Chiacchieravo con un collega che sta scoprendo la passione per la scrittura. Entrambi in libreria, io in turno, lui di passaggio per un saluto.
Lui diceva di voler proporre il suo manoscritto a Einaudi, io gli dicevo di lasciar perdere i grandi, per il momento, e provare a costruirsi un background di pubblicazioni minori. Le chiamano minori, ma questo è un altro discorso.
Nei suoi occhi l’entusiasmo della passione nuova, nei miei la smorzata consapevolezza maturata negli ultimi dieci anni. Poi ci sta che lui pubblichi domani con Einaudi, glielo auguro di cuore (nemmeno mi sorprenderebbe tanto, è molto bravo) e io continui con le pubblicazioni minori per sempre – benedette siano!
Ma non è di questo che volevo scrivere dopo nove mesi che non aggiorno il blog, ma di quello che è capitato mentre ne parlavamo, e nei giorni successivi, e poi dal gelataio.
– Devi puntare sempre in alto – dice una donna, ferma davanti al banco. – Poi fai sempre in tempo ad abbassare il tiro. E scusate se sono intervenuta così…
Ha gli occhi spalancati e quello che mi colpisce è il colore. Sono color ambra. Mi fanno pensare proprio a quelle gocce dorate che hanno conservato per millenni le zanzare del Giurassico, per dire. Sembrano illuminati da dentro. Vuole infondere fiducia, non tanto al mio collega che è un motore in accelerazione, quanto a me. Devo averle dato la sensazione di non credere più nel mio sogno.
Be’, no. Non è così. E’ che ho cambiato sogno. O meglio, è lo stesso, un po’ diverso sì, ma non più debole. Semmai più consapevole.
Mi chiede qual è la mia esperienza editoriale, le dico che ho pubblicato tre librini, non scendo nei particolari.
Dopo una decina di giorni torna.
– Ho bisogno di parlare con te. Servi pure tutti gli altri clienti. Aspetto!
Mi sale l’ansia. Penso di aver combinato qualche guaio. Un resto sbagliato, un consiglio di lettura toppato.
Restiamo solo io e lei.
– Sono tornata perché… ora ho un po’ di tempo libero e allora… vorrei leggere i tuoi libri.
E’ imbarazzata, e non sa che questa cosa imbarazza tantissimo me. Perché non mi era mai capitato. Certo, alle presentazioni. Certo, su Facebook. Ma che uno sconosciuto mi cercasse in libreria per i miei libri, no.
Le ho consigliato Supermarket24, quello che al momento è più semplice da procurarsi. Gliel’ho scritto su un post-it. Mentre usciva sventolava il post-it in segno di saluto.
Quattro o cinque giorni dopo, e cioè domenica scorsa, la incontro in gelateria.
Il gelato è diventato un elemento indispensabile nelle mie giornate lavorative, mi dà la forza e l’umore giusto per partire. Non fumo, non bevo, mi drogo… di gelato. Il mio gusto preferito era Cremino. Adesso, col caldo di Firenze, che ancora non è il caldo che sappiamo, il mio gusto preferito è diventato Cioccomenta.
C’è lei, con due bimbi.
– L’ho letto eh! – mi dice subito.
Non è possibile, penso. Non è passata neanche una settimana.
– Mi è piaciuto un sacco!
Son cose che si dicono, penso, ma lo penso sempre meno, perché lei inizia a parlare del libro, del mio libro, non di contenuti vaghi che vanno bene per tutti i libri del mondo.
– Ho odiato il protagonista, ma non mi accorgevo che quella sua maledetta ironia mi incatenava pagina dopo pagina. Poi tu racconti questi spaccati di realtà dei singoli personaggi… Senti, io ti ho lasciato un commentino su Amazon, un commento un po’ così, di fretta, ma ci tenevo.
Rimaniamo qualche istante in silenzio. Non so perché lei, so perché io: sono spiazzato dal bel momento.
– Poi con loro, come fai? – mi domanda mentre quei due fanno a spade col cono gelato.
Ci mettiamo a ridere. Ci salutiamo.
Sono felice, per quella sensazione che ti dà l’incontro con un lettore contento di averti letto. Si vede, si avverte, perché fa tutto lui. In questo caso lei. Ti cerca, ti legge, ti commenta, ti sorride.
Questo è il bello di fare quello che faccio, e provo a continuare a fare. Con tutte le difficoltà crescenti, non smetto.
Sapere che gliel’hai messa tu quell’espressione sulla faccia, tu attraverso la storia scema che hai inventato, le parole appassionate che hai scritto.
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