Penso al potere del caldo. È grande. Più di quello racchiuso nelle parole di chi, in buona o malafede, si adopera a sconsigliare un percorso rispetto a un altro, ad esempio. Un’anima cocciuta persegue la camminata pure se tutte le creature nel suo intorno non smettono di bisbigliare del prevedibile prossimo fallimento. Poi arriva il caldo e quella cocciutaggine si attenua e, se certe decisioni prevedono pensieri che corrispondono a movimenti pur semplici, rapidi o lenti, piccoli, ma che sfiancano, allora non c’è più dubbio: rimandare qualunque cosa ai primi freschi, a dopo l’estate che ancora non arriva e che non significherà neanche quest’anno vacanza. Sarà per la prossima estate, sospiro da un po’ troppe inoltrate primavere.
L’acqua per la pasta esce dal rubinetto che già bolle, dev’esserci un bel freschetto nei tubi. Secondo me è là che nascono e proliferano quei fastidiosissimi ragnetti rossi. Non li puoi neanche sfiorare che crepano lasciando, magari sul taschino della camicia bianca appena indossata, il regalino finale, una sorta di vendetta o di vaffanculo sotto forma di strisciata di non-sangue, perché gli insetti il sangue non ce l’hanno. E le zanzare, oddio quante. Stamattina, mentre sul cesso espletavo tentando di respirare meno aria possibile, per averne poi a sufficienza anche per lavarmi, pensavo all’estremizzazione del fenomeno zanzara. Io tutte le mattine mi risveglio con 3 o 4 bombe rosse nuove sparse tra braccia e gambe. Ora che hanno scoperto pure le dita, si salvi chi può. Immaginavo cosa potrebbe accadere se nella mia stanza una notte ne penetrassero che so, 200, e decidessero di pungermi ognuna ripetutamente. Tutta quella saliva che loro iniettano mentre succhiano, per impedire la coagulazione del sangue che deve arrivare liquido all’intestino, portatrice di infezioni, irritazioni, potrebbe farmi morire in quantità così elevate? Quasi quasi lo chiedo a Yahoo answers. C’è un motivo se parlo di 200 zanzare cacciatrici unite per la vita, la loro. Le sto studiando come loro stanno studiando me, ogni notte. Non potete immaginare quante messaggere infiltrate schiaccio nei modi più cruenti, prima di stendermi sul divanoletto e abbandonarmi al sonno. Non sono loro la mente, però. Son lì per assaggiare il mio sangue; le sento scambiarsi informazioni segrete (bbbbZZZzzzZZZ) che poi riporteranno ai piani alti del zanzarificio, il palazzo. Io lì, sul cesso elaboro tattiche difensive, per contrastare l’imminente attacco in massa, so che lo faranno, quelle maledette. Poi, quando finisco di cagare, smetto di pensarci.
Che qualcuno mi faccia aria, mi porti dell’acqua, mi dia dei soldi, tanti.
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