Silvia, ora sì che puoi fare pipì

Ora che ho scoperto che si arriva nella Stanza sia digitando www.lastanzadelmatto.splinder.com sia senza il www, e non solo. Pure se mettete l’it al posto del com col www, ma anche se togliete il www lasciando l’it, sì che mi sento meglio. Provate anche coi vostri blog, che per quanto io comunque sia una personalità, e questo ormai è chiaro anzi lapalissiano (desideravo da settimane fare uso di tale termine), dubito che il su descritto trattamento sia stato riservato solo al sottoscritto. È un po’ come se tutte le strade portassero nella Stanza, altro che a Roma. Ieri ho fatto apertura delivery e quindi, a pranzo, mi è toccata la sala ed è là che s’incontrano gli individui più strani e spaventosi che la razza umana possa aver generato. Persone che d’improvviso impazziscono, che si perdono nell’incertezza di domande senza senso, che s’infervorano perché i loro diritti di consumatori sarebbero stati in qualche modo calpestati. Questi i tre esemplari in cui mi sono imbattuto, casualmente tutti donne.
Primo esemplare: “Mi scusi?!” “Dica!” “Da dove si esce?”. Allora, premesso che il Mc Donald’s dell’Aquila non è che sia proprio il labirinto di Dedalo, io non posso che dedicarle qualche compassionevole istante di silenzio e, con sguardo esterrefatto, sussurrarle: “Da dove è entrata”, riprendere i milioni di vassoietti abbandonati sulle trash e tornare dentro a pulirne un po’. Chissà se poi quella donna confusa è riuscita ad uscire o vaga ancora lì dentro priva d’orientamento e lucidità, prigioniera di tavolini sporchi di briciole e insalata e ketchup. Il secondo esemplare è una dolce vecchina di quelle che t’ispirano tanta tenerezza, come se non potessero più rialzarsi da lì, come se quel Big fosse il loro estremo pasto (tutta salute, poi) avvolta in un camicione fiorato che mi chiama: “Scusa giovanotto, è caduto un goccio d’aranciata”. Non ci sarebbe alcun problema se il goccio d’aranciata di cui parla lei non fosse proprio un goccio, ma un’ intera Fanta grande tutta sparsa sul pavimento, mentre ragazzine cretine ci passano sopra e rimangono coi piedi appiccicati alle piastrelle ed emettono versetti schifati, e continuano a calpestare la pozza e a trascinare la colla zuccherosa ovunque. E se qualcuna cade e muore è pure colpa mia. “Non si preoccupi signora, vado a prendere il mocio.” Maledetta vecchia, aggiungerei. Diecimila passate tra mocio bagnato e mocio asciutto perché se no rimane il segno nero, tipo quando stacchi una figurina e quella colla non se ne va neanche con le unghie. E la gente che ti guarda come se da un momento all’altro dovesse affiorare dal pavimento un diamante grezzo oppure la navicella di ET. Mentre torno di là mi sento chiamare da una tizia (terzo esemplare) perfetta per interpretare il ruolo da protagonista nel nuovo film di Verdone, tutta precisina, dalla voce impostata, antipatica e convinta forse che noi non abbiamo altro da fare che stare ai suoi comodi. “Sulla mia sedia c’è una foglia d’insalata.” Mi verrebbe da dire: “La scansi, la faccia cadere, se la mangi, se la infili in gola così crepa soffocata” insomma, a me mai e poi mai sarebbe venuto in mente di chiamare qualcuno per farmi spostare una fogliolina d’insalata dalla sedia. Comunque con una pezzetta la faccio cadere a terra. Neanche mi ringrazia. Dopo un paio di minuti mi richiama, sempre lei. “Al bagno delle signore è finita la carta.” Stavolta glielo dico di pulirsi il culo col foglio delle calorie che sta sul vassoietto, anzi no. Vado a prendere un rotolo di carta igienica, lo sistemo in bagno e sento lei che fa alla figlia che avrà avuto 35 anni: “Ecco Silvia, ora puoi andare”.