“Signor Matteo” non me lo dici, chiaro?

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In questi giorni stanno tappezzando Roma con i manifesti della nuova campagna pubblicitaria dell’acqua Gaudianello. Come leggete coi vostri occhioni: “Effervesciente naturale. L’acqua con qualcosa in più” e quel qualcosa in più è chiaramente la i di troppo. Chissà se si tratta di un chiaro disegno di marketing. Puntare sullo strafalcione considerato che la Gaudianello non fa fare tanta plin plin né depura l’organismo né è povera di sodio, o portatrice di altre qualità che possano renderla distinguibile nell’infinito mondo delle acque; oppure semplicemente di un errore scappato su decine di migliaia di cartelloni affissi. È curioso che la stessa campagna sia uscita anche sul Mattino di Napoli dove la i non compare. Sarà mica perché a Napoli quando dicono effervescente ce la mettono comunque?  (Pronuncia campana: effervesciiiiiéntè, e chiusa seguita da e apertissima.) Nella versione napoletana io una bella i l’avrei aggiunta pure al nome dell’acqua. Gaudianiello (pronuncia campana: gaudianiiielll avrebbe certamente fatto maggiore presa sui consumatori accattatevillosi. Non è un attacco ai napoletani che mi sono mediamente simpatici. Chi mi conosce sa che io manifesto intolleranza razziale e razzista, molto motivata se pur esclusivamente riferita alla razza, soltanto per i cinesi e un po’ per i coreani.
A proposto di marketing, oggi ho parlato al telefono con un editore rappresentato dalla voce di una signorina poco credibile che voleva spedirmi a tutti i costi un contratto editoriale.
“C’è un contributo da pagare per pubblicare con voi?” “Sì, le invio il contratto e lei potrà così valutare.” “A me le sorprese non piacciono. Di che cifre stiamo parlando?” “Le invio il contratto così potrà valutare l’entità dell’esborso…” “No, guardi. Io non ho mai pagato nulla e quindi…” “Eh, ma c’è l’editing da affrontare.” “E quindi?” “Sa cos’è un editing signor Matteo?”
Chi mi chiama signor Matteo mi fa imbestialire. Non so bene perché, forse perché sono single e nei modi sono tutt’altro che un signore.
“So cos’è un editing certamente meglio di lei.” “Ecco, allora saprà che ci sono dei costi…” “Ma mi faccia capire una cosa.” “Mi dica signor Matteo!”  
Ok, un’altra volta e la raggiungo ovunque si trovi e le ficco la cornetta in gola.
“Lei ritiene che gli autori debbano sostenere economicamente le case editrici un po’ come un cittadino generoso fa col poveraccio che non ha da mangiare sotto casa sua?” “No, è che l’editing costa.” “Anche lei costa, ma non è detto che debba pagarla io, come autore.” “Comunque le invio il contratto così…” “Non le faccio perdere tempo. Non ho mai pubblicato a pagamento e non ho alcuna intenzione di cominciare a farlo ora.” “La nostra proposta rimane valida quindi non esiti.”
Io non esito, ma tu non esisti. Ho già riagganciato.
Non mi fa incazzare la politica dell’editore. Finché c’è chi è pronto a sborsare duemila, tremila, quattromila euro pur di vedere i propri 50 fogli rilegati così da poter assomigliare a un libro, spesso di cattiva qualità estetica e letteraria, che continuino pure. Ma quella poveretta (interiormente parlando) pagata (lo spero per lei) per vendere frottole al telefono… Sì. Quella mi fa incazzare. Col tono di una maestrina mi chiede se so cos’è un editing. Poi aggiunge quel signor Matteo che… No.