Casamare Due, la vendetta.

Mi si è decomposta la sedia sotto il deretano. C’era da aspettarselo.
“Mamma, dobbiamo ricomprare una sedia per la mia stanza. Quella c’avrà vent’anni, e ogni volta poi mi ritrovo giganteschi pezzi di gommapiuma nel culo.”
“Veramente ce n’ha molti di più.”
Pensa. (Prima di sparare pensa, prima di dire di giudicare prova a pensare [pensa] che puoi decidere tu…)
“Sì, c’avevo quattordici anni quando tuo nonno e tua nonna comprarono ‘sta sedia. Faceva parte dell’arredamento dell’appartamentino a Montesilvano. Ti parlo di quarant’anni fa.”
“Quaranta? Ma dai!”
La guardo incredulo. Mi guarda convinta. La riguardo interrogativo. Lei è convinta davvero. Quarant’anni?
“Che meraviglia quella casa a Montesilvano!”
No, ti prego. Ora comincia a rimembrar i secoli passati. Non ce la faccio.
“Pensa che tuo nonno la pagò sei milioni, e dopo qualche anno la rivendette a trentacinque.”
“Cavolo!”
Fingo un finto interesse. Non solo si capisce che è finto. Ma si capisce anche che sto fingendo che sia finto. In realtà non è proprio. Inesistenza. È solo che non posso cacciarla via dalla mia camera ora che s’è buttata sul letto. Brutto segno. Evidentemente ha molto da dire, e vuole stare comoda. Ha intenzione di ripercorrere da lì tutta la sua adolescenza.
“Stava al secondo piano di un mini-complesso residenziale con vista sul mare: Casamare Due.”
“Ma che è il seguito di Casamare Uno? Una specie di brutta fiction versione italiana, quindi già per questo sfigata, di Baywatch?”
Non capisce la battuta e continua, persa nel suo tiepido passato.
“Erano due enormi palazzi, Casamare Uno e Casamare Due, costruiti da Di Bucchianico che s’era riservato l’attico di Casamare Uno.”
“Mica fesso.”
“C’era un campo da tennis in terra battuta, e dovevamo ripulire il pavimento del balconcino tutti i giorni dalla sabbia rossa, perché noi stavamo al secondo piano.”
Perché narri l’episodio con gli occhi al soffitto in evidente estasi poetica? E poi l’hai già detto che stavate al secondo piano. Se proprio devi ammorbarmi la mattinata, almeno fallo provando a dire cose nuove.
“E poi io e tua zia andavamo a farci il bagno alla piscina Le Naiadi, proprio dopo Casamare Due. Quant’era bella quella piscina!”
Va be’ io vado a sguazzare a VerdeAQua (la mancanza della c pare dovuta alla geniale trovata di infilarci  la provincia). Non saranno Le Naiadi, però ha pur sempre la sua dignità. Acqua limpida, direi, eccezion fatta per i cerotti che ondeggiano sul fondo, la tarantola che passeggiava sul bordo mentre io inspiravo-espiravo in attesa di partire a stile libero (molto libero), e i militari che sono soliti usare le vasche per ripulirsi dal fango e sudore delle lunghe e ridicole esercitazioni in montagne, possibilmente paludose.
“Pensa che prendevamo l’ascensore anche se stavamo al secondo piano!”
No, questo è troppo. Sollevo mia madre dal letto, e sempre gentilmente la spingo alla porta, facendo anche una non indifferente fatica, mentre lei blatera qualcosa del tipo: “Ce ne piaceva di più uno al terzo. Era così luminoso, più fresco. Solo che nonna non poteva tanto camminare e allora alla fine l’abbiamo preso al secondo”.
Chiudo la porta e da dietro: Ah, mamma, a che piano era?”.
Al secondo!” Urla.
 
M.
 
È un peccato che la vita debba finire per forza; ma è meraviglioso che il ricordo non sia soggetto alle stesse regole.