Dover giustificare ogni passo, spostamento, rapporto, telefonta, non telefonata, risata, silenzio, non risposta, i pensieri no, nessuno può vederli e nessuno può inventarli e raccontarli. Non sarebbe credibile e meno male, altrimenti son certo che sarebbero capaci di storpiare pure quelli. Non è che non voglia raccontare di me, di tutte le persone che ho conosciuto e che per me hanno o no rappresentato qualcosa, e cosa. Lo faccio, ho un passato come tutti. Ma l’interrogatorio continuo è sfiancante, la luce della lampada puntata in faccia non solo acceca, ma scoccia pure, perché io di te ho sempre detto il meglio, ho sempre raccontato la felicità dell’aver incrociato per caso la tua strada, e la felicità che tu abbia voluto fare delle nostre 2 strade una comune, da camminare insieme. Come è possibile che proprio io e proprio ora, che la mia vita è affiancabile per somiglianza a quella di un bullone, che non fa altro che essere svitato e avvitato, tutti i giorni. Mi accusi, coi toni, i modi di fare che provocano e che io faccio finta di non sentire. Mi chiami col nome di chi ti ha rovinato la vita e non fai che ripetermi che sono uguale. Non rispondo, ma mi disturba, pure se non lo dico, perché mai come ora è ridicolo pensar male di me. Ho così tanti voli nella testa che non riesco a trovare le energie per controbattere, per infuriarmi perché non riesci a dire semplicemente: mi fido di te. Io mi fido e tu non ti fideresti neanche se fosse Dio a dirtelo che stavolta è diverso.
Non posso chiedere a un foglio di carta di resistere a 4 mani che tirano da una parte e altre 4 dall’altra. Non si può semplicemente continuare a colorare quel foglio così intenso senza ogni volta doverne testare la resistenza? Vivere il momento e prendersi tutto quello che viene, senza dover analizzare ogni particella di presente e ricollegarla a significati inventati, perché lo so io com’è la mia vita, e come sono le persone di cui mi circondo, e chi sono. E se dopo che ho parlato e spiegato arrivano nuove insinuazioni allora smetto di parlare. È questione di credere o no a me. Punto.
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