Oggi mia madre ha fatto la doccia.
C’è di strano che non la faceva da (rapida digitazione sui tasti plastificati della mia calcolatrice scientifica programmabile Texas Instruments) tre mesi e ventinove giorni. Il pericolo di essere colta da una scossa devastante, proprio in quei minuti di sana igiene corporale, era troppo alto perché lei potesse pensare di chiudersi in uno dei due bagni della casa, e cioè dove sta la doccia, appunto. Dopo aver ordinato a mio padre di provvedere affinché nel nostro giardino dalle erbacce s’innalzasse un’accogliente e non troppo costosa casetta di legno che cullasse i suoi sonni e sogni (al minimo scricchiolio, anche non dovuto al terremoto, esce comunque e instaura una disperata corsa contro il vento che le fa raggiungere un campo di erba medica sconfinato a centosettanta chilometri da qui, e allora si tranquillizza e prova a recuperare l’affanno), ad un certo punto ha deciso che non poteva continuare a lavarsi a pezzi nel lavandino del bagnetto. Così ha incaricato sempre mio padre di farne apparire, anche abbastanza velocemente, una in giardino.
Montare una doccia in giardino come idea non pare portar con sé ardue complicazioni, solo che poi metterla in pratica ti fa scontrare con una serie di problemi logistici di difficile risoluzione. Intanto: come la fai reggere una doccia senza una sola parete disponibile? Non è che puoi attaccare il flussometro al ciliegio, insomma. Mia madre gli ha risposto: “Vedi tu, pure volante va bene, basta che sia fuori da quella casa”. Valle a spiegare che le docce volanti non esistono!
Mio padre si è ingegnato con lo scotch, sarebbe capace pure di costruire un grattacielo con mattoni e scotch, e chissà che non si rivelerebbe più stabile dei palazzi che sono crollati a L’Aquila – per la serie: Datemi un rotolo di scotch e solleverò il mondo – e ha appiccicato un cerchio di metallo sul soffitto o sul pavimento del balcone, a seconda che il punto di vista sia piazzato sotto o sopra il balcone, dal quale far pendere, come un innocuo serpentello, la pompa che, passando attraverso la finestra del bagnetto in taverna, arriva al rubinetto. Il secondo problema è la pudicizia di mia madre. Se fosse donna dalle poche preoccupazioni, se non badasse all’indiscreto vicinato, potrebbe anche farsi la doccia nuda, fra le pietre che abbelliscono le siepi e i pini. Gli occhi della lavandaia del terzo piano del condominio a fianco, che ogni volta che torna in casa fa una scossa, un po’ come la signora Fletcher con i suoi spostamenti non troppo bene auguranti, sono sempre puntati sulla nostra villina pronti a criticare, controllare, indicare, borbottare. L’importante è che si senta meglio, deve averglielo prescritto il medico per la sua salute mentale gravemente compromessa dal sisma, e quindi lasciamola dire, fare, baciare, lettera, testamento. Tornando alla genitrice, lei pretende la sua privacy e così ha intimato all’inseminatore di provvedere. Problema di facile risoluzione. Mio padre ha fatto passare nel tubolare appiccicato con lo scotch sotto al balcone gli anelli di una tenda per doccia con le conchiglie che ridono, acquistata per l’occasione a Brico che si è trasformato in una specie di immenso bazar dove non hai grande scelta, ma trovi di tutto. Si è fulminata la discreta lampadina che rischiarava le tue letture prima di andare a dormire? Vai a Brico e la trovi. Poco conta che siano rimaste solo quelle da ottocentocinquanta W. È pur vero che se dedicassero un intero scaffale alle lampadine dove li sistemerebbero poi i termosifoni a tubolari? E quindi metti in busta la lampadina che c’è e porti a casa, se ce l’hai, una casa. Vorrà dire che da stanotte leggerai con gli occhiali da sole. Ora a L’Aquila è così.
Al vento caldo che solleva la tenda scoprendo le intimità della donna, l’uomo ha rimediato appendendo alla tenda una manciata di pesetti di quelli che usano i subacquei per restare a fondo ed esplorare gli abissi. Poi ha piazzato una bagnarola gigantesca così da non allagare ogni volta il piccolo marciapiede che costeggia la casa e il giardino. Mia madre è entrata nella bagnarola, ha chiuso la tenda, ha aperto l’acqua, si è sentita ridicola, ha richiuso l’acqua, ha indossato l’accappatoio, è uscita dalla bagnarola, è tornata in casa, ha dato ordine che venisse smantellata quell’accozzaglia in giardino e si è fatta la doccia al bagno del secondo piano. “Perché io il terremoto lo sfido!” Parole sue.
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