Tracce ematiche sul pantalone

Attendo questa serata da circa 16 giorni. Son quei momenti che capitano una volta nella vita, se ti dice bene. Sarò in un luogo leggendario, a pochi passi da personaggi che non riuscirei a incontrare neppure se mi ci mettessi d’impegno a far loro le poste fuori dai grandi studi televisivi, o teatri, o alberghi a 5 stelle, o palazzetti gremiti, che frequentano per arte. Con qualcuno di certo ci parlerò, per dirci come stiamo dopo tanto che non ci vediamo; come procedono quei nostri progetti. Quando ci penso, mi viene da sorridere all’idea che esista un filo che parte da me e arriva a loro, che di mese in mese si fa più resistente. Non entro nei dettagli ché mi risale l’ansia e comincio a sudare gocce gelide e a muovere senza controllo la bocca, che non ce la fa proprio a non comporre ridicoli risolini ebeti da ricovero immediato in una struttura per casi umani schizofrenici. È bene specificare che nessuno farà caso a me, neppure il guardiano dei cessi, se un guardiano dei cessi c’è. Non per questo uno può andarci conciato alla bell’e meglio.
Sono giorni che penso a cosa indossare. La sfida era trovare un abbinamento fra pantaloni, camicie, maglioncini, scarpe, calze a rete (?), cinture e cappotti già nel mio armadio, senza dover lasciare un’intera busta paga sul bancone di un negozio di grandi marchi, o dover partecipare in sequenza a Bisturi e al Brutto Anatroccolo per farmi trasformare in quello che potrebbe apparire a occhi frettolosi un essere umano presentabile. Quando stamane mi sono convinto di avercela fatta, la disgrazia si è abbattuta sulla mia vita, più precisamente sul pantalone prescelto.
La prova finale prima della vestizione definitiva. Mi godevo il mio figurino allo specchio e raccontavo al telefono quanto mi stessero bene i pantaloni marroncini che Madre mi ha regalato in sostituzione di quelli, dalle più economiche e scadenti fattezze a dir la verità, che ha trasformato in una maschera di carnevale a pois rossi con un semplicissimo giro di lavatrice. Quando vedo comparire una striscia rossa poco sotto la cintura, con pozzangherina finale in corrispondenza del bordo della tasca, mi sento mancare. Maledico la stramaledetta pellicina dell’unghia del mignolo che ho torturato per tutto il tempo speso in bagno a fare quello che facciamo tutti, senza che storcete la bocca. La microscopica ferita lasciata dall’estirpazione della morta carne non era così microscopica, visto che ha maturato una sola, ma corposa goccia di sangue che io ho inconsapevolmente accompagnato sul pantalone per diversi centimetri.
No, non l’ho sparata; le parolacce le dico, ma non mi metto a dare la colpa a chi, nell’alto dei cieli, è in tutt’altre faccende affaccendato che non nel rovinarmi l’unico pantalone decente in mio possesso.
“Scusami, devo riagganciare… Sì devo farlo adesso, prima che mi metta a piangere!”
Afferro uno degli straccetti pulitissimi che Madre tiene nello stipetto del lavatoio, lo bagno con poche gocce di acqua tiepida mischiate alle lacrime e comincio a strofinare prima delicatamente, poi un po’ meno delicatamente, per non dire arrabbiato come un orso a cui hanno portato via il suo miele sotto il naso. Il sangue non vuole sparire, eppure è una macchia fresca. Ma porca la tro…mba sì. La tromba del ca…nto. Esatto. Il canto della pu…bblica istruzione. Quella che mi ha insegnato a non spararla troppo grossa, però – ca…nto! – quando ci vuole ci vuole.
Il risultato, dopo ore di trattamento e attesa che il tepore delle stanze di Villa-Madre asciugasse l’alone, è che l’alone c’è.
Sono 2 a questo punto le possibilità a mezz’ora dalla partenza.
– Cambio pantalone, e quindi cambio camicia e quindi cambio maglioncino e quindi cambio scarpe. Non se ne parla neanche. Io non ho una stanza armadio, ma solo poche cose, tante delle quali indicate per la mia vita di tutti i giorni, pertanto impresentabili, pochissime delle quali adattabili a una serata del genere, nessuna delle quali comunque all’altezza.
– Indosso ugualmente il pantalone stando attento a far capitare il lembo del maglioncino a coprire l’alone. Farò così e, per sicurezza, passerò tutta la serata con la mano sulla patacca, in una posizione estremamente naturale e dinamica che il manichino della Standa a confronto è Andrew Howe.