Un tuffo nella merda

Sono giorni che mi sveglio con un mal di schiena che mi toglie il fiato. Il primo respiro della giornata, avete presente? Quando inali l’aria mattutina e sospirando con un mezzo sorriso dici: “Good morning world!”? Ecco, io resto bloccato con gli occhi sbarrati senza poter esprimere quello che penso e cioè: “Fanculo, cazzo!”. Sarà che le due settimane di dolce fancazzeggio mi hanno disabituato a lavorare, e la delivery (scarico camion) di ieri è stata devastante, non perché sia arrivata tanta roba, quanto nel particolare e cioè: ho dovuto spostare in avanti tre file di scatoloni di latte Sundae e Shake per fare la rotazione delle scadenze. Non credo di aver mai sollevato da terra qualcosa che pesi più di uno scatolone di latte del Mc Donald’s. E pensate che ho sollevato cose che nessun umano può neanche immaginare, tipo mia madre, eppure sono quasi sicuro di poter affermare che uno scatolone di latte di quelli pesa di più. Glielo dirò, svoltando il senso della sua giornata sul + di positivo. Io ci provo ad usare le gambe, eseguendo alla lettera le istruzioni che Jill Cooper di Media Shopping continua a dispensare attraverso i suoi corsi in videocassetta, però pesano per pesare, cazzo! E quindi c’è questo osso posteriore poco sopra al culo, che spinge e spinge. Secondo me vuole venire alla luce, e dopo la donna che mentre diventa uomo mette al mondo un bambino, che secondo Niccolò nessun assistente sociale mai potrà toglierle/gli, perché lei è una mamma con le palle, arriva lo scrittore che mette al mondo un osso da dietro la schiena. Sto per avere un figlio e lo amerò con tutto me stesso, anche se è diverso, anche se è un osso, io farò di tutto perché non si senta escluso e giochi a palla insieme a tutti gli altri bambini in allegria. Oltre all’evidente romanticismo che cotale immagine evoca nel cuore di tutti noi c’è dell’altro (bisogna sempre andare oltre) e cioè che io al lavoro non posso andarci in queste condizioni. E allora mi prendo un Efferalgan che intorpidisce la zona giusto per quelle tre orette clou.
A proposito (di che?) ieri mi sono preso un’incazzatura cosmica, no perché a me certe cose fanno uscire dai gangheri, per dirla delicatamente. Turno in sala. Verso le due mi viene in mente di andare a svuotare i secchi fuori che ormai s’erano riempiti della merda che la gente vomita sui vassoietti. Vado armato di bustone nero e cosa scopro? No, guarda non mi ci fate ripensare che se no esplodo e strappo ad una certa persona tutti i suoi orribili capelli marroni (beata lei che ce l’ha) uno ad uno. Mancavano le buste. Cioè la sera prima l’ha tolte, ha pulito per benino, e non ha rimesso quelle pulite, so (come direbbe la mia ormai defunta credo professoressa d’inglese Vespa) mi sono dovuto tuffare nella merda della gente e travasare tutti quegli incarti sporchi di salse, patatine incollate a pezzi di gelato alle mandorle, bacon sciolto, appiccicumi vari ed eventuali e indecifrabili, la merda insomma (l’ho già detto, ma è bene ripeterlo), nel sacco pulito. Una signora mi fissava con un ghigno godereccio. Allora, visto che non è che mi stessi proprio divertendo, ho resistito circa 28 secondi prima di guardarla e dirle, riproducendo un simil ghigno: “Vuole venire a farlo lei?”.
Comunque è bene che la stronza che doveva mettere i sacchi e toh, non l’ha messi, sappia che io so chi è, quindi sappia pure che appena la becco al lavoro la sfondo di parolacce (perché mi è anche abbastanza antipatica di suo) il tutto condito con un’immersione forzata nella spazzatura, così, giusto per farle provare la poco carina (credetemi) sensazione di nuotare in una discarica (un po’ quello che stanno vivendo a Napoli da troppi mesi a questa parte, ma ora ci pensa Super Berlusca che in due settimane farà tornare la vostra cittadina splendida splendente (mentre si tromba la Carfagna), non temete!).
Il tutto a meno che. Sì, perché c’è sempre un a meno che. Vedere la faccia di chi ti aveva detto di lasciar perdere non ha prezzo, per tutto il resto c’è Mastercard. E, perché la mia ira funesta possa trasformarsi in un sorriso sentito con tanto di carezza sul tuo oleoso viso, basterebbe un piccolo, insignificante, appena percepibile favoruccio: cambiare il tuo turno di domani col mio. Accetti o preferisci morire? Che splendido mondo democratico è questo!