Animaletti berlinesi

(Giraffa tutta di mattoncini Lego)

Berlino è strana. Lo so che è un aggettivo quasi inutile, strano, perché sta bene a tutto se visto nell’ottica di chi non è così, come quel tutto, però quando vedi un grattacielo che affianca un casermone di mattoni che affianca una sinagoga che affianca cinque piani di centro sociale imbrattati di scritte, anzi no, resi artisticamente rilevanti dall’opera di mirabili rullatori di spinelli armati di bombolette spray colorate, non arriva un’altra parola a sostituire il silenzio dovuto al senso di smarrimento davanti a tale incoerenza visiva, voluta dall’uomo o decisa dalla Storia (come se la Storia la facesse qualcun altro diverso dagli uomini) che però sembra costruire un’armonia. Passi sotto la Porta di Brandeburgo e percorri tutta Unter den Linden che vuol dire Sotto i Tigli per via dei tigli che ha fatto piantare Federico Guglielmo I di Brandeburgo che amava cavalcare fino al parco di caccia del Tiergarten circondato da un appropriato splendore barocco. Ognuno ha le sue esigenze. Ti fai un giro per negozi vintage che fa tanto figo come parola, vintage dico (“Cavolo Jessie quanto sei vintage! … Oh, oggi mi sento un sacco vintage! … Voglio quella maglietta vintage…”) , che se parliamo come magnamo non è altro che roba vecchia, usata, puzzolente e magari ti becchi pure qualche malattia che resiste ai 90 gradi di lavatrice, obbligatori se vuoi indossare quegli stracci. Alloggiavamo in uno splendido albergo a 4 stelle posizionato al centro del Mitte che è il quartiere centrale di Berlino. Al centro del centro, in pratica. Abbiamo optato per la formula colazione esclusa; con gli stessi 16 euro potevamo ingozzarci di ciambelle colorate e caffè americano (una volta è per sempre. Ma che gusti hanno gli americani per adorare quegli schifosi e interminabili beveroni bollenti di acqua sporca e insapore?) in un Dunkin’ Dunuts qualunque o magari proprio in quello fuori allo Zoo (di Berlino) nel quale ho dimenticato lo zainetto in una delle molteplici circostanze in cui l’ho dimenticato appunto. Quando sono tornato a recuperarlo ho beccato la lavorante un po’ in là con l’età che frugava alla ricerca, voglio sperare, di un nominativo da contattare per restituirlo. Appena ha capito che ero io il padrone, ha cominciato a inveire qualcosa contro di me. Io ho detto: “Thank you!” (thank you dde che, poi?!) e sono tornato a fare la fila per lo Zoo. Non mi piace vedere gli animali ingabbiati (le mie tartarughe acquatiche non sono ingabbiate, ho deciso così), ma a tanta gente sì. Quelli che hanno passato Ferragosto a fare fotografie alle macerie aquilane secondo me adorano gli zoo, per dirvi. Anche se quelle non parevano gabbie, ma grandi pezzi dei loro habitat naturali, che poi 4 sassi, un laghetto e un tronco caduto ed ecco pronto uno stupefacente habitat perfetto per pinguini, orsi, tigri e pure per i canguri, mi hanno dato tutti l’idea di bestie non propriamente felici. La gorilla più vecchia d’Europa poi, l’apoteosi della depressione, poveretta. Se ne stava seduta col faccione appiccicato al vetro a guardare la gente passare. Un tipo ci ha spiegato (in Inglese) che da quando è morto il suo compagno lei non è più la stessa. Si è lasciata andare a una tristezza inconsolabile e i membri della sua tribù non l’accettano più perché lei fa l’asociale. Mi ha fatto così tanta tenerezza (mi sono sentito simile a lei, soprattutto mentre si grattava il pancione e i piedoni) che c’è mancato poco che a consolarla ci andassi io. Il vanto di Berlino sono i musei, più di 170 che non abbiamo potuto visitare in 5 giorni (basta una divisione per rendersi conto) ma molti sì tipo il Pergamon all’isola dei musei. Madonna quanto erano alti i templi greci! No perché uno li vede sui libri e mica lo capisce. Medesima sensazione di Davide contro Golia di fronte allo scheletro del brachiosauro al Museo di Storia Naturale. Da fuori la stanza vedevo qualcuno gironzolare attorno a quelli che parevano dei pezzi di legno. Entro e alzo la testa al cielo. A 20 metri d’altezza incrocio con gli occhi quella del dinosauro e capisco che i pezzi di legno sono ossa e che un uomo è più piccolo del suo dito mignolo. Niccolò ha tentato di fotografarlo da ogni angolo per riprenderlo nella sua interezza e in una, che trovate poche righe più giù, c’è quasi riuscito. Volevamo visitare pure il museo egizio, ma “Per oggi è sold out” abbiamo capito noi della spiegazione (sempre in Inglese, ehm ehm) della ben vestita fanciulla dei biglietti. Abbiamo ripiegato sull’Alte Nationalgalerie dentro cui sta appeso un quadretto di Picasso piccolo, ma tanto carino che avrei volentieri portato via con me. C’è appesa anche altra roba, mica solo quello, però quello, sì proprio quello, era perfetto per arricchire (me e) la parete sopra al letto, affianco alla madonna di gesso coi rosari. Il Bauhaus-Archiv mi ha affascinato. Ho passato tutta la visita a chiedermi quale processo evolutivo abbia potuto portare i membri di questa prestigiosa scuola di arte, design e architettura dallo svolgere i compiti per casa colorando triangolini di carta e ricomponendoli a formare variopinti triangoli più grandi, al diventare Klee o Kandinsky, per dire. Inoltre, non fate come noi, non mancate di visitare il museo ebraico di Berlino e il Judisches a Kreuzberg. Quello che ho avvertito io sulla pelle da perfetto ignorante (in qualcosa la perfezione l’ho raggiunta) è la volontà di una città di riscattarsi dalla vergogna di quegli anni terribili che non possono essere dimenticati. E Berlino non vuole dimenticarli, anzi, vuole trovare il modo di farsi perdonare. Ovunque è  profondamente ancorata la storia del popolo ebraico attraverso l’olocausto, la deportazione e l’esilio. In omaggio al popolo ebraico Berlino ricorda l’assurdità della guerra e i ruoli che hanno tenuto gli ebrei nella costruzione della grande nazione tedesca. I resti del Muro mi hanno scosso. Avete presente quando avvertite quel brivido col fiato che manca alla vista di qualcosa di cui avete sempre sentito parlare, che studiandolo non vi faceva il minimo effetto e poi, là davanti, vi trovare a esclamare: Cazzo! Perché là hanno sparato a più di 200 persone che tentavano di passare da Berlino Est a Berlino Ovest ed è come se le vedessi. Noi a Kreuzberg ci siamo andati, ma non al museo, al ristorante messicano più buono del mondo che faceva, fra l’altro, dei cocktail da estasi. Mai bevuto un Long Island così, né un Mojito così e mai pagato un cocktail 4 euro. Cercatelo, andateci. Per non parlare di tutti quegli omini a cavallo di una specie di bicicletta gialla che ti vendono un panino con wurstel cotto al momento, ketchup e senape a un euro e 20. E le birre. Fantastiche: bianche, bionde, rosse, nere, verdi, milioni di gusti e qualità, tutte buonissime e tutte a 3 euro a pinta. A Nikolaiviertel ci dovete andare. È una zona del Mitte. Si trova nella zona più antica della città e si affaccia proprio sul fiume Sprea (se qualcuno ha fatto le elementari in Germania, mi dice come si pronuncia per piacere?). Sembra antico, ma non è. Cioè sì, è medievale, ma è stato quasi totalmente distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e poi ricostruito attraverso edifici moderni a pannelli prefabbricati, che imitavano nelle forme e nelle dimensioni quelli antichi. Io farei una chiamatina a quei 4 ingegneri che si occuparono della ricostruzione della città e commissionerei loro la ricostruzione dell’Aquila, altro che Chiodi e Cialente.
Potrei raccontarvi un milione di aneddoti, tipo che al Pergamon mi hanno scambiato per un mendicante visto che andavo in giro a chiedere: “Do you have one euro?” col palmo della mano aperto con 2 monete da 50 centesimi e non capivo come mai nessuno volesse cambiarmele in un’unica moneta da 1 per poter infilare la mia roba nell’armadietto. Nei musei tedeschi funziona come il carrello del supermercato da noi. Oppure del ritorno, quando all’aeroporto, al gate, appena passata la guardia, questo brutto ceffo chiama il check-in per fare degli accertamenti sulla mia persona. Dev’essere rimasto impressionato dal mio taglio di capelli ribelle, tanto ribelli che alla fine se ne sono andati, e chi l’ha rivisti più?
Potrei, però vorrei almeno lasciarvi il tempo necessario alle poche urgenze fisiologiche, altrimenti questo post verrà fuori talmente lungo, ma talmente lungo che ve la farete addosso pur di non interrompere la lettura. Comunque grande vacanza, indispensabile per ricaricare le energie, pure quelle del cuore che i miei amici mi mancano sempre da morire, e ripartire fiduciosi. Io sono molto fiducioso in questo periodo e, pure se Berlino con questo non c’entra granché, voi andateci, perché si deve.

I compiti per le vacanze

Ci siamo. Domani mattina partenza all’alba (alle 8.00 per me è l’alba) per Firenze e il lunedì (voci di corridoio parlano di 5 del mattino) raggiungiamo Venezia da cui decollerà il Jumbo Jet per Berlino. Io ho fatto tutto quello che dovevo fare, cioè: niente. La valigia è rimandata a fra un po’, in compenso nel pomeriggio sono uscito in compagnia del mio fraterno e utilissimo amico Leoluca Bagarella che non ha dovuto insistere troppo per farsi saldare da una libreria le tante copie di Non farmi male vendute in questi mesi e che i signori avevano manifestato una certa ritrosia a pagarmi. Per quelle di Supermarket24 aspetto ancora un po’; non ho voluto dar loro il colpo di grazia, o di canna di rivoltella di Leoluca.
Prima di partire per un lungo viaggio, porta con te la voglia di non tornare più, diceva la Irene. Questo non sarà un lungo viaggio. L’aereo farà prestissimo (vero?!) e il 14 sarò di nuovo da queste parti entusiasta di festeggiare il Ferragosto a L’Aquila, mia meravigliosa città che hanno ricostruito per intero coi soldi dei vostri sms e dei concerti della Pausini e pure quelli di Silvionostro (che sei nei cieli) che canta discretamente. Lo sapevate che adesso è più bella di prima? (Prendete per oro colato tutto quello che i TG vi raccontano, mi raccomando.)
Sono andato in cartoleria e ho acquistato una marea di inutilità da portare a Berlino, riscoprendo la mia indole preadolescenziale del vedo e lo compro perché mo’ l’ho visto e quindi lo voglio, tipo la NON [AGENDA] della Fila (è scritto proprio così, con le parentesi quadre e in maiuscolo, che io per praticità mi limiterò a chiamare non agenda) con due penne incorporate a inchiostro liquido fluorescente giallo e verde prato che si chiamano cyberpen,  a 6 euro e 90 che non userò mai (la non agenda e le penne) mosso dalla spinta propulsiva a sfruttare i momenti morti (tipo le notti, per esempio) per far quadrare il finale del romanzo che sto scrivendo. Dentro c’è la nuovissima avventura a fumetti di Cyber, un ragazzo dall’intelligenza spiccata e cibernetica, Lysa e Max, due fratelli amici di Cyber, figli di diplomatici che lavorano all’ambasciata di Tokio, e la Dottoressa, donna misteriosa e intrigante, esperta di virus informatici che potrebbe essere la degna compagna del mio Dottore di Supermarket24. E pensare che gli avevo chiesto un quaderno per prendere appunti e mi sono ritrovato l’agenda col piano di una guerra ad armi chimiche contro Tokio su cui dovrò scrivere, scrivere e scrivere. Di notte le emozioni sembrano più dense, dice l’amico di Maria. Si spera, visto che la notte sarà l’unico segmento di tempo libero. Mi sento uno scolaretto il giorno prima del suo primo giorno di scuola. Animato da buoni propositi si fa comprare quadernini, astuccio, penne di tutti i colori, ricopre i libri per benino con la carta protettiva trasparente, scrive i compiti sul diario e alla fine dell’anno si fa bocciare.
A proposito di compiti, vi lascio quelli per le vacanze che vi aiuteranno a sopperire al devastante silenzio che la mia assenza lascerà nei vostri cuori per questi 6 lunghissimi giorni.
Un profondo respiro e cominciamo.
Leggete per bene l’intervista che Roberta Leomporra mi ha fatto per Italia Magazine ché quando torno vi interrogo. E poi quella che ho fatto io a Mauro Marcialis, in libreria in questi giorni col suo ultimo appassionante Spartaco, il gladiatore (Mondadori), nella rubrichetta che tutto il mondo ci invidia: 4 chiacchiere (contate) con… sempre e solo su SoloLibri.net. Per Solo Libri ho scritto pure un articolo che affronta la crisi dell’editoria vista dagli occhi dei piccoli editori indipendenti, che risegnalo semmai qualcuno avesse fatto finta di non vederlo.
Continuate a leggere Supermarket24, a consigliarlo (a quanto pare capita pure questo). Portatelo con voi al mare a fare i bagni di sole (non troppo però, ché prende fuoco, ha una pelle delicata) e impeditegli di giocare ai tuffi ché, se no, mi si scioglie in acqua come un’aspirinetta. Scrivete una recensione, pure dieci righe purché sia la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità sulle sensazioni che vi ha dato leggerlo e inviatemela a matteo1077@gmail.com.
Fate come Roberto, insomma, che ringrazio tanto:

Stoccolma, 4 agosto 2010

In un mare editoriale in calma piatta, dominato da autori ispirati da facile buonismo e finti sentimenti, Supermarket24 agita le acque.

Il protagonista del romanzo, Luca Sognatore, trova lavoro in un supermercato qualunque di una città di provincia qualunque, e Matteo Grimaldi lo segue nella sua prima giornata di lavoro. In quelle ore Luca avrebbe potuto incontrare l’amore e nuovi amici con cui condividere sogni e aspirazioni, ma Grimaldi non cade in trame facili e già scritte, disegnando un personaggio credibile e intelligente. L’autore scava nei pensieri di Luca, e trova giudizi netti e definitivi su colleghi e clienti, frustrazioni e sarcasmo di chi ha già capito ed accettato di essere un uomo qualunque.

Ciò che rende questo romanzo originale ed interessante, è che di colpo il supermercato diventa l’ufficio del lettore, il bar che frequenta ogni sera, la sua cerchia di amici, o magari la sua stessa famiglia. E così chi legge, a tratti, si immedesima in Luca, gli dà ragione e annuisce, anche se in parte vorrebbe prenderne le distanze. E la vita di Luca, così lontana dalla generazione di chi vive tre metri sopra il cielo, assomiglia un po’ più alla nostra.

Roberto Di Giulio

Basta così, per ora. Mi pare pure troppo per 6 giorni che non ci sentiamo. Già, perché il PC lo lascio a casa. Mi porto la non agenda per riscoprire il gusto antico di scrivere pagine e pagine con la penna (non quella fluorescente in allegato). Noi ci risentiamo per Ferragosto con la pancia satura di agnello alla brace riscaldato al forno, dal sapore un po’ gommoso, familiare. Non vedo l’ora, proprio.
Porta con te la voglia di non tornare più. Appunto.

Case Editrici: c’è chi molla e chi affronta la crisi “InVersi”

Ho scritto questo articolo per SoloLibri.net dopo aver letto dell’imminente chiusura di Zandegù, un editore che ha provato a far sempre una letteratura intelligente, e della scelta di Edizioni della Sera di puntare sulla poesia giovane e sconosciuta con la nuova colla “InVersi”. Due strade lontanissime che fanno parte dello stesso intricato mondo delle case editrici indipendenti di qualità.

Viviamo un momento storico, speriamo bene duri appena un momento, in cui la lettura sembra esser divenuta sinonimo di perdita di tempo, riservata a chi ha tanto tempo (poca gente) e soldi (ancora meno), visto il prezzo di certe prime edizioni che sfiorano i trenta euro. Le vendite dei libri continuano a calare, mentre crescono in modo esponenziale gli aspiranti scrittori che tartassano gli editori con manoscritti che, eccezion fatta per qualche rara perla, verrebbero scartati pure dagli autori di Beautiful.

Le major dell’editoria sono sempre più restie a produrre giovani o vecchie voci sconosciute, perché è un azzardo che in tempo di crisi non ha alcun senso vivere. Dopotutto ci sono i soliti nomi che funzionano e garantiscono moneta sonante, perché rischiare?

I piccoli e medi editori indipendenti continuano a provarci. Si appassionano a storie nuove e le producono, lavorando con sacrificio ad ogni libro e alla promozione, mettendoci anima, corpo e soldi perché tutto sia perfetto, perché il libro funzioni, perché sempre più persone ne vengano a conoscenza. Quello che ricevono in cambio è la porta sbattuta in faccia dalle librerie alle loro pubblicazioni, la disattenzione dei media e un mondo di difficoltà. Si “sbattono” da una fiera all’altra per piazzare poche copie e non ripagarsi neanche la metà delle spese, nel disperato tentativo di rendersi competitivi con una concorrenza impossibile. A un certo punto capita che il gioco non valga più la candela, non che prima la valesse, ma subentra una stanchezza di anni di illusioni mai ripagate e molti validissimi editori decidono di chiudere i battenti. È il caso della Zandegù che per voce della sua giovanissima direttrice editoriale Marianna Martino annuncia la chiusura (forse provvisoria, si vedrà a settembre). Auguro loro di trovare la voglia e la forza di insistere. Erano vicini di stand della mia casa editrice, la Camelopardus, alla fiera del libro di Finale Ligure e in quell’occasione ho acquistato “Maliverno” di Fabio Lubrano, che consiglio a tutti.

In questo panorama preoccupante emerge dal buio la luce di una piccola casa editrice romana, Edizioni della Sera (guidata dal giornalista e scrittore Stefano Giovinazzo) che continua a puntare su un’ammirevole politica di scouting nella narrativa, a cominciare dalla pubblicazione di “Boing Generation” del giovane Luca Sacchieri. Non solo: ha deciso di osare con una collana di poesia senza contributo. A settembre, infatti, vedrà la luce “Una terra che nessuno ha mai detto”, la prima creatura della nuova collana di poesia “InVersi”, curata dalla scrittrice e giornalista Monica Maggi. L’autrice del libro è Irene Ester Leo, classe 1980, che ha alle spalle numerose pubblicazioni per LietoColle e importanti riconoscimenti poetici. A Edizioni della Sera va il mio più grande in bocca al lupo per questa collana poetica che probabilmente indurrà molti a storcere il naso al grido di: “La poesia non si vende!” per aver scelto di percorrere una strada che non tiene conto delle politiche del marketing, ma che procede verso il talento, la qualità, la passione e il desiderio di offrire a chi se la merita una possibilità per emergere.

L’articolo lo trovate anche qua.
Prima di acquistare un libro che vi intriga, a meno che non sia delle solite Monda e Feltri e Bomp e Riz, informatevi sull’editore, scoprite se è uno di quelli che vivono di passione e investono sugli autori, oppure se seduto al tavolino del dir. c’è un vampiro che succhia il sangue dei sogni degli aspiranti autori che a lui si rivolgono. Quelli non muoiono mai, purtroppo. Neanche coi paletti di frassino.

Ehi Bob, che ne pensi di Supermarket24?

Stamattina mi sono svegliato convinto di essermi reincarnato nell’ingranaggio di un qualche motore cafone, una rondella o un pistone o qualcos’altro che sta nel motore – io non lo so come sono fatti i motori, però c’era talmente tanto frastuono costante nelle mie orecchie che mi sono immedesimato. Non è una bella sensazione sentirsi parte di un motore che poteva essere quello di un Boeing 747. In realtà era quello che mia madre mi ha presentato come Bob Card, che io ho pensato fosse una sorta di promozione estiva che si fosse inventata Bob, questo magnate della telefonia che ti permette di inviare sms gratis e chiamare tutto il mondo a spese sue perché gli fai pena, tu poveraccio che non arrivi a fine mese. Tipo Summer Card che non è proprio così, ma ci siamo capiti. Invece il mezzo si chiama bobcat (quello dell’immagine è radiocomandato, quello nel mio piazzale no. Quello dell’immagine sarà 40 centimetri, quello nel mio piazzale 40 metri) ed è un giallo veicolo gigantesco che sta occupando il 90 per cento del mio piazzale (nel restante 10 c’è la casetta di Iker con Iker dentro). Ha un carrellino elevatore in cui stanno degli omini che salgono sui tetti senza entrarti in casa. Questo mia madre lo trova geniale, lei che in casa ha tutti i suoi segreti. Stanno cambiando il comignolo che dopo il terremoto ha cominciato a sgretolarsi e nessuno se n’è accorto finché il processo non è giunto a compimento. Devo ringraziare Bob perché, se non fosse stato per lui e per la sua discreta utilitaria, io non mi sarei svegliato per niente al mondo e con tutte le cose che devo fare, all’apertura naturale degli occhi, avrei potuto tentare il suicidio. Quindi grazie Bob, sappi che hai salvato una vita irrompendo nella sua proprietà senza entrare in casa, e quella vita ti deve la vita, appunto. Ti ringrazio perché arrivi sempre al momento più opportuno, con un tempismo straordinario, come quando, poco fa, ho avviato una canzone e tu sei partito fuori BBBBRRRRRUUUUMMM! e neanche le cuffie e il volume a palla mi hanno permesso di coglierne poche parole almeno.
Le mie vacanze vere devono ancora arrivare. A di là di Finale Ligure e la fiera di Vento Letterario, non ho smosso il culo da L’Aquila. Sabato si parte per Firenze e domenica (da Firenze) per Berlino, se ho ben capito. Anche quest’anno io Luca e Niccolò siamo riusciti a organizzarci la nostra vacanza. (L’hanno organizzata loro. Io ho solo detto sì e fatto tanti saltelli sul posto all’idea.)
Prima di partire vi lascio i saluti e i compitini per le vacanze così da poter provare a riempire il vuoto incolmabile lasciato dalla mia assenza. Intanto qualcuno sta leggendo Supermarket24 e arrivano di tanto in tanto piccole recensioni e commenti. Ecco quello che ha scritto Mary sul suo blog, che ringrazio tantissimo. Il parere dei lettori è per me l’unico modo per capire se sto procedendo nella giusta direzione. Sono curioso di come arriva Supermarket24 a chi lo legge, cosa arriva prima e cosa per niente di quello che faceva parte dei miei intenti mentre lo scrivevo.

Luca Sognatore, da cameriere a commesso del reparto ortofrutta di SpesaPiù, è un attento osservatore della più varia umanità. Ha difficoltà a distinguere i vari tipi di verdura ma riesce bene a capire (da poche parole e particolari fisici) una persona. Le sue critiche, la sua ironia, il suo sarcasmo bersagliano clienti e colleghi eppure, in certe situazioni, il giovane si mostra dotato anche di empatia e compassione. La prima giornata di Luca al supermarket, quindi, è scandita da vari episodi, incontri e divagazioni mentali tra pesche e meloni,  il tutto condito da una spruzzata di trasporto amoroso verso una collega.Matteo Grimaldi, già apprezzato per Non farmi male, una raccolta di racconti edita da Kimerik, con Supermarket24, Camelopardus editore, conferma la sua bravura e si fa apprezzare per una cresciuta sensibilità.
Alcuni brani ci fanno sorridere, altri temere per le sorti di Luca e altri ancora ci commuovono a sorpresa. Basti pensare a Lory, la macellaia tradita.

“Eri sicura di te.(…) Il giorno dopo da sola. (…) Dopo diciannove anni di matrimonio, da sola. Hai sempre creduto ad ogni favola. Hai sempre creduto. Perché quell’amore era tutta la tua vita. Nessun maledetto particolare. Poi scopri qualcosa che non deve esistere, che distrugge il sorriso, e che lo fa per sempre”.

Il finale non è scontato e la “Postfazione ringraziamentosa” chiude degnamente un bel romanzo da leggere sotto l’ombrellone o un bel plaid!

MaryZed

Se vi va, vi invito a scrivere la vostra personalissima recensione e a inviarmela a matteo1077@gmail.com sarò felice di pubblicarla. Saluto Bob e torno a scrivere.
Alla prossima!