Nonostante fuori piova

Dentro è un periodo, piccolo, in cui mi sento attraversato da una specie di felicità chimica e isterica, che mi fa ridere e poi piangere dal ridere. Non riesco a spiegarmi il perché. Sto bene. Non come quando ti chiedono: “Come stai?” e tu rispondi: “Bene grazie!”. Bene sul serio. Me ne accorgo dai miei organi interni che sembrano pacificati: se ne stanno buoni buoni ad ascoltare parole, che solo qualche mese fa riuscivano a farli arrovellare e contorcere e annodare e tendere, quasi fino a spezzarsi. Sereno. Intrecciato in giornate senza sosta, ma sorridente, sempre. Tranne in qualche lieve istante, in cui tornare indietro viene piuttosto semplice, e a me non va di impedire ai pensieri viaggi taglienti, ma necessari di tanto in tanto. Questo è il momento di pensare solo a me e a tutto il mondo che devo portare a termine. Non ho tempo né voglia di dare spiegazioni a chi me le chiede, a chi pensa che io non abbia nulla da fare (poveretto!), quando io non ho un solo istante libero, neanche per cagare con un po’ più di calma. Questo tempo ha una scadenza prefissata, e pure un’altra. E poi una terza, e poi è finito. È quella fine che voglio vedere, e poi ne parliamo. Intanto vivo, e il non avere dentro tumulti da gestire, sconquassamenti emozionali, disperazioni da domare, è tantissimo. Perché tutte le energie le convergo altrove, e ne ho da vendere, non immaginavo. Mi dico: Bravo! e mi dico: Forza!
Anche se stamattina mia madre stava riuscendo a mandare all’aria tutti i miei programmi, tramortendomi con quel suo profumo alla mela verde alcolica, che ti stende. Fortuna che dopo una quindicina di minuti di stravolgimento, perdita di sensi, confusione cosmica, e successivo mal di testa atroce, mi sono ripreso, ho finito la mia tazza di caffelatte e cereali e, chiedendomi dove mi trovavo, sono corso in bagno a fare una cacca veloce.