In Abruzzo noi proviamo a far letteratura

Sul nuovo numero di Monitor si parla di Supermarket24, di me e di altri giovani abruzzesi animati dalla passione per la letteratura.

Le parole raccontano il mondo. Alessio, Alessandra, Andrea e Matteo le usano per raccontare i loro mondi sommersi. E per far rivivere la loro terra, l’Abruzzo. Lo fanno senza scorciatoie. Non scrivono del terremoto, come hanno fatto molti, troppi in questo ultimo anno. Loro non vanno alla ricerca di un facile successo. Ma solo di un modo per raccontare se stessi e una terra che cerca la forza per riemergere. Anche e soprattutto attraverso i giovani. […]
E poi c’è Matteo Grimaldi, 29 anni, dell’Aquila. Vorrebbe essere Luca, il protagonista del suo romanzo “Supermarket24”. O almeno vorrebbe avere il cinismo con cui Luca, un giovane in cerca della propria indipendenza, affronta il primo giorno di
lavoro nel reparto ortofrutticolo di un supermercato. Il libro è la telecronaca delle 24 ore vissute da Luca, delle sensazioni provate e degli incontri fatti. Una situazione che Matteo ha vissuto personalmente. «Il libro non è autobiografico – precisa – Le situazioni che ho vissuto mi hanno dato l’ispirazione, ma sono sempre estremizzate ».
Alessio, Alessandra, Andrea e Matteo. Quattro ragazzi come tanti che hanno trovato nelle parole un modo per esprimere se stessi.

Autrice dell’articolo è Angelarosa Pinto che ringrazio. Potete scaricare l’intero numero, che ci son tanti begli articoli, cliccando qui.

Piccola intervista su Scrittori d’Italia

Ecco una nuova intervista stavolta sul forum di Scrittori d’Italia che vi riporto per intero perché mi piace l’effetto virgolettato con lo sfondo grigino. Apprendere nuove funzionalità di WordPress ti apre la porta su mondi meravigliosi.

1) Chi è, e perché scrive Matteo Grimaldi?

Matteo Grimaldi è uno che, nonostante i ventinove siano prossimi, non sa ancora cosa ne sarà della sua vita, stravolta come la città in cui vive, ma che intanto fa quello che gli piace, o meglio, infila quello che gli piace in giornate composte per la maggior parte di ore che non gli piacciono. Lavoro al Mc Donald’s dell’Aquila e mi manca la tesi per laurearmi in Informatica. A meno che non decida di venire alla luce da sola, per ora non se ne parla. Scrivo perché scrivere mi fa sentire bene. Trovo sia un ottimo rimedio alle arrabbiature che mi provoca la realtà.

2) Ti va di parlarci della tua ultima pubblicazione “Supermarket24”?

Supermarket24 è la storia di Luca Sognatore che a venticinque anni è stufo di dipendere dalla sua famiglia e allora s’imbarca in lavori di tutti i tipi finché non finisce al supermercato SpesaPiù di piazza Dante a L’Aquila. Il romanzo è la cronaca del suo primo giorno di prova al reparto frutta. Ventiquattro ore esatte fatte di incontri, confidenze, torture fisiche e psicologiche operate da clienti e colleghi con alle spalle vite dalle quali fuggono rifugiandosi in quelle otto, dieci ore giornaliere di lavoro. La particolarità del libro sta proprio nella molteplicità di vite che si incontrano e scontrano e che Luca, col suo sguardo cinico e spesso cattivo, non si fa problemi a giudicare. Ho provato a infilare in questo libro anche un po’ della nostra Italia, del senso di precarietà che investe i giovani che si ritrovano con un pezzo di carta o anche senza, ma con nessuno che abbia voglia di credere in loro. È un libro estremamente divertente, che vuole guardare la vita con ironia e prenderla a ridere, ma in alcuni passaggi commovente, perché su certe esperienze c’è poco da ridere e poi dolce, come i sentimenti che all’improvviso nascono nel cuore.

3) Lo hai pubblicato con la casa editrice Camelopardus. Mentre nel 2006 avevi esordito con la raccolta di racconti “Non farmi male” per la Kimerik. Quali sono state le differenze che hai subito notato tra queste due case editrici? Hai notato una evidente diversità di lavoro tra la casa editrice non a pagamento e la casa editrice a pagamento?

Intanto devo precisare per l’ennesima volta che io non ho tirato fuori un centesimo per pubblicare con Kimerik. Non conosco i contratti e le condizioni che la casa editrice propone agli autori, però posso parlare della mia esperienza. Di Non farmi male è stata fatta una primissima edizione molto limitata: 200 copie, una sorta di esperimento. Copie che sono andate esaurite in due settimane soltanto con gli ordini da internet. A questa edizione ne sono seguite due da 1000 copie ciascuna, tutte e tre a spese della casa editrice ed effettivamente distribuite nelle librerie. Io sono contrario all’editoria a pagamento. Non pagherei mai per vedermi pubblicato. Ritengo che ogni autore debba valutare un editore per la proposta che fa a lui, non per altro. La Kimerik è stata la prima casa editrice a credere nelle mie qualità e mi ha dato la possibilità di farmi conoscere e cominciare a percorrere la strada che poi mi ha portato alla Camelopardus e a Supermarket24. Sara Saorin di Camelopardus è un’editrice fantastica. Può permettersi di investire su pochi autori perché lei soldi non ne chiede a nessuno. È appassionata, si fa in quattro(mila) per promuovere i suoi libri realizzati al meglio in ogni singolo dettaglio a partire dall’estetica che non ha nulla da invidiare alle edizioni di editori blasonati. Con lei si è instaurato un rapporto d’amicizia e collaborazione. Mi sento molto fortunato ad essermici imbattuto, anche perché come forse nessuno sa, Supermarket24 doveva uscire con Edizioni di latta, editore giovane e distribuito da ALI che tutto a un tratto decide di chiudere. È stata una bella, anzi bruttissima botta e la Camelopardus ha rappresentato la mia rinascita.

4) Progetti per il futuro? Un sito dove possiamo trovarti?

Progetti sì, uno eccitante e molto ambizioso. Sto scrivendo il mio terzo libro e ci sto mettendo tutto quello che ho dentro. C’è tempo per parlarne. Potete trovarmi su www.matteogrimaldi.com e su Facebook in cui sono un po’ più interattivo. Un saluto e un abbraccio a tutti.

Grazie a Giuseppe Berardi.

È una festa notturna, non è un funerale

Esco dal lavoro dopo dieci ore. Ho una fame che statemi lontani se no vi mangio a mozzichi crudeli, gnam gnam. La schiena mi ricorda della sua esistenza a colpi di sciabola (una curiosità: quanto impiega un nervo infiammato a smettere di esserlo e tornare nell’oblio a farsi i cazzi suoi indolore?) e l’antidolorifico ha finito l’effetto. Fuori fa un freddo che si fa notare, perché erano giorni che col sole l’aria tiepida mi aveva quasi illuso di una primavera stabile, invece ieri siamo arrivati a tre gradi sopra lo zero e un venticello per niente simpatico. Però ho un appuntamento e non c’è scusa che tenga.

È una festa notturna, non è un funerale. È passato un anno esatto e L’Aquila ha voluto dire a tutti che intanto esiste ancora, che è piena zeppa di gente che la ama e che quei 308 angeli se li ricorda eccome. L’ha voluto fare in una fiaccolata memorabile. Oltre 25 mila luci hanno percorso chilometri in un infinito serpente di persone che parlavano fra loro, che si conoscevano già o si conoscevano perché vicine, che sorridevano.
25 mila alle tre di notte non sono proprio 4 gatti. Sono 25 mila appunto.
Ho visto bambini tenersi per mano, ragazzini, adolescenti. Donne stanche ma con ancora addosso la voglia di sdrammatizzare: “Tu che sei alto che si vede?” e io anticipavo il percorso: “All’incrocio andiamo giù. Ora stanno girando. Si scende per via Strinella…”.
Ho visto un uomo anziano pregare inginocchio sul freddo pavimento di sampietrini della piazza. Ho visto universitari con al collo la foto di un loro amico sorridente, con l’alloro fra i capelli e una vita finita in una notte di merda. Una notte vergognosa, ma che c’è stata e che sarebbe un grande errore provare a dimenticare. Una notte ingiusta che l’amore, il buono, la dimostrazione, il calore, la vicinanza, le lacrime, gli abbracci, il silenzio rispettoso in quei lunghissimi 308 rintocchi, la dedizione, le mani, le carriole che secondo qualcuno non servono a niente, il lavoro onesto contro le risate dei criminali, il tempo, tanto tempo, dovranno riscattare. Questa è la missione degli aquilani: riscattare quella notte e dimostrare alla natura che se è vero che a lei bastano 30 secondi a rovinare 70 mila vite, a quei 70 mila potrà servire una vita intera, ma la loro città se vogliono (e vogliono) se la riprendono.
Che poi nella testa siano passate immagini inquinanti più del petrolio non è colpa mia. E non è neanche colpa mia che 25 mila persone non siano sufficienti a concedere il potere dell’invisibilità. E quindi ho rivisto e ho sofferto di rabbia.
Poi ho pensato che eravamo lì per motivazioni ben più importanti e allora ho scacciato quella rabbia che è tornata, perché non se n’era andata veramente, per uscire dagli occhi un’oretta dopo, in macchina. Quando mi trovo di fronte all’inconcluso mi sento inconcluso, che ha come conseguenza l’impotenza, la rabbia, poi la rabbia e pure la rabbia. Sarebbe una gran vittoria scavare nei più reconditi luoghi della mia mente e pescare da lì la saggezza per spegnere quella luce rimasta accesa, cementificare la mia vita dentro una cupola di mattoni, oppure ordinare ai miei uomini di scavare un fossato profondo che mi protegga dagli attacchi esterni e inaspettati. Vivo nel condizionale e finisce lì e così.
Questo è quello che ho scritto giusto un anno fa. (Abile mossa per cambiare argomento e tornare alle cose importanti. Comunque non l’ho deciso io che quell’altra non lo fosse.)

Questioni pasquali

È  Pasqua quindi buona Pasqua!
Neanche un uovo intero ho potuto slurparmi perché quest’anno è una Pasqua povera con un uovo soltanto, quello della Fra che si sposa il 27 giugno e io sarei il testimone. Scusate se è poco.
Madre e Padre hanno dichiarato di essere stati impossibilitati a far la spesa infatti, fra l’altro, è finito pure il latte.
“Evita le tazze di latte e cacao alle tre di notte se no a martedì non c’arriva!” “Sì, ma un uovo potevate comprarlo!” “T’ho detto che non siamo potuti andare a fare la spesa che tuo padre non si sentiva bene.” Io non me ne sono mica accorto di questi malori, però ci credo, parzialmente. Che poi uno che arriva la Pasqua lo sa con un largo anticipo, non è che se ne accorge all’ultimo momento. Due uova le potevano comprare pure una settimana fa e pure un mese fa. Sì sì, avrei potute comprarle io, ma a saperlo le compravo, mica no.
In compenso ho passato venticinque minuti a montare l’idrovolante della Kinder con il complicato motore a propulsione a elastico che ho posizionato sulla mensola vicino al toro di Madrid e al Winnie non Winnie, orsetto tarocco.
Comunque come faccio io ora privato del latte e cacao delle tre di notte fino a martedì?! È la mia medicina contro la depressione. Morgan si pippa la coca, io mi ammazzo di bicchieroni di latte e cacao. Ora però non cacciate pure me dal Festival di Santo Remo.
A proposito di Sanremo, è finito Amici (che è meglio di Sanremo perché per esempio Biaccio Antonacci ad Amici ci va). Ha vinto Emma Brown, sorella del Dan scrittore e amica  della cantante salentina Alessandra Amoroso che aveva vinto l’anno scorso – andavano a farsi le maschere di bruttezza insieme. Tutti si chiedono perché la gente abbia preferito seguire la sua ascesa al trionfo invece che Porta a Porta col resoconto, attimo dopo attimo, scheda elettorale dopo scheda elettorale, della sconfitta per esempio dell’altra Emma (Bonino) nella regione Lazio conquistata dalla gaia sorrisevolezza della Scopettina Swiffer Polverini. A parte che una vittoria è meglio di una sconfitta. Vai a dormire sereno e per gli italiani la parola serenità rientra a tutti gli effetti fra quei vocaboli in via d’estinzione. Parrebbe che noi poveri analfabeti riusciamo a utilizzare soltanto 25oo parole e con quelle costruiamo i nostri bei discorsi. Le altre, che sono tante, ma tante di più, fra poco non le conoscerà più nessuno e faranno la fine dei triceratopi. E poi l’idea di ricostruire il tragico momento boniniano attraverso un plastico delle cabine elettorali laziali con quell’ammasso di nei parlante, e parlanti pure i nei, che ne studia tutte le dinamiche interloquendo col criminologo Massimo Picozzi, temo che faccia sugli italiani lo stesso effetto che sta facendo l’ultimo libro della Santacroce sul mio nervo infiammato.
Si è arrabbiata Isabella perché un tale Barilli ha stroncato Lulù Delacroix su Tuttolibri definendolo un libro noioso che fa il verso a Carroll così gli ha risposto con un raffinato post sul suo blog che casomai il verso lo fa lui, “che sia nel suono somigliante al ragliare di un asino però” e che dovrebbe recensire la sua intelligenza, stroncandola. Allora io non glielo dico che la penso come Barilli nonostante adori la Santacroce e abbia letto tutti i suoi romanzi perché se no dà dell’asino e del venduto pure a me. Poi Parente su Il giornale dice che è più bello dell’Alice di Carroll e allora proprio no. Dice pure che la Santacroce sta scrivendo una Divina Commedia moderna e dopo l’inferno di V.M.18 (sì, quello sì) e il paradiso di Lulù (insomma, insomma) arriverà il purgatorio e sarà un mattone di mille pagine. Non pensiamoci, per ora. Qualcuno però dovrebbe dire a Isa che Lulù Delacroix è il meno riuscito dei suoi libri. Che Alice nel Paese delle Meraviglie è rock e il suo è lento. Che Dante era Dante, tutta un’altra musica. Io però non glielo dico, ho un po’ paura. Intanto lei sul suo blog pubblica le ovazioni e ignora le stroncature eccezion fatta per quella di Barilli, che comunque non ha pubblicato, e molto sportivamente gli ha dato del venduto. Come si permette costui di criticare un (capo)lavoro di tre anni – se lo dice da sola- senza sicuramente averlo letto a fondo?
Io non lo so come la pensate voi, però secondo me uno in tre anni può scrivere pure una mezza schifezza. Dico schifezza pure se schifo è una brutta parola, che non si dovrebbe dire e che qualcuno giudica maleducata. Ma io lo faccio solo per non farla estinguere, per il bene della lingua italiana, insomma.