Quando qualunque cosa non vale quello che aspetto

Potrei masticare le unghie fino a non distinguerle più dalle ossa delle dita e trovare gustose pure quelle. Potrei camminare fino alla porta, sbattere e tornare indietro sul letto, e poi ricominciare. Potrei caricare la stessa canzone per 2mila volte e ore consecutive. Potrei immobilizzarmi, in piedi al centro della stanza, a fissare un punto sull’armadio senza vederlo. Potrei inspirare, espirare, inspirare, espirare e poi inspirare. Potrei parlare con le mie tartarughe acquatiche tutto il pomeriggio, poi liberarle dall’acquario e passare con loro una nottata di fuoco. Potrei rasare l’erba in giardino, a prescindere dall’interrogativo se io l’abbia mai fatto. Potrei chiamare gente che non conosco presa a caso fra i nomi della chat di Facebook e scrivere di cose che non m’interessano. Potrei dissociarmi dalla realtà e infilare la testa nel salotto di Villa Ada per scoprire come va a finire l’avventura delle Belve di Abaddon, la sgangherata setta satanica di ‘Che la festa cominci’ l’ultimo libro di Ammaniti, che poi non è l’ultimo, ma quello che sto leggendo – ‘Io e te’ l’ho fatto fuori in mezza giornata annoiata. Potrei continuare la caccia alla mosca che ha animato tutta la mia mattinata. Ne ho inseguite e sterminate 9. Questa che mi svolazza davanti alletta l’ambizione di fare cifra tonda. Potrei rispondere ad alta voce a domande che nessuno mi pone, perché a nessuno frega di sapere cosa penso io di questioni sociali, giustamente aggiungerei. Potrei, insomma, rimettermi a parlare da solo, oppure magari fare 4 o 4mila telefonate e raccontare a tutti le stesse cose, ben sapendo che le loro palle son diventate brocche piene fino all’orlo e non ne possono più di sentire questa storia piena di sé e di ma e di se ha fatto così e colì e ha detto questo e quello seguiti da un’interminabile sequenza di non può che essere così. Potrei contare le nuvole nel cielo, impegnarmi a trovare somiglianze con oggetti e persone. Potrei pure sparargli a questa mosca che non ha capito che non è certo continuando a ronzarmi attorno all’orecchio sinistro che si garantirà una vita lunga e prospera. Potrei uscire di casa. Quante cose potrei fare fuori! Tipo camminare fino alla Madonna Fore dove c’è la chiesetta e il sentiero dietro che porta fin su alla piana con le vacche cacatrici e il bollore del sole camuffato dal vento. Potrei stendermi sull’erba e pensare a cosa indossare quella sera lì, ammesso che ci sarà – trovo qualche difficoltà a credere alla realtà, ultimamente. I centri commerciali sono pieni di bei vestiti, con la scusa uno yogurt inondato di Nutella ci starebbe benissimo. Potrei fare un giro in piazza, con tutto quello che ne consegue. Ricordi, sgradevoli silenzi, puntellamenti, sensazioni di crolli, pezzi di carta con appelli, fotografie e volti che non sorridono più, tristezza e tristezza. Per carità! Dovrei passare a salutare qualcuno vicino e chiamare qualcuno lontano, ma non lo faccio. Potrei andare in palestra. Ma quando mai! L’unico tentativo fatto nella vita ha comportato il pagamento di 3 mesi di abbonamento nonostante la mia effettiva frequentazione sia durata 3 mezze giornate. Tutta colpa delle buone intenzioni. Potrei scrivere, ma tutto quello che potrei scrivere non corrisponderebbe a quello che scriverei se solo potessi. Potrei smetterla di aggiornare la posta elettronica ogni 18 secondi, quello sì. Potrei e dovrei. Potrei pensare ad altro che mi faccia non pensare a ciò che potrei fare per evitare di impazzire aspettando, però non ci riesco. Non avrei scritto questo post, voglio dire.