui.) No, ho lavorato!
    – Che lavoro fa, mi scusi?
    – Lavoro al Mc Donald’s.
    – E neanche un micsceìcch ha bevuto al Mecchedonàls?
    – … (L’ha detto proprio così. Ecco, in questo preciso momento, il silenzio assume un significato diverso dai precedenti, più poetico, chiaro e deciso. Vuol dire MAVAFFANGUL!) Al quale silenzio lui si sente di aggiungere – La faccia controllare ‘sta macchina, è proprio strano che si appanna dentro da spenta.
    – Certo! Arrivederci!
    Intanto milioni di goccioline d’acqua percorrono il parabrezza ormai liberato dal ghiaccio, ma il poliziotto dal sovrumano acume, non capisce comunque.

    Scrivi un commento →: Posto di blocco sì, cerebrale!
  • Sanremo è finito, pare. Amici di Mary no, purtroppo. (Abbattete quella deficiente con la cresta, se potete farmi questo piccolo favore.) Quest’anno preferisco far finta che il Festivàl non sia ancora iniziato, o meglio che non debba iniziare mai, giusto per evitare ogni commento, augurandomi comunque che qualcuno rinchiuda Amanda che Al BaGno ha liberato nel suo mirabile pezzo e che qualcun’altra chiami ancora amore Vecchioni che m’ha fatto una pena mentre urlava sul palco, poveraccio. Detto questo, anzi non detto questo, spendo un post per condividere col mio solito gruppo d’ascolto di 7 anime (cercatelo, guardatelo, amatelo. Il film dico) la mia esperienza di presentazioni pugliesi, che sia anche di ringraziamento alla ET/ET Edizioni che mi ha trattato come un principe. La prima è stata all’Artsmedia che è un’agenzia di comunicazione fighissima, intanto per le tinte bianche con tocchi verde acido della sede di Andria, resa ancor più bella agli occhi del mio cuore dalla stampa con la copertina della Valigia e il mio nome a caratteri cubitali sulla parete, più grande e alta di me. Quando l’ho vista ho avuto un calo di zuccheri e mi son dovuto sedere un attimino, mentre pensavo e dicevo: WOW! Poi inviti, locandine sparse per la città. Facevo colazione in un piccolo bar, nella piazza principale di Andria e, sfogliando il giornale, mi sono ritrovato fra gli appuntamenti della serata. Mi è andato di traverso il cappuccino e mi sono messo a ridere. “Tutto bene signore?” “Sì, grazie…” a parte quel signore che francamente avresti potuto sostituire con ragazzo o, che so, fanciullo. Sono stato ospite di una trasmissione televisiva che si chiama Questioni, in onda il 22 febbraio. Si è parlato di terremoto oltre che della Valigia. È stata un’occasione per puntualizzare certi aspetti sulla situazione aquilana e dire ancora una volta la mia. Ringrazio il conduttore Paolo Farina per avermi dato liberamente parola, diritto, quello della libertà di parola, che in TV viene troppe volte dimenticato. Cercherò di caricarla da qualche parte su internet, così ce la rivediamo assieme, con le solite risate a cascare.
    Quando sono entrato nella mia stanza d’albergo ho pensato: Potessi fare solo questo, Dio mio! Pranzi e cene e aperitivi e succhi di frutta e yogurt al caffè sul porto di Trani col calore del sole sugli occhi che m’ha fatto ricordare di aver dimenticato gli occhiali da sole in macchina, a L’Aquila. (Ricordare di aver dimenticato, mica da tutti.) Tutto il tempo per godermi la visione del mare fuori stagione tagliato dalle zampette dei gabbiani in volo. Marcella mi ha raccontato della rivalità fra la loro città dei sensi unici Andria e la splendida Trani che chiamano la spiaggia di Andria. Per riassumere: affanculo la dieta, insomma. Mica posso mettermi a fare il prezioso: “Per me soltanto un listello di carota cruda, grazie”. Al primo posto della top 3 dei complimenti più strambi ricevuti in questi giorni resta stabile quello di un giovane poeta del luogo: “Tu sei molto più oggettivo di me”. Che volesse dire vattelappesca. Non ho avuto il coraggio di chiederglielo, però l’ho ringraziato.
    È stato una viaggio non comune. Mi sono sentito accolto e amato da tutti, come se tutti fossero entusiasti di me, come se mi conoscessero senza che io conoscessi loro. È una sensazione difficile da descrivere che considero un miracolo. Un privilegio che mi ha arricchito di sorrisi, condivisioni di letture, opinioni, storie di vita. Grazie a Paola per avermi regalato un giro turistico all’interno dell’affascinante Castel del Monte, testimonianza del genio quasi ultraterreno di Federico II; non avrei potuto immaginare tanto se l’avessi camminato senza le sue storie, la passione che ci mette nel raccontarle. A tal proposito una considerazione su tutti quei (tanti) stronzi che prima si sono accodati e si son goduti l’ora e mezza di spiegazioni e aneddoti e poi hanno pensato bene di dileguarsi senza sganciare il money. Lei è stata fin troppo signora, io avrei sbarrato il portone e li avrei fatti marcire nel cesso del castello. Rispetto gente! Sempre. Per chi lavora e spende tempo, energie e voce per voi.
    Sto conoscendo pian piano la casa editrice ET/ET e le persone che l’hanno messa su partendo alla grandissima. Mi sono innamorato della loro sede, della sinergia di intenti e competenze che confluiscono in un progetto ambizioso che è quello di arrivare lontano con una casa editrice nata meno di 2 anni fa. Ringrazio un sacco di gente, a partire da Marcella che ha dovuto sopportarmi per 12 ore al giorno e poi Aldo Tota, l’editore col montgomery, e tutti tutti tutti, non per ultima, forse per prima, Laura Tota, un vulcano di ragazza che, non ho ancora capito come e perché, è finita nel mio blog, cioè qui, e ha deciso di pubblicarmi. Quindi ‘ste cose succedono veramente. Sono tanti i grazie che dovrei. Tipo all’associazione culturale CICRES che mi ha ospitato a Corato in un incontro pieno di bella gente e poi alla libreria Ambarabacicicocò che l’ha promosso. Coi nomi non sono bravissimo. Comunque ci vediamo presto, probabilmente a maggio, per nuove date e cene e sole e mare.
    Ho fatto un po’ di foto con la mia nuova (e prima) macchinetta fotografica donatami da Luca e Niccolò e a parte qualche dimenticanza di flash che conferisce a certi scorci una poetica e naturalmente voluta “lugubrità” (tipo questa qui del portale dal buio alla luce, morte/vita, inferno/paradiso… sì, come no!), devo dire che me la sono ben cavata. Le altre le trovate sul mio Facebook. Adesso, visto che ha appena fatto una scossa di terremoto di 2.9 che mi ha fatto ballare culo e armadio, direi che, se non avete nulla in contrario, io andrei.

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  • Questo week end, come vi accennavo nello scorso post, sarò in Puglia a presentare la Valigia qua e là. Ieri ne parlavo con Luca che vive a Firenze. Luca conosce benissimo la mia ignoranza geografica che per anni ha garantito il buonumore ai miei amici attraverso l’arte della derisione alla quale mi sono sempre e volentieri prestato e allora la butta lì: “Tanto che sei di strada perché non vieni a trovarci giovedì; da Firenze a Barletta col treno sarà sì e no una mezz’oretta”. In un altro momento forse c’avrei riflettuto un po’ di più prima di rispondere: “Ah, fantastico! Guardo gli orari dei treni. Cerco di arrivare verso le 6 e mezza così andiamo a cena insieme e venerdì in tarda mattinata ne prendo uno per Barletta”. In un altro momento avrei tentato di focalizzare la posizione della Toscana che evidentemente non confina con la Puglia, e non serve che lo dica io. Però ieri (attenti che adesso ha inizio la mia arrampicata sullo specchio) avevo un lieve mal di stomaco, la testa mi doleva, pensieri confusi affollavano la mia mente associati a immagini di morte e arte figurativa ansiogena, devo ancora fare i biglietti e a L’Aquila la stazione ferroviaria apre e chiude quando lo decide lei, figuratevi se potevo starmi a chiedere se Barletta e Firenze sono o no così vicine, mettere in dubbio la parola dell’amico. Non si fa! Convincente, no?
    Bene. Comunque, se fino a ieri avrei invitato alle presentazioni pure i toscani, oggi magari me lo risparmio, a meno che qualche temerario non sia disposto a digerirsi 6 ore abbondanti di Freccia Argento per qualche mia irripetibile pillola di stupidità. Vi ricordo gli appuntamenti. Sabato 12 ad Andria, alle 19.00 presso lo studio di comunicazione ArtsMedia, con la partecipazione de Il teatro di Puck, nella rappresentazione scenica di un estratto, e domenica 13 alle 19.30 sarò a Corato in provincia di Bari presso l’Associazione CICRES in Via Aldo Moro 58.  Vado e torno vincitore (lunedì).
    Siiusun!

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  • Ebbene è nato, anzi… sono nati!
    ‘Una valigia tutta sbagliata’ è il mio terzo libro: una raccolta, un parto gemellare, 5 fratellini e una sorellina di nome Mia. Sono tornato ai racconti, amanti ideali per uscire dalla routine del romanzo. Amori occasionali, veloci, senza impegno, ma che lasciano il segno. Per questo li scelgo, pure se nella vita e nei rapporti non ho mai tradito (dicono tutti così), ma è vero (tutti dicono anche questo). Magari alternerò un romanzo a una raccolta da qui all’eternità. C’è un dato rilevante. Questa è la prima volta in cui è un editore a cercarmi e non sono io a bombardare la sede di tutte le case editrici italiane, pure quelle che pubblicano le ricette della Parodi, con i pacchi bomba dei miei manoscritti. Scoprire che c’è una prima volta anche per questo fa ben sperare. Ero di ritorno da un viaggio che non ho scelto di vivermi, una fuga necessaria, la chiamo io, pure se necessaria non lo era per niente. La confusione mi ha impedito di capire cosa fare e così ho optato per la decisione più semplice da prendere dopo che un terremoto ha distrutto la città in cui vivevo e vivo: scappare. È quello che fa il protagonista di ‘Mai abbastanza lontano da me’, il racconto più autobiografico dei 6, quello della mia fuga da L’Aquila, della mia rabbia per ciò che la Natura e l’uomo hanno causato e distrutto, della solitudine improvvisa, del silenzio, del brusio del verso del mostro che ancora sento nitido ronzare in fondo, della ricerca di un altrove, dell’abbandono, dell’illusione di lasciare a L’Aquila tutta la mia disperazione, che invece s’è accomodata sul sedile del passeggero della mia Matiz verde acqua e ha disturbato il viaggio e tutti i giorni fino al mio ritorno. ‘Mai abbastanza lontano da me’ è stato il primo dei 6 viaggi impossibili che ho affrontato e quello che più rappresenta l’intera raccolta perché li contiene tutti. Dev’esserci un motivo forte per partire e quelli dei miei protagonisti non sono viaggi di piacere. Loro non possono far altro che mettersi in cammino, talvolta correre senza più fiato nel tentativo d’inseguire l’unica possibilità su un milione che porta all’obiettivo, convinti che esista. Io sono come loro: tento spesso viaggi impossibili, viaggi indietro nel tempo, nel ricordo, oppure oltre la morte. Non mi arrendo a perdere quanto di più importante esiste per me. I protagonisti della Valigia fanno così, cercano la vita pur scappando dalla loro e senza l’amore non ce la fanno. L’amore passionale, l’amore corrisposto, l’amore che cambia, l’amore che muore, l’amore del mare che non sa tradire in ‘Sms dal mare’, l’amore di Alberto che non sa aspettare, in ‘MutoDentro’, l’amore di Marco, Giulia e Dario che tentano di restare sul filo di un equilibro che non può durare ne ‘Il dolore definitivo’, l’amore della piccola Mia per i suoi sogni che la illudono di poter cambiare la realtà semplicemente colorandola con la magia, in ‘Luci di cera’, un esperimento fantasy dolcissimo che chiude la raccolta. L’amore “a gocce di cristallo” in ‘Quattordici febbraio’. “Cercatelo, perché questa raccolta ne è colma”, scrive Mauro Marcialis nella prefazione. Credevo di aver nascosto i miei frammenti segreti dove nessuno avrebbe potuto mai trovarli e invece mi sbagliavo. Mauro Marcialis è riuscito ad andare oltre le trame e i dialoghi. Ha trovato il baule chiuso a chiave nella cantina delle mie insicurezze, ha scardinato il lucchetto e ha sfogliato le cartoline e le foto del passato, le immagini dei sogni del futuro.
    In ‘Una valigia tutta sbagliata’ nessuno dei personaggi si arrende, perché se il passato non possono cambiarlo e il futuro conoscerlo, il presente è adesso e dipende da loro. Questo fine settimana sarò in Puglia per le prime 2 presentazioni, sabato 12 ad Andria, alle 19.00 presso lo studio di comunicazione ArtsMedia, con la partecipazione de Il teatro di Puck, nella rappresentazione scenica di un estratto, e domenica 13 alle 19.30 sarò a Corato in provincia di Bari presso l’Associazione CICRES in Via Aldo Moro 58, con la collaborazione di una libreria dal nome che è tutto un programma: Ambarabaciccicoccò (tre civette sul comò che facevano l’amore…).
    Chiunque volesse ordinare il libro può farlo attraverso il sito dell’editore (CLICK) che è la modalità più veloce, oppure attraverso tutte le librerie online (IBS, Libreria Universitaria, ecc. ecc. insomma, le conoscete) e pure quelle fatte di mattoni, con gli scaffali, sempre sperando che al libraio di turno non siano tornate proprio in quel giorno.

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  • “Perché è la perdita la misura dell’amore?”

    Questo è il primo segnale dello tsunami che Jeanette Winterson causa con la sua scrittura piena di vento ed energia sotterranea, che si scatena nel suo piccolo capolavoro letterario probabilmente irripetibile. ‘Scritto sul corpo’ è un’onda alta come mille grattacieli che nasce da quest’interrogativo a cui ho sperato per tutta la lettura del romanzo di trovare una risposta, pur dentro di me sapendo bene che non ne esiste alcuna capace di placare il dolore di certi addii. La tecnica scelta dall’autrice è quella dell’io narrante del protagonista, che racconta la sua storia d’amore più grande e sofferta, con una donna sposata, Louise. Molti si sono domandati se è la voce di un uomo o di una donna a parlare. Molti hanno annoverato ‘Scritto sul corpo’ fra le opere più riuscite della letteratura lesbica. Fra una pagina e l’altra andavo alla ricerca di particolari che mi facessero propendere per l’una o per l’altra ipotesi. Cambia tutto, se ci pensate. Immaginare un uomo e il suo amore per Louise, oppure una donna e il suo amore per Louise. Ho deciso che è una donna ad amarla perché un uomo non saprebbe raccontare l’amore così. Pertanto, da questo momento in poi, per me la protagonista sarà una lei.
    Louise è l’Amore con la A maiuscola. Non che esistano amori con la a minuscola. L’amore dovrebbe non prestarsi ad essere classificato, eppure a distanza di anni ti rendi conto che di tempo ne hai perso parecchio a star dietro a chi poi ha dimostrato di valere meno di un quadrato di carta da culo. Louise vale tutta una vita perché alla vita di lei dà senso e lo fa attraverso impulsi incontrollabili. A parlare è il corpo che non si pone domande, non si perde in ragionamenti. Il corpo vuole la vicinanza e il calore della pelle, vuole sentirne la consistenza, vuole accarezzare e abbandonarsi all’odore unico dell’altra. Il corpo urla.
    Raro il caso di un amore così ugualmente corrisposto. Pur nella comunanza di sentimenti capita che nel cuore dell’uno arda il fuoco che scalda pure quello dell’altra. Invece il cuore della protagonista e quello di Louise sono due vulcani che non hanno bisogno di calore esterno per bruciare, alimentati dall’idea della felicità in due, che le spinge ad abbandonare tutto per viversi questo amore. Louise lascia suo marito, un accreditato dottore, per lei, senza preoccuparsi di quello che dirà la gente. Lei lascia la sua ultima compagna Jacqueline, fra le cui braccia aveva trovato la sicurezza di una relazione senza troppi sussulti, ma col tepore di una casa e di un progetto di vita.
    Cosa manca al loro amore? Nulla, ma l’Amore, pure quello con la A maiuscola non basta quando arriva la malattia. Louise si ammala e questo cambia tutto. Se il sentimento che le lega non fosse stato tanto forte, le sarebbe rimasta accanto, invece per il suo bene, proprio per tanto amore, la lascia alle cure finanziate dal suo ex marito. Lo fa senza parlarne con lei, perché sa che Louise non l’avrebbe permesso mai. Scappa da Londra, cambia completamente vita continuando a pensare a Louise ogni istante delle sue giornate. A sentirla attraverso tutti i suoi sensi. A vederla pure nei ricordi. Finché non decide di cercarla, nonostante tutta la rabbia che sa che starà provando per essere stata abbandonata nelle mani dell’uomo che disprezza, proprio nel momento di maggiore debolezza.
    Questo libro ha fatto cadere un’altra certezza: che dell’amore nessuno potesse scrivere e riuscire a far provare amore al lettore.  Jeanette Winterson con me ne è stata capace.

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  • Premessa: l’unico cinema aquilano sopravvissuto, che poi è una multisala (wow!), fa schifo. Naturalmente elencherò dei punti a sostegno di tal tesi.
    Punto 1: Il cinema che passione! Le persone che ci lavorano non capiscono un membro molle (caXXo, per gli amici) di cinema. Detto da me, che guardo un film a decennio e comunque mi sento di capirne di più, dovrebbe rendere l’idea della competenza che dimostrano.
    Punto 1 e ½, perché sempre riferito a loro: il lavoro nobilita l’uomo. Hanno una voglia di lavorare che, al solo guardarli invece a me fanno venir voglia di fare un bel tuffo de panza a terra e premere il volto sul rosso tappeto più forte che posso, fino a trovare la morte per soffocamento autoindotto. Una sorta di legge del contrappasso, mi perdoni Dante.
    Punto 2: par condicio. La multisala consta di 6 sale così al momento ripartite: sala 1 Che bella giornata di Checco Zalone, sala 2 Che bella giornata, il nuovo film di Checco Zalone, sala 3 Che bella giornata, non perdere il nuovo film di Checco Zalone! e sala 4: sì lo sappiamo. Che bella giornata di Zalone, che mi piace, per carità, ma l’ho già visto. Alla 5 Qualunquemente di Antonio Albanese che se lo incontro per strada gli passo sopra con la macchina. Non chiedetemi perché, ma è questo l’istinto che domina le mie reazioni primarie alla vista della sua megalomane faccia di cazzo in primo piano sulla locandina. L’ultima sala se la giocano i restanti 2 miliardi (come direbbe mia madre) di film che tutti i giorni escono in Italia. In virtù del punto 1, non per colpa, ma per una serie di limiti visibili proprio, la scelta della pellicola da parte delle solite persone che ci lavorano porterà a una selezione di abnormi cagate.
    Punto 3: pensa alla salute!
    Le caramelle gommose che vendono sono pericolosissime. Vengono lasciate in quei contenitori di plastica fino all’estinzione dell’ultimo colloso e duro anello di ciuccio di zucchero che, considerando la consistenza e il sapore, suppongo star lì da molto. C’è una cosa che le accomuna tutte: il sapore di Lisomucil per la tosse secca. Dagli orsetti alle banane gialle, dalle ciliegine alle uova di spugna, dai marshmallows (sì, si scrive così, l’ho cercato) alle liquirizie ripiene di giallo frizzantino. Lì tutto sa di Lisomucil sciroppo per la tosse secca, ma gli effetti sono diversi. Lo stomaco si gonfia e tu, che sia maschio oppure femmina, stai pur certo che rimani incinto/a e partorirai qualche ora dopo un essere vivente a forma di grande stella al sapor di coca cola, però dal culo. Potrei andare avanti per una lunga serie di altri punti: le popcorn sulle poltrone; le porte che le chiudi o no tanto è uguale: continuerai a sentire gli spettatori che ruttano uscendo dalle altre sale, mentre tu tenti di farti prendere dal pathos che pretendi, visto che hai appena scucito 7 euro; la vendita illimitata dei biglietti. C’è posto per tutti, basta che paghino. Non importa se hai staccato il 670esimo biglietto in una sala che può contenere 200 spettatori: sulle scale, in piedi, chissenefrega! Si arrangino pure con gli occhi al cielo mentre il faccione di Matt Damon si dilata in un’espressione straziante che sospira: “Basta, ho smesso da anni di parlare coi morti”.  Ecco sì, passiamo al film. Ho scelto di andare a vedere Hereafter non per il talento di Matt Damon né per quello del signor Clint Eastwood che l’ha diretto, ma per esclusione e il punto 2 precedentemente illustrato mi ha facilitato di molto la decisione. Immaturi non è il genere di film che posso permettermi in questo delicato momento della mia vita, senza dovermi portar dietro tutte le conseguenze derivanti dalla presa di coscienza che, pure se il mio diploma è valido, tanto meglio di quei disperati non sto messo.
    [Piccolo spaccato di una cena in famiglia] Ci deliziavamo il palato con l’invidiato minestrone materno (quando entrando in cucina i miei occhi si sono appoggiati sul piatto contenente il fluido filamentoso verde, che li ha risucchiati come sabbie mobili, ho pregato di sopravvivere. È in momenti come questo che mi convinco di avere fede). Mia madre a un certo punto si ricorda della notizia che ha sentito e vuole condividere a tavola, naturalmente letta e reinterpretata dalla sua creativa ragion pura, e irrompe a gran voce nel dignitoso requiem in memoria delle verdure morte così: “Oh, ma avete sentito di quegli studenti che gli hanno tolto il diploma e devono rifare l’esame di stato dopo vent’anni?”. Mi casca il cucchiaio nel piatto che risponde per me che sono senza parole: “Mamma, quello è ‘Immaturi’ il nuovo film con Ambra di Non è la RAI!”. [Fine dello spaccato]
    Tutto questo per dire che Hereafter non è brutto, neanche bello. L’idea è buona. Ci sono questi qui che, poveretti a loro, hanno perso una cara persona e non riescono a darsi pace, e c’è Matt che, dopo un’operazione delicata post incidente stradale, ha scoperto che tenendo per mano qualcuno riesce a mettersi in contatto con i di lui/lei morti. L’idea non è malvagia e la scena iniziale dello tsunami non vale tutto il film, ma quasi. Poi diventa una palla pazzesca. Non succede niente per due ore e finisce nel peggior modo possibile: quello americans del love love love.
    Ecco, a ripensarci mi è arrivato un doppio cazzotto di sonno da destra e da sinistra. Buonanotte pure se è domenica mattina.

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  • Un conato e poi un altro eppure non sono malato. Sono stato molto attento questo inverno perché con la salute non si scherza – dice il mio dottore, e l’anno scorso la polmonite mi ha lasciato il ricordo di un incubo, per questo non m’importa degli altrui sguardi fissi sul brutto cappello del Milan, e poi a quel berretto ci tengo. Questo per dire che nessuna influenza o virus d’altro tipo che attacchi l’organismo ha causato i conati, ma una discussione in TV. Si parlava di Berlusconi, delle sue bambine e dei suoi processi che quasi certamente non procederanno. Il disgusto è stato tale non tanto per l’argomento di base, che genera in me una totale impotenza a dire e fare, un po’ come quella che il Presidente ha sconfitto grazie a un marchingegno che preferirei non chiamare pompa, che si sarebbe fatto impiantare proprio per garantirsi prestazioni decenti, quanto per gli interventi degli ospiti che in un’atmosfera giocosa parlavano di puttane, pompini, Ruby e i suoi 7mila euro diventati poi, in un’intercettazione telefonica, 5milioni. Accusavano l’uno di essere stato pagato per difenderlo, l’altro se ne andava indignato e poi tornava minacciando di querelare l’uno, l’altro, tutto il programma e pure la madre del presentatore per aver messo al mondo un essere umano incapace di porre fine a quell’obbrobrio – penso io.
    L’ho fermato io spegnendo la TV. È tutto ciò che ci resta, uno dei pochi diritti che ancora non ci tolgono: spegnere la TV. Arriverà il momento in cui ci costringeranno a tenerla accesa e a fissarla come zombie per almeno 6 ore al giorno. Una pratica per il nostro bene, per la nostra civilizzazione. L’indottrinamento televisivo come una pastiglia che giorno dopo giorno stordisce. Ecco la causa dei miei conati. In quello studio televisivo e in altri ho visto uomini e donne capaci di calpestare il corpo della madre pur di difendere, con evidente imbarazzo, il potente, non per niente, per molto anzi.
    Lascio chiudere il pensiero a una donna con la D maiuscola.


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sono Matteo

Sono nato a L’Aquila nel 1981.
Adesso vivo a Firenze, insegno ai bambini della scuola primaria e scrivo romanzi definiti “per bambini e ragazzi”, ma io dico non vietati agli adulti…

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